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Mese: ottobre 2006
PUPI, PUPARI E CONTASTORIE (Terza parte)
Famiglie di pupari
I pupari erano, ed in parte sono ancora, componenti di famiglie dinastiche e patriarcali dedite con passione all'arte di tramandare un patrimonio di parole, gesti, figure, miti e personaggi cui tutti i membri della famiglia davano vita.
Il lavoro di manutenzione dei pupi e del teatrino era rigorosamente ripartito: al capo famiglia toccavano smontaggio e riparazioni, ai bambini il compito di "allustrare" (lucidare) le armature dei paladini.
Alle donne il compito di cucire e mantenere in ordine l'abbigliamento dei pupi con una cura minuziosa dei particolari, anche di quelli non visibili dal pubblico in sala (la biancheria intima, ad esempio). Molto spesso dipingevano i cartelloni che presentavano o illustravano lo spettacolo. Ed ancora oggi in alcune famiglie è così.
A Palermo oggi le famiglie di pupari sono quelle dei Mancuso, i cui spettacoli si svolgono nel loro teatrino del Borgo Vecchio e al Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino, degli Argento, il cui teatrino è in Corso Vittorio Emanuele a palazzo Asmundo di fronte la Cattedrale.
Ma soprattutto c'è lui, Mimmo Cuticchio, detto "il puparo dei pupari", "il cuntista", "l'ultimo contastorie".
Di Mimmo e della sua famiglia (l'Associazione "Figli d'Arte Cuticchio") parlerò in una delle prossime puntate di questa miniserie di post sul mondo dell'Opera dei Pupi.
Pupi, Pupari e Contastorie sul vecchio NSP:
ECCOMI!
Dunque eccomi nella nuova casa di NonSoloProust.
Qui si possono fare cose di cui sentivo molto la mancanza, il luogo offre una serie di piccole ma importanti comodità. Vedremo. Sperimenteremo.
Intanto (ri)comincio (o continuo? in fondo, la vecchia casa è sempre là…) con questa immagine che mi ha inviato Oyrad, e che a me è piaciuta molto. E’ di David Ligare, un pittore che non conoscevo. Meno male che c’è Oyrad che provvede ad allargare i miei orizzonti!
A MODO MIO
Budapest, 23 ottobre
Lo scorso luglio sono stata a Budapest ed ho constatato di persona quanto il ricordo dei cupi anni del regime filosovietico e di quella che finalmente oggi viene chiamata “la rivoluzione del ’56” (e non più genericamente “i fatti d’Ungheria”) sia vivo negli abitanti di quella città. La rivolta ebbe inizio il 23 ottobre e durò fino al 10 – 11 novembre 1956. Venne repressa dalle truppe sovietiche e fu contrastata dall ‘Autorità per la Protezione dello Stato’ ungherese. Morirono circa 25.000 ungheresi (di entrambe le parti, ovvero pro e contro la rivoluzione) e 7000 soldati sovietici; i feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (il 3%) furono gli ungheresi che lasciarono il proprio Paese rifugiandosi in Occidente
Sono rimasta colpita dalla quantità di targhe, monumenti piccoli e grandi, mostre fotografiche, musei allestiti per non dimenticare.
Quest’anno si celebra il Cinquantenario della rivoluzione del ’56. Anch’io voglio farlo, se pure a modo mio.
Con qualche foto e una pagina tratta dall’autobiografia dello scrittore ungherese Sandor Márai
L’edificio che compare in queste foto che ho scattato in una bellissima mattina d’estate è quello del famigerato n.60 di Andrassi Út (lo splendido boulevard liberty del centro elegante di Budapest) sede dei torturatori della Gestapo prima e della polizia segreta sovietica poi. Oggi in quell’edificio è stato allestito il museo “Casa del terrore”. In esso hanno operato i torturatori dei “due più crudeli sistemi del 20° secolo” – così si legge nella pagina web del museo.
“Un pomeriggio — sarà stata forse la primavera del 1946 — camminavo lungo il viale che un tempo si chiamava Andrássy, quando notai sul balcone del tristemente noto numero 60 alcuni giovanotti vestiti di fresco nella divisa della cosiddettta polizia per la sicurezza dello Stato. Potevano essere lì dopo — o durante — una buona giornata di lavoro: con le mani sui fianchi, guardavano sghignazzando la gente che, con passo stanco, preoccupata, passava sui marciapiedi sottostanti.
Se ne stavano con fare sicuro e superbo, come chi sa di avere ogni potere: avrebbero potuto ordinare con un fischio a un qualsiasi passante di entrare nel famigerato edificio dove, nelle stanze di tortura, ognuno di loro aveva assoluta libertà di fare quello che voleva delle persone: nessuno — per il momento — avrebbe chiesto conto di quelle atrocità.
