Charles DICKENS, Barnaby Rudge, Traduz. Fernanda Pivano, Einaudi Tascabili, p. 798, EAN13 9788806166748
Barnaby Rudge non è certamente uno dei romanzi più noti di Dickens ma chi, come la sottoscritta, ama ormai appassionatamente quest’autore lo leggerà con grande interesse e divertimento in questa recente pubblicazione nella quale Einaudi ripropone la bella traduzione che una giovanissima Fernanda Pivano realizzò nel 1945 per Frassinelli.
Procedendo nelle mie letture e riletture dickensiane, mi accorgo di ritrovarmi sempre più d’accordo con quanto di lui dice Nabokov nelle sue Lezioni di letteratura: “Nel caso di Dickens i valori sono nuovi. Gli autori moderni si ubriacano ancora del suo vino. Con lui [..] non occorre corteggiamento, non c’è esitazione. Ci arrendiamo alla voce di Dickens: tutto qui. Se fosse possibile, mi piacerebbe dedicare cinquanta minuti di ogni lezione a meditare, concentrandoci in silenziosa ammirazione, su Dickens”
Dickens scrisse soltanto due romanzi storici, questo Barnaby Rudge del 1841 e, molti anni dopo, La storia tra due città (del 1859) che, ambientato tra Londra e Parigi, si svolge durante la Rivoluzione Francese ed in particolare durante il famigerato periodo del Terrore. Le vicende di Barnaby Rudge si svolgono invece in Inghilterra durante l’insurrezione protestante e anticattolica nota con il nome di Gordon Riots avvenuta a Londra nel 1780 ed i tumulti sanguinosi che per quattro giorni terrorizzarono e misero la città a ferro e fuoco.
Quando scrive Barnaby Rudge Dickens è un uomo arrivato. Il libro, che si colloca dopo Nicholas Nickleby (1838-1839) e La bottega dell’antiquario (1839) viene pubblicato a puntate settimanali sulla rivista da lui diretta e questo modo di pubblicazione influenza, evidentemente, la struttura e i contenuti del romanzo. Ogni capitolo (che corrisponde ad una puntata del feuilleton) infatti è completo di tutti quegli elementi/ingredienti che il lettore si aspettava ad ogni puntata: dramma, comicità, satira, mistero, commozione.
Possiamo dividere il romanzo in due sezioni. Nei primi trentadue capitoli tutto ruota attorno alla locanda La Cuccagna, a poche miglia da Londra ed assistiamo alle vicende private di una piccola comunità di personaggi sulla quale aleggia l’ombra di un assassinio avvenuto ventidue anni prima dell’inizio della storia. Nella seconda parte, dopo uno stacco temporale di cinque anni, fa irruzione nel romanzo la Grande Storia e le vicende private dei personaggi si intrecciano alle imprese delle folle deliranti dei sanguinosi tumulti antipapisti.
La scena si sposta dunque a Londra, una Londra che, come ha scritto qualcuno, somiglia più ad un incubo metropolitano fatto di strade buie battute dal vento e dalla pioggia, dove la paura dell’aggressione e degli incendi la fanno da padroni mentre la furia della folla — inarrestabile, gratuita, paurosa si scatena contro case private di inermi cittadini e contro i simboli del potere: la presa e l’incendio della prigione di Newgate sono tra i momenti più forti del romanzo. Ma anche contro le banche e lo stesso Parlamento.
I motivi tematici sono più di uno, alcuni dei quali ricorrenti, in Dickens: la satira delle associazioni segrete o pseudo tali, la violentissima presa di posizione contro la pena di morte (le scene del romanzo che si riferiscono alle impiccaggioni e quella, lunghissima, della costruzione del palco patibolare sono tra le più vivide, efficaci ed impressionanti del libro e quelle in cui Dickens dà il meglio della sua straordinaria potenza descrittiva), la critica a rappresentanti istituzionali (parlamentari, esercito, uomini di legge) paurosi, corrotti, o che comunque non sono all’altezza del loro mandato.
Come sempre in Dickens, il libro brulica di personaggi appartenenti alle più diverse classi sociali e tutti fortemente caratterizzati. Tra i personaggi immaginari ci sono anche quelli che fanno riferimento a figure storiche realmente esistite (Lord Gordon, ad esempio). Impossibile elencarli tutti: dai componenti la famiglia di Gabriel Varden all’oste John Willet, da Lord Gordon a Sir John Chester e Haredale, Denis il boia, Hugh “il centauro”; le figure femminili di Emma, Dolly, Miggs, la signora Varden, e tanti altri. Dickens, lo sappiamo, non è scrittore cui chiedere nuances psicologiche. La sua forza sta altrove: nella capacità di fare si che i suoi personaggi appaiano vivi e concreti agli occhi della nostra immaginazione, di renderceli uno più gustoso dell’altro. Tutti — siano essi cattivoni e trucidi, acide matrone, virginali donzelle o giovinotti senza macchia e senza paura — sono sempre salvati dallo scadere nel mero macchiettismo dal micidiale humor del loro creatore.
