IO MI CI RITROVO

Due post da due blog che leggo sempre, anche se non commento quasi mai

  • Donne! E’ venuto il momento di difenderci da sole. Niente possiamo aspettarci da chi sfrutta la violenza che ci infligge, ormai quotidianamente, a fini di piacere, di lucro e di potere
  • Continua a leggere su La voce di Ghismunda

  • Un articolo di Stefano Rodotà
  • Sono francamente ammirato dall’impassibilità con la quale tanti commentatori analizzano i flussi elettorali, esaltano la radicale semplificazione del sistema parlamentare, assumono la Lega come riferimento, si chiedono se siamo entrati nella Terza Repubblica o se la Seconda Repubblica comincia solo ora. Ma…

    …Continua a leggere su Critica dell’interfaccia >>

    LIBERAZIONI

    Robert Capa Sicilia 1943
    Sicilia. Sperlinga, vicino Troina (provincia di Enna), 4 agosto 1943
    Un contadino indica la strada ad un militare americano
    Foto © Robert Capa – Magnum/Contrasto

    La fine della guerra in Sicilia avvenne nel 1943 con lo sbarco dei soldati americani ed inglesi sulle coste meridionali dell’isola che risalirono poi dalla costa sud verso Palermo attraversando vari paesi.

    In questo video, lo sbarco in Sicilia documentato dalle fotografie di Robert Capa.

    La Sicilia non ha conosciuto l’occupazione tedesca e la guerra partigiana e il 25 aprile del 1945 l’Isola si ritrovava con problemi completamente diversi da quelli del resto dell’Italia: noti capi mafia nominati sindaci dagli Alleati americani, il movimento per l’occupazione delle terre incolte, il movimento separatista.

    Renato Guttuso
    Renato Guttuso, Occupazione delle terre incolte in Sicilia, 1949/50, olio su tela
    Dresdsa, Gëmaldgalerie

    Tutto questo ha influito enormemente sulla diversificazione della storia della Sicilia da quella  della penisola.

    Io credo sia giusto ricordarlo, anche se di sfuggita come sto facendo adesso.

    Robert Capa
    Soldati americani in Sicilia, foto di Robert Capa

    I recentissimi risultati  delle elezioni per il nuovo governo della Regione Sicilia hanno determinato  la massiccia  vittoria di un movimento politico che si chiama  Movimento per l’Autonomia ed il cui leader aveva già, per le elezioni nazionali del 2006, scelto di allearsi con la Lega Nord di Bossi.

    E’ proprio perchè in questo momento si tende più a separare che ad unire, più a trovare elementi di divisione piuttosto che di convergenza che credo sia importante per tutti i siciliani che, come me, tengono a una identità nazionale a non dimenticare cosa il 25 aprile del 1945 abbia significato per tutti.

    Non sono tra coloro che mitizzano la Resistenza e credo che, dopo tanti anni, ci si possa anche permettere di rileggere criticamente anche quel periodo storico. Non sono tra coloro che vedono i Cattivi tutti da una parte e i Buoni tutti da un’altra.

    Questo però non mi impedisce di continuare a pensare che il 25 aprile del 1945 sia ancora oggi una data da ricordare e da celebrare come vera e propria Festa di Liberazione Nazionale.

  • Piero Calamandrei"Lo avrai, Camerata Kesserling…"
  • MORALE DELL’ESSENZIALE E MORALE DELL’ARCHIVIO

    Milan Kundera
    Milan Kundera

    “L’opera […] non è tutto ciò che un romanziere ha scritto: lettere, taccuini, diari, articoli. L’opera è l’esito di un lungo lavoro su un progetto estetico.
    Mi spingerò oltre: l’opera è ciò che l’autore approverà nel momento del bilancio. La vita, infatti, è breve, la lettura lunga e la letteratura si sta suicidando con il suo insensato proliferare. Ogni romanziere, cominciando da se stesso, dovrebbe eliminare tutto ciò che è secondario, raccomandare per sé e per gli altri la morale dell’essenziale.

