TORNATA

Il Muro di Berlino
Berlino. Bambini giocano ai piedi di uno dei pochi frammenti originali del Muro.

Una città che mi ha conquistata e che si è rivelata assai superiore a tutte le mie più ottimistiche aspettative.
Certo non sarebbe corretto sparare sentenze dopo una permanenza di appena dieci giorni, ma la sensazione è stata quella di trovarmi in una città veramente europea, ricchissima di stimoli, vivace, vivibile, elegante e raffinata, per nulla snob. Senza inutili esibizionismi.
Non ho visto un negozio, un luogo, una situazione che fosse di cattivo gusto.
Ha messo seriamente in crisi il mio amore finora totale per Parigi.
Il che è tutto dire.
Nei prossimi giorni spero di parlarne ancora, e in modo un po’ più articolato.
Sto mettendo su Flickr alcune foto. Le due che ho scelto di inserire in questo post vorrebbero simboleggiare, nelle mie intenzioni, il modo come Berlino ha cercato di superare le sue tremende ferite e lacerazioni. Cliccando sopra le immagini le vedrete in "formato lenzuolo".
A Berlino il Vecchio e il Nuovo, il Cambiamento, il Rinnovamento (le maiuscole non sono casuali) sono una costante, un vero e proprio leit-motiv.

Potsdamer Platz

Con le sue architetture avveniristiche Potsdamer Platz è il simbolo della "nuova Berlino".
Il Muro passava proprio da lì.
 Adesso è una meraviglia di architettura moderna, con palazzi realizzati dai migliori talenti internazionali su un progetto di massima coordinato da Renzo Piano.

ARRIVEDERCI

Ci si rivede i primi di settembre. In questo periodo mi connetterò saltuariamente, non metterò nuovi post ma continuerò a leggervi.

Auf wiedersehen!

LOST – QUESTA E’ LA DOMANDA

Mattew Fox LostJack (Matthew Fox) in Lost – 4° stagione.
Sullo sfondo Kate (Evangeline Lilly)

“Alice prese il ventilatore, e visto che nella sala faceva molto caldo, continuò e continuò col ventilatore e per tutto il tempo continuò a dire: “Caspita, caspita com’è tutto strano oggi. E ieri era tutto come sempre. Mi chiedo se sono cambiata durante la notte. Fammi pensare… Ero la stessa quando mi sono alzata questa mattina? Ma se non  sono la stessa la domanda seguente è: Chi cavolo sono io? Ecco, questa è la domanda 

Il libro che Jack legge al piccolo Aaron è Through the Looking-Glass, and What Alice Found There, tradotto in italiano anche come Dietro lo specchio, l’opera letteraria pubblicata per la prima volta nel 1871  dal matematico e scrittore inglese Reverendo Charles Lutwidge Dodgson sotto il ben più noto pseudonimo di Lewis Carroll come seguito di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie.

Le citazioni letterarie, gli ammiccamenti, i riferimenti più o meno espliciti a grandi classici della letteratura abbondano, in Lost.
Ma il reverendo e matematico Lewis Carroll, con  Alice nel Paese delle meraviglie e Alice dietro lo specchio è forse l’autore che sin dalla prima stagione è il più citato. I conigli bianchi, ad esempio, sono una presenza quasi costante. Metaforica e non. Ma non dimentichiamo il gioco degli scacchi, la Regina Bianca che dice  “vivi alla rovescia” quando ricorda fatti non ancora accaduti…

Le citazioni letterarie in Lost non sono mai casuali. Hanno sempre strettamente a che fare con i contenuti dell’episodio che li contiene.

 Lost
Lost – 3° stagione – Episodio italiano Deja vu (tit.orig. Flashes Before Your Eyes)
Hurley legge Laughter in the dark di Vladimir Nabokov

“Once upon a time there lived in Berlin, Germany, a man called Albinus. He was rich, respectable, happy; one day he abandoned his wife for the sake of a youthful mistress; he loved; was not loved; and his life ended in disaster.”

