LONTANO DA LEI – SARAH POLLEY (2007)

Dopo cena, lui lava i piatti, lei ripone le stoviglie. Ha in mano una padella, la guarda perplessa, poi assurdamente invece che in un armadietto della cucina la mette in frigorifero.

Away from her

Fiona (Julie Christie) e suo marito Grant (Gordon Pinsent), professore in pensione, sono una coppia canadese inseparabile, stanno assieme da quarantaquattro anni. Improvvisamente, Fiona si rende conto che, nonostante tutti i suoi sforzi, sta perdendo la memoria. Una visita specialistica le conferma di essere malata di Alzheimer. Fiona legge libri, si documenta sulla sua malattia e su quello che le succederà.

Away from her Julie Christie

E’ ancora abbastanza lucida da decidere di farsi ricoverare in una casa di cura. Prima che la situazione vada assolutamente fuori controllo, e nonostante sia ancora relativamente giovane, e nonostante il marito sia contrario.

Away from her

Una regola ferrea impone ai pazienti appena arrivati di non avere, per i primi trenta giorni, alcun contatto con i loro familiari.

Lontano da lei (titolo originale Away from her) della giovane regista canadese Sarah Polley racconta questo distacco e gli effetti che provoca nella relazione nella coppia: è la prima volta infatti che Fiona e il marito si trovano separati per un tempo così lungo.

Mi fermo qui nel raccontare la trama, anche se questo non è certo un film basato sull’intreccio e sui colpi di scena.

I suoi punti di forza stanno nei caratteri, nelle sfumature dei sentimenti, nella rarefazione di certe atmosfere che trovano l’ambientazione ideale nell’inverno e nelle nevi del Canada, terra della regista Sarah Polley e dell’autrice del racconto da cui Away from her è tratto.

Away from her è basato infatti su un racconto breve della grande scrittrice canadese Alice Munro intitolato The Bear Came Over the mountain (“L’orso attraversò la montagna”) che, secondo quanto leggo in una nota della traduttrice Susanna Basso nel volume Einaudi Nemico, amico, amante… di cui avevo scritto qui, è il verso iniziale di una famosa filastrocca infantile.

All’inizio del film, in cui la voce fuori campo di Grant (Pinsent) descrive una scena della giovinezza sua e di Fiona, il testo della Munro è ripetuto assai fedelmente. Quasi parola per parola.

Away from her

Julie Christie interpreta qui, a sessantasei anni, un ruolo bellissimo ed intenso e lo fa in modo splendido: è tenera e ironica, dolente ed affettuosa; una recitazione in cui le emozioni sono espresse tutte con impercettibili movimenti del volto e con quei suoi ancora oggi bellissimi occhi azzurri.

Away from her Julie Christie

Era candidata all’Oscar 2008 come migliore attrice protagonista, premio che poi è stato assegnato a Marion Cotillard per la sua interpretazione di Edith Piaf in La Môme

Nella parte del marito Grant c’è, accanto alla Christie il poco noto ma bravissimo Gordon Pinsent.

Away from her Gordon Pinsent

Un tema terrificante come l’Alzheimer, difficilissimo da approcciare, viene trattato da Sarah Polley con grande sensibilità, grazia, forza espressiva e compostezza. Niente scene madri e nessuna concessione allo strappalacrime per parlare della malattia, della perdita della memoria e dei sacrifici che un amore solido e duraturo impone di affrontare.

Away from her

Il film era candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura basata su materiale non originale, premio poi vinto da No country for old men (Non è un paese per vecchi) dei fratelli Cohen, tratto dal romanzo di Corman McCarthy.

Sarah Polley è una regista molto giovane. Nata a Toronto nel 1979, è canadese come Alice Munro, ha al suo attivo l’interpretazione di parecchi ruoli come attrice, molto apprezzati dalla critica. Con Away from her è alla sua prima regia di un lungometraggio dopo alcune esperienze di corti.
Nelle note biografiche che la riguardano si legge anche che la sua vita personale è stata profondamente segnata dalla morte della madre Diane per cancro quando Sarah aveva circa undici anni.