    Ma non ci sono solo gli autori, le centinaia, migliaia di autori, ci sono anche i ricercatori che, guidati da una morale completamente opposta, accumulano tutto ciò che trovano nel tentativo di abbracciare il Tutto, loro scopo supremo. Il Tutto, cioè una montagna di scartafacci, di paragrafi cancellati, di capitoli rifiutati dall’autore ma che i ricercatori pubblicano in edizioni dette “critiche” sotto la perfida etichetta di “varianti”, il che significa, se le parole hanno ancora un significato, che tutto ciò che l’autore ha scritto si equivale, è in ugual modo autorizzato da lui.

    La morale dell’essenziale ha lasciato il posto alla morale dell’archivio. (L’ideale dell’archivio: la dolce eguaglianza che regna in un’immensa fossa comune).”

    (Milan Kundera, Il Sipario, p.109)

    • Di questo libro di Kundera avevo scritto >>qui

    FOTO DI GRUPPO CON SIGNORA – HEINRICH BÖLL

    Foto di gruppo con signora cover
    Heinrich BÖLL, Foto di gruppo con signora (tit. orig. Gruppenbild mit Dame), traduz. Italo Alighiero Chiusano, p. 358, Einaudi, EAN13 9788806182762

    Foto di gruppo con signora di Heinrich Böll, scrittore considerato tra i migliori della letteratura tedesca del dopoguerra è un grande affresco di cinquant’anni di vita nella Germania dall’età Guglielmina al secondo dopoguerra e precisamente dagli anni ’20 agli anni ’70. Pubblicato nel 1971, divenne immediatamente un best seller mondiale e valse al suo autore il Nobel per la Letteratura che gli venne conferito nel 1972.

    E’ un racconto corale a più voci che ruota tutto attorno alla figura della protagonista Leni, una signora di mezza età taciturna e riservata, abbastanza enigmatica, fiera ed ingenua, capace di atti di umana generosità anche in tempi tremendi e correndo grandi rischi. La figura di Leni viene presentata così nell’incipit “La protagonista femminile dell’azione, nella prima parte, è una donna di quarantotto anni, germanica: alta m 1,71, pesa kg 68,8 (in abito da casa), perciò ha solo 300-400 grammi meno del peso ideale. Ha occhi cangianti tra il blu cupo e il nero, capelli biondi molto folti e lievemente imbiancati, che le pendono giù sciolti, aderendole al capo, lisci, come un elmetto. Questa donna si chiama Leni Pfeiffer, nata Gruyten…”

    Una protagonista molto particolare, Leni Gruyten, che per almeno tre quarti del romanzo non compare mai in prima persona ma le cui cararatteristiche e le cui azioni ci vengono chiarite e raccontate da un folto numero di personaggi di contorno: amici, parenti, antichi insegnanti, vicini di casa, suore e preti. Queste persone vengono rintracciate dall’Autore e pazientemente interrogate, intervistate; egli chiede loro di raccontargli tutto quello che sanno di Leni, anche i minimi dettagli della sua vita, dei suoi gusti, delle sue predilezioni e delle sue avversioni. Alcuni rispondono di buon grado, altri sono più reticenti ma ciascuno bene o male fornisce il proprio tassello ed a poco a poco il puzzle acquista una forma, la personalità e la storia di Leni diventano sempre più chiari e comprensibili ed attraverso la sua vita e quella di coloro che sono venuti in contatto con lei si va delineando anche la storia della Germania.

    Oltre alla storia personale di Leni, il narratore-testimone (che nel libro indica sempre se stesso come l’A.) espone anche le vicende di tutti coloro, una cinquantina di persone, che hanno avuto a che fare con lei: conoscenti, amici e parenti: il fratello poeta Heinrich maggiore di Leni di due anni che viene fucilato come disertore. Suor Rahel, una bizzarra monaca biologa ebrea (chiamata Haruspica perchè, “specialista in secrezioni corporee”, dall’osservazione di queste era capace di trarre informazioni sul futuro) che ebbe grossa influenza sulla sua formazione giovanile e che Leni trovò il modo di aiutare durante le persecuzioni razziali anche correndo grossi rischi. L’affarista Pelzer che sfrutta il nazismo per arricchirsi. Il padre Herbert, grande industriale arricchitosi con l’industria bellica che però finisce in galera per sabotaggio. Di tutti l’A. descrive il carattere, l’ambiente e la storia personale e sociale.