Questo è l’incipit di Laughter in the Dark il romanzo di Vladimir Nabokov che racconta una storia di amore e distruzione. Pubblicato prima in Russia nel 1932, il romanzo venne poi tradotto in inglese dallo stesso Nabokov nel 1960.

In Lost, Charlie ed Hurley trovano il romanzo di Nabokov tra le cose di Sawyer.
Conosciamo la concezione del tempo e dello spazio in Nabokov e il suo modo di duplicare, specchiare, riflettere persone, situazioni, concetti. E la sua passione per il gioco degli scacchi, tanto presenti (anche loro metaforicamente e non) in Lost.

Stephen King, Dickens, O’Brien, Hawking… ma anche Dostoewskij e Faulkner e persino Dante Alighieri.

Il tema Lost e i libri è davvero molto stimolante.

Ho finito questa mattina di vedere tutte le puntate della Quarta stagione di Lost.
Nei prossimi due lunedi non potrò vedere TV italiana e dunque mi sono arrangiata in altro modo   (smile)

Beh, che dire? Che ho rischiato l’infarto, tanto questa quarta stagione è travolgente, interessante, complessa, intrigante.
Ma dico nulla, perchè i Lost-maniaci che ancora non l’hanno vista tutta mi farebbero a pezzi, se anticipassi anche il benchè minimo dettaglio.

Magari se ne riparla dopo, eh? (smile)

Lost Sawyer reading
Lost – 2° stagione. Episodio n.15 Maternity leave.
Sawyer in spiaggia legge Lancelot di Walker Percy,
un romanzo che ripropone in chiave moderna le vicende del Graal.

DIECI ANNI

Marcel Proust visto da Guidu Antonietti di Cinarca

Il 15 agosto del 1998 mettevo in rete le prime pagine del mio sito dedicato a Marcel Proust.

Il “mio Proust”   oggi compie dunque dieci anni.

Mai, nemmeno nelle mie più spericolate fantasie, avrei osato immaginare che, come poi è avvenuto, negli anni il sito sarebbe diventato un punto di riferimento per appassionati di Proust e della sua opera che da tutto il mondo mi hanno scritto, incoraggiata, inviato suggerimenti e materiali di ogni genere, contribuito a correggere inesattezze, refusi.

Il visitatore frettoloso — sul web la fretta è di default— non può capire quanto lavoro ci sia dietro quelle pagine apparentemente semplici.
E’ giusto che sia così.
Il visitatore fa il mestiere suo di visitatore e non ha il dovere di capire un bel niente: lui fa il visitatore. Se una cosa gli piace bene, se non gli piace se ne va da un’altra parte. E’ un suo sacrosanto diritto.

Lavoro di consultazione, di ricerca di fonti iconografiche, di documentazione di ogni genere.
Ma anche lavoro “tecnologico”.

Da autodidatta — io non sono un’informatica — ho dovuto imparare bene il codice HTML nel suo work in progress, a maneggiar Photoshop e relativi aggiornamenti, chè in questo mondo dei software non hai finito di imparare una cosa che se ne presenta subito un’altra. A destreggiarmi con gli script Java (e poi a mollarli, perchè appena imparati non servivano già più: nel frattempo erano arrivate altre diavolerie), prendere confidenza con i CSS e con i vari formati dei file audio e altri “ferri del mestiere” di cui prima sapevo poco o nulla.

Tutto questo cercando sempre di tener ben presente la rotta e fermo il timone sugli obiettivi che mi ero data: cercare di parlare in maniera semplice ma non semplicistica, seria ma non seriosa, piacevole ma non banale della mostruosa (nel senso proprio etimologico della parola “monstrum”) complessa materia che, con una notevole dose di incoscienza avevo avuto la temerarietà di affrontare.