Anche le facce erano sorprendentemente conosciute: le stesse facce, lo stesso balcone di un anno prima, quando vi si affacciavano le Croci Frecciate — erano cambiati solo i nomi: il camerata Szappanos era diventato il compagno Dogei o qualcuno di simile”
(Sandor Márai, “Terra, terra!…”, Adelphi, 2005)
The House of Terror Museum which opens on February 24th , 2002 at 5PM and is unique in its genre, wishes to erect a monument to the memory of those of our compatriots who were held captive, tortured and killed in this building, but apart from presenting the horrors in a digestible manner, it also wishes to make people understand that the sacrifice for freedom was not made in vain. From the fight against the two cruellest systems of the 20th century eventually the forces of freedom and independence came out victoriously. (Dal sito del Museo “Casa del Terrore”)
LA MORTE DELLA FARFALLA – PIETRO CITATI
Pietro Citati, “La morte della farfalla”, Mondadori, 2006
Non è una biografia.
Così come non lo erano gli altri libri di Pietro Citati dedicati ad uno scrittore o ad una scrittrice: Katherine Mansfield, Tolstoj, Goethe, Kafka, Proust.
Degli scrittori di cui parla con grande empatia e capacità di coinvolgimento emotivo, Citati dà una sua personale interpretazione supportata da robuste letture che si intuiscono ma non vengono mai dichiarate. Così come i suoi libri non sono mai — e non a caso — appesantiti da apparati di note. Perchè Citati non ha alcuna voglia di scrivere una di quelle “pedantissime biografie” (pag.108) utilissime, certo, ma solo come una sorta di data base di consultazione e supporto.
Lui dipinge ritratti.
La farfalla di questo ritratto è Francis Scott Fitzgerald, chiamato così da Hemingway (ancora lui!) che in una lettera del 15 novembre 1941, un anno dopo la sua morte scrisse ad un amico comune: “Scott… aveva ancora la tecnica e lo spirito romantico per fare qualsiasi cosa, ma da molto tempo tutta la polvere era sparita dall’ala della farfalla, anche se l’ala ha continuato a battere fino alla morte della farfalla“.
Ma nel libro non si parla solo di Fitzgerald. Questa volta, si parla di una coppia: Scott e la moglie Zelda. E non poteva essere che così, perchè si trattò di una storia d’amore e di un matrimonio fondato su un legame di grandissima complicità durato tutta la vita nonostante l’alcoolismo di lui e la follia di lei che, affetta da una tremenda schizofrenia passò la seconda parte della sua esistenza entrando ed uscendo da cliniche psichiatriche.
Non ho intenzione di fare una recensione del libro (ne trovate una ottima qui).
Voglio invece parlare di un aspetto particolare della relazione tra Scott e Zelda e che Citati descrive con molta efficacia: la gelosia di Scott verso Zelda come scrittrice e il costante tentativo di impedirle di esprimersi, artisticamente, in modo indipendente da lui.
Già. Perchè Zelda amava dipingere e danzare e ad un certo punto della sua vita, dopo l’esplosione della malattia e durante le pause che questa le concedeva, “osò” mettersi a scrivere. E fu anche pubblicata. E qui, meglio lasciare la parola a Citati:
“Era geloso di Zelda come scrittrice: con una violenza, un furore ed una crudeltà, che non conservano nemmeno un’ombra del suo affetto e della sua onestà mentale. Sembrava dimenticare che parlava con una donna amatissima, caduta o nata non per propria colpa nella schizofrenia […]. Fitzgerald immaginava di essere un artista fragilissimo. Come unico tesoro, possedeva il materiale della propria esistenza […] se Zelda scriveva anche lei della loro esistenza comune, lui pensava che lo derubasse, lo defraudasse e lo rendesse nudo e impotente. “Tu hai raccolto” — l’accusava — “le briciole che io lascio cadere dalla tavola da pranzo e le hai ficcate nei libri […] … sono io il romanziere professionista e sono io che ti mantengo. Tutto questo è materiale mio. Niente di questo materiale è tuo”.
[…] Zelda doveva restare chiusa nel silenzio della casa e delle cliniche psichiatriche. Niente più penne, nè matite, nè carta, nè racconti, nè romanzi. Ma se proprio ci teneva tanto a scrivere un mediocre romanzo, avrebbe dovuto accettare il durissimo controllo del marito offeso”
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Fitzgerald, scrive Citati “Non so se consapevolmente, voleva distruggere Zelda…”
Ora. Io non ho letto nulla scritto da Zelda Fitzgerald. Pare che come ballerina non fosse un granchè. Tra l’altro, aveva cominciato troppo tardi (a ventisette anni). Alcuni suoi dipinti li ho visti qui e qui e francamente mi lasciano molto perplessa.
