BREVIARIO DEI POLITICI

Luigi XIV Rossellini

Mi è capitato proprio in questi giorni tra le mani un libriccino dal titolo Breviario dei politici secondo il Cardinale Mazzarino” con una bella introduzione del grande francesista   (e da me amatissimo) Giovanni Macchia.
Per la precisione, il titolo esatto del librino è

EPILOGO DE’ DOGMI POLITICI
secondo i dettami rimastine
dal Cardinal Mazzarino
Dal Latino nell’Italiano idioma
trasportati ultimamente

Il Cardinal Mazzarino (o Mazarino), dopo essersi arricchito in vita, essere diventato l’uomo più potente di Francia, averne fatte di tutti i colori, esser stato (si dice) l’amante di Anna d’Austria morì però rimpianto ed assistito sul letto di morte da colui che sarebbe diventato il Re Sole e che lo stesso Mazzarino aveva contribuito ad educare per diventar tale.

Per inciso: fece anche di tutto per favorire le sue graziose giovani nipotine Geronima e Laura Margherita Mancini riuscendo a farle maritare con eccellenti partiti, eredi di famiglie tra le più antiche ed aristocratiche di Francia.

Rendiamoci conto: a quei tempi non era possibile favorire nipotine e/o avvenenti fanciulle in altro modo, assegnando loro — chessò, tanto per dirne una — un Ministero o almeno un seggio in Parlamento.

… Dunque me ne stavo tranquilla con in una mano questo Breviario spulciando qua e là massime del tipo :

Chi loda le sue cose in altrui presenza invita gli uditori a dimandargliene”

“Bisogna nell’encomiare, o biasimare altrui, non isfogar in troppe esaggerazioni; ma darne il tuo giudizio secondochè richiede la materia; per non rendersi cola troppa veemenza e calore, odioso”

“Leggi o non bisogna pubblicarne affatto, o rarissime”

“Non profferir mai parola disdicevole; poco meno lasciati indurre a qualche atto indecente, ancorchè naturale, e non già malizioso, perchè costoro vengono scherniti dagli altri”.

Mazzarino non fu certo uno stinco di santo,  mi dicevo.

Stinco di santo   certamente      fu  nemmeno  (figuriamoci!)  Luigi XIV.

Di fronte   però a personaggi di quella statura politica    m’è venuto di pensare  a certi politici nostrani ed in particolare a “quelo”, che si crede Napoleone e Luigi XIV insieme ed allora…  e chissà perchè  m’ha preso  un attacco  di  scoramento.

  • Il il Breviario del Cardinal Mazzarino si può scaricare e leggere >> qui
  • Chi invece preferisse il volume tradizionale (io, confesso, sono tra questi) lo può trovare >> qui

Nell’immagine in alto, Jean Marie Patte (Luigi XIV) e Giulio Cesare Silvagni (Mazzarino) nel film di Roberto Rossellini del 1966  La presa del potere da parte di Luigi XIV   del quale avevo parlato >> qui

IL SUDDITO – HEINRICH MANN

Heinrich Mann Il suddito
Heinrich MANN, Il suddito (tit.orig. Der Untertan), traduz. di Clara Bovero, Prefazione di Luigi Forte, Revisione di Fabrizio Cicoria, p. 530, UTET Collana Letteratura Linguistica, 2009, ISBN 9788802080932

Heinrich Mann, fratello maggiore  di Thomas, nato a Lubecca nel 1871, autore di importanti romanzi tra i quali Professor Unrat (da cui venne tratto il celeberrimo film L’angelo azzurro interpretato da Marlene Dietrich), La piccola città e morto esule in America, dove si era rifugiato all’avvento del nazismo per sfuggire alle persecuzioni hitleriane scrisse Il suddito tra il 1912 e il 1914.

La vicenda del libro fu molto travagliata perchè nel 1914 la guerra era alle porte e l’editore decise di bloccarne la pubblicazione. Il romanzo venne poi dato finalmente alle stampe soltanto nel 1918.

Il suddito, tagliente parodia del servilismo nei confronti del potere da parte del cittadino medio, splendido ritratto del grigiore borghese pronto a trasformarsi in ottusità, pochezza culturale e odio nei confronti dell'”altro” è oggi di nuovo in libreria grazie a Utet.

Operazione editoriale meritoria, perchè Il suddito è un libro importante ed attualissimo.

Il romanzo racconta le vicende del protagonista Diederich Hessling sin dall’infanzia scandita dalle frustate del padre che applica in famiglia la rigida disciplina prussiana e dalla scuola in cui i bambini vengono obbligati ad imparare a memoria lunghi elenchi di date storiche che ripetono senza capirne il senso.