Essere esatta ma non pedante, leggera ma non frivola. Non cader nel pettegolezzo e nel gossip (con Proust questo pericolo è sempre in agguato).
Non scadere nel feticismo — altro tremendo rischio, con Proust. Pochi al mondo riescono a non tuffarcisi. Di testa o di pancia.
Non scadere in quell’idolatria che Proust tanto detestava.
Ci sono riuscita? A volte penso di si, altre volte penso che avrei potuto fare di meglio, che questa o quell’altra cosa dovrei modificarla…

Per anni, il lavoro al sito ha impegnato tutto il mio scarso tempo libero. Quante notti, quante domeniche, quanti week end gli ho dedicato! Potrei scriverci sopra un libro.
In effetti, le persone che più assiduamente hanno seguito il mio lavoro più volte mi hanno detto: “Perchè non ne fai un libro?” o anche “Perchè non scrivi un articolo su questa esperienza, da pubblicare su una rivista cartacea?”.

Ci ho sempre riso sopra.
Il “mio Proust” l’ho pensato sin dall’inizio per la Rete e da realizzare con il linguaggio della Rete il quale, checchè altri possano pensarne, sono profondamente convinta che sia completamente diverso da quello da utilizzare per un lavoro destinato alla pubblicazione su carta.

Ho sempre cercato — per quanto è possibile farlo sul Web — di tutelare i contributi inviatimi da terzi ma non ho mai messo vincoli di copyright sui miei testi e sulle mie elaborazioni.

So perfettamente che il sito viene abbondantemente “saccheggiato” soprattutto da studenti specialmente quando si avvicinano periodi di esame o di interrogazioni. Ma sono mica solo gli studenti, a saccheggiarlo.
Lo saccheggiano anche distinti accademici e accademiche al di sopra di ogni sospetto. Rubacchiano una citazione qui, un’immaginetta là. Non sanno che queste cose, chi gestisce un sito, ha gli strumenti per accorgersene.

A me, comunque, va bene così e mi limito a ridacchiarci sopra.
Certo, gradisco molto quando chi prende mi scrive due righe per chiedermi il permesso o almeno per informarmi e devo dire che la maggior parte delle persone ha la correttezza di farlo. Ma mi va bene comunque. Se non avessi voluto esser saccheggiata o copiata, meglio avrei fatto a non metter nulla in Rete. E’ una decisione e una scelta che ho fatto a monte e della quale ancora oggi non mi pento.

Non voglio farla troppo lunga, alcune cose però tengo a dirle.

