Winfried George SEBALD, Storia naturale della distruzione (tit. orig. Luftkrieg und Literatur), traduz. di Ada Vigliani, p.150, Adelphi, Collana Biblioteca Adelphi, ISBN 9788845919237
Alla fine della guerra, tra il 1943 e il 1945, oltre un milione di tonnellate di bombe inglesi ed americane piovvero — nel corso di quattrocentomila incursioni — su centotrentuno città tedesche provocando seicentomila morti fra i civili e sette milioni di senzatetto.
Berlino, Dresda, Amburgo, Colonia, Monaco — solo per citarne alcune, di quelle città — bruciavano in roghi apocalittici e vennero ridotte a cumuli di macerie. “E’ difficile” scrive Sebald “riuscire oggi a farsi un’idea anche solo vagamente adeguata” di quell’immane devastazione “e più difficile ancora riflettere sull’orrore che accompagnò tale devastazione”.
Eppure, quasi nulla di tutto questo compare dalle pagine della narrativa tedesca del dopoguerra.
Perchè nella letteratura tedesca dell’immediato dopoguerra la distruzione delle città tedesche operata dalle forze aeree inglesi ed americane è pressocchè assente?
“Sembra proprio che in quegli anni […] nessuno fra gli scrittori tedeschi volesse o sapesse mettere per iscritto qualcosa di concreto sul decorso e le conseguenze di quella lunghissima, immane campagna di annientamento.”
La tesi secondo cui la distruzione delle città tedesche non aveva trovato posto nella coscienza della nazione che andava costituendosi ex novo è il tema principale delle conferenze tenute da Sebald a Zurigo nel 1997 sul tema “Guerra aerea e letteratura” contenute nel volume Adelphi.
I testi originali sono corredati da un successivo approfondimento ed elaborazione e da un saggio molto critico (direi proprio al vetriolo) sullo scrittore Alfred Andersch che procurò a Sebald molti attacchi da parte dell’intellighentia tedesca dell’epoca.
Il titolo della raccolta deriva dal titolo di un articolo che sul bombardamento di Colonia avrebbe dovuto essere scritto da Solly Zuckermann, appena rientrato dalla Germania, per la rivista londinese Horizon.
“Se le generazioni del dopoguerra volessero limitarsi alle testimonianze degli scrittori, troverebbero difficoltà a farsi un’idea dello svolgimento, dell’estensione, della natura e delle conseguenze che assunse la catastrofe abbattutasi sulla Germania”.
Sebald indica una sola eccezione significativa: il romanzo di Heinrich Böll L’angelo tacque (Der Engel schwieg).
Per il resto, “Siamo stati finora incapaci di far emergere gli orrori della guerra aerea nella coscienza collettiva attraverso raffigurazioni storiche o letterarie” (p.95)
Un grande tabù ha gravato per decenni sul tema della distruzione fisica e morale delle più grandi città tedesche, i tedeschi vennero colti da una vera e propria amnesia individuale e collettiva. La Germania mostrò “un’incredibile bravura nell’anestetizzare sè stessa” (p.24), nell’allestire una continua strategia di evitamento ed un “meccanismo di rimozione perfettamente funzionante” (p.24).
Al bisogno di sapere si opponeva la tendenza a chiudere occhi ed orecchie e gli stessi scampati alla catastrofe, dice Sebald, erano “testimoni inaffidabili colpiti da parziale cecità” (p.35)
La tesi di Sebald è che sia stata la “consapevolezza del proprio disonore”, unito a “un senso di sfida nei confronti dei vincitori” a spingere a “tacere e volgere gli occhi altrove” determinando un mutismo quasi assoluto ed il ripiegamento in sè stessi.
“…Forse fu proprio […] perchè noi stessi ci sentivamo in qualche modo complici — che nessuno, nemmeno gli scrittori incaricati di conservare la memoria collettiva della nazione, si riconobbe in diritto, più tardi, di richiamare alla nostra mente immagini così ignominiose come quelle, ad esempio, del Mercato vecchio di Dresda dove, nel febbraio del 1945, 6865 cadaveri furono bruciati sui roghi da un commando delle SS che aveva fatto le sue esperienze a Treblinka” (p.98)
La stessa colossale impresa, iniziata subito, della ricostruzione, il grande lavoro che richiese assolse di fatto (anche) alla funzione di impedire fin dal principio “che si volgesse lo sguardo al passato e, orientando la popolazione esclusivamente verso il futuro la costrinse a tacere su quanto aveva vissuto“ (p.22).
La lettura di Storia naturale della distruzione ha rappresentato per me un’esperienza importante. Questo libro (che ho divorato in un giorno) mi ha fatto conoscere eventi e riflettere su alcuni aspetti della drammatica storia della Germania e del ruolo che la sua letteratura hanno avuto nella memoria collettiva di quel travagliato paese, su tante cose su cui non mi ero mai soffermata a pensare.
Un libro che mi ha offerto anche una eccezionale ulteriore chiave per la comprensione delle opere narrative dello stesso Sebald da me lette sin’ora.
