Andreï MAKINE, Le testament français, Mercure de France, Collection Folio, p.343, ISBN 2-07-040187-1
Questo è il terzo libro di Andreï Makine di cui parlo qui. Me lo sono portato e letto a Parigi. In francese, perchè quando posso cerco sempre di leggere i francesi non in traduzione, ma qui avrei parlato della versione italiana se solo non avessi scoperto che il romanzo, pubblicato in italiano da Mondadori nel 1996… è già fuori catalogo.
Eppure, questo è il romanzo per il quale Makine ha ricevuto i prestigiosi premi Goncourt e Médicis, per il quale è stato consacrato come uno degli scrittori più importanti e interessanti del panorama letterario francese, per il quale è stato anche nominato membro dell’Académie française.
Spero perciò che prima o poi venga ripubblicato anche in Italia, e siccome so per certo che tra il pubblico in sala ci sono molti francesi che leggono l’italiano e molti italiani che il francese lo leggono, voglio parlarne egualmente. Perchè è un romanzo che mi è piaciuto veramente molto confermandomi, se ancora ne avessi avuto bisogno, il grande spessore di questo affascinante scrittore di origini russe (è nato ed è vissuto per molti anni in Siberia ed espatriato poi in Francia dove ha ottenuto la naturalizzazione) ma che scrive i suoi libri in francese.
Makine racconta in questo romanzo, scritto in prima persona dal suo alter ego Aljoscia la storia di sua nonna Charlotte, una francese venuta in Russia nel pieno della Grande Guerra e proprio nel momento in cui la Rivoluzione d’Ottobre esplode in tutta la sua violenza.
Tra il piccolo Aljoscia e l’anziana nonna si instaura un rapporto di grande comprensione reciproca e complicità; Aljoscia trascorre ogni anno le vacanze estive da lei, che vive da sola nella steppa siberiana e ascolta ogni sera, affascinato, il racconto della vita di Charlotte, della sua vita di bambina francese, della sua decisione, appena raggiunta l’adolescenza, di partire per la Siberia in cerca della madre (la bisnonna di Aljoscia) che, francese anche lei, è rimasta sola e vedova in Russia. La diciassettenne e bella Charlotte va dalla Francia fino in Siberia da sola, praticamente a piedi assistendo, in questo terribile viaggio, ad orrori inimmaginabili ed ai limiti del sostenibile, nulla le viene risparmiato e lei stessa scampa cento volte per miracolo alla morte ma non alla violenza. Eppure Charlotte anche in seguito, anche quando le sarebbe stato possibile farlo, pur rimpiangendo sempre la Francia e soprattutto la lingua, la letteratura, la cultura francese non torna più in Francia, si sposa e rimane in Russia tutta la vita, anche dopo la morte del marito, una delle centinaia di migliaia di vittime del Terrore staliniano.
I racconti che Charlotte fa ogni sera nella penombra della veranda della sua solitaria casa nella sterminata steppa siberiana non sono lineari, la cronologia non è rispettata, i mille aneddoti storici e privati prendono lo spunto da un pacco di vecchie foto e vecchi giornali parigini degli inizi del secolo contenuti in una valigia (che per Aljoscia sarà sempre “la valigia siberiana”) e che Charlotte si è tirata dietro per tutti gli anni, in tutte le sue peregrinazioni, in tutte le sue fughe. Ne viene fuori, per il ragazzino, l’immagine di una Francia che ai suoi occhi è come una sorta di Atlandide, un posto favoloso dove succedono cose incredibili ed impensabili per chi, come Aljoscia, vive nel grigiore e nella tetraggine della società e della cultura sovietica degli anni ’50. La Francia come luogo che diventa a poco a poco mitico ma allo stesso tempo anche molto familiare,
Ma soprattutto, questa nonna (che Aljoscia chiama sempre “Charlotte” e che gli appare non solo bellissima ma anche l’unica persona che riesca sempre a capirlo e con la quale poter davvero comunicare) gli fa un grande dono: la lingua francese.
Diventato adulto, il francese diventerà per Aljoscia la “lingua della scrittura”, l’unica in cui riuscirà ad esprimersi letterariamente. Proprio come ha fatto Makine, a vent’anni partirà per la Francia dove tenterà in ogni modo di stabilirsi definitivamente e dove tra mille iniziali sacrifici comincerà la sua carriera letteraria.
Le testament français è un libro sulle mille sfumature ed implicazioni (a volte anche drammatiche) del doppio sentimento di appartenenza: Aljoscia ammira infinitamente la Francia ma contemporaneamente si sente profondamente russo e legato alla terra russa da cui però fa di tutto per fuggire. Doppia appartenenza linguistica: il russo, la lingua parlata nel quotidiano, e il francese, la “lingua della scrittura”, la lingua letteraria. E’ un libro sugli sguardi incrociati, sui rispecchiamenti, sul come ciascuno vede se stesso e la propria terra con i propri occhi e attraverso gli occhi dell’Altro. La Francia vista da una francese e da un russo, la Russia vista dalla Francia e dall’interno della Russia. Questo gioco di specchi vale anche per la prospettiva storica: Aljoscia, che vive nell’Unione Sovietica immediatamente post-staliniana ascolta esterrefatto il racconto della visita ufficiale che lo Zar Nicola e la Zarina compirono in Francia e guarda affascinato le vecchie foto dei giornali francesi che riportano l’avvenimento.
Charlotte, come la Vera di La donna che aspettava e la Olga di Il delitto di Olga Arbelina è un grande, affascinante personaggio femminile. Di quelli che “bucano la pagina”, che sembrano più veri di tante persone reali, che non si dimenticano facilmente.
Avevo già detto, parlando di La donna che aspettava e di Il delitto di Olga Arbélina che a mio parere Makine è un vero maestro per la sua capacità evocativa nell’intrecciare atmosfere psicologiche e descrizioni della natura (nei suoi libri l’ambiente non è mai solo uno scenario ma è vero e proprio strumento linguistico-narrativo), maestro dell’espressione ellittica, del non detto, dalla scrittura raffinatissima, che suggerisce ma non proclama, che lascia al lettore la libertà (e dunque anche la responsabilità) dell’intuizione.
In questo caso, ad esempio, il lettore giunto all’ultima pagina del romanzo è costretto a riconsiderare, a riconfigurare l’interpretazione di un titolo che a questo punto si rivela molto meno semplice di quanto potesse sembrare: ci accorgiamo che la parola “testamento” può assumere significati molto diversi e soprattutto ci chiediamo quale sia, per Aljoscia (e per Makine) la vera eredità che questo “testamento francese” gli ha lasciato.
- Intervista a Makine ed in particolare proprio su Le testament français >>