Roberto SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori, collana Le Strade Blu, p.331, 2006, ISBN 88-04-55450-9
Ho terminato la lettura due giorni fa ed avrei proprio tanto, da dire, su questo libro che parla di camorra o, per essere precisi, del “Sistema camorra”, come la definisce Saviano ma mi limiterò ad accennare ad alcuni punti che mi hanno particolarmente interessata.
Le pagine in cui si analizza la differenza tra il sistema camorra e la mafia siciliana, ad esempio e la diversa struttura, la diversa filosofia di funzionamento organizzativo in particolare per quanto riguarda il rapporto con lo Stato e le Istituzioni. Il compito primario degli appartenenti al sistema camorra sono gli affari ed il profitto e dunque, in ragione di questa sua natura imprenditoriale e a differenza di Cosa Nostra, per la camorra “non esiste il paradigma Stato-Antistato. Ma solo un territorio in cui si fanno affari con, attraverso e senza lo Stato” (p.209).
Gli strettissimi rapporti che, come nella mafia siciliana, ci sono tra religione e camorra: perchè “in terra di camorra il messaggio cristiano non viene visto in contraddizione con l’attività camorristica […] la necessità di uccidere viene vista come una trasgressione lecita […] se l’omicidio avviene per un motivo superiore, ovvero la salvaguardia dei clan, degli interessi dei suoi dirigenti, del bene del gruppo e quindi di tutti” (p.247)
Il lungo capitolo dedicato al ruolo sempre meno subalterno e sempre più spesso di potere che le donne vanno assumendo all’interno del sistema ed il fatto che “Sino ad oggi del resto, a differenza degli uomini, nessuna donna, boss di camorra, si è pentita. Mai” (p.166). Sempre in termini di analogie e differenze mi è tornato in mente, a questo proposito, il bel libro sulle donne nella mafia siciliana edito da Flaccovio nel 1997 scritto dal magistrato dell’Antimafia Teresa Principato e dalla sociologa Alessandra Dino Mafia donna. Le vestali del sacro e dell’onore.
Alcune figure funzionali al sistema come ad esempio i “Visitors”, gli eroinomani usati come cavie umane per testare il taglio della droga e dagli stessi spacciatori così chiamati con disprezzo come i personaggi di quel vecchio telefilm degli anni ’70: alieni schifosi che mangiavano topi. Alcuni ruoli secondari ma anch’essi funzionali come I “Sottomarini”: gli uomini usati come postini per recapitare “la mesata” alle famiglie di affiliati in galera. I cinesi che “lavorano come bestie, strisciano come bisce, sono più silenziosi dei sordomuti”.
Il libro è popolato da personaggi straordinari (nel senso di “fuori dall’ordinario”): il sarto Pasquale, che diventa camorrista per la frustrazione di vedere che il suo grande talento non sarà mai non solo riconosciuto ma non gli consentirà mai nemmeno di sfamare la sua famiglia. La dirigente camorrista Anna Mazza e le sue donne guardaspalle vestite come Uma Thurman in “Kill Bill”. Oppure il prete Don Peppino Diana, massacrato per avere sfidato i boss. Oppure Pikachu, il “ragazzino biondo e chiatto quanto bastava per ribattezzarlo Pikachu” come il personaggio dei cartoni animati giapponesi e che “a quattordici anni pensava a come morire”.
E le pagine e pagine, tutte tremende, che riguardano i ragazzini. Le descrizioni di come vengono arruolati dal Sistema (p.119). Di come vengono letteralmente “addestrati a morire” (p.118). I ragazzini-soldato (p.121). I ragazzini “morti viventi”, che a tredici, quattordici anni vengono utilizzati come autisti di camion che trasportano concime mischiato a veleni nelle discariche abusive nei terreni inquinati dalla diossina. Che “più sentivano dire che la loro era un’attività pericolosa, mortale, più sentivano di essere all’altezza di una missione così importante. Cacciavano il petto in fuori e uno sguardo sprezzante dietro gli occhiali da sole. Si sentivano bene, sempre meglio, nessuno di loro neanche per un istante, poteva immaginarsi dopo una decina d’anni a fare la chemioterapia, a vomitar bile con stomaco, fegato e pancia spappolati” (p.329).
Tutto questo, espresso con un linguaggio, uno stile di scrittura che mi ha catturata sin dalla prima pagina. Potente, concreto, plastico, con elementi certamente splatter ma mai gratuiti e sempre funzionali ai contenuti. Assenza assoluta di volgarità. Linguaggio violento?!? Nelle librerie circola roba ben più violenta (oltre che volgare). L’intollerabile violenza di Gomorra sta nelle situazioni descritte: le parole di Saviano non fanno che riuscire a rappresentarne tutto l’orrore. Pagine come quelle dell’incolpevole ragazza Gelsomina Verde orribilmente torturata ed assassinata solo perchè sospettata di avere amoreggiato con un affiliato di un clan avversario, o del massacro di due ragazzini adolescenti e tanti tanti altri episodi che rappresentano per un lettore che abbia anche solo un minimo di sensibilità un vero e proprio pugno nello stomaco risultano tali “anche” perchè il linguaggio di Saviano riesce a trasmetterne tutta l’atrocità. E ci riesce perchè si gioca in prima persona, mettendo in piazza le proprie reazioni emotive e fisiche, usando coraggiosamente e non narcisisticamente il pronome “io”, mostrandoci il suo coraggio ma anche i suoi tentennamenti, le sue debolezze, la sua impotenza di fronte a certe atrocità, la sua frustrazione.