Seguiamo poi Deiderich quando da Netzig, la piccola cittadina natale, si trasferisce a Berlino dove oltre che iscriversi all’università entra a far parte dell’associazione studentesca “Nuova Teutonia”, lo vediamo imparare a battersi in duello per questioni d’onore, trascorrere ore in birreria in compagnia dei suoi camerati, cosa che lo fa sentire importante e gli fa provare un delizioso senso di deresponsabilizzazione e di appartenenza:

“La birra! L’alcol! Si stava seduti, si poteva averne sempre di più […] era cordiale e fedele. Con la birra non occorreva agire, non occorreva volere e conquistare qualcosa, come con le donne. Tutto veniva da sé. Si inghiottiva: e già si era riusciti a qualcosa, ci si sentiva trasportati sulle vette della vita, si era liberi, interiormente liberi” 

“Egli personalmente non era che un uomo, cioè nulla; tutti i suoi diritti, tutta la sua autorità e la sua importanza gli venivano dall’associazione. Anche fisicamente le doveva tutto: il largo faccione bianco, la pancia che gli assicurava il rispetto delle matricole, il privilegio di comparire alle solennità in stivali alti, con nastro e berretto, il possesso dell’uniforme! Certo, doveva pur sempre cedere il passo a un tenente, perchè il corpo cui questo apparteneva era evidentemente più elevato; ma almeno con un tranviere poteva trattare senza paura, senza il pericolo di doverne subire i rabbuffi”

Durante gli studi ha una relazione amorosa ed intima con Agnes Göpel, una figlia di un collega del padre. La seduce, la maltratta: e quando il povero padre di lei gli chiede di fare il suo dovere sposandola, egli risponde…

“Il mio senso morale mi proibisce di sposare una ragazza che non si porti in dote la sua verginità”.

Tornato a Netzig, nella città natale, diventa capo dell’azienda di famiglia dopo la morte del padre e comincia la sua scalata al potere.

Der Untertan

Trovandosi a Zurigo in viaggio di nozze (con la donna che ha sposato soprattutto per i suoi soldi, ovviamente) viene a sapere che l’Imperatore compie un viaggio in Italia; allora Diederich vi si precipita, e a Roma lo segue fedelmente, in un delirio patriottico “tenuto su” da buone bevute di vino.

Der Untertan

L’imperatore se lo trova davanti tutte le volte che esce per la strada con il suo seguito, Diederich lo segue ovunque, urlante, festante, estatico davanti alla più alta incarnazione del Potere:

“E l’imperatore volgeva la testa sorridendo. Lo riconosceva, il suo suddito! il suo suddito urlante, che c’era sempre, come una mignatta. Scattante d’entusiamo per l’attenzione dimostratagli dal sovrano, Diederich fulminava con lo sguardo i visi benevoli e allegri della folla” .

Il tocco finale alla sua ascesa è la realizzazione – anch’essa ottenuta grazie alla corruzione e al compromesso – di un grande monumento a Guglielmo II, a Netzig.

A lui spetta fare il discorso inaugurale. Le grandi risorse della retorica patriottica sono ovviamente sfruttate al massimo…

Der Untertan

“Noi siamo il fiore delle nazioni, segno di una grandezza raggiunta per la prima volta dalla civiltà germanica, civiltà di dominatori… I senza patria, i nemici dell’ordine universale instaurato da Dio, che vogliono sovvertire l’ordine del nostro stato, siano estirpati fin dalle radici, perché quando saremo chiamati all’appello celeste, ognuno di noi possa comparire davanti al suo Dio e al suo vecchio imperatore con la coscienza netta…”

Il romanzo si chiude con questa cerimonia e con una scena che è un vero grande colpo da maestro, da parte di Heinrich Mann.

Raramente ho incontrato in un romanzo un protagonista più antipatico, abietto e repellente di questo Diederich Hessling.

Ma, letterariamente parlando, mi ha interessata enormemente.

Perchè la storia di questo personaggio inventato da Heinrich Mann aiuta a capire le radici storiche del nazismo: ci fa vedere come le sue premesse fossero già contenute nella Germania del “cancelliere di ferro”, nell’imperialismo di Guglielmo II e dell’oligarchia industriale costituitasi durante gli ultimi decenni del secolo XIX, nell’alleanza stretta tra alta borghesia e Junkers prussiani, nell’ideologia reazionaria del pangermanesimo, dell’odio di razza e di classe.

Il protagonista Diederich Hessling è dominato dalla paura in tutte le situazioni e in tutto ciò che fa. Impara da ragazzo che deve servire al potere se vuole avere potere egli stesso.

E’ un essere allo stesso tempo ambizioso e pusillanime, esaltato ed arido, mediocre e senza scrupoli.

Il “suddito” per eccellenza.

Un impasto di zelo, invidia e paranoia, un uomo la cui esistenza si riduce a denunciare i suoi nemici e ad abbattere i suoi concorrenti. Le sue passioni per il denaro e per l’ascesa sociale lo portano a commettere le bassezze peggiori, lo spingono perfino a riconoscere la propria mediocrità e a sopportare ogni genere di umiliazioni se queste arrivano da qualcuno più potente di lui.

La sua inclinazione ai sotterfugi, ai colpi bassi gli viene dall’infanzia, non esita un attimo a spezzare il cuore di una ragazza troppo sentimentale e che è innamorata di lui, a farsi riformare dal servizio militare inventandosi un incidente ed implorando un medico amico di famiglia di  fornirgli il certificato che potrà consentirgli di lasciare il servizio militare. Salvo poi, anni dopo, colpire alle spalle, denigrandolo, quello stesso medico che lo aveva aiutato.

