BUON ANNO!

Per Natale avevo messo qualcosa di semplice, ma per augurare Buon Anno ai miei Happy Few e a tutti coloro che si trovassero a passare di qui voglio abbondare in fasto, sbrelluccicamenti e animazioni ed insomma un po’ di kitsch, voilà! 
Ecco dunque i miei auguri da Palermo con l’albero di Natale di quest’anno fotografato in versione Night&Day.
Non a caso è stato chiamato "l’albero di cristallo"

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E’ decorato con ventiquattro festoni appositamente realizzati e intrecciati con venticinquemila cristalli trasparenti di Swarovski. Alla base c’è un grande vaso di specchi che accoglie circa cinquemila chilogrammi di piccoli cristalli colorati, un grande tappeto di vetro, che si specchia sulla base stessa dell’albero moltiplicando i riflessi.

P.S. Se qualcuno pensa che a Palermo ogni tanto esageriamo…ebbene, sappia che lo penso anch’io  

A PIENE MANI – JEAN STAROBINSKI

Copertina libro
Jean STAROBINSKI, A PIENE MANI. Dono fastoso e dono perverso (tit. orig. Largesse), traduz. Antonia Perazzoli Tadini, p. 188, Einaudi, ISBN-13: 9788806136536

In un articolo intitolato Un dono senza perchè comparso su La Stampa del 23 dicembre 2007 Barbara Spinelli scriveva, a proposito dello scambio dei doni”: “…Vien chiamato così ed è già una stortura: perché nessun dono, se è dono, è accostabile allo scambiare, allo stipulare contratti, a un dare condizionato” e richiamava la nostra attenzione su quelle pagine di Minima Moralia in cui Adorno sostiene che il vero regalare è provare felicità nell’immaginare la felicità di colui che riceverà.

Il testo della Spinelli è come sempre molto ricco di spunti interessanti, profondo nella sua apparente semplicità e molto stimolante in particolare per quanto riguarda l’idea di base, e cioè che il dono — in quanto tale — non può essere al centro di un rapporto di scambio basato sul do ut des.

Quest’idea mi ha fatto tornare in mente due testi: il primo è Saggio sul dono di Marcel Mauss che — pubblicato negli anni Venti e considerato ormai un classico dell’antropologia — è centrato proprio sulla individuazione di quelle che secondo Mauss sono le tre caratteristiche del dono e cioè il dare, il ricevere e il ricambiare.

Il secondo è invece questo Largesse (tradotto ottimamente in italiano con A piene mani) di Jean Starobinski pubblicato una decina di anni fa e che sonnecchiava in uno dei miei scaffali. L’articolo della Spinelli m’ha fatto venir voglia di non rinviare ancora una lettura che era già da molto tempo nei miei programmi. Non so se un chiodo riesca sempre a scacciare un altro chiodo. So per certo, però, che lettura chiama molto spesso altra lettura.

Si tratta di un testo del 1994 la cui genesi lo rende già di per se molto particolare perchè accompagnava un’esposizione d’arte figurativa al Musée du Louvre consacrata al gesto del dono.

Negli anni ’90 infatti il Louvre organizzò un ciclo di mostre intitolato Parti pris il cui filo conduttore era costituito, nell’intenzione degli ideatori e curatori, dal sottolineare come il lettore (inteso in senso molto lato) non sia mai neutrale, mai imparziale.

Le mostre allestite furono tre: Mémoires d’aveugle di Jacques Derrida, focalizzata sulla cecità del disegnatore; Bruit des nuages di Peter Greenaway sulla caduta di Icaro e Largesse di Jean Starobinski dedicata alla rappresentazione del donare.

Il volume di Einaudi contiene appunto il testo di Starobinski che accompagnava l’esposizione delle opere del Louvre.

Non si tratta di un libro di storia o di critica d’arte, è bene precisarlo. Starobinski chiarisce sin dall’inizio che il suo obiettivo è quello di “mettere in luce alcune delle forme più significative dell’atto del donare, in alcuni grandi testi storici, letterari, filosofici o religiosi della cultura europea” (p.7).

E’ chiaro quindi che in questo lavoro la complementarietà tra testo ed immagini è fondamentale, ed infatti il volume Einaudi contiene le riproduzioni di tutte le opere citate da Starobinski corredate dalle dettagliatissime schede informative contenute nel catalogo della mostra del Louvre.