Mi auguro che chi segue telegiornali e si tiene mediamente informato non sia certo attraverso Gomorra che abbia scoperto l’esistenza della camorra o che abbia appreso dei massacri di Secondigliano o che “Il Sistema” imprenditoriale della camorra ha le mani in pasta in tutti i settori che possano costituire fonte di ricchezza: dall’edilizia all’industria tessile, dallo smaltimento dei rifiuti tossici allo spaccio di cocaina ed eroina al turismo ed alle catene della ristorazione. Se la gente avesse scoperto tutto questo solo con Gomorra saremmo veramente messi male. Queste sono cose delle quali io spero fossero già tutti a conoscenza.
Però se mi sembra lecito aspettarmi che tutti siano informati almeno a grandi linee su mafia e camorra, ci sono aspetti particolari che non è detto che tutti debbano/dobbiamo già conoscere. E di questi aspetti particolari, il libro di Saviano è stato — parlo per me — una vera miniera.
Mentre leggevo pensavo che non mi importava un bel nulla di classificare/incasellare questo libro. Non mi importa etichettarlo come “giornalismo di inchiesta” oppure “saggio” o “fiction” o “pamphlet” o “reportage” o “romanzo”. Probabilmente si tratta di tutte queste cose insieme. Le cose narrate sono rivelazioni o cose già scritte e riscritte da precedenti reportage giornalistici, dai rapporti di polizia, da incartamenti giudiziari? Non mi sembra fondamentale, saperlo.
“Io so e ho le prove. […] la verità della parola non fa prigionieri perchè tutto divora e tutto si fa prova. E non deve trascinare controprove e imbastire istruttorie. Osserva, soppesa, guarda, ascolta. Sa. Non condanna in nessun gabbio e i testimoni non ritrattano. Nessuno si pente. Io so e ho le prove. […] Non ho video compromettenti in garage nascosti in inaccessibili paesi di montagna. Nè possiedo documenti ciclostilati dei servizi segreti. Le prove sono inconfutabili perchè parziali, riprese con le iridi, raccontate con le parole e temprate con le emozioni rimbalzate sui ferri e sui legni. Io vedo, trasento, guardo, parlo e così testimonio, brutta parola […] La verità è parziale, in fondo se fosse riducibile a formula oggettiva sarebbe chimica. Io so e ho le prove. E quindi racconto. Di queste verità” (p.234).
Anche se Gomorra fosse un semplice collage di testi, fatti, dati già noti questo non farebbe diminuire in nulla quelli che secondo me sono i suoi più grandi meriti: essere riuscito a mettere in primo piano, sotto la luce dei riflettori una serie di notizie e di informazioni relegate fino ad allora nelle pagine dei quotidiani (spesso locali) o negli archivi di polizia e tribunali e trasmettere un sentimento di orrore e di indignazione e chissà, forse anche di passione civile. Il che, a mio parere, non tornerebbe certo a suo demerito. Ho letto in alcuni blog interventi che manifestavano stupore per il numero di persone che per strada e sui mezzi pubblici circolano con in mano una copia di Gomorra. Soltanto moda? Ho difficoltà a crederlo.
Quando Gomorra era stato pubblicato non l’avevo inserito nella mia lista dei libri da leggere. Io vivo a Palermo ed ho letto tanti, ma proprio tanti libri sulla mafia: ultimo in ordine di tempo la ristampa aggiornata di Trent’anni di mafia di Saverio Lodato. Pensavo (sbagliando) che il libro di Saviano — benchè parlasse di camorra e non di mafia — non avrebbe aggiunto niente di fondamentale alle mie conoscenze e dunque ho ritenuto che non costituisse per me una priorità di lettura.
Se in questi giorni mi sono decisa invece a prendere in mano questo libro e leggermelo molto attentamente, è perchè mi ero stufata di imbattermi in rete ed in particolare su alcuni blog nelle polemiche furibonde che, quanto più il ritmo di vendite di Gomorra andavano crescendo diventando davvero imponente (si parla oggi di 500.000 copie vendute) andavano montando in maniera esponenziale.
Succede sempre, in Italia, appena un qualcuno ha successo. Se gli scrittori sono vecchi saranno accusati di essere decrepiti e sorpassati ed i loro lettori di essere conservatori e refrattari alle sperimentazioni letterarie. Dei giovani si dirà in tono un pò sprezzante “ma è solo una moda, dura minga”. Fatto sta che tutto si tollera tranne uno scrittore/una scrittrice di successo, questo a me sembra essere il dato.
Gli aspiranti scrittori o gli esordienti in particolare godono di simpatia e vengono spalleggiati dai colleghi fino a quando rimangono nell’ombra e si piangono addosso. Appena danno segni di avere anche un benchè minimo successo (di pubblico, di critica, di premi, di numero di copie vendute o addirittura di queste quattro cose tutte assieme) si scatena il finimondo. Accade pressocchè con tutti. Saviano rappresentava dunque, per me, semplicemente un ulteriore “quod erat demonstrandum”.
Quello che però alla fine ho trovato davvero insopportabile è stato il verificare come il 90% delle critiche non fossero rivolte al libro ma al suo autore. Ho letto tonnellate di roba, in rete, ma di interventi che entrassero nel merito del libro, di vere e proprie recensioni… davvero poca roba. Il link che trovate in calce a questo post e che rimanda ad una seria ed equilibrata recensione costituisce davvero una delle rare eccezioni.
Insomma, ad un certo punto ho detto basta, ho messo momentaneamente da parte altre letture che avevo in programma ed ho deciso di leggermi il libro e di farmene un’opinione mia. Giusta o sbagliata, almeno sarebbe stata la mia.