TONIGHT AT NOON – SUE GRAHAM MINGUS

Lei bianca, bionda, con gli occhi azzurri, giornalista della middle class. Lui artista geniale ma “peggio di un bastardo”, e cioè un meticcio dal carattere impossibile proveniente dal ghetto nero di Los Angeles e il cui nonno era stato uno schiavo nelle piantagioni. Sue Graham, ultima moglie di Charles Mingus, ha raccontato la loro tormentata e appassionata storia d’amore nel libro “Tonight at Noon”

Sue descrive l’esperienza intensa ma anche emotivamente devastante di questo matrimonio con un uomo i cui eccessi erano la regola e non l’eccezione e il calvario degli ultimi due anni quando Mingus venne colpito da una terribile e rara malattia incurabile (sclerosi laterale amiotrofica) che lo paralizzò — mantenendo però intatta la lucidità mentale e compositiva — poco alla volta, muscolo dopo muscolo, fino alla paralisi respiratoria finale ed alla morte avvenuta nel 1979.

Questa “indimenticabile storia d’amore e di jazz” (come recita giustamente il sottotitolo del libro) non si è però chiusa con la morte di Charles.

Da allora, infatti, Sue Mingus è diventata l’instancabile promotrice e divulgatrice della musica del marito. Ha formato e portato in giro per il mondo gruppi e orchestre: la Mingus Dinasty, la Mingus Big Band, la Mingus Orchestra. Ha promosso il monumentale progetto Epitaph diretto da Gunther Schuller (2 ore di musica continua con un’orchestra di 32 elementi). Con un lavoro certosino di ricostruzione a partire dai manoscritti più o meno decifrabili ha anche curato “Charles Mingus: more than a fake book”, la raccolta e la pubblicazione cioè di tutte o quasi le composizioni del contrabbassista, ha curato la produzione di 6 CD della Mingus Big Band, ha fondato un’etichetta discografica indipendente (la Revenge Records) che si propone di recuperare tutto il materiale illegale e piratesco che circola a nome di Mingus per poterlo ripubblicare ufficialmente e rimborsare i musicisti defraudati.
Sue Graham Mingus, Tonight At Noon. Un’indimenticabile storia d’amore e di Jazz, Baldini Castoldi Dalai, 2005,ISBN 8884907519, pagg. 318

PEGGIO DI UN BASTARDO – CHARLES MINGUS

Charles Mingus, Peggio di un bastardo, Traduzione Ombretta Giumelli, Baldini Castoldi Dalai, 2005, ISBN 8884906938, pagg. 373

Tutti coloro che, come me, amano l’opera di questo artista leggendario (compositore, contrabbassista, direttore d’orchestra) non possono  non leggere questo libro appassionato, dolorante e dolente, iperrealistico ed intriso di erotismo ai limiti del porno, scoppiettante e tenero ed elegiaco ed, a tratti, persino spiritoso.

Vi sembra che io abbia adoperato troppi aggettivi? Troppi ossimori? Troppa enfasi? Vi sono sembrata esagerata? Ma anche la musica di Mingus (“ricordati. il nostro è uno dei pochi cognomi veramente africani e tuo nonno era ancora uno schiavo nelle piantagioni” gli disse il padre poco prima di morire) è così: appassionata, raffinatissima, volgare, lirica, commovente, enfatica, trascinante, spiazzante. E-sa-ge-ra-ta.

Pagina dopo pagina conosciamo meglio (o meglio: ri-conosciamo) l’autore di “Good Bye Pork Pie Hat” (in memoriam di Lester Young) e l’artista di Pithecantropus Erectus, Jazz at the Bohemia, The Clown, Mingus!Mingus!Mingus!

Ma anche tutti quelli che si disinteressano di Jazz e non hanno mai sentito parlare di Charles Mingus (ma davvero ce ne sono???) dovrebbero leggerlo, questo libro. Perchè parla di identità, della non-unicità dell’Io, di non-appartenza razziale.
Perchè Mingus era un meticcio (o un “mezzosangue”, come scrive lui). E dunque non era riconosciuto nè dai bianchi (che lo disprezzavano come nigger) nè dai neri (che lo insultavano chiamandolo “sporco giallo”)

“Charles come capro espiatorio perchè, be’, lui era una specie di bastardo. Più chiaro di altri – ma non abbastanza da poter appartenere all’élite dei quasi bianchi – non era abbastanza scuro da poter far parte di quella categoria di negri bellissimi ed eleganti, quelli a cui si riferiva Bud Powell quella volta che disse a Miles Davis “Vorrei essere più nero di te! Non c’era davvero nessun altro con la pelle del suo stesso colore” (pag. 72)

Pubblicato per la prima volta a New York nel 1971, questa biografia romanzata (ma io preferisco usare una metafora presa in prestito dalla terminologia musicale e dire “in forma di romanzo”) fu scritta a quattro mani con l’amico Nel King di cui Mingus dice “ha lavorato a lungo e con grande impegno a questo libro ed […] è probabilmente l’unico bianco che avrebbe potuto farlo”

La storia viene narrata a volte in prima persona, più spesso in terza persona. Perchè:

“Io sono tre. Il primo, sempre nel mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di poterlo raccontare agli altri due. Il secondo è come un animale spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è una persona gentile, traboccante d’amore che lascia entrare gli altri nel sancta santorum del proprio essere e si fida di tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi soldi e anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli viene voglia di uccidere e distruggere tutto quello che gli sta intorno compreso se stesso per punirsi di essere stato così stupido. Ma non può farlo — allora torna a chiudersi in se stesso” (pag.9)

Ed ora andate a vederlo al contrabbasso nel bel
sito ufficiale di Charles Mingus

PALERMO E’ UNA CIPOLLA – ROBERTO ALAJMO

Roberto Alajmo
Palermo è una cipolla
Bari, Laterza, novembre 2005

“E’ fatta a strati. Ogni volta che ne sbucci uno ne resta un altro da sbucciare, e così via. […] L’Isola è così. La Città è così “ si legge nella quarta di copertina.

Avevo adocchiato questo librino sugli scaffali della Feltrinelli cittadina fin dal suo apparire, ma diffidavo, mi era sembrato uno di quegli innumerevoli prodotti “usa e getta” di cui ormai purtroppo anche le librerie più serie rigurgitano e che io aborro. Poi un giorno l’ho preso in mano, l’ho aperto a caso e l’occhio mi è caduto a pag.68:

“Ciascun abitante della Città ha il suo caffè preferito e un locale dove glielo preparano proprio come piace a lui e solo a lui. Questa pretesa di originalità ha una fenomenologia molto diversificata. Un carattere distintivo consiste, ad esempio, nella pretesa di cambiare il nome delle cose e dei posti per adeguarli al proprio estro. Si è già detto di Santa Maria dei Naufragati che diventano direttamente Annegati. Altro esempio: sant’Agostino non viene considerato un titolare adeguato alla bella chiesa che si trova nel quartiere del Capo, che difatti a discrezione degli abitanti della zona è stata ribattezzata Santa Rita. E’ una tendenza alla personalizzazione che trova parecchi esempi nella toponomastica cittadina: quella comunemente chiamata piazza Politeama è formata in realtà da due piazze contigue e misconosciute: piazza Castelnuovo e piazza Ruggero Settimo; piazza Mordini diventa piazza Croci; piazza Verdi è per tutti piazza Massimo; piazza Giulio Cesare è La Stazione, senza piazza; così come piazza Vittorio Veneto è diventata semplicemente “La Statua”. Da qui derivano dialoghi che per un forestiero possono risultare surreali:

— Dove abiti?
–Alla Statua.”

A questo punto il librino m’è saltato addosso dicendomi “comprami comprami” ed io mi sono affrettata a farlo, l’ho divorato, e siccome eravamo nel periodo natalizio ho fatto incetta di copie e l’ho regalato a tutti gli amici che mi capitavano a tiro e che ancora non l’avevano letto.

Può un librino di poco più di un centinaio di pagine, che si legge al massimo in un’ora e mezza, che fa ridere, essere un libro serio? Certo che si, può essere. Roberto Alajmo riesce toccare tutti i “punti dolenti” di questa mia difficile e inafferrabile e stratificata ed ambigua città con un tocco ironico, leggero e profondo al tempo stesso e che rispecchia il sentimento di amore-odio da cui molti di noi palermitani siamo affetti nei suoi confronti perchè i palermitani “… Pur non ritenendosi all’altezza del resto del mondo non ritengono il mondo alla loro altezza” (pag. 60).

E’ un libro che avrei voluto aver scritto io, tanto mi ci sono ritrovata…

LE DONNE DEL RE SOLE – SIMONE BERTIERE

Simone Bertière
Le donne del Re Sole
Ed. Piemme, 2001, Traduz. di Luisa Collodi

“Una corte senza dame è un giardino senza fiori”, amava dire Francesco I. Un parere condiviso dal suo successore, Luigi XIV, appassionato come lui di giardini e di donne. La sua corte ne è piena, e sono una più brillante dell’altra” leggiamo nel Prologo, a pag. 5.

Simone Bertière — docente di letteratura comparata e considerata una delle maggiori studiose e divulgatrici di storia francese dei nostri giorni — ha scritto una serie di libri dedicati alle regine di Francia.

In questo Le donne del Re Sole (l’unico, che io sappia, finora tradotto e pubblicato in Italia) fa rivivere il regno più lungo della storia francese durante quello che venne chiamato “le Grand Siècle” e le donne che circondarono Luigi XIV a cominciare dalla madre Anna d’Austria. E poi le mogli: da Maria Teresa di Spagna, regina sì ma priva di capacità ed insignificante a Madame de Maintenon (favorita prima e moglie segreta poi) e le moltissime amanti: l’italiana Maria Mancini — nipote del Cardinale Mazzarino — la sfortunata Louise de La Vallière, la potente favorita Madame de Montespan, travolta dall’ “affare dei veleni” e tante altre che, sebbene tenute lontane dagli affari della politica brillarono però, anche se per breve tempo, della luce riflessa del sovrano.

I libri della Bertière sono segnalati e consigliati anche da Benedetta Craveri, che ne parla nel suo bellissimo “Amanti e Regine” nella sezione dedicata alla bibliografia.

Simone Bertière
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