La rievocazione dell’ambiente della società tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento è straordinaria. Ci sono scene al tempo stesso crudeli e nauseabonde che arrivano al grottesco. L’ammirazione di Diederich per il suo imperatore ha tutte le caratteristiche dell’ossessione e della schizofrenia.

Hessling, nato “suddito”, è patologicamente alla continua ricerca di prepotenze ed umiliazioni tanto da subire quanto da esercitare.

Prototipo del borghese filisteo della Germania Guglielmina, debole verso i potenti, prepotente verso i deboli, razzista,  misogino, gonfio di boria teutonica, Diederich presenta tutte le caratteristiche che ne fanno il diretto antenato di quello che sarà il perfetto nazista.

Heinrich Mann, fratello maggiore di Thomas, scrisse questo libro dal 1912 al 1914, ma pare ci pensasse già fin dal 1906.

In esso c’è, in germe, tutta l’inumana crudeltà di un secolo ideologizzato e totalitario, che viene rappresentato attraverso la descrizione di una élite rapace, fanatizzata ed avida di potere che fiorisce in un mondo in cui la ragione non appare più che come manifestazione di debolezza ed ha perduto il suo potere.

Lo stile del romanzo è la risata sarcastica ed espressionista, l’alternativa dell’artista alla disperazione. I fascismi e gli altri totalitarismi che gli anni a venire vedranno avanzare prepotentemente daranno il via libera all’arbitrarietà ed all’inumanità.

Ma al di là dello stile di scrittura, comunque notevole e perfettamente funzionale al messaggio che l’autore intende consegnare ai suoi lettori, è il contenuto che qui si impone, e la straordinaria, stupefacente preveggenza di Heinrich Mann che scrisse questo romanzo nel 1914, quando ancora persino la Repubblica di Weimar era di là da venire!

Diederich, questo eroe negativo, è un uomo che, nonostante in possesso di una laurea è sostanzialmente un uomo incolto, senza carattere e infarcito di tutti i pregiudizi del tempo. Ha il culto viscerale dell’impero e dell’imperatore (ma viene da pensare che un Lenin o un Hitler avrebbero egualmente fatto al caso suo, perchè il culto di Diederich è il potere in quanto tale), culto esercitato senza alcuna riflessione critica ed appellandosi al quale giustifica ai suoi occhi ed, ahinoi anche troppo spesso a quelli degli altri ogni suo pensiero, ogni sua azione.

Diederich non ha mai un ripensamento, è graniticamente certo di essere sempre dalla parte della ragione perchè lui è “illuminato” dalla verità.

Intrallazzi di ogni tipo, storie di donne, bassezze, truffe, tradimento dei parenti e di coloro che lo hanno aiutato, strumentalizzazione della madre e delle sue due sorelle, disprezzo per gli uomini, tutto, assolutamente tutto è giusto e morale perchè deriva dalla sua fede che egli proclama alto e forte nei confronti dell’imperatore e di Dio, perchè lui “è un buon, vero tedesco”.

Il ritornello del “vero, buon tedesco” ritorna ossessivamente sulle sue labbra a giustificare ogni nefandezza.

Il suo obiettivo è quello di arricchirsi, ottenere il potere, farsi eleggere deputato, venire decorato e per raggiungerlo non risparmia sforzi e intrighi di ogni genere.

Questo yes man prussiano, questo suddito nato vive della sua ideologica menzogna in un mondo che non può più o non vuole più ricordargli che è semplicemente una carogna ed un bastardo.

Quello di Heinrich Mann è un pessimismo premonitore che si rinforza con la constatazione del crescente degrado dei due pilastri su cui si fonda la società tedesca del tempo: una borghesia liberale e ragionevole che non riesce a svolgere la sua funzione di contrappeso ed un sindacalismo avido di potere ed anch’esso convinto cche la “giusta” causa giustifichi tradimenti e compromessi che dovrebbero essere ritenuti inaccettabili.

Leggendo oggi questo romanzo, noi lettori sappiamo bene che purtroppo, dopo la caduta dell’impero prussiano, il fosco scenario descritto da Heinrich Mann non solo si realizzò in pieno, ma andò ben oltre le tetre previsioni dell’autore.

Un libro superbo ed attualissimo, la cui lettura fa a tratti correre un brivido lungo la schiena perchè Il suddito spinge il lettore di oggi a riflettere non solo sulla storia di ieri, ma anche su quella presente e costringe ad interrogarsi sulla possibilità che ciascuno di noi ha di prevedere e modificare il corso degli eventi storici.

Da non perdere l’eccellente prefazione di Luigi Forte.

Heinrich Mann
Heinrich Mann
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  • Il libro >>

Dal romanzo di Heinrich Mann nel 1951 venne realizzato il film tedesco Der Untertan diretto da Wolfgang Staudte in cui il protagonista Diederich Essling era interpretato da Werner Peters.
La foto di copertina del volume UTET e le immagini che ho inserito nel post sono tratte dal film.

Come si può vedere dalla scheda su imdb il film non è mai arrivato sugli schermi italiani.

Stralci su YouTube >> qui, >> qui e >> qui

Sono in tedesco, ma anche se come me non si conosce questa lingua vale egualmente la pena guardarli per la fotografia, la ricostruzione dell’ambiente, per l’ottima caratterizzazione del personaggio di Hessling fornita da Peters.