    Di Leni, che all’inizio del romanzo ha 48 anni e una pensione di vedova di guerra essendo stata sposata per tre giorni con il caporale Alois Pfeiffer morto in guerra, l’A. ricostruisce puntigliosamente la giovinezza trascorsa in un istituto di suore e poi in un collegio, il suo ingresso nel mondo del lavoro, prima nell’azienda paterna poi come fiorista in un’azienda che compone corone da morto, le sue storie d’amore, tutta la sua vita insomma fino agli anni ’70 sempre attraverso i racconti degli altri. Solo nell’ultima parte del libro Leni compare in prima persona in un finale che lascio ai lettori il piacere di scoprire.

    Per tramite del suo Alter Ego “l’A.” che chiosa e commenta i racconti dei suoi intervistati Böll si scaglia contro l’ipocrisia di una società convenzionale e conformista che stritola gli esseri più puri e dal romanzo emerge a poco a poco il continuo conflitto tra chi vuole conservare la sua umanità ingenua e la società, la cui ipocrisia non tollera alcuna violazione delle convenzioni.

    Böll rappresenta a mio parere la coscienza critica della Germania uscita dalle devastazioni della seconda guerra mondiale. Nei libri che ho letto di questo scrittore cattolico ma al tempo stesso anticlericale, antimilitarista e pacifista ho trovato una potente analisi critica della società tedesca con le sue problematiche civili e politiche, la denuncia di ogni forma di bigottismo e autoritarismo e la lotta a favore della democrazia.

    In Foto di gruppo con signora nella figura di Leni troviamo il conflitto fra le convenzioni irrigidite della società e le emozioni ritenute collettivamente nocive dell’individuo.

    Claudio Magris, di cui sono andata a ripescare un vecchio libro degli anni ’70, vede in Leni e in Katharina Blum personaggi che “sono per lo più delle sante cristiane, anche se radicalmente laicizzate” e scrive che Böll “In Foto di gruppo con signora […] ha celebrato l’innocenza della passione e la santità dell’istinto quali argini di difesa contro la disumana pressione esercitata dai meccanismi collettivi di una società tirannica” (Claudio Magris, Dietro le parole, Garzanti, Milano 1978, p. 304)

    Foto di gruppo con signora è un testo che per la complessità della sua struttura può anche scoraggiare il lettore. Per ricostruire la biografia di Leni Gruyten, l’autore (l’A.) ricorre volutamente alla descrizione puntigliosa, alla ricerca ossessiva del dettaglio, ad uno stile che ricorda i verbali delle inchieste giudiziarie, all’etimologia e alle enciclopedie. C’è molta ironia in tutta la narrazione, molti riferimenti intertestuali, ma tutto questo, come anche la scelta di Böll di fornire, per i personaggi già citati, soltanto le iniziali può rivelarsi anche un’arma a doppio taglio perchè indubbiamente, se il lettore non è molto interessato e motivato, il rischio che trovi la lettura troppo pesante e sia tentato di abbandonarla è, io credo, abbastanza alto. E’ quello che capitò a me la prima volta quando, anni fa, presi in mano questo libro: lo abbandonai prima ancora di essere giunta a metà. Ripreso in questi giorni, l’ho invece letto tutto con piacere, anche se non — per dire la verità — con piena ed entusiastica convinzione. A differenza di Opinioni di un clown, anche questo riletto in questi giorni e che mi ha molto commossa, Foto di gruppo con signora è un libro che ho apprezzato razionalmente, ma il godimento è stato soprattutto di carattere cerebrale. Non mi ha coinvolta, emotivamente, più di tanto. Lo stile è l’aspetto di questo libro che ho apprezzato di più ma, paradossalmente, è proprio lo stile da osservatore apparentemente freddo e distaccato scelto da Böll che mi ha impedito l’avvicinamento empatico con i personaggi, a cominciare dalla stessa protagonista Leni.