Però mi è venuta voglia di saperne di più, su di lei. Indipendentemente da Scott. Perchè Zelda non è certo il primo caso in cui la vicinanza affettiva e/o di parentela con un grande artista ha significato, per una donna, pagare il prezzo di essere condannata a vivere all’ombra del Grand’Uomo (penso a Clara Schumann, ad Alma Mahler, Camille Claudel, Alice James — e non si tratta che dei primi nomi che mi sono venuti in mente).
Da una breve ricerca in rete mi sono resa conto che non ero la sola ad avere questo desiderio di approfondimento. Ed ho trovato, scaricabile in formato .pdf, questa tesi di laurea di Eleonora Tedeschi intitolata “Zelda Fitzgerald: la Revisione del Mito”.
Merita d’esser letta.

STORIA SEGRETA DELLA SICILIA – GIUSEPPE CASARRUBEA
Giuseppe Casarrubea, STORIA SEGRETA DELLA SICILIA. Dallo sbarco alleato a Portella della Ginestra, Introduzione di Nicola Tranfaglia, Bompiani, Tascabili Saggi, 2005, pag. 352, ISBN: 8845234797
La fine della guerra in Sicilia avvenne nel 1943 mentre il Nord era ancora insanguinato dall’occupazione tedesca e dalle lotte partigiane. All’arrivo delle truppe anglo-americane la superficie agraria dell’Isola era ancora per almeno il 40% costituita da latifondi ed il potere saldamente in mano agli agrari ed alla mafia.
Sono sempre stata convinta che al di fuori della Sicilia sia molto scarsa la percezione di quanto, nella storia del divario esistente tra Nord e Sud abbiano influito questi fatti. Perciò oggi voglio parlare di questo libro pubblicato nl 2005 che ho appena finito di leggere.
Libro che, partendo dalla strage di Portella della Ginestra avvenuta il 1° Maggio 1947, ripercorre in modo molto approfondito e con un notevole supporto di documenti gli eventi accaduti in Sicilia negli anni che vanno dallo sbarco degli Alleati ai primi anni della Repubblica.
Giuseppe Casarrubea è uno studioso che da anni si batte per la ricerca della verità sui mandanti della strage di Portella della Ginestra e della lunga serie di attacchi contro le sedi di sinistra e le Camere del Lavoro nella provincia di Palermo susseguitisi fino al giugno del 1947.
Tra i caduti, anche suo padre, uno dei tanti sindacalisti ammazzati dalla mafia.
Dai risultati delle ricerche di Casarrubea emerge chiaramente che la strage di Portella della Ginestra non fu — come si è a lungo cercato di far credere — un evento sanguinoso e banditesco circoscritto alla Sicilia.
Non fu neppure un evento causato esclusivamente dallo scontro di classe tra contadini e latifondisti. Secondo questa teoria, gli uomini del bandito Salvatore Giuliano che spararono sulla folla di contadini inermi radunatisi a Portella per festeggiare il 1° Maggio non avrebbero rappresentato altro che il braccio armato degli agrari (i mandanti della strage) nello scontro di classe culminato nel grande movimento per l’occupazione delle terre incolte e la successiva emanazione dei Decreti Gullo per l’assegnazione ai contadini dei terreni lasciati incolti dai proprietari dei latifondi.
La tesi sostenuta nel libro è che la strage di Portella della Ginestra fu la prima strage di Stato dell’Italia repubblicana.
L’eccidio avvenne, tra l’altro, appena due settimane dopo l’imprevista vittoria del Blocco Popolare nelle elezioni regionali del 20 aprile 1947 e in un momento decisivo della svolta anticomunista che ebbe luogo su pressione degli Stati Uniti. In Italia così come in Francia.
La tesi di Casarrubea si fonda sui documenti degli archivi americani del Dipartimento di Stato e dei Servizi Segreti (Office of Strategic Services, l’Oss che ha preceduto, negli anni Quaranta, la nascita della CIA). Nonostante la non accessibilità degli archivi sovietici e vaticani, sostiene Casarrubea, è comunque possibile ricostruire il ruolo avuto dagli occupanti americani e inglesi nei principali avvenimenti italiani tra la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e la consegna, alle autorità italiane agli inizi del 1947 del territorio nazionale.
I risultati della ricerca storica di Casarrubea non riguardano soltanto la strage di Portella della Ginestra ma illuminano di nuova luce tutto il contesto storico e nazionale della Sicilia invasa nel luglio del 1943 dalle truppe anglo-americane.