Si è detto spesso come in Barnaby Rudge il vero protagonista sia la folla, questo “impersonale personaggio” che con le sue migliaia di uomini senza volto occupa prepotentemente la scena in tutta la seconda parte del romanzo ed i cui movimenti e frenesia nell’odio, nella vendetta, nella vigliaccheria anticipano in maniera stupefacente ciò che, nel ‘900, analizzeranno Freud e Canetti.
“Una folla ha abitualmente un’esistenza molto misteriosa, in particolare in una grande città. Da dove venga e dove vada, pochi possono dirlo. Riunendosi e sciogliendosi con eguale rapidità, è così difficile da seguire nelle sue varie sorgenti come il mare stesso; ed il parallelo non si ferma qui, perchè dell’oceano non è meno capriciosa e incerta, meno terribile quando infuria, meno irragionevole o meno crudele “, scrive Dickens all’inizio del cinquantaduesimo capitolo (p.492).
La letteratura (e qui, da lettrice italiana, non posso non pensare anche alle folle del Manzoni) ancora una volta anticipa le analisi e le sistematizzazioni della saggistica.
Naturalmente tra i personaggi c’è lui, Barnaby, che dà il nome al romanzo. Barnaby appartiene a quella folta schiera di bambini rifiutati, o nati in famiglie dalle condizioni sociali difficilissime, o trasportati in tali condizioni da una sorte avversa che popolano gran parte dell’opera di Dickens: da Oliver Twist alla piccola Dorrit; da David Copperfield a Nicholas Nickleby. Un’ abbondanza tale da produrre, tra parentesi, infinite riduzioni per l’infanzia di tanti di questi libri: ma come non mi stancherò mai di ripetere fino alla noia… Dickens non è uno scrittore per bambini.
Barnaby non è solo un ragazzo dall’infanzia segnata da tragici avvenimenti: è anche idiota, ma con la sua semplicità e il suo amore per la vita potrebbe insegnare a molti ed è dunque il portatore di un altro grande leit motiv del libro e cioè che anche gli uomini savi hanno da imparare da certi idioti.
E’ un concetto che Dickens esprime più volte nel corso del romanzo e lo fa sia in modo implicito descrivendo le azioni di Barnaby ma anche in modo decisamente esplicito quando ad un certo punto fa dire al suo personaggio:
“Ah, ah! Be’, quanto è meglio essere imbecilli, che savi come voi! Voi non vedete il mondo delle ombre, come quello che vive nel sonno, no, no. E nemmeno occhi nelle lastre di vetro nodose, nè veloci fantasmi quando soffia il vento, nè udite voci nell’aria, nè vedete uomini camminare nel cielo… No! Io conduco una vita più felice della vostra, malgrado tutta la vostra intelligenza. Voi siete degli stupidi; noi siamo quelli illuminati Ah, ah! Non vorrei cambiare con voi, intelligenti come siete… No davvero!” (p.104)
Ma c’è ancora un altro personaggio che non solo non è da sottovalutare ma che è importantissimo: è un animale, si tratta di un corvo parlante e si chiama Grip. E’ l’amico inseparabile di Barnaby. Nota giustamente Fernanda Pivano nella sua introduzione che il corvo Grip “… è una specie di coro degli avvenimenti “, lo troviamo infatti a suggellare e, a modo suo, a commentare tutti gli eventi importanti del romanzo ed, alla fine, il romanzo stesso.
E che dire infine dello stile di scrittura? Dal tragico al comico, Dickens adopera tutti i registri in cui è maestro. Chi conosce Dickens anche solo superficialmente può immaginarlo.
Ma, come nota ancora Fernanda Pivano “il genuino, autentico Dickens, tenero come Cowper, scherzoso come Goldsmith, si trova soprattutto nel sorriso con cui l’autore contempla gli orrori creati dalla sua immaginazione […] il sorriso, in un parola, che doveva fargli concludere questa truculenta storia con le parole: “questo non è poi un mondo tanto disprezzabile nonostante tutti i suoi difetti”.