Der Untertan (locandina film)

LA BESTIA UMANA – FRITZ LANG (1954)

Glenn Ford

Quando un film è tratto da un romanzo, mi interessa vedere come un regista “legge”, “interpreta” il testo narrativo al quale si ispira.

La cosa diventa ancora più interessante quando i film che fanno riferimento ad un romanzo famoso sono più di uno e quando ci si trova davanti all’opera di grandi registi che per storia personale, stile di direzione, radici culturali sono molto diversi tra loro.

E’ per questo motivo che torno a parlare del romanzo di Émile Zola La bête humaine: da esso, oltre al bellissimo film di Jean Renoir del 1938 che nell’originale francese manteneva lo stesso titolo del romanzo e del quale ho già parlato >>> qui venne tratto nel 1954 un altro film diretto, questa volta, dal grande regista tedesco Fritz Lang (Metropolis, M il mostro di Düsseldorf, Il testamento del dottor Mabuse…) .

Non è inutile riassumere la trama del film di Lang, perchè già da essa si può cogliere la radicale differenza di impostazione sia con il film di Renoir (del quale non è un semplice remake) e la singolare interpretazione che viene data al testo originale di Zola.

Jeff Warren (Glenn Ford), appena tornato dalla guerra di Corea, riprende il suo servizio come conducente di locomotive.

Glenn Ford Edgar Buchanan

Il suo collega Carl Buckley (Broderick Crawford) è sposato con Vicky (Gloria Grahame), una donna bella e molto più giovane di lui.

Broderick Crawford

Uomo litigioso e violento, Carl è stato licenziato e chiede alla moglie Vicky di intercedere per lui presso Owens (Grandon Rhodes), un personaggio influente, per ottenere di venire reintegrato nel suo posto di lavoro.

Broderick Crawford Gloria Grahame

Ma Carl, gelosissimo, si rende presto conto che per fargli riottenere il posto sua moglie si è dovuta mostrare sin troppo compiacente, con Owens.

Dopo una lite tremenda con Vicky, la costringe a scrivere ad Owens un biglietto in cui gli dà appuntamento sul treno.

Gloria Grahame
Broderick Crawford Gloria Grahame

Owens cade nella trappola, ed appena il treno si mette in movimento viene raggiunto nello scompartimento privato in cui Carl Buckley lo accoltella, alla presenza della moglie.

Human desire

Anche Jeff si trova sul treno — questa volta come semplice viaggiatore — ha visto la coppia e con la sua testimonianza potrebbe smascherare l’assassino. Ma non lo fa, perchè si innamora di Vicky.

Gloria Grahame Glenn Ford

Buckley e la moglie perciò, grazie al silenzio di Jeff, non vengono nemmeno sospettati.

Ma presto Vicky comincia a mostrare insofferenza, dice sempre più insistentemente di non riuscire più a vivere con il marito il quale, oltre ad essere un assassino, si ubriaca di continuo, è sempre stato violento con lei e durante i suoi attacchi di gelosia l’ha più volte picchiata.

Gloria Grahame Glenn Ford

Alla richiesta di Jeff di lasciare il marito e di andare via con lui Vicky gli rivela che non le è possibile farlo perchè Carl la tiene legata con il biglietto da lei scritto ad Owen, e che proverebbe la sua complicità nell’omicidio.

Vicky non ha più che una sola idea fissa: sbarazzarsi del marito, e chiede a Jeff di ucciderlo. Davanti alle resistenze di Jeff ad un certo punto gli dice: “Tu sei stato in guerra, sei abituato ad uccidere” e si stupisce quando Jeff le risponde:Ma non è la stessa cosa colpire un altro militare in un’azione di guerra e uccidere a sangue freddo un poveraccio inerme ed indifeso”.

Gloria Grahame Glenn Ford

Innamorato di Vicky, ad un certo punto Jeff comunque cede ed acconsente ad uccidere Carl Buckley.

All’ultimo momento però comprende che la passione per Vicky che lo spinge all’omicidio sarà la sua rovina. Si limita perciò a stordire Buckley approfittando di un momento in cui questi è ubriaco e sottrargli il biglietto fatale che riconsegna a Vicky.

Human desire-Fritz Lang

Subito dopo però abbandona la donna riuscendo così a sottrarsi a questa attrazione che avrebbe potuto essergli fatale.

Nell’ultima scena del film, che si svolge ancora una volta in treno, Carl Buckley raggiunge Vicky che vuole comunque partire abbandonandolo e, folle di rabbia e di gelosia la strangola.

Broderick Crawford

Anche questa volta sul treno c’è pure Jeff.
Ma adesso è nella cabina alla testa del treno alla guida della locomotiva e le ultime inquadrature ce lo mostrano con il volto di un uomo che ha riacquistato la serenità.

Con Human desire è la seconda volta, dopo La strada scarlatta (Scarlet Street) del 1946 che Lang dirige in America un film già realizzato, in Francia, da Jean Renoir.

Ma le differenze tra i due film sono profonde: La Bête humaine di Renoir era un film molto sensuale grazie alla favolosa coppia Jean Gabin – Simone Simon e denunciava lo sfruttamento della classe operaia. Nell’opera di Lang, che non a caso si intitola, nell’originale americano, Human desire, i rapporti tra Glenn Ford e Gloria Grahame sono molto più crudi, si intuisce che sono basati soprattutto sul sesso.