Le sue ricerche illustrano il tormentato passaggio dal fascismo alla Repubblica mostrando la forte continuità degli apparati statali dal periodo del centrismo democristiano fino agli anni Sessanta ma soprattutto le iniziative degli occupanti anglo-americani durante gli ultimi anni di guerra.
Tra queste, basti pensare alla legittimazione amministrativa operata nei confronti della mafia: furono infatti imposti come sindaci noti capimafia come Genco Russo e Calogero Vizzini, mentre altri boss mafiosi come Michele Navarra furono inseriti in posti chiave delle amministrazioni locali.
Vennero utilizzati in funzione anticomunista anche il banditismo (ed in particolare la banda Giuliano) ed il movimento separatista di Finocchiaro Aprile.
Banditismo, separatismo e latifondismo vennero poi — quando non servirono più — fatti a poco a poco scomparire. Ma la mafia continuò a prosperare, grazie anche alla sua estrema dinamicità e capacità di adattamento ai mutati contesti socio-economici.
Casarrubea dimostra — documenti alla mano — come la banda Giuliano, il movimento separatista, gli agrari e importanti funzionari delle forze dell’ordine vennero letteralmente “reclutati” dal Governo del tempo il cui obiettivo principale era, in quegli anni, spezzare l’unità raggiunta con il Comitato di Liberazione Nazionale (il CLN), delegittimare e combattere il PCI e le forze di sinistra per consentirne la definitiva estromissione da qualsiasi ipotesi di partecipazione alla guida del Paese.
Tutti i documenti consultati, scrive lo storico, sia quelli americani che le carte di polizia italiane che gli atti dei processi seguiti alla strage di Portella convergono in modo secondo lui inequivocabile a comprovare questa tesi.
Per la maggior parte dei siciliani, queste tesi non costituiscono una novità; che la strage di Portella fosse il risultato di uno stretto intreccio tra mafia, poteri centrali e servizi segreti italiani e anglo-americani si è sempre stati in molti a pensarlo. La novità sta nel fatto che adesso queste tesi appaiono, grazie al certosino lavoro di ricerca di storici come Casarrubea e Tranfaglia, ampiamente documentate.
Un paio di link per approfondire:
LIBERTAD! – DAN FRANCK
Dan Franck, “LIBERTAD! L’amore e l’impegno, l’arte e la politica, i drammi e la leggerezza nella Parigi degli anni Trenta”, traduz. dal francese di Antonia Tadini Perazzoli, Garzanti, Saggi, 2005, pagg. 373, ISBN 88-11-74040-1
Se nel precedente libro di Dan Franck “Montmartre e Montparnasse” la scena era la Parigi dei pittori, in “Libertad!” lo scenario si allarga e i protagonisti sono gli scrittori. Nella guerra del 1914 gli artisti avevano combattuto per difendere la loro patria, la Francia. Adesso si tratta di battersi per una concezione del mondo.
“I loro fratelli dell’inizio del secolo arrivavano. Essi, al contrario, partono. Parigi non è più la capitale dell’universo. Ne è diventato il crocevia. Vi arrivano scrittori e poeti da tutte le parti del mondo per ripartire verso altre città ed altri paesi”
Fascismo e nazismo dilagano in Italia e in Germania minacciando l’Europa. In difesa della Spagna repubblicana attaccata dai fascisti di Franco sostenuti da Hitler e Mussolini si costituiscono le Brigate Internazionali sostenute dall’Unione Sovietica.
Descrivendo un mondo costituito da un quadrilatero i cui vertici sono Parigi, Madrid, Mosca e Berlino in un momento storico che oscilla tra entusiasmo e caos, Dan Franck scrive il libro delle Illusioni Perdute: dal sogno della repubblica spagnola e dell’utopia sovietica all’Apocalisse della seconda guerra mondiale.
Come già “Montmartre e Montparnasse”, anche “Libertad!”è una formidabile galleria di ritratti e di avvenimenti: Garcia Lorca e Jacques Prevert, Malraux e Machado, Hemingway e Bunuel, Orwel, Henry Miller e Dos Passos e Koestler; vediamo Aragon che vende la propria anima a Stalin, le intemperanze di Breton e dei surrealisti, il “papa” Gide che pontifica a favore e poi contro l’URSS, Gala che passa dalle braccia di Paul Eluard a quelle di Salvador Dalì mentre Picasso dipinge e Robert Capa fotografa tutto ciò che è in movimento (o muore)…
Galleria di avvenimenti in cui si riflette la storia grande e piccola, “Libertad!” è un’avvincente narrazione storica i cui eroi combattono con le armi dell’arte: parole e pennelli, ma anche con quelle della guerra come nel caso di Malraux e di Hemingway. Il loro grido è quello del dipinto di Mirò: “Libertad!”