    Heinrich Boll
    Heinrich Böll
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    HEINRICH BÖLL E MARCEL PROUST

    Romy Schneider
    Leni Gruyten (Romy Schneider)
    nel film Gruppenbild mit Dame di Alexandar Petrovic del 1976

    “una mattina, nell’attraversare la strada mentre andava a comprarsi i panini, il suo piede destro ha riconosciuto sul lastrico un punto dissestato con cui aveva avuto l’ultimo contatto quarant’anni prima, quando Leni saltellava proprio lì con altre ragazze; si tratta di una minuscola crepa in una lastra di basalto che deve essere stata provocata dal lastricatore quando la strada fu fatta, e cioè intorno al 1894. Il piede di Leni trasmise subito la notizia alla sua corteccia cerebrale, la quale diffuse l’impressione a tutti gli organi e i centri sensitivi, e poichè Leni è una persona oltremodo sensuale, per cui tutto, ma proprio tutto si converte in erotismo, essa subì, travolta dall’estasi, dalla nostalgia, dalla memoria, da un’eccitazione totale, quello stato d’animo che nei dizionari teologici — anche se in quella sede con altro significato — si potrebbe definire “attuazione assoluta dell’essere”; e che, degradato in maniera imbarazzante da grossolani erotologi e da dogmatici della sessualteologia, vien definito orgasmo.”
    (Heinrich Böll, Foto di gruppo con signora, traduz. Italo Alighiero Chiusano)

    Marcello Mazzarella
    Il Narratore (Marcello Mazzarella)
    nel film Il tempo ritrovato di Raoul Ruiz del 1999

    “… ero entrato nel cortile del palazzo Guermantes e, assorto com’ero […], non m’ero accorto di un’automobile che stava avanzando; al grido dell’autista ebbi appena tempo di scansarmi bruscamente, e indietreggiai tanto da inciampare contro i ciotoli livellati dietro i quali si trovava una rimessa. Ora, nel momento in cui, per recuperare l’equilibrio, posai il piede su un ciottolo un po’ meno rialzato del precedente, tutto il mio scoraggiamento svanì di fronte alla medesima felicità che, in momenti diversi dell mia vita, m’aveva procurata la veduta d’alberi che avevo creduta di riconoscere in una passeggiata in carrozza nei dintorni di Balbec, la vista dei campanili di Martinville, il sapore di ua maddalena inzuppata in un infuso, e tante altre sensazioni di cui ho parlato e che le ultime opere di Vinteuil m’eran parse sintetizzare.”
    (Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Il Tempo ritrovato, Mattinata dai principi di Guermantes, traduz. di Giorgio Caproni)

    LA MACCHINA GIRAVA, GIRAVA

    Qui in Sicilia si vota anche per le Regionali, e si può esprimere il voto di preferenza per un candidato.

    Honoré Daumier
    Honoré Daumier (1808 – 1879)

    Quando sono andata a votare, ieri mattina, davanti al mio seggio circolavano nugoli di figuri che sembravano ciondolare oziosamente, ma che in realtà erano galoppini venuti a controllare i votanti…La scena si ripete ad ogni tornata elettorale e ancora oggi non è molto diversa da quella cui assiste Amerigo Ormea, scrutatore alle elezioni del 1953, ne La giornata di uno scrutatore, il romanzo breve di Italo Calvino pubblicato nel 1963.

    “Entrò in cortile un’auto nera e grossa. L’autista col berretto uscì ad aprire. Ne scese un uomo dritto, i capelli grigi, ben rasato. Portava un impermeabile chiaro di quelli con tanti bottoni e passanti, e il bavero mezzo su e mezzo giù. Ci fu un muovere di gente, i poliziotti facevano il saluto.