Sarah Polley la notte degli Oscar 2008
Sarah Polley la notte degli Oscar il 24 febbraio 2008
(Foto imb)

Titolo originale: “Away From Her”; Regia: Sarah Polley; Sceneggiatura: Sarah Polley, dal racconto breve di Alice Munro “L’orso attraversò la montagna”; Interpreti: Julie Christie, Gordon Pinsent, Olympia Dukakis, Michael Murphy, Kristen Thomson, Wendy Crewson;Fotografia: Luc Montpellier; Montaggio: David Wharnsby; Scenografia: Ka thleen Climie; Costumi: Debra Hanson; Musica: Jonathan Goldsmith; Origine: Canada; Anno: 2007; Durata: 110′.

Questo post è stato pubblicato anche da Abbracci e pop corn  il 3 Marzo 2008

GUERRA E PACE – Il genio militare

Nel quartier generale dello Zar Alessandro, il principe Andrea Bolkonsky assiste ad una riunione degli stati maggiori dell’esercito russo che discutono come affrontare la guerra scatenata da Napoleone. Siamo nel 1812.

Andrea Bolkonsky in Guerra e Pace di Bondarchuk“Il principe Andrea, ascoltando quelle conversazioni in diverse lingue e quelle supposizioni, quei piani, quelle refutazioni e quelle grida, non faceva che meravigliarsi di ciò che tutti dicevano […] e perchè tutti dicono un genio di guerra? […] i migliori generali che ho conosciuto sono uomini sciocchi o distratti. Il migliore di tutti è Bagratiòn, come lo stesso Napoleone ha riconosciuto. Ma anche Bonaparte! Ricordo la sua faccia soddisfatta, espressione di una mente limitata, sul campo di Austerlitz. Non solo un buon condottiero non ha bisogno di genio o di qualità particolari, qualunque siano, ma al contrario, deve mancare delle più alte e migliori qualità umane: d’amore, di poesia, di tenerezza, del dubbio filosofico ed indagatore. Deve essere limitato, fermamente convinto che ciò che egli compie è molto importante (altrimenti non avrebbe sufficiente pazienza), e soltanto allora sarà un valoroso condottiero. Dio lo scampi dall’essere un uomo: se sarà un uomo, amerà qualcuno, avrà pietà di qualcuno, penserà a ciò che è giusto e ingiusto. Si comprende che fin dall’antichità abbiano forgiato per essi la teoria del genio, poichè essi hanno il potere.”
(Leone Tolstoj, Guerra e Pace)

post-itA proposito di Tolstoj: guardando le chiavi di ricerca con i quali i visitatori arrivano a questo blog tramite Google, ho notato, nelle ultime settimane, un numero molto elevato di stringhe del tipo “Tolstoj Into the wild Sean Penn”.
Infatti nel film Into the wild uno degli autori preferiti e più citati dal protagonista Alex Supertramp (Emile Hirsch) è proprio Tolstoj.
Beh, se vedere il film di Sean Penn fa venir voglia di leggere Tolstoj, non posso che  esserne  lieta

QUANDO VOLANO LE CICOGNE – MIKHAIL KALATOZOV (1957)

Quando volano le cicogne

All’alba di una bellissima mattina degli anni ’40 Vera e Boris, innamorati e felici, guardano volare nel cielo di Mosca uno stormo di uccelli migratori che preannunciano l’arrivo della primavera. Vengono loro in mente, e le ripetono più volte, le parole che noi sappiamo essere quelle di Masha nel secondo atto di Le tre sorelle di Cechov: “Gli uccelli migratori, le gru, volano, volano”

Vera e Boris sono i protagonisti di Letyat zhuravli, un film sovietico del 1957 — Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1958 — il cui titolo è stato tradotto, in italiano, con Quando volano le cicogne. Gli uccelli migratori che i due innamorati guardano volare nel cielo di Mosca, però, non sono cicogne ma gru.

Quando volano le cicogne

La trama di questo film del quale avevo un bellissimo ricordo e che ho rivisto in questi giorni non è particolarmente originale: due innamorati prossimi alle nozze vengono separati dalla guerra e dal destino. Messa così, la faccenda è quasi banale, eppure il film risulta ricco di emozioni e ci sono parecchi motivi per i quali può suscitare ancora oggi molto interesse.

Il contesto storico in cui venne realizzato, per esempio.