La loro crudezza corrisponde al rigore della scenografia.

Per Lang, l’essere umano è doppio: le ombre zebrate di una tenda sezionano il viso ed il corpo di Vicky-Grahame.

Gloria Grahame

L’ombra dei tralicci metallici del capannone della stazione dove di notte si incontrano Vicky e Jeff taglia in due la coppia degli amanti.

Il condizionamento sociale e soprattutto l’atavismo (tema caro a Zola) è concentrato tutto nella figura di Buckley (Broderick Crawford), un uomo che non ragiona, che agisce solo perchè spinto dalle sue pulsioni e che in definitiva è l’unica “bestia umana” della storia narrata da Lang.

Broderick Crawford
Broderick Crawford

Facendo di Buckley un uomo completamente privo di quel libero arbitrio che consente invece a Jeff – Glenn Ford di sottrarsi al fascino di Vicky, di troncare la relazione con lei e di non diventare un omicida Lang stravolge completamente l’intreccio del romanzo di Zola ma, io credo, non ne stravolge il senso profondo.

Concentrando (e spostando) la forza delle pulsioni “bestiali” nel personaggio di Buckley piuttosto che in quello di Jeff (che nel romanzo di Zola era il macchinista Jacques Lantier) Lang non fa che esasperare espressionisticamente quello che era il feroce messaggio di Zola: l’uomo è condizionato dall’atavismo.

Qualche curiosità riguardo al cast: sembra che Fritz Lang abbia fatto  l’impossibile per ottenere che il ruolo di Buckley venisse interpretato da Peter Lorre, lo straordinario interprete di M, il mostro di Düsseldorf uno dei suoi film più famosi. Lorre però si rifiutò perchè era stato talmente strapazzato dal regista durante la lavorazione di M che era fermamente deciso a non ripetere l’esperienza…

In quanto al ruolo di Vicky, si era in un primo tempo pensato a Rita Hayworth ma poi il ruolo venne affidato a Gloria Grahame.

Piccola nota a margine a proposito dei titoli italiani: è bizzarro, a me sembra, che mentre il titolo originale La bête humaine del film di Renoir è stato tradotto in italiano con quell’assurdo L’angelo del male, il film di Lang invece, che si intitola Human desire , titolo che gli stessi francesi hanno rispettato traducendolo letteralmente con Desirs humains sia stato tradotto in italiano con La bestia umana

Francamente, alcune logiche riguardo la titolazione italiana di libri e film stranieri mi sfuggono totalmente.

Fritz Lang La bestia umana
Fritz Lang Human Desire
Fritz Lang Desirs humains

Human desire, Regia di Fritz Lang, Sceneggiatura Alfred Hayes dal romanzo di Emile Zola La Bête humaine

Principali interpreti e personaggi: Glenn Ford (Jeff Warren), Gloria Grahame (Vicki Buckley), Broderick Crawford (Carl Buckley), Edgar Buchanan (Alec Simmons), Kathleen Case (Ellen Simmons), Diane DeLaire (Vera Simmons) Grandon Rhodes (John Owens)

Direttore della fotografia Burnett Guffey, Ingegnere del suono John P. Livadary, Musiche di Daniele Amfitheatrof, Scenografia William Kiernan, Costumi Jean Louis, Montaggio William A. Lyon

Bianco e Nero, Durata 90 mn, Stati Uniti, 1954

HAMMERSTEIN, O DELL’OSTINAZIONE – HANS MAGNUS ENZENSBERGER

Hammerstein o dell'ostinazione
Hans Magnus ENZENSBERGER, Hammerstein, o dell’ostinazione (tit. orig. Hammerstein oder Der Eigensinn), traduz. di Valentina Tortelli, pag. 247, Einaudi

“La paura non è un’ideologia”, è la citazione che Enzensberger sceglie come epigrafe del suo libro il cui sottotitolo è “Una storia tedesca”.

La frase   è di Kurt von Hammerstein, l’ultimo capo di stato maggiore dell’esercito tedesco in carica prima della presa del potere da parte di Hitler.

Primo libro che leggo di questo scrittore tedesco — filosofo, saggista, poeta, editore e romanziere — Hammerstein, o dell’ostinazione esplora l’universo di questo aristocratico e mi ha fatto scoprire una famiglia davvero sorprendente, i cui membri furono tutti impegnati in politica tra Komintern e resistenza militare tedesca.

Hans Magnus Enzensberger racconta infatti la storia di un uomo e della sua numerosa famiglia prendendola come paradigma della travagliata storia della Germania tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra.
Dalle traumatiche conseguenze del Trattato di Versailles alla fine della prima guerra mondiale alla caduta della Repubblica di Weimar, dalla presa del potere assoluto da parte di Hitler al fallimento del’opposizione al regime, l’ondeggiamento tedesco tra Est ed Ovest, gli ambigui ed altalenanti rapporti con l’URSS, l’utopia comunista e la guerra fredda, la Grande Storia della Germania si intreccia con quella della famiglia Hammerstein.