    Lo scrutatore smilzo chiese al presidente sottovoce ehm essendo arrivato l’onorevole candidato del suo partito per favore il permesso di assentarsi volendo andare un momento è vero a informarlo di come andavano le cose lì.
    Il presidente gli rispose sottovoce ehm di aspettare perchè siccome i parlamentari è vero hanno il diritto di entrare in tutte le sezioni forse sarebbe passato anche di lì.
    Difatti venne. L’onorevole si muoveva […] con confidenza e fretta ed efficienza ed euforia. S’informò della percentuale dei votanti, rivolse qualche parola di bonario scherzo agli elettori che aspettavano in fila, come fosse in visita alle colonie marine. Lo scrutatore smilzo andò a dirgli qualcosa: probabilmente che c’era dell’ostruzionismo comunista, e come comportarsi con quelli che volevano fare un verbale ogni momento. Il deputato stette a sentirlo appena, perchè di quel che succedeva là dentro voleva sapere lo stretto indispensabile, senza troppo soffermarcisi. Fece un gesto vago, rotatorio, come dire che la macchina girava, girava bene, voti ce n’erano a milioni, e in quei casi un po’ spinosi, se la va subito va bene, altrimenti: via, presto, sorvolare!
    […]
    Volle continuare il giro delle Sezioni […] un piccolo codazzo gli teneva dietro, in gran parte rappresentanti di lista dei vari seggi (ogni tanto uno si faceva avanti a raccontargli qualche grana) e ragazzi del servizio di staffette del partito […] l’onorevole dava brevi ordini , sguinzagliava le staffette, gli autisti, rispondeva a tutti prendendoli per il braccio, sul gomito, per incoraggiamento ma anche per spingerli via subito.” ”

    (Italo Calvino, La giornata di uno scrutatore)

    LA LINGUA DELL’ESILIO

    Sergej Dovlatov
    Sergej Dovlatov

    In questi giorni ho letto Il libro invisibile di uno scrittore del quale avevo sentito parlare ma di cui non avevo letto ancora nulla: Sergej Dovlatov, nato nell’ex URSS nel 1941 e morto negli Stati Uniti nel 1990.

    Dovlatov fu scrittore il cui stile scanzonato, il pensiero anarcoide, irriverente gli procurarono ripetuti linceziamenti per indisciplina da varie testate giornalistiche Lettoni e Russe. E’ il primo libro che leggo di quest’autore, e mi è piaciuto tanto da farmi venir voglia di approfondire la conoscenza della sua opera. Per ora posso solo dire che in questo Il libro invisibile Dovlatov racconta dei suoi tentativi fallimentari di essere pubblicato in un ambiente, quello degli ultimi anni dell’ ex Unione Sovietica, nel periodo cioè in cui il regime era divenuto soprattutto “il regno della stupidità”. Le peripezie di Dovlatov e del suo “libro invisibile” sono raccontate con grande umorismo, ma naturalmente si tratta di un riso amaro o, come giustamente scrive Laura Salmon che ha curato la pubblicazione per la casa editrice Sellerio “Dovlatov possedeva in modo sublime ciò che Pirandello considera il vero umorismo, cioè “il sentimento del contrario”. Un “riso tra le lacrime”.

    Quando, alla fine degli anni ’70, Dovlatov ritenne che la situazione in URSS era per lui diventata insostenibile fece di tutto per andarsene e ci riuscì: nel 1978 lasciò l’URSS per gli Stati Uniti, prima della caduta del Muro di Berlino.

    Laura Salmon descrive ed analizza molto bene — nella sua lunga ed interessantissima postfazione di questo volumetto Sellerio — la grande rinuncia che questo distacco significò per Dovlatov.
    La rinuncia al suo mondo, un mondo dove, soprattutto, “era l”unico dove tutti usassero quella lingua russa che lui amava fino all’idolatria. Questa separazione, per di più, in quell’epoca era irreversibile. Coloro che […] emigravano dalla Russia con un visto di espatrio […] non avrebbero mai più potuto tornare “a casa”, riabbracciare i propri cari o, semplicemente, parlare in russo all’ufficio postale.
    E’ dunque particolarmente importante comprendere quanto si profilasse doloroso l’esito dell’ “invisibilità” letteraria, la soluzione estrema, il fantasma dell’espatrio
    .
    (Laura Salmon, La vita è bella, postfazione a Il libro invisibile di Sergej Dovlatov, Sellerio, p.164)