Adesso credo di poter capire molto meglio il perchè del suo costante scavare sul tema della memoria, del passato, sul valore del ricordo, sull’importanza degli scritti, delle fotografie, dei segni concreti del trascorrere del Tempo.
Nelle foto: Dresda dopo i bombardamenti, nel 1945.
Sull’immediato dopoguerra in Germania ho apprezzato molto “E non disse nemmeno una parola” di Boll. Leggendo certe pagine del romanzo sembra proprio di sentirlo il tanfo della miseria.
MisterSil
MisterSil
ho letto molto di Boll, ma non questi due (“L’Angelo tacque” e “E non disse nemmeno una parola”), che sono però nella mia lista di attesa.
Il fatto è che ogni tanto mi rendo conto che leggo sin troppi libri tristi e tragici ed allora cerco anche di … come posso dire… difendermi? dilazionando…
Per quanto riguarda Sebald, da quello che ho capito lui si riferisce non tanto e non solo ad un generico “dopoguerra” , ma proprio agli effetti dei bombardamenti nel momento in cui avvenivano.
Per esempio, ad un certo punto nota che “le città tedesche in fiamme non [sono] mai state descritte da nessuno, diversamente da quanto è accaduto per l’incendio di Londra o quello di Mosca” e ricorda Chateaubriand e Tolstoj.
Lui stesso descrive scene tremende di cui non ci sono molte tracce, nella letteratura (ma, ora che ci penso, nemmeno nelle arti figurative o nel cinema).
sono una pessima viaggiatrice, una di quelle che si lamenta perché non le piace abbandonare i suoi riti quotidiani che possono consumarsi, in quanto riti, solo e sempre nello stesso luogo, casa mia. ma viaggio comunque, perché in ogni viaggio, tra i miei malumori, ci sono sempre quegli istanti (almeno uno, e ripaga di qualunque disagio) in cui mi sembra di cogliere davvero lo spirito del luogo e conosco poche emozioni più forti di questa.
però ho ricordi sempre confusi dei miei vagabondaggi, confondo piazze e chiese, e non ricordo più se quella splendida spiaggia mangiata dall’alta marea fosse in bretagna o in irlanda; ricordo però i profumi delle alghe e i gabbiani che mi facevano ombra con le ali sul viso. e ricordo anche la kaiser-wilhelm-gedächtniskirche a berlino, distrutta dai bombardamenti alleati nel 43 e mantenuta tale proprio a monito dell’orrore della guerra, visitata di sera e soffusa di una splendida luce bluastra.
grazie per aver risvegliato questo bel frammento di passato dentro di me!
Anonima #3
Ti riferisci a quella che i berlinesi chiamano affettuosamente “il dente cariato” …
Hai ragione, la luce dell’ alba e del tramonto la rendono ancora più struggente.
E poi, trovo bellissimo quell’accostamento del rudere e della costruzione moderna
Berlino è una città che mi ha impressionata moltissimo, da tanti punti di vista. Ma credo che questo i frequentatori di questo blog l’abbiano ormai abbondantemente compreso 0__=
Ciao e grazie 🙂
mi ero dimenticata di firmarmi, sono l’alessia che ti ha scritto ringraziandoti per il post su La porta e anche la pigra e malmostosa viaggiatrice. berlino è una città che ha colpito tanto anche me, un luogo dove mi sono sentita stranamente a casa, come mi capita assai di rado.
è sempre un piacere leggerti, buona serata.
“Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli. E gli uccelli cosa dicono? Tutto quello che c’è da dire su un massacro, cose come puu-tii-uiit?” questo scrisse Vonnegut sul bombardamento di Dresda. Argomento interessante questo tuo post…molto interessante… dovrò segnare questo libro.L’amnensia individuale e collettiva di cui Sebald parla, la ritrovo in quel muro che Uwe Timm cerca di rompere in “Come mio fratello”… quel “non sapevamo niente” scritto tante volte da Timm sembra una frase da amnesia… una rimozione fatta per vergogna? Argomento interessante…
Proprio qualche mese fa avevo “sorvolato” Dresda con LiveSearchMaps, proprio per farmi una (vaga) idea dell’aspetto della città ricostruita: e’ stato condotto un lavoro di rifacimento maniacale di alcune pregevolissime architetture barocche… che si riconoscono subito… ma buona parte della città autentica è definitivamente andata perduta, come si vede appunto dalle terribili fotografie delle rovine lasciate dai bombardamenti, e non è stata recuperata… come invece (da quanto ne so) è accaduto a Varsavia – sulla quale, tra l’altro, esiste una “Guida Impossibile” di FMR, che la descrive prima delle distruzioni belliche… peccato però per il prezzo “impossibile” del libro…
Questo post mi ha spinto a chiedermi dove e come fossero stati preservati i bellissimi Correggio conservati a Dresda… per non parlare dell’adorabile “Madonna Sistina” di Raffaello… Voglio provare a cercare informazioni… mumble…
Proprio l’altro giorno ho visto in libreria uno splendido libro – in tedesco – sulla Berlino distrutta e ricostruita… non ho controllato… ma credo che sia lo stesso volume sul quale avevi scritto un post al ritorno dal tuo bellissimo soggiorno berlinese…
paperis/Alessia
La stessa identica sensazione l’ho avuta io, che strano.