  • Ogni anno pago una cifra per il dominio e per lo spazio webche utilizzo. Oltre questa spesa, ce ne sono altre. Giusto per limitarmi ad una sola voce: libri e riviste che nel tempo ho ritenuto di dovere acquistare per approfondire, per non dare informazioni errate, per non essere troppo generica. Non avendo accesso alle fonti primarie (manoscritti etc.) ed essendo costretta ad utilizzare libri e riviste regolarmente in commercio, sono tanti gli acquisti che ho dovuto fare. La sezione “Proust” occupa ormai quasi un’intera parete di scaffali, nel mio studio.Però nonostante i costi e proprio perchè di questi costi sono consapevole sono molto soddisfatta di non esser mai stata tentata di accettare le proposte che di tanto in tanto mi sono state rivolte di inserire banner pubblicitari.
    Ho sempre detto “Grazie, no”. Anche quando si trattava di banner di tipo “culturale”: portali di libri, case editrici, segnalazioni di librerie antiquarie.Ho sempre tenuto alla mia assoluta autonomia, indipendenza e libertà. Quando ho segnalato un libro, una libreria on line, una pubblicazione, una rivista l’ho fatto sempre di mia iniziativa e seguendo i miei criteri di giudizio. Giusti o sbagliati che fossero.
  • Una grande, bellissima e gratificante sorpresa si sono rivelate per me le reazioni dei francesi.I miei testi sono esclusivamente in italiano. Mi ero ovviamente posta il problema di fare il sito bilingue ma la RTP è talmente sterminata e complessa che ho dovuto rinunciare al francese.
    Affrontare il sito in bilinguismo era impresa decisamente superiore alle mie forze.
    Per questo motivo, ero convinta che i francesi mi avrebbero snobbata o che comunque il mio sito sarebbe passato inosservato. Non solo non è stato così, ma sono ancora oggi stupefatta per la quantità di mail, di gentilezze, di riconoscimenti che mi sono venuti proprio da parte di francesi.
    Con molti dei quali si è poi sviluppato anche un rapporto personale, molti dei quali ho anche incontrato, mi hanno invitata ad iniziative su Proust, mi hanno invitata a casa loro. Non faccio nomi perchè non vorrei tralasciare di citarne qualcuno, ma se mi leggono sapranno bene che parlo di loro.
  • Nell’ Hard Disk del mio computer c’è una cartella (che considero tanto preziosa da averne fatto più di una copia che tengo su altri supporti) in cui conservo tutte le mailche dal ’98 ad oggi mi hanno inviato i visitatori del sito ed appassionati di Proust.Mi ha sempre affascinata e commossa constatare come la passione per l’opera di Proust sia assolutamente trasversale rispetto a collocazione geografica, livello di scolarizzazione, età anagrafica, professioni e mestieri, sesso, appartenenza politica, razze e religioni.Ho ricevuto lettere da professori universitari giapponesi, da parrucchieri romani, da ragazzi brasiliani, avvocati, pasticceri, medici, studenti, casalinghe, parlamentari di destra e di sinistra. Tassisti e ingegneri. Mi hanno scritto da Buenos Aires e da Tokyo, da sperduti paesini siciliani e dagli uffici della Comunità Europea.

    Nella diversità di stile, di contenuti, di richieste, in tutte dico tutte le mail c’è però sempre un comune denominatore. Tutti scrivono infatti:

    “… perchè Proust è come se parlasse di me. Proprio a me. Dice le cose che ho sempre pensato ma che non sono mai riuscito/a a formulare. Mi ha fatto conoscere me stesso/a”.

    Per saperne di più su questa foto
    La foto di Proust dedicata a Céleste Albaret. E’ la mia preferita.

    Il 90% dei miei interlocutori lo chiama “Marcel”.
    Proust è forse l’unico Grande Autore che i suoi lettori chiamano subito per nome.

  • Sul sito c’è una pagina che ho voluto dedicare a tutti coloro che in mille modi hanno contribuito a rendere il sito più ricco, interessante, piacevole. L’elenco di queste persone si trova >>qui. Molti dei loro contributi li trovate invece >>qui. Mi farebbe davvero piacere se andaste a dare un’occhiata a quelle pagine. Se lo meritano.

Non aggiorno il sito dal settembre del 2007. Quasi un anno.
Penso che riprenderò a lavorarci a settembre sicuramente per degli aggiustamenti: correzioni formali, una rinfrescata alle pagine. Cose di ordinaria manutenzione, insomma.
Ma sono molto indecisa sul suo futuro.
Perchè? Certo non perchè io mi sia stufata di Proust, tutt’altro.

Potrei dire che sono stata “distratta” dal blog. Questo è sicuramente vero, ma non è il nodo della questione. I motivi veri della mia indecisione sono altri.

  • Proust mi fa paura.
    L’esperienza di tanti anni mi ha insegnato che quando (ri)comincio a lavorare con Proust vengo immediatamente fagocitata. Proust è totalizzante, è un amante possessivo e geloso, non ammette distrazioni, pretende ci si occupi solo di lui e a tempo pieno. Non lascia spazio a nient’altro. E’ un Maelstrom.
    Stare con Proust è meraviglioso, ma si rischia di fare la fine di Albertine.E’ stato anche per sottrarmi all’abbraccio di Proust che qualche anno fa ho deciso di aprire questo blog, ed è questo il motivo principale per cui ripeto anche ossessivamente che questo blog non ha e non vuole avere un progetto, che in questo blog voglio mettere solo quello che di volta in volta mi va di mettere, seguendo l’estro del momento e l’umore della giornata. I miei Happy Few tutto questo lo sanno, l’hanno capito.