    Queste notazioni della Salmon mi hanno fatto tornare in mente altre pagine, molto belle, di un altro grande scrittore che nel 1948 prende la dolorosa decisione di abbandonare per sempre la sua Patria, l’Ungheria, in cui sotto il regime sovietico vivere è diventato un mero sopravvivere e nel quale non gli è consentito di scrivere  ma nemmeno di tacere, perchè i governanti vorrebbero fare di lui uno degli  scrittori di propaganda del regime. Lo scrittore è Sándor Márai, che nei suoi due splendidi volumi autobiografici (Confessioni di un borghese e Terra, Terra!…) dedica moltissime pagine alla questione di ciò che significa per uno scrittore — e soprattutto per uno scrittore la cui lingua madre è conosciuta solo nella propria terra — abbandonare per sempre la patria.

    Sandor Marai, foto
    Sándor Márai

    “Lo scrittore che ha deciso di prendere il bastone del viandante pensa […] di quel popolo che sta lasciando resterò debitore in eterno, perchè egli è scrittore solo nella lingua che questo popolo parla. Se passa la frontiera diventerà storpio e si trascinerà con l’aiuto di moncherini — magari ottime protesi, ma pur sempre moncherini — da un continente all’altro. Uno scrittore inglese o francese, italiano o tedesco non può capire cosa significhi essere scrittori nella lingua di un popolo solitario, senza compagni. Dovevo tener conto anche di questo (Sándor Márai, Terra, Terra! )

    LE LACRIME AMARE DI PETRA VON KANT

    Le lacrime amare di Petra von Kant
    Petra von Kant (Margit Carstensen) e Karin Thimm (Hanna Schygulla)

    "Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l'altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per potere amare senza dominare l'altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire. Il punto è che credo di potere esprimere meglio quello che sento quando uso un personaggio femminile come centro." (Rainer Werner Fassbinder)

    "Le lacrime amare di Petra Von Kant", film del 1972 del tedesco Rainer Werner Fassbinder è una storia di donne che è soprattutto una storia di dipendenza e di potere. Ma anche di una dolorosa presa di coscienza.

    Le lacrime amare di Petra Von Kant

    Petra von Kant (Margit Carstensen) è una stilista di successo, separata dal marito, madre di una figlia adolescente, affascinante e intelligente ma svuotata dentro da due matrimoni andati male. Vive in un ambiente molto raffinato e personale, ma opprimente e pieno di manichini

    Le lacrime amare di Petra von Kant

    Accanto a lei c'è la segretaria e factotum Marlene (Irm Hermann) che — presenza silenziosa ed asservita — la ama perdutamente.

    Irm Herman
    Marlene (Irm Herman)

    L' esistenza di Petra viene profondamente turbata dall'incontro con la giovane e bella Karin Thimm (Hanna Schygulla), presentatale dall'amica Sidonie von Grasenabb (Katrin Schaake)

    Le lacrime amare di Petra Von Kant
    Petra (Margit Carstensen), Karin (Hanna Schygulla) e Sidonie (Katrin Schaake)

    Karin, di origini semi proletarie, separata dal marito e con una drammatica storia familiare alle spalle desidera molto inserirsi nel mondo della moda. Petra ne rimane totalmente ammaliata e le offre danaro e fortuna.

    Hanna Shygulla Margit Carstersen

    Di Karin, Petra invidia la giovinezza e la spregiudicatezza; nel rapporto con lei cerca un amore che rivitalizzi la sua vita. Ma il suo amore – sarà lei stessa, più tardi, a confessarlo – risponde anche ad un desiderio, dalle sfumature sadiche, di possesso.

    Hanna Shygulla

    Karin va a vivere con lei; ma ben presto la possessività e la gelosia di Petra finiscono per opprimerla, ed appena riceve una telefonata del marito che le chiede di raggiungerlo, non esita un attimo ad andarsene.

    Le lacrime amare di Petra Von Kant

    Hanna Shygulla  Margit Castersen

    Petra rimane sola, assistita amorevolmente dalla fedele Marlene, il cui sforzo però non è mai apprezzato e che anzi viene spesso maltrattata. Petra va di male in peggio. Nel giorno del suo compleanno, ubriaca, aspetta una telefonata di Karin che però non arriva. La scena in cui Petra/Margit Carstensen si precipita a rispondere al telefono e, constatando che non si tratta di Karin, sbatte la cornetta ringhiando "No, questa non è casa von Kant" è memorabile.

    Margit Carstersen

    Completamente fuori di sè per l'abbandono di Karin ha una spaventosa crisi isterica durante la quale maltratta la madre, la figlia e l'amica Sidonie che sono venute a trovarla.

    Le lacrime amare di Petra Von Kant

    Le lacrime amare di Petra Von Kant

    Solo in seguito, dopo un importante colloquio con la madre, riesce a calmarsi e quando Karin finalmente telefona riesce a risponderle pacatamente.

    Le lacrime amare di Petra Von Kant

    Petra sente adesso la voglia di cambiare, di rinascere. Si rende conto, finalmente, di quanto male abbia trattato Marlene, le chiede scusa, è pronta a ricominciare. Ma questa volta Marlene si rifiuta. Marlene, del tutto assoggettata a Petra, la vittima che accetta ogni capriccio e cattiveria, si ribella proprio quando Petra alla fine la tratta per la prima volta affettuosamente e senza il suo normale fare autoritario. Senza una parola, riempie una valigia e se ne va. Petra adesso è veramente sola.

    Irm Hermann

    In Le lacrime amare di Petra von Kant compaiono solo donne ed è un film dell'amore lesbico rispetto al film (quasi) tutto di uomini e di amori maschili che sarà, dieci anni dopo, Querelle.

    Il film — il dodicesimo lungometraggio di Fassbinder — è una fedele trasposizione del testo teatrale scritto e messo in scena dallo stesso Fassbinder l'anno precedente. Conserva perciò molte caratteristiche squisitamente teatrali che ne fanno un vero e proprio kammerspiele: l'unità di spazio (tutto si svolge in un solo ambiente, la casa-atelier di Petra), una certa staticità della macchina da presa e soprattutto la grande importanza dei dialoghi. L'ambiente circoscritto e claustrofobico, dominato dal gran letto di ottone di Petra, dai manichini che popolano l'appartamento, l'immobilità dei personaggi e della situazione, la lentezza della storia possono anche risultare esasperanti. Ma il formidabile scandaglio psicologico delle tre protagoniste, la splendida fotografia mi hanno reso questo film uno dei miei preferiti tra quelli di Fassbinder. Uno di quei film che magari in alcuni momenti mi irritano e mi fanno sbuffare mentre li guardo, ma che poi mi rimangono a lungo nella memoria e nel cervello. Fassbinder, morto a soli 37 anni probabilmente per overdose (si parlò anche di suicidio) fu un regista vulcanico, spesso cupo e malinconico, a volte estremo e fin troppo crudo. Non mi piace sempre e non mi piace tutto, ed inoltre, il "teatro filmato" non è esattamente un'idea di cinema che mi appartiene. Ma in questo film alcuni elementi abbastanza tipici della produzione di Fassbinder (la sottolineatura del melodramma, la violenza dei colori e costumi, l'ammiccamento al kitsch) sono gestiti secondo me in maniera affascinante.

    Mi piace anche che non ci sia un personaggio che prevalga sugli altri o con il quale io mi senta di identificarmi: Petra, Karin, Marlene (che è una presenza muta: in tutto il film non pronuncia una sola parola e la sua è una recitazione interamente affidata agli sguardi ed a impercettibili movimenti del volto) mi suscitano di volta in volta comprensione, astio, compassione, irritazione.