Il libro inizia con la citazione di un brano di Rousseau tratto da Les Rêveries du promeneur solitaire in cui viene descritta una rissa tra bambini che si azzuffano per accaparrarsi un pezzo di pan pepato gettato loro per divertimento da uno degli ospiti di una festa data da Madame d’Epinay, protettrice dello stesso Rousseau.

Dall’analisi testuale molto sofisticata di questo brano, Starobinski prende le mosse per passare all’analisi delle varie forme (largesse, largitio, sparsio) di quello che lui chiama il “dono fastoso” elargito da principi e potenti sin dai tempi dell’Impero Romano alle varie tipologie del “dono funesto” (dal vaso di Pandora al cavallo di Troia, alle tuniche avvelenate delle tragedie greche alla mela di Eva e il filtro di Tristano ed altri innumerevoli esempi) passando per un lungo ed interessantissimo capitolo interamente dedicato al significato profondo — e al mutamento storico di esso — che c’è dietro il gesto del far l’elemosina ai poveri, del donare per “carità”.

Jean Starobinski Il percorso di pensiero che propone Starobinski è avvincente. Chi lo conosce sa che il suo approccio critico generale si fonda sul superamento delle frontiere tra letterature, arti e scienze umane, che per lui è fondamentale la nozione di “sguardo”, e che solo il continuo collegamento tra testo e contesto storico e l’incrociarsi degli approcci strutturale, tematico e psicoanalitico può consentire di far luce sul significato di un’opera.

Il testo di Starobinski occupa poco più di un centinaio di pagine, ma si tratta di pagine densissime di concetti, citazioni, rimandi incrociati tra letteratura ed arti grafiche, mitologia e storia antica, religione e filosofia. Starobinski ricorre sia all’analisi dei testi letterari così come all’analisi iconologica delle opere grafiche; all’etimologia ed alla liguistica. Interessantissimi  i passaggi  dedicati  alla polisemia dei termini relativi al dono e all’atto del donare.

Il volume contiene anche, in appendice, un’antologia in cui sono riportati per esteso tutti i brani letterari, storici, filosofici citati da Starobinski; una lettura utilissima oltre che piacevole.

Starobinski non è autore per lettori “pigri” o che vanno di fretta ma è decisamente affascinante inoltrarsi in questo testo che ruota tutto attorno alla domanda fondamentale:

“… bisogna proprio disperare di vedere trionfare il dono puro, il dono senza contropartita, che non prenda in considerazione l’interesse personale?” (p.59)

STORIA DELLA RUSSIA – ROGER BARTLETT

Copertina libro
Roger BARTLETT, Storia della Russia (tit. orig. A History of Russia), traduz. Marco Federici, p. 330, Mondadori, Collana Oscar Storia, EAN13 9788804571216

La recente lettura di Zarine di Henri Troyat mi ha messo ancora una volta di fronte alle mie enormi lacune circa la storia della Russia. Mi sono resa conto, ancora una volta, di quanto le mie cognizioni in materia fossero frammentarie o, come si dice oggi “a macchia di leopardo”. Comunque insufficienti. Mi è anche venuto in mente che proprio questo tipo di carenze e la difficoltà di contestualizzare adeguatamente mi hanno reso a volte faticosa la lettura della letteratura russa. Un esempio che certamente farà ridere i miei Happy Few ma che giuro essere vero: ricordo che, quando lessi per la prima volta quel capolavoro che è Le anime morte di Gogol, che cosa fossero queste benedette “anime morte” e perchè mai Cicikov, il protagonista del romanzo, si desse tanto da fare per procurarsene il maggior numero possibile non riuscivo proprio a capirlo; la pur ottima prefazione del libro non mi era bastata, volevo saperne di più e per svelare l’arcano dovetti fare una mini-ricerchina (sui libri, allora non c’era ancora Internet e Google e Wikipedia erano nel mondo dei sogni). I ricordi scolastici erano del tutto insufficienti, e poi i manuali di storia generale, anche i migliori, non è che potessero trattare approfonditamente la storia di ogni singolo Paese.