talpastizzosa
Di Vonnegut sapevo. Non ho invece ancora letto nulla di Uwe Tim (ma è in lista di attesa) e queste tue considerazioni mi incuriosiscono parecchio
Oyrad
Spero proprio di andarci questa estate, a Dresda e Lipsia…
Sai che c’è un librino piccolo piccolo (appena 48 pagine) ma molto importante di Grossman intitolato proprio “Madonna Sistina” in cui questo dipinto accompagna le sue riflessioni su Treblinka e i gulag stalinisti?
Tra l’altro, tutte le citazioni di Grossman che Todorov mette in epigrafe ai singoli capitoli del suo libro “Memoria del male, tentazione del bene” sono tutte prese proprio da questo testo di Grossman…
In italiano si trova con il titolo La Madonna a Treblinka
http://tinyurl.com/d867ze
Quanti collegameni, quanti rimandi, quanti rimbalzi, quanti specchi…
Anch’io evitavo i drammi ma hai visto quanto siano benefici alcuni? Per me Sebald è il nuovo modo di scrivere, è romanzo inchiesta saggio, ti smuove, ti fa pensare riflettere,
mi domando: la Germania fin quando reggerà senza elaborare il suo passato? no è quello che in fondo si domanda anche Sebald? o la Germania prova proprio che si può? e ricostruirla ostinata e instancabilmente è stata la cura?
LilianaRosa, che piacere rivederti!
Sebald tenne queste conferenze nel 1997, da allora sono trascorsi più di dieci anni.
Io non sono certo nelle condizioni di sapere se e quanto, durante questi anni, le cose siano cambiate, in Germania.
Credo però, da quello che mi sembra di poter cogliere da libri e forse soprattutto dai film, in questo momento, che a poco poco, faticosamente e dolorosamente (non potrebbe d’altra parte che esser così) il tentativo di (ri)elaborazione del passato lo si stia facendo.
E’ molto triste, per me lo è stato, scoprire che uno, o forse il primo teorico della guerra aerea di annientamento dei centri civili, è un italiano; il generale Giulio Douhet, di cui Wikipedia riporta alcuni brani del suo libro fondamentale, letto e studiato in tutte le principali biblioteche militari del mondo occidentale, ed evidentemente messo in pratica senza remore.
In quegli anni si formula il principio che dal punto di vista bellico è più efficiente colpire e distruggere obiettivi civili che accanirsi su bersagli militari:
« Basta immaginare ciò che accadrebbe, fra la popolazione civile dei centri abitati, quando si diffondesse la notizia che i centri presi di mira dal nemico vengono completamente distrutti, senza lasciare scampo ad alcuno. I bersagli delle offese aeree saranno quindi, in genere, superfici di determinate estensioni sulle quali esistano fabbricati normali, abitazioni, stabilimenti ecc. ed una determinata popolazione. Per distruggere tali bersagli occorre impiegare i tre tipi di bombe: esplodenti, incendiarie e velenose, proporzionandole convenientemente. Le esplosive servono per produrre le prime rovine, le incendiarie per determinare i focolari di incendio, le velenose per impedire che gli incendi vengano domati dall’opera di alcuno. L’azione venefica deve essere tale da permanere per lungo tempo, per giornate intere, e ciò può ottenersi sia mediante la qualità dei materiali impiegati, sia impiegando proiettili con spolette variamente ritardate.
…
Immaginiamoci una grande città che, in pochi minuti, veda la sua parte centrale, per un raggio di 250 metri all’incirca, colpita da una massa di proiettili del peso complessivo di una ventina di tonnellate: qualche esplosione, qualche principio d’incendio, gas venefici che uccidono ed impediscono di avvicinarsi alla zona colpita: poi gli incendi che si sviluppano, il veleno che permane; passano le ore, passa la notte, sempre più divampano gli incendi, mentre il veleno filtra ed allarga la sua azione. La vita della città è sospesa; se attraverso ad essa passa qualche grossa arteria stradale, il passaggio è sospeso. »
(Gen. Giulio Douhet, Il dominio dell’aria, Verona, 1932)
toporififi
Grazie per il tuo contributo, anche se certo nemmeno a me ha fatto piacere leggere questa “perla” che riporti, e che non conoscevo neanche io.
Non credo ci sia bisogno di altre parole, oltre le tue.
Posso solo aggiungere e ricordare che Todorov dedica parecchie pagine alla nefanda pratica del massacro dei civili nelle guerre moderne, pratica che purtroppo è diventata cosa “normale” anche se viene spesso camuffata con le parole “effetti collaterali”.
Ciao 🙂
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