    Le attrici sono tutte di una bravura eccezionale. Margit Carstensen è una Petra von Kant straordinaria, Irm Hermann regge a meraviglia un intero film senza pronunciare una sola parola e poi c'è lei, Hanna Schygulla, una delle mie attrici preferite da sempre e preferita anche da Fassbinder, con il quale ha girato ben 23 (ventitre!) film…

    La dinamica delle relazioni amorose tra le tre donne di diversa estrazione sociale (piccola borghesia Marlene, più vicina al proletariato Karen, aristocratica Petra) è decisamente quella della dialettica servo/padrone. Se, nel rapporto con la segretaria-schiava Marlene, Petra costituisce il padrone, l'entrata in scena di Karin, di cui Petra si innamora, è destinata a quasi annientarla. Da un lato ella sarà abbandonata da Karin, che, se apparentemente può sembrare più spontanea e quindi più umana di Petra, si rivela alla prova dei fatti fredda e calcolatrice, e per di più totalmente dipendente dalla figura del marito, alla cui chiamata accorre, alla fine, immediatamente, lasciando cadere Petra e rivelando in extremis tutto il suo malcelato desiderio e piacere di dominio e di potere. Dall'altro, dopo che Petra è dolorosamente maturata, e, credendo di cogliere in questa maturazione un insegnamento positivo, diviene più disponibile verso la muta schiava Marlene, è proprio quest'ultima a rifiutarla: nel momento in cui Petra si spoglia del suo ruolo di padrone, nega la sua stessa ragione di esistere agli occhi di Marlene, che l'abbandona.

    Non è certamente casuale che tutti gli abiti che indossano le donne siano stretti ed attillati. Più che fasciare, costringono i corpi — specie quello di Petra — in una elegante  prigione. Le collane sono  collari o grovigli di perle, i bracciali  rigidi cerchi.

    Hanna SchygullaMargit  Carstensen

    In questo film di un uomo che parla di donne è anche presente il tema della maternità: Petra è madre di una figlia adolescente, nata da un matrimonio dal quale si è emancipata, e a sua volta figlia di una donna con la quale ha, nel film, un incontro e un dialogo di grande importanza.

    Non c'è una colonna sonora vera e propria, ma musiche che intervengono in momenti molto precisi e che servono a commentare lo stato d'animo di Petra. Da un lato c'è la grande tradizione operistica rappresentata da Verdi: nella grande scena della crisi isterica di Petra ubriaca risuona l'aria di Alfredo "Un dì felice" de La Traviata con cui Fassbinder sottolinea l'aspetto melodrammatico della sequenza. Dall'altro, ci sono i dischi preferiti di Petra "The Great Pretender" e "Smoke Gets Into Your Eyes" dei Platters.

    Come interpretare il finale di questo film?

    Petra, abbandonata da tutti, sprofonda in una solitudine che sembra assoluta. Questa interpretazione tragica e assolutamente pessimistica, in cui alla fine i personaggi si troverebbero nella stessa situazione dell'inizio ed in cui tutto appare determinato dai più crudi rapporti di uso e sopraffazione è quella che in genere prevale.

    Eppure, forse è possibile pensare che quella di Petra non sia una disfatta totale ma una presa di coscienza, anche se dolorosissima. Rispetto a Karin, che ritorna gioiosa alla dipendenza dal marito, Petra è pur sempre una donna indipendente che ha abbandonato definitivamente un marito prepotente e rispetto a Marlene, che resta servo proprio nel momento in cui crede di rovesciare i ruoli Petra riesce, proprio perché paga un enorme prezzo, a superare la fissità del suo ruolo in quella relazione, e a conquistare umanità. La stessa frase di Petra, la quale nel colloquio con la madre dichiara di non avere realmente amato Karin, ma solo cercato di possederla, e soprattutto la sua affermazione "Si deve imparare ad amare senza esigere" potrebbero indicare che sia Petra, che si nasconde nel buio dell'ultima scena, la sola a conservare, alla fine, una nota di autentica forza.

    Die bitteren Tränen der Petra von Kant, Regia: Rainer Werner Fassbinder, scritto e sceneggiato da Rainer Werner Fassbinder, tratto da un suo lavoro teatrale. Con: Margit Carstensen (Petra von Kant), Hanna Schygulla (Karin Thimm), Irm Hermann (Marlene), Katrin Schaake (Sidonie von Grasenabb), Eva Mattes (Eva von Kant), Gisela Fackeldey (Valerie von Kant)
    Costumi di Maja Lemcke, Fotografia Michael Ballhaus, Produzione: Germania, Durata: 124 min., anno 1972

  • Rainer Werner Fassbinder
    Rainer Werner Fassbinder
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