Anche con I Demoni di Dostoevskj ho avuto, ai tempi, problemi di contestualizzazione e inoltre, non mi vergogno di confessarlo, mi confondevo con tutti quegli zar che si chiamavano Alessandro e Nicola. Gli unici che riuscivo a collocare e a non confondere tra loro erano Ivan il Terribile (tutto merito dei bellissimi due film di Eisenstein), Pietro il Grande (perchè tra tante cose ha fondato anche San Pietroburgo che nel mio immaginario privato è automaticamente collegata alla Prospettiva Nevskj di Gogol), Caterina la Grande (perchè di questa imperatrice certa storia pettegola ne ha sempre dette di cotte e di crude senza poter mai negare però la sua cultura, intelligenza, abilità strategica e diplomatica). Ah! Conoscevo anche la storia di Boris Godunov e del “falso Dimitri”, ma questo solo grazie a Puskin e soprattutto all’opera lirica di Moussorgsky e Rimsky-Korsakov da me molto amata.

Questo per quanto riguarda la Russia zarista. Le cose non andavano molto meglio con la letteratura del periodo sovietico, perchè si fa presto a dire “periodo sovietico”: in realtà, dietro questa espressione monolitica fu molto diverso vivere nell’URSS degli anni Venti o Quaranta o sotto Breznev, per dire. Ma non voglio farla tanto lunga.

Tutto questo per dire che il giorno dopo aver terminato di leggere Zarine ho deciso che era ora di prendere quache provvedimento o, come si dice dalle mie parti, di “mettere qualche pezza” alla mia ignoranza. Mi sono messa dunque  a cercare un libro di storia della Russia che mi desse finalmente una visione d’insieme di carattere generale, che non fosse eccessivamente specialistico ma che d’altra parte non fosse nemmeno troppo superficiale. Ho trovato questo libro di Bartlett, pubblicato in italiano proprio lo scorso ottobre in una collana — Oscar Storia della Mondadori — della quale in genere mi fido abbastanza.

Roger Bartlett è professore emerito alla School of Slavonic and East European Studies presso l’Università di Londra ed è autore di parecchi altri libri sulla Russia ed i Paesi dell’Est europeo

Beh, il libro l’ho terminato ieri e devo dire che sono molto soddisfatta della mia scelta: era proprio il libro che mi ci voleva e l’ho letto davvero con gran gusto.

Roger Bartlett delinea la storia della Russia dalle sue origini a Kiev percorrendo poi i periodi moscovita ed imperiale, quello sovietico e post sovietico arrivando sino alla fine del diciannovesimo secolo. Bartlett offre da una parte una prospettiva generale sullo sviluppo storico della Russia ma contemporaneamente mette a fuoco le origini della cultura politica russa ed il ruolo delle masse contadine nella politica russa e sovietica, il ruolo della Russia come Stato ed impero multietnico, lo sviluppo della società e della cultura nella russia zarista e sovietica.

Leggendo tutti gli avvenimenti che si susseguono un secolo dopo l’altro mi sono resa conto di quanto molte cose del periodo sovietico avessero radici profonde nella Russia degli Zar e insospettabili analogie con alcuni caratteri distintivi della monarchia autocratica, per esempio. La struttura del testo è molto ben fatta: in ogni capitolo Bartlett dedica spazio, oltre che agli avvenimenti politici interni ed internazionali (cioè a quello che potremmo definire la Grande Storia) anche ad una panoramica sullo sviluppo delle arti, della letteratura, all’analisi dei mutamenti sociali, al modo di vivere, al mutamento dei valori, ai problemi derivanti dal convivere, in un territorio sterminato, di etnie, lingue, a volte anche religioni tra loro diversissime.

Ho letto avidamente, in particolare, tutte le pagine in cui Bartlett analizza gli elementi fondanti che furono all’origine della monarchia autocratica, la questione contadina (i contadini hanno per secoli costituito la maggioranza della popolazione russa), la storia di quella particolarissima istituzione russa — abolita soltano nel 1861 — che fu la servitù della gleba ed addirittura della schiavitù che esisteva anche in Russia, il difficilissimo rapporto tra città e campagna, tra masse contadine e l’élite del potere aristocratico e, in tempi più recenti, quella che venne chiamata l’intellighenzia.

Mi è sembrato un testo molto ben calibrato ed equilibrato nei giudizi; spesso Bartlett riporta, parlando di particolari eventi o periodi controversi, anche opinioni di storici che al riguardo formulano ipotesi e/o giudizi differenti dai suoi.

Per concludere, mi sembra proprio che questo libro sia una perfetta introduzione per chiunque sia interessato ad esplorare la complessa — e per molti versi ancora molto da decifrare — realtà di questo immenso, complicatissimo ed affascinante Paese.

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A SPASSO PER PALERMO – I Serpotta dell’Oratorio del SS. Rosario

L’ Oratorio del Rosario in S. Domenico.

Giacomo Serpotta lavorò agli stucchi che ricoprono le pareti, inframezzati da dipinti fiamminghi, genovesi e di artisti locali, intorno al 1717

La grande pala d’altare è di Anton Van Dyck ed è dedicata alla memoria del flagello della peste che colpì Palermo nel 1624, e che tradizione vuole sia stato debellato dal miracoloso intervento di Santa Rosalia, da allora Patrona della città.
Nella mia clip purtroppo la pala si intravede soltanto, e d’altra parte sarebbe anche vietato fotografare e filmare; io l’ho fatto di soppiatto e "clandestinamente" . Mi  raccomando, non ditelo a nessuno


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  • TRA ARANCE E LIMONI

    Presepe

    Questa foto l’ho scattata oggi (…oooppsss… ormai ieri mattina). E’ il semplicissimo presepe che si trova dentro la chiesa  barocca di San Domenico qui a Palermo.

    Mi ha fatto simpatia perchè non ha nulla di speciale, niente di sbrelluccicante. Non ha alcuna pretesa artistica.

    E poi mi  è piaciuta l’idea dell’attesa del Bambino tra ceste di arance e limoni di Sicilia.

    Così ho pensato, per fare gli auguri a tutti, di scegliere questo presepe.
    Anche se non c’è "l’enteroclisima" 

    LA PARIGI DI ZOLA

    Copertina libro
    Riccardo Reim, La Parigi di Zola, p. 290, Editori Riuniti, Collana Capitali della cultura, 2001, ISBN: 8835951224

    Rituffatami in questi giorni nel mondo dei Rougon-Macquart ho tirato giù dagli scaffali il tomone Carnets d’Enquêtes, che raccoglie tutti i taccuini (pubblicati anche in italiano da Bollati Boringhieri) degli appunti preparatori di Zola per ciascuno dei romanzi del ciclo e ho tirato fuori dalla pila dei libri sfogliati ma non ancora letti questo La Parigi di Zola di Riccardo Reim.

    Henri Mitterand, curatore e forse il massimo esperto dell’opera di Émile Zola, presentando a suo tempo i Carnets aveva definito lo scrittore “etnografo contemporaneo”. Zola infatti, per preparare i suoi romanzi, si documentava minuziosamente e, armato di macchina fotografica, perlustrava, raccoglieva immagini ed informazioni di ogni genere sui luoghi che avrebbero costituito lo scenario delle sue storie: dalle Halles a Passy, dai grandi magazzini alla stazione di Havre, al campo di battaglia di Sedan e così via. Il risultato sono moltissime fotografie della Parigi dell’Ottocento e circa seicento fittissime pagine nelle quali troviamo, divisi in dodici capitoli, dodici società differenti, complementari e spesso antagoniste. I quartieri residenziali, la Borsa, i grandi magazzini, i luoghi frequentati dalle cocottes, le miniere, la Parigi dei quartieri popolari… Quello che ne viene fuori è un potente affresco (interessante quanto e a volte più dell’opera narrativa vera e propria) della società francese della fine del XIX secolo.

    Zola fotografoSempre con la sua macchina fotografica, Zola è instancabile, il suo è un vero e proprio “lavoro sul campo”: intervista i banchieri, i commessi dei grandi magazzini, i ferrovieri, interroga i clienti delle grandi mantenute (non a caso è stato definito anche un “sociologo delle professioni”), si documenta, fa schizzi e fotografie di palazzi dell’alta borghesia in cui ambienterà Pot- Bouille e La Curée, studia nei minimi dettagli il funzionamento delle Halles, l’enorme mercato che sarà Il Ventre di Parigi, studia il comportamento degli alcolizzati mescolandosi ad essi nelle bettole più sordide (gli “assommoirs”, “ammazzatoi”), luoghi di miseria e abbrutimento.

    Nel bel libro di Riccardo Reim troviamo tutto questo e di più, perchè l’autore mette a confronto, per i romanzi più importanti del ciclo, gli appunti preparatori e le pagine dell’opera narrativa corredando il tutto di acute osservazioni e citazioni bibliografiche (non tante però da appesantire la lettura) e soprattutto con una ricchissima iconografia costituita in gran parte dalle fotografie dello stesso Zola e da cartoline, manifesti pubblicitari, incisioni d’epoca. Chiude il volume un bel capitolo, anch’esso ricco di illustrazioni, intitolato Zola e i pittori. I pittori e Zola. E’ noto infatti che molti erano i pittori impressionisti suoi amici personali e che spesso per alcune pagine dei suoi romanzi Zola si ispirò ad alcuni loro dipinti.

    Chi non avesse il tempo, la voglia o abbastanza interesse dunque per affrontare la lettura delle seicento pagine di appunti di Zola così “nudi e crudi” troverà certamente, in questo libro di piacevolissima lettura (che è un godimento anche per gli occhi) una guida decisamente preziosa per avventurarsi nell’esplorazione dell’universo di Zola.

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    ZARINE – HENRI TROYAT

    Henri Troyat Zarine


    Henri TROYAT, Zarine (tit. orig. Terribles Tsarines), traduz. Luisa Collodi, p. 256, Piemme Pocket, EAN13 9788838478185

    Dal 1725, anno della morte dello Zar Pietro il Grande, in un arco di trentasette anni si sono succedute sul trono della Russia ben quattro donne: le imperatrici Caterina I (la vedova di Pietro il Grande), Anna Ivanovna, Elisabetta I (figlia di Pietro il Grande) ed infine Caterina II, passata alla storia come La Grande Caterina. E questo, senza contare il breve intermezzo costituito — tra il regno di Anna Ivanovna e quello di Elisabetta I — dalla reggenza di Anna Léopoldovna, madre di Ivan VI, erede al trono che però al trono non arrivò mai.

    Un lungo periodo di vero e proprio matriarcato sul trono della monarchia autocratica ed assoluta di un immenso impero.

    In un susseguirsi incalzante di matrimoni, morti sospette, fughe, imprigionamenti, favoriti ed amanti si delinea, pagina dopo pagina, il quadro di una monarchia in cui le successioni non avvengono mai secondo il diritto ereditario per nascita o il rispetto della volontà del monarca regnante che designa chi gli succederà al trono ma attraverso intrighi, colpi di scena e soprattutto colpi di Stato e di una Russia le cui contraddizioni sono enormi, come enorme è il territorio dell’Impero in cui convivono lingue, culture, tradizioni diversissime tra loro.

    La questione del sesso di chi governa, per esempio. La Russia del ‘700 è profondamente patriarcale ma paradossalmente, quando si tratta di designare il nuovo Zar “…Ciò che è importante […] non è tanto la specificità sessuale quanto il carattere del personaggio al quale il paese sceglierà di affidarsi […] in queste condizioni, il matriarcato è assolutamente accettabile, a condizione che la beneficiaria di questo onore sia degna di assumerlo”.
    O la questione della nobiltà di nascita o della cultura: in una società nella quale le famiglie aristocratiche sono sfrontatamente orgogliose del loro albero genealogico e ferocemente attaccate ai loro privilegi di casta succede che Caterina I, la vedova di Pietro il Grande che diventa Zarina alla sua morte è di umilissime origini, è stata cameriera e prostituta e non ha mai imparato a leggere e a scrivere. Eppure, “grazie a questo innovatore [Pietro il Grande] che ha già messo sottosopra i costumi del suo paese una donna, benchè senza nascita e senza qualifica politica, avrà gli stessi diritti di salire al trono. E la prima beneficiaria di questo enorme privilegio, sarà una vecchia domestica […] prostestante per giunta, diventata russa ed ortodossa tardi ed i cui soli titoli di gloria sono stati acquisiti nelle alcove”.

    Impossibile riassumere tutti gli eventi narrati nel libro; quello che posso dire è che ciascuna di queste zarine — alcune delle quali poco note, qui da noi, se non agli addetti ai lavori — imporrà alla nazione il proprio carattere violento, spesso dissoluto, i propri amanti, le proprie crudeltà (Terribles Tszarines, intitola Troyat il suo libro). Quattro decenni in cui ad un certo punto, scrive Troyat, sembra quasi che a capo della Russia ci sia stata sempre la stessa creatura sensuale, disordinata ma anche coraggiosa che passa da un regno all’altro.

    Tutto questo, in una Russia che fatica molto a trovare la sua identità tra Oriente e l’Occidente europeo rappresentato in particolare dalla Francia e dalla Prussia, poichè sul trono e tra i gruppi di potere che orbitano attorno alla zarina di turno si succedono di volta in volta ardenti francofili e fanatici prussiani ed in cui la volontà — avvertita in particolare da Elisabetta I e Caterina la Grande — di prendere il meglio dei lati progressisti della Francia e della Prussia si scontra continuamente con la difficoltà di non tradire però, con questo, le tradizioni, la religione e la lingua russa.

    Gli intrecci dinastici sono complicatissimi, e nonostante Troyat sia molto bravo nello spiegare al lettore le diramazioni delle parentele, sono stata ben felice che abbia avuto anche l’idea di corredare il testo non solo di una essenziale ma preziosa bibliografia ma anche di un dettagliato albero genealogico della famiglia Romanov al quale spesso ho fatto ricorso, durante la lettura.

    Leggendo il libro si può essere tentati, in alcuni momenti, di rimproverare a Troyat di essersi occupato sin troppo degli intrighi amorosi e delle vicende di letto delle zarine oppure di prendere la scorrevolezza del testo e la facilità di lettura per indici di superficialità, di poca serietà. Da parte mia, non ho mai pensato che per dimostrare di essere seri si debba per forza sempre esser noiosi, o si debbano necessariamente adoperar paroloni.

    Quanto poi al resoconto dettagliato degli amori di corte e dei favoriti di turno, mi vien fatto di pensare che in una monarchia autocratica come quella degli Zar, le vicende private di una Zarina possono avere ripercussioni politiche enormi, per la vita dell’intero Paese, e il libro questo lo mostra molto bene. I favoriti di turno delle Zarine erano infatti anche, il più delle volte, posti ai vertici dello Stato, il loro potere di vita e di morte era secondo solo a quello della Zarina (a volte addirittura in concorrenza). Come si fa, a questo punto, a tener distinta la storia pubblica da quella privata dell’Imperatrice? Mai come in questo caso — ironia della Storia — il “privato” fu veramente “politico”…

    Henri Troyat, Accademico di Francia, vincitore di numerosi premi letterari tra cui il Prix Goncourt, scrittore dalla bibliografia sterminata, è morto il 4 marzo del 2007 a 95 anni.

    Lo conoscevo di fama, sapevo bene chi fosse ma non avevo letto mai nulla, di suo. Poi in ottobre rovistando in queste bancarelle ho trovato per caso Terribles Tsarines, e l’ho acquistato per 1 Euro lasciandomi guidare solo dalla curiosità ed affidandomi al mio “fiuto”.

    Henri Troyat era il nom de plume di Lev Aslanovich Tarassov e la sua storia personale fu molto simile a quella di centinaia di altri russi in fuga dalla Rivoluzione d’Ottobre che a Parigi trovarono rifugio ed una nuova patria. Nato a Mosca da una famiglia molto ricca (il padre era un commerciante armeno), durante l’infanzia ebbe una governante svizzera che gli insegnò il francese. Allo scoppiare della rivoluzione del 1917 la famiglia Tarassov si rifugiò prima nel Caucaso, poi nel 1920 passò dalla Crimea a Costantinopoli arrivando infine a Parigi, dove si stabilì definitivamente. Lev Aslanovich studiò alla Sorbona e nel 1933 ottenne la piena cittadinanza francese.

    Troyat scrisse molte opere di narrativa (il Goncourt lo ricevette nel 1938, a soli ventisette anni, per un romanzo: L’Araigne), ma soprattutto si dedicò con passione agli studi storici ed in particolare alle biografie: quelle di Cechov, Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Caterina II, Rasputin e Alessandro I sono soltanto alcune tra queste.

    Zarine è del 1998 e nell’insieme delle biografie da lui scritte occupa un posto secondo me particolare perchè molto particolare è il periodo e il tema che in esso viene trattato.

    Uno dei motivi per cui non avevo letto prima alcuno dei libri di Troyat era costituito dal fatto che non conosco approfonditamente la storia della Russia e temevo di non riuscire a districarmi con gli eventi e con i personaggi e di non essere capace di contestualizzarli adeguatamente.

    Ma questo libro è stata una piacevolissima sorpresa e la sua lettura mi ha fatto venir voglia di leggerne altri e di approfondire e colmare almeno in parte le mie enormi lacune.

    Da sinistra a destra: Caterina I moglie di Pietro il Grande, Anna Leopoldovna con il figlio Ivan VI, Anna I, Elisabetta I, Caterina II la Grande

    • Henri Troyat >>
    • Il libro >>

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    Da Natale in casa Cupiello (1931) >>
    Per quanto riguarda Eduardo spero sia superfluo mettere link di qualunque tipo.

    —————————————

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    • Al Natale non si dà fuga (Giorgio Manganelli) >>

     

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