Enzensberger ripercorre minuziosamente la vita di Kurt von Hammerstein-Equord, che quando Hitler prese il potere si trovava a ricoprire la massima carica militare dell’esercito: era infatti il Capo di Stato Maggiore dell’esercito tedesco, carica dalla quale si dimise quando capì (e lo capì subito, a differenza della stragrande maggioranza dei tedeschi, degli altri generali, degli uomini che occupavano le più alte cariche politiche sia nel governo che nei partiti di opposizione) di che pasta fosse fatto il nuovo Cancelliere.

Intelligente, personalità fuori dal comune anche se complessa e ricca di sfumature, discendente di un’antica famiglia aristocratica, uomo di destra, Hammerstein all’inizio considerò il capo del partito nazionalsocialista un uomo confusionario e nemmeno particolarmente pericoloso. Tuttavia non ci mise molto a comprendere quali fossero le intenzioni del nuovo cancelliere.

“Se quel branco di pecoroni di tedeschi si è scelto un Führer come quello – disse testualmente in un colloquio – dovrà pur scontarla”.

Per questo il generale divenne il punto di riferimento della resistenza anti hitleriana che culminò nel fallito attentato del 20 luglio 1944 (anche se allora egli era già morto da un anno) che avrebbe dovuto dare il via alla cosiddetta Operation Walküre.

Il suo appoggio alla lotta al regime avveniva in segreto, tra prudenze e a volte eccessive  contraddizioni.

All’ interlocutore che lo accusava di sottrarsi alle sue responsabilità, comportandosi con aristocratico distacco, così rispose: “Non sono un eroe; ti sbagli sul mio conto. So il fatto mio, se occorre. Ma non mi spingo alla ribalta della storia come voi. Sono troppo pigro per farlo”.

E’ una vicenda, quella di Kurt von Hammerstein, di un’opposizione ostinata, appunto, ma dentro i ranghi della società civile e dell’esercito. Il prestigio di Hammerstein impedì sempre a Hitler di togliere di mezzo il generale e il parere di quest’ultimo rimase, fino alla morte, un problema per i nazisti.

Ma Kurt von Hammerstein non è il solo protagonista del libro: la moglie e soprattutto i sette figli sono molto più che comparse. I maschi furono tutti coinvolti a vario titolo nella resistenza; le figlie si legarono al Partito comunista e una in particolare divenne una spia russa.

I destini personali delle figlie di Hammerstein e con loro quelle di amici, fidanzati, mariti si intrecciano alla storia del comunismo tedesco ed a quella del destino tragico di molti comunisti emigrati in Unione Sovietica e poi eliminati da Stalin.

La seconda parte del libro (che, tra parentesi, è pieno di fotografie di Hammerstein, degli amici, della famiglia e degli altri protagonisti della storia) dedica alle figlie di Hammerstein ed alle loro intricatissime vicende la maggior parte dello spazio.

Dal punto di vista dei contenuti, la storia raccontata da Enzensberger mi ha molto interessata perchè mi ha fatto conoscere uno spaccato della storia tedesca, del “dietro le quinte” che sconoscevo totalmente, ma l’opera di Enzensberger mi ha colpito notevolmente anche per l’originalità della  struttura.

Il libro infatti non è un romanzo. Lo dice chiaro lo stesso autore nell’ultimo capitolo intitolato appunto “Perchè questo libro non è un romanzo. Post scriptum”. Le vicende narrate sono tutte puntigliosamente documentate.

Però non si tratta nemmeno di un saggio storico tradizionale: Enzensberger usa sì i documenti ma con quello che a me è sembrato un vero e proprio colpo da maestro si inventa anche delle interviste immaginarie (“chiacchierate postume”, le chiama lui) ai protagonisti della vicenda, e di tanto in tanto Enzensberger interrompe il ritmo narrativo inserendo delle “glosse” che contengono sue riflessioni personali sulle vicende narrate.

Le chiacchierate sono deliziose, da leggere. Enzensberger infatti riesce ad utilizzare con molto garbo arguzia ed ironia anche quando l’oggetto della “chiacchierata” tratta temi drammatici, ed ho trovato davvero notevoli le sue glosse.

Voglio citare quella che mi colpita di più: in tre paginette Enzensberger riesce infatti a ridurre in briciole l’immagine della Repubblica di Weimar che credo sia quella ancora dominante nell’immaginario collettivo.

Si tratta proprio della prima glossa ed è intitolata: “Gli orrori della Repubblica di Weimar”.

La prima riga recita: “Dovremmo essere contenti di non esserci stati”. La Repubblica di Weimar fu un fallimento fin dal principio”.

E ancora, più avanti: “Resta un mistero, e non è giustificabile con l’ignoranza, né spiegabile con la mancanza di immaginazione storica, come i posteri abbiano potuto credere che gli anni Venti fossero davvero “dorati”, come vengono chiamati in Germania”.

Tornando a Kurt von Hammerstein, pur non nascondendo la presenza di suoi comportamenti a volte contraddittori o ai limiti dell’ambiguità nei confronti del nazismo, non c’è dubbio che Enzensberger comunque lo ammira molto.

A proposito dell’atteggiamento ne confronti del nazismo, è molto importante, io trovo, quello che Enzensberger scrive nella Terza glossa dal titolo “Il conflitto interiore”.