La morte di Stalin nel marzo del 1953 e la lotta per il potere che ne era seguita aveva portato al vertice, qualche anno dopo, Nikita Kruscev e con lui aveva avuto inzio la cosiddetta “destalinizzazione”. Il film di Kalatozov assunse immediatamente un potente significato simbolico di quello che venne chiamato il “disgelo”. E questo, perchè il film non era portatore di alcun messaggio ideologico, ma esprimeva soltanto un profondo desiderio di pace: raccontava infatti una storia privata nella Russia sovietica durante la seconda guerra mondiale, una storia in cui semplici ed intimi sentimenti di gente comune vengono annientati dalla mostruosa macchina bellica.

L’amore dei due giovani moscoviti è infatti tragicamente interrotto dalla seconda guerra mondiale.

Quando volano le cicogne

Boris parte per il fronte e Vera, rimasta completamente sola dopo aver visto morire sotto le bombe il padre e la madre, viene accolta come una figlia nella casa dei parenti del suo ragazzo dove vive anche Mark, cugino di Boris e uomo di pochi scrupoli. Vera continua la sua esistenza nell’attesa di poter riabbracciare un giorno il suo amato del quale non ha notizie da molto tempo…

Quando volano le cicogne

Kalatazov sceglie di mostrarci come un certo tipo di sentimenti e di sofferenze dell’animo umano può essere lo stesso sia in tempo di pace che di guerra. Per questo motivo, pur essendo il film ambientato in tempo di guerra sarebbe fuorviante incasellare Quando volano le cicogne nel genere “film di guerra”. In realtà questo è un film d’amore e di emozioni. Non ci sono epiche scene di battaglia o nazisti che marciano verso l’URSS. Della battaglia di Stalingrado sentiamo solo qualche accenno da parte dei soldati ricoverati nell’ospedale di Mosca e in tutto il film c’è solo una sequenza, peraltro abbastanza breve, che ci mostra Boris sul campo di battaglia.

Quando volano le cicogne

Kalatazov descrive il fronte interno senza retorica, con una protagonista molto umana e non priva di contraddizioni, ben lontana dalle eroine positive e tutte d’un pezzo alle quali il pubblico sovietico era abituato.

Quando volano le cicogne è, certo, un film molto romantico, perchè l’amore — rappresentato come un assoluto — viene esaltato dall’ardente, intensa interpretazione di Tatyana Samoijlova, dalle raffinate riprese di Kalatozov e dal sontuoso bianco e nero della fotografia di Sergej Urusevskij che alla Samoijlova dedica una serie di bellissimi primi piani.

E’ un film che ad uno spettatore occidentale può apparire a tratti anche un po’ melodrammatico ed ai limiti di un delirante virtuosismo ma, proprio per questo, esso rappresentava invece, per i sovietici, uno sconvolgimento dei grevi canoni fino ad allora imposti dal realismo socialista.

Sono molto contenta di aver rivisto questo film dopo tanti anni, e di aver ritrovate intatte le emozioni provate la prima volta.
Ah, dimenticavo: ne Le tre sorelle di Cechov, Masha dice esattamente così:

…fra un milione di anni la vita sarà sempre com’era una volta; non cambierà, resterà sempre uguale, seguendo le sue proprie leggi, che non riguardano lei, e che lei non potrà mai conoscere. Gli uccelli migratori, le gru, per esempio, volano, volano. E quali che siano i pensieri sublimi o meschini, che circolino nelle loro teste, voleranno sempre, senza sapere mai perché, né dove sono diretti.”

  • Quando volano le cicogne (tit. orig. Letyat zhuravli), 1957, regia di Mikhail Kalatozov, con Tatyana Samoijlova, Aleksey Balatov, Sceneggiatura: Viktor Rozov, Fotografia: Sergei Urusevsky, Colonna Sonora: Moisey Vaynberg, Montaggio: Mariya Timofeyeva

 

Questo post è stato pubblicato anche da Abbracci e pop corn il 27 febbraio 2008

CHI L’HA VINTO

La statuetta dell'Oscar

Tutti gli Oscar 2008   >>qui e   >>qui

Qualche considerazione senza pretese e molto al volo >> qui

ANDIAMO AL CINEMA?

Nuovo Cinema Paradiso

"Che facciamo stasera, andiamo al cinema?"

Ancora fino a pochi anni fa, era una frase che dicevo e mi sentivo dire spessissimo. Quand’ero giovinetta andavo al cinema almeno due o tre volte la settimana, ed appartengo ad una generazione in cui nelle sale esisteva ancora la maschera che ti faceva luce con la lampadina tascabile per accompagnarti al posto e l’aria era impregnata dal fumo delle sigarette. 

A quei tempi, era impensabile che una ragazza, una donna andasse al cinema da sola (almeno, dalle mie parti). Farlo, equivaleva a issare un cartello per la serie: "provaci, vedrai che ci sto". E anche le donne accompagnate avevano cura di scegliere un posto che non fosse accanto ad uno sconosciuto. Inutile entrare in dettagli: c’è una vasta letteratura, su ciò che poteva accadere nel buio di una sala cinematografica. A me è capitato una volta sola di dover "difendere" qualcuno, e quel qualcuno non fu la sottoscritta ma  il ragazzo con cui ero, il quale ad un certo punto mi sussurrò: "per favore, possiamo scambiarci il posto?". Era stato molestato. Lui.

Il cinema mi è sempre piaciuto molto ma ad un certo punto, per motivi vari e non dipendenti dalla mia volontà (sostanzialmente mancanza di tempo, comunque) le mie frequentazioni sono andate sempre più diradandosi, fino ad interrompersi quasi del tutto. Ho una sorta di "buco nero" per quanto riguarda gran parte della produzione cinematografica di parecchi anni.

Non ricordo proprio quando mi è capitato di andare al cinema l’ultima volta, nè tanto meno quale sia stato l’ultimo film visto in sala e sul grande schermo.

Adesso al cinema non vado più, ma i film ho ricominciato a vederli. E forse ne vedo molti più di prima. In questo periodo, ad esempio, anche uno al giorno. Film recentissimi, ma anche film vecchi che adesso posso recuperare e godermi in tutta tranquillità. Mi aspettano almeno una ventina di (bei) film che non ho ancora avuto il tempo di vedere, e altri continuano ad arrivare… Un tempo per molti era un lusso poter andare al cinema. Oggi per molti è un lusso trovare il tempo per vedere i film che posseggono.

Il mio modo di approcciare un film è radicalmente cambiato.

I DVD, le possibilità che le moderne tecnologie digitali e le innumerevoli risorse della rete mettono a disposizione mi consentono di vedere e rivedere un film tutte le volte che voglio. Di fermarmi, andare avanti o tornar indietro; di catturare le immagini, di estrarre singole sequenze e mixarle con sequenze tratte da altri film. Estrarre l’audio; se voglio posso divertirmi a sostituire al parlato originario una colonna sonora musicale (come nei vecchi film muti), costruire antologie tematiche o cambiare i colori o cimentarmi in una casalinga imitazione di Blob…

E’ per me quasi del tutto scomparso l’aspetto della socialità che costituiva una caratteristica fondamentale dell’ "andare al cinema": chi non si ricorda delle discussioni a volte interminabili con amici e parenti, mariti o fidanzati per la scelta del film da vedere (con tutto il corollario che ne seguiva se il film non era piaciuto e che si esprimeva con frasi del tipo: "ecco, te l’avevo detto io, che era meglio andare a vedere quell’altro…").

Esistono ancora gli "abbracci con pop corn" cui fa simbolicamente riferimento il bel blog di Solimano,Giuliano, Roby? Forse si, ma non certo come una volta.

Oggi sempre più persone vedono i film in solitudine (e questo, personalmente, non mi dispiace affatto, ho sempre detestato andare al cinema o a teatro "in comitiva") o al massimo con due o tre amici che si riuniscono in casa di chi possiede un’attrezzatura home cinema con tanto di schermo a parete.

In qualche modo è finita, io credo, l’epoca di quella che mi viene da chiamare la "sacralità del cinema". Quella così ben rappresentata, ai miei occhi, dal bambino di Tornatore in Nuovo cinema Paradiso.

Tornatore Nuovo Cinema Paradiso

E’ male, tutto questo? E’ meglio?
Non saprei. Quello che so è che oggi nessuna delle persone che frequento si sogna più di dirmi "Che facciamo stasera, andiamo al cinema?" nè io mi sogno, a mia volta, di dirlo.

E’ così, e ne prendo atto. Un po’ forse mi dispiace, ma nel complesso credo di essere piuttosto soddisfatta.

E poi, mi sono accorta che i cambiamenti tecnologici hanno cambiato anche me. Mi sono accorta che oggi l’idea di dovermene stare al cinema seduta per due ore di fila nella mia poltroncina senza poter uscire e correndo il rischio di dovermi sciroppare un film per intero anche se non mi piace (se sei in compagnia mica puoi esser così maleducata da alzarti e andartene) e troppo spesso infastidita da bisbigli, commenti, sgranocchiamenti vari mi sono accorta che mi risulta davvero poco invitante.  

CON UN BUCO NEL MEZZO

James Stewart

Oggi in molti cinema è addirittura vietato, ma una volta capitava spesso di entrare in sala a film già iniziato ed anche nel bel mezzo della proiezione.

Questa pagina di Italo Calvino mi ha riportata indietro nel tempo e mi ci riconosco in pieno:

… già a quei tempi precorrevamo le tecniche narrative più sofisticate del cinema d’oggi, spezzando il filo temporale della storia e trasformandola in un puzzle da ricomporre pezzo a pezzo o da accettare nella forma di corpo frammentario. […] assistere all’inizio del film dopo che se ne conosceva la fine dava soddisfazioni supplementari: scoprire non lo scioglimento dei misteri e dei drammi ma la loro genesi; e un confuso senso di preveggenza di fronte ai personaggi. Confuso: come appunto dev’essere quella dei divinatori, perchè la ricostruzione della trama smozzicata non era sempre agevole, e meno che mai se si trattava di un film poliziesco, dove l’identificazione dell’assassino prima e del delitto poi lasciava in mezzo una zona di mistero ancor più tenebrosa. Per di più alle volte tra il principio e la fine restava un pezzo perduto […] così molti film mi sono rimasti con un buco nel mezzo, e ancor oggi […] quando mi capita di rivedere uno di quei film di allora — alla televisione , per esempio —, riconosco il momento in cui ero entrato nel cinema, le scene che avevo visto senza capirle, recupero gli spezzoni perduti, rimetto insieme il puzzle come l’avessi lasciato incompiuto il giorno prima

(Italo Calvino, “Autobiografia di uno spettatore”, in “Romanzi e Racconti”, Meridiani Mondadori, vol. III, pag. 28)

A LETTO CON TOLSTOJ

Kutuzov & Bagration
Michail Illarionovich Kutuzov (1745-1813) e Piotr Ivanovic Bagratiòn (1765-1812)

In questi giorni vedo molti film e qualcuno probabilmente se ne è pure accorto  , ma non è che abbia smesso di leggere, anzi.

Gli è che  ho deciso di rileggermi da cima a fondo Guerra e Pace. La prima lettura risale ormai a tanti anni fa. Allora l’ho divorato, adesso invece sto procedendo con molta calma, centellinandomelo. Tanto, non mi insegue nessuno.

La prima volta mi ero appassionata, come del resto credo succeda più o meno a tutti, alle storie private di Natasha Rostov, Pierre Bezuchov e Andrej Bolkonskj; adesso invece mi sto gustando molto anche tutte quelle lunghe sezioni dedicate alla guerra ed alle descrizioni di battaglie, pagine che allora  avevo letto un po’ superficialmente, magari resistendo anche alla tentazione di saltarle perchè mi sembravano un tantino  noiose.  Non riuscivo a coglierne la grande bellezza.

E così, per ora vado a letto presto la sera e mi immergo nella lettura in compagnia di Kutuzov, Napoleone e Bagratiòn, l’altro terzetto protagonista del romanzo.

L’altro ieri sera, per esempio, ero sul campo di battaglia di Ulm, e assieme ad Andrea Bolkonskj ammiravo l’autorevolezza di Bagratiòn.

Ieri sera, invece, sono stata ad Austerlitz, ad assistere alla battaglia “dei tre imperatori”: “Dal mezzodi del 19 nelle supreme sfere dell’esercito ebbe principio un gran movimento, tra affannoso ed eccitato, che durò fino al mattino del giorno dopo, 20 novembre, in cui fu data la così memorabile battaglia di Austerlitz.”

La guerra è un meccanismo che Tolstoj descrive così.

E poi, “quando il sole [ne] fu emerso interamente e con un fulgore abbagliante spruzzò i suoi raggi sui campi e sulla nebbia, Napoleone (come se aspettasse soltanto questo per dar principio alla battaglia) si tolse un guanto scoprendo una mano bella e bianca; fece col guanto un segno ai marescialli, e diede l’ordine di dar principio all’azione”

Ad Austerlitz Napoleone gliele ha suonate di santa ragione, ai Russi. Ma diamo tempo al tempo, e vedremo che Kutuzov gliela farà pagare…

Per ora sono (nel libro) all’inizio dell’inverno, e Napoleone sta meditando la campagna di Russia, porello. Non sa quello che lo aspetta, da quelle parti.

Ho scoperto solo in questi giorni che in TV hanno recentemente trasmesso una fiction tratta da Guerra e Pace. Ne ho sbirciato qualche sequenza su YouTube e da quel poco che ho visto sono ben lieta di essermela risparmiata.

Ieri invece ho ordinato su Internet i tre DVD dell’integrale del film di Serghej Bondarchuk del 1967 (in russo con sottotitoli in italiano). L’avevo visto al cinema — ma non integrale — secoli fa, e l’avevo trovato molto, molto più bello di quello di King Vidor del 1956.

La cosa curiosa è però che il film americano di Vidor si trova facilmente anche nei negozi. Quello russo di Bondarchuk è fuori catalogo, lo si trova solo in rete e solo in alcuni negozi on line. Eppure, con tutto il mio rispetto e la mia ammirazione per Vidor, Audrey Hepburn, Mel Ferrer ed Henry Fonda, pur essendo il loro Guerra e Pace molto buono (e infatti ho comperato anche quello), davvero non ci sono paragoni, tra le due produzioni.

Tornando al libro: Guerra e Pace è sterminato, e con il ritmo di lettura che ho deciso di adottare non so quando riemergerò e potrò leggere altro.

Ma la cosa non mi dispiace nè poco nè punto 

INTO THE WILD – SEAN PENN

Emile Hirsch Into The Wild

Visto ieri sera. Panorami spettacolari e mozzafiato, un trionfo per gli occhi. Attori bravissimi. Emile Hirsch in primis ma anche tutti gli altri, tra i quali troviamo anche William Hurth nella minuscola  ma intensa parte del padre.
Colonna sonora di Eddie Vedder doverosamente appiccicosa come carta moschicida, dotte citazioni di Thoreau (ovviamente) e Tolstoj e massime esistenziali sparse a profusione qua e là per tutto il film come coriandoli. Temi "alti": l’identità, il potere, la schiavitù del denaro e dei vincoli familiari, la solitudine, il rapporto con l’ Altro e con la Natura (quella con la N  maiuscola).

Emile Hirsch Into The Wild

E poi, la storia è vera. E’ quella di Christopher Johnson McCandless ed il film è tratto da un libro, Nelle terre estreme di Jon Krakauer, che dicono essere bellissimo.
Io però non credo proprio che lo leggerò. Mi è bastato il film.

Perchè…che ci posso fare, non solo questo film non mi ha coinvolta più di tanto ma, confesso, mi ha anche annoiata.

Tanti buoni spunti, tanti momenti emozionanti, ma le due ore e passa le ho trovate  francamente  eccessive.

Mah. Sarà che il genere "romanzo/film di formazione" mi piace ma quello "on the road" proprio no e il road movie tranne eccezioni molto particolari (Duel, Sugarland Express, Thelma and Louise)  mi irrita non poco perchè essendo ad organetto le storie (se sono scritte) possono durare cinquanta pagine o duemila e cambia poco e se sono in un film possono durare un’ora o dieci e cambia poco eguale. Lo schema è ripetitivo: inizio, incontri nella fase centrale, fine e avanti il prossimo.

Sarà quel che sarà ma certo è che dopo circa un’ora non ne potevo più di Alexander Supertramp (così sceglie  di chiamarsi il protagonista dopo aver deciso di abbandonare la society, crazy breed) ed ho fatto stop, ho mandato il file avanti fino a circa venti minuti dalla fine giusto per vedere "come va a finire" e sospetto fortemente di non essermi persa, in quell’ora che ho saltato delle due ore e venti complessive niente di fondamentale.

Ho trovato su YouTube questo video di circa cinque minuti costruito con alcuni dei momenti più significativi del film accompagnati  dal soundtrack di Eddie Vedder. Ecco, in questo c’è (quasi) tutto e si risparmia un sacco di tempo. Scherzo, eh, ma mica tanto.

  • Di parere completamente diverso dal mio è invece, ad esempio, Lucamadeus, cui il film è piaciuto molto. Ottime recensioni qui e qui. Ma ce ne sono tante altre, in rete. Gli entusiasti di Into The Wild sono decisamente la maggioranza. E questo va detto.
  • Sul libro di Krakauer >>
  • Into the wild su imdb >>
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