    Perchè io, un progetto sul web ce l’ho già: è il sito di Proust ed è talmente impegnativo che l’idea di riprenderlo in mano da una parte mi attira in modo pazzesco, ne sento il richiamo, la mancanza e la nostalgia. Dall’altro, come dicevo, mi fa paura. Dieci anni fa mi sono gettata nell’impresa in modo assolutamente sconsiderato e incosciente. Ora ho la consapevolezza piena di quello che significa lavorare su Proust.

  • C’è ancora un altro motivo che determina la mia indecisione sul “che fare”. Lavorare ad un sito che abbia Proust e la sua opera come oggetto significa avere la consapevolezza che si tratta di un lavoro infinito.Per la struttura stessa che ho privilegiato (quella ipertestuale) in questo lavoro non c’è e non potrà mai esserci un momento in cui poter mettere la parola “fine”.Il momento della fine non potrà che arrivare sempre e comunque in modo assolutamente brusco ed arbitrario. Il sito non sarà mai “finito”. Potrà sempre e soltanto risultare circolare ed incompiuto.

Questa idea, tutto sommato, non mi dispiace affatto.

Mi piace pensare che non sarebbe spiaciuta nemmeno a Proust. Pardon… volevo dire a Marcel.

LIBRI DA VIAGGIO

Berlino
Lunedi me ne vado anche io.

Come sempre quando sto per andare in un Paese di cui non conosco la lingua, la scelta di quanti e quali libri portarmi mi impegna molto più della scelta del vestiario. Temo di portar troppi libri ma temo soprattutto di portarmene troppo pochi: se finisce la scorta poi che faccio?!
Orrore.
Entro in crisi di astinenza.
In Italia o in Paesi francofoni il problema non esiste. Posso sempre rifornirmi sul posto.
Ma quando sono andata in Ungheria (ah, che meravigliose librerie ci sono, a Budapest! E io che vagavo come una stupida scema analfabeta cercando almeno di godermi le copertine — ho trovato un meraviglioso libro su Marái ma era tutto scritto in ungherese, accidenti a me) oppure adesso che vado a Berlino il problema c'è eccome. Mica posso andarmi a comprare libri in ungherese o in tedesco, ohibò.

—- "Ah, le lingue, le lingue, Signora Mia".
—- "Ma io non le so, le lingue, caro il Mio Signor Alberto. Et amen".

Tornando al dunque. Pensavo di portarmi qualche autore tedesco (mi piace leggere autori del luogo, quando sono in loco), ma la cosa si è rivelata più difficile di quanto pensassi.

Ho escluso (ebbene, si) tutti i classici tipo Goethe, Mann, Fontane, Kleist etc. non solo perchè li ho letti tutti ma soprattutto perchè non ho la minima voglia di rileggerli in viaggio. Soprattuttissimo perchè ho troppo rispetto per questi Autori per portameli in viaggio per la serie: "Mo' fammi distrarre".

Ho di recente (ri)letto Böll e Grass e non ho voglia di rileggere adesso il mitico (sissi, mitico e giustamente mitico. E prima o poi la beccherò, la versione che per la TV tedesca ne fece Rainer Werner Fassbinder e che pare sia una delle sue cose migliori) Berlin Alexanderplatz.

Klaus Mann. Potrei mettere in valigia il buon vecchio Klaus. Why not? Mi sono detta.

Amo alla follia tutto, dico tutto quello che ha scritto Klaus Mann. Ma anche lui. Che me lo porto a Berlino così, in vacanza? Per la serie trullallero trullallà?

No. Decisamente no.

Anche perchè —- diciamoci la verità, gli autori tedeschi sono tutti parecchio impegnativi anche quando vorrebbero far sorridere.

Mi sono messa dunque a cercare qualcosa di molto contemporaneo.
Però (e qui viene il bello) stranamente non sono riuscita a trovare romanzi tedeschi di autori contemporanei che mi invogliassero. Non so se per mia incapacità o sfortuna nella ricerca oppure perchè in effetti la narrativa tedesca attuale non offre moltissimo.

Insomma, la faccenduola (perchè di faccenduola si tratta, nevvero, che ci sono cose più importanti che succedono nel mondo, in questo momento) era diventata tosta davvero.

Altro che guardare le temperature e dover decidere: "mi porto la felpetta o il maglione di lana?" oppure "il Kay Way o un giubbotto più sostanzioso?". Anche perchè felpette, maglioni e giobbotti li posso sempre comprare. Ma i libri? I Libbbbbbri?!?! Andove li compro, i libbbri? Oddio. Panico.

Insomma è andata a finire che nello zaino sto mettendo proprio uno strano miscuglio.

Una ri-ri-lettura: I Vicerè di De Roberto (con questo so di andare sul sicuro, e poi è da tempo che voglio dargli una ripassata), Le gazze ladre di Ken Follett (considero Ken Follett un ottimo professionista, nel suo genere, non mi delude mai e poi questo suo vecchio romanzo  ha a che fare con  la Germania) e Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson (di cui ho sentito e letto ottime cose da parte di gente di cui mi fido).
E poi, ovviamente, ho la mia fidatissima Lonely Planet, che è sempre una garanzia (smile)

TANTO VALE VIVERE – DOROTHY PARKER

Dorothy Parker, foto

I rasoi fanno male,

i fiumi sono umidi,

l’acido macchia,

le droghe danno i crampi,

le pistole sono illegali,

i cappi cedono,

il gas strapuzza…

Tanto vale vivere

Dorothy Parker, la firma

L’ORARIO DELLA VISITA

Paul Morand (il diplomatico che fu anche amico di Marcel Proust) è uno scrittore che mi piace molto soprattutto per il suo stile nervoso, conciso, lapidario; capace di sintetizzare in pochissime righe un ritratto, un’atmosfera, un concetto. Diametralmente opposto a quello di Proust, insomma.

Paul Morand
Paul Morand alla macchina da scrivere nel 1931

Leggendo il suo  Journal d’un attaché d’ambassade, il diario che Morand tenne durante la Grande Guerra dal 1916 al 1917 dopo essere stato trasferito dall’ambasciata francese di Londra all’aministrazione centrale a Parigi come addetto al Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri ad un certo punto mi sono imbattuta in questo passaggio:

“La nuova legge Dalbiez sottopone a nuova visita medica tutti i soldati dei servizi ausiliari e riformati. Vengono convocati anche i ciechi. […] Proust si aspetta di essere convocato; se è di giorno, cosa verosimile, egli non potrà recarsi alla visita, perchè dorme; teme dunque di venire considerato un disertore. Chiede a Lucien Daudet se suo fratello Léon potrebbe ottenere per lui, come favore speciale, una visita medica a mezzanotte”.
(Paul Morand,  Journal d’un attaché d’ambassade – 1916-1917, Gallimard , 1996, pag. 26. La traduz. dal francese è mia)

Nel leggere queste righe ho riso di vero gusto: c’è tutto Proust, in questo aneddoto.

IL PITTORE E LA MODELLA

Pablo Picasso
Ritratto di Gertrude Stein, 1906
New York, Metropolitan Museum of Art

Secondo un celebre aneddoto, una sera, durante una cena nella casa parigina di Gertrude Stein, uno sconosciuto si avvicina a Picasso e indicandogli il quadro appeso alla parete gli chiede: “E’ Gertrude Stein?”
“Si”
“Non le rassomiglia…”
Picasso si stringe nelle spalle: “Non importa: è lei che finirà per assomigliargli”.

Gertrude Stein seduta di fronte al ritratto eseguito da Picasso
Foto di Man Ray, 1922-23, Archivio G.B. Brambilla.
Dal sito CulturaGay.it
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