Ne voglio riportare qualche stralcio. Scrive Enzensberger:

“E’ risaputo che la presa del potere da parte di Hitler incontrò un consenso caloroso non solo all’interno del suo partito. Non si nasce oppositore dei nazisti, bisognava diventarlo; è quello che hanno detto molti anni dopo […] All’inizio, la maggior parte degli ufficiali non era riuscita a sottrarsi al gorgo della “rivoluzione nazionale”. Tra loro c’erano uomini come Claus von Stauffenberg (fucilato il 21 luglio 1944) … [segue tutta la  lista degli uomini dell’ Operazione Walkiria ]”.

Conclude Enzensberger: “Chi rimprovera gli errori politici commessi a coloro che hanno pagato con la vita, soffre di una presunzione a posteriori che non si discosta molto dalla moral insanity”

Un gran bel libro, che sono contenta di aver letto.

Kurt von Hammerstein
Kurt von Hammerstein, nel 1934
© von Hammerstein family archive / Suhrkamp Verlag
Hans Magnus Enzensberger
Hans Magnus Enzensberger
© picture-alliance/ dpa

 

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MAPPA LETTERARIA DI PALERMO

Mappa letteraria di Palermo
(Clic sull’immagine per vedere bene la mappa)

La Biblioteca Comunale di Palermo ha recentemente messo in rete un sito web che trovo originale, utile e con notevoli potenzialità di sviluppo.

Il progetto, promosso dall’assessorato alla Cultura e dalla Biblioteca comunale e realizzato in collaborazione con la Sispi e La Repubblica, è quello di costruire una Mappa letteraria di Palermo dove, come viene spiegato nella pagina introduttiva, “il fruitore venga messo in grado di informarsi su quei punti della città e del territorio ad essa limitrofo che sono stati oggetto di testi letterari”.

Tradotto in linguaggio un po’ meno formale (in termini di comunicazione, le Istituzioni che si presentano sul Web hanno secondo me ancora parecchio, da imparare…), questa mappa consente di trovare i luoghi di Palermo cui sono associate citazioni letterarie.

Il progetto, a cura del Direttore della Biblioteca Comunale di Palermo Filippo Guttuso, Mario Rubino (docente di germanistica presso l’Università di Palermo) e della studiosa e critica d’arte Anna Maria Ruta è ancora in via di sviluppo e di definizione, ma il materiale presente è già abbondante e gli strumenti offerti ci consentono in modo facile e (perchè no? anche divertente) di fare ricerche incrociate, toglierci molte curiosità e magari fare, come è capitato a me, piacevoli ed interessanti scoperte.

Possiamo infatti cercare nel sito seguendo la pista della tipologia letteraria (narrativa, epistolari, diaristica etc.) oppure quella del periodo storico o ancora mettendo nel form della ricerca il nome di un autore o di un luogo di Palermo. Esiste anche una pagina in cui sono elencate in ordine alfabetico le Fonti letterarie, e cioè tutti gli autori le cui citazioni sono presenti nel sito.

Io per esempio divertendomi a cercare se ci fossero citazioni a proposito della Zisa, il castello arabo-normanno che sta proprio nel quartiere in cui abito e che vedo dalle finestre di casa ho scoperto, tra l’altro, una bella citazione di Ippolito Nievo, che sconoscevo… Altro esempio: io mica me lo ricordavo che Thomas Mann ne La montagna incantata allude alle palermitane Catacombe dei Cappuccini… e dire che La montagna incantata è uno dei miei romanzi di Mann preferiti.

Lo strumento formidabile che viene utilizzato per tutto questo è Google Maps, che tra l’altro consente — come credo ormai tutti sanno — di zoommare o restringere le immagini dei luoghi secondo le proprie esigenze.

La cosa che mi sembra davvero interessante è che il lavoro di raccolta di citazioni è aperto a tutti, tutti noi possiamo contribuire.

Nel corso delle nostre letture ci succede di imbatterci in un brano in cui si parla di Palermo? E’ sufficiente che ce lo annotiamo (ovviamente con l’indicazione esatta della fonte bibliografica e magari dopo aver controllato sul sito che la citazione non sia già presente) e la inviamo ai curatori del sito che provvederanno ad inserirla accompagnandola con il nome di chi ha provveduto a fare la segnalazione.

A me piace molto pensare che su Palermo possano arrivare contributi da ogni parte d’Italia e magari chissà, anche da oltre i patrii confini…

La mappa letteraria è nata da un’idea di Mario Rubino, che a La Repubblica ha detto: “È almeno da una decina d’ anni che ci penso spinto forse dalla passione che nutro per Palermo, per le sue tante declinazioni letterarie. Visitando la mappa letteraria di Manhattan non poche volte mi è capitato di sognare a occhi aperti, e mi son detto: perché non fare una cosa simile per la mia città?”

MONACO. DUE VIDEO E QUALCHE ALTRA CONSIDERAZIONE

Questa è stata la mia ora e mezza trascorsa la sera del Primo Maggio (diciamo dalle 19,30 alle   20.45) all’Hofbräuhaus.

Vedrete che ho cacciato la macchina fotografica sin dentro i piatti dei commensali e potete deliziarvi con la musica dei Musikanten (un po’ di pazienza:  arriva a circa metà filmato).

Chi  volesse saperne di più su questa storica birreria che nasce nel 1500 può dare un’occhiata >>> qui

A proposito del 1° Maggio, leggendo e spulciando ho scoperto che in Germania questo giorno non è soltanto la Festa del Lavoro, ma anche la festa di Valpurga.

Secondo la tradizione infatti la notte tra il 30 Aprile e il 1° Maggio le streghe volano nei cieli per sposarsi con il diavolo… >>>

Il secondo video fa vedere invece alcuni momenti che ho trascorso alla Neue Pinakotheke.

Non ho nulla (fotografie o filmati ) della splendida Alte Pinakotheke, e questo per la semplice, stupidissima ragione che quando l’ho visitata ero convinta che non si potesse fotografare nè filmare.

Quando invece ho capito che  era possibile farlo, purchè senza usare il flash, era ormai troppo tardi. Mi sono perciò scatenata il giorno dopo alla Neue Pinakotheke.

A proposito: se a qualcuno venisse in mente la bizzarra idea che alla Neue Pinakotheke ero più impegnata a  filmare che a guardare i quadri… beh, mi corre l’obbligo di precisare che in quel luogo sono stata per ben due giorni di fila.

Le Pinacoteche di Monaco valgono, da sole, un viaggio. E di sicuro il pagamento di un doppio biglietto.

Nel filmino vedrete — tra altre cose — un gruppo di persone che si guardano un Van Gogh tranquillamente sedute su comode seggioline.

In tutte le sale della Pinacoteca ci sono comodissimi divani, ma il Museo mette anche a disposizione i seggiolini; chi vuole può richiederli all’ingresso.

Questa cosa potrà anche essere da qualcuno considerata una stupidaggine, ma dal mio punto di vista costituisce un piccolo/grande segnale della volontà di favorire la fruibilità dell’arte anche per chi non è in condizione di farsi kilometri di sale e/o stare in piedi ore ed ore di seguito.

…Ultima cosa… diciamo tecnica: questa volta non ho aggiunto suoni o musiche, ai miei video.

In quello dell’Hofbrauaus basta (e avanza!) la musica dei loro “Musikanten”.

In quello della Neue Pinakotheke ho lasciato i rumori del silenzio,  perchè mi piacerebbe che tutti percepissero l’atmosfera di pace e godimento che percorrendo quelle sale ho avvertito io.

Insomma, in entrambi i video  il risultato è un “camera a mano” da “effetto Cloverfield”.

Per la serie: prendere o abbandonare subito.

Non dite che non vi ho avvertiti.

MONACO. QUALCHE FOTO E DISORDINATE CONSIDERAZIONI

Monaco, Primo Maggio

Ho messo su Flickr alcune foto scattate a Monaco. Sono >>> qui.

Chi preferisse lo slide-show può andare direttamente >>> qui.

Questa volta mi sono dedicata molto più a filmare che a fotografare. Mi piace moltissimo tutta la fase successiva del montaggio, del lavorare con suoni e musiche di sottofondo.

Dal mio viaggio a Berlino ho ricavato un vero e proprio DVD della durata di circa un'ora e con tanto di menu interattivo che è stato molto piacevole vedere in compagnia sul televisore di casa seduti comodamente sul divano.

Certo, questo tipo di scelta, a parte il lungo (ma, ripeto, per me molto divertente) lavoro che comporta, ha come rovescio della medaglia che un DVD non è condivisibile sulla rete come possono esserlo le foto.

Metterò comunque, prima o poi, qualche spezzone su YouTube, dove però a causa della compressione cui vengono sottoposti i filmati la qualità risulta sempre necessariamente inferiore all'originale. Inoltre, su YouTube sono costretta a non usare le musiche che piacciono a me, perchè ci sono i vincoli del copyright e dunque devo utilizzare musiche libere da diritti ma che troppo spesso sono insipide e insoddisfacenti.

Tornando alle foto di Monaco: qui nel post ne ho messo alcune che per me rappresentano, per dirla molto sinteticamente, "le due facce di Monaco".

Quella della birra che scorre a fiumi, sempre e dovunque e quella dei meravigliosi musei e dei gioielli d'arte che si possono vedere a Monaco.

Ho fatto certo il giro delle birrerie più famose e importanti e siccome il Primo Maggio a Monaco lo festeggiano con Alberi della Cuccagna nelle piazze principali e con l'assalto alle birrerie e, se il tempo lo permette, ai Biergarten, ho avuto un "assaggio" di quello che dev'essere l'Oktoberfest. La piazza principale di Monaco, Marienplatz, era — giusto per fare un solo esempio — tutta una distesa di tavoli di legno dove la gente beveva en plein air

Decisamente, questo mondo mi ha molto interessato guardarlo, fotografarlo e filmarlo, ma è un mondo in cui non mi ritrovo. Non se ne abbiano a male coloro che invece (e sono tantissimi) adorano la birra e l'atmosfera delle birrerie di Monaco.

Spero proprio di non urtare la sensibilità di alcuno dicendo che in dieci giorni non ho bevuto nemmeno una birra e non ho mai mangiato in una birreria. Spero di poter tornare a Monaco, ma cercherò, per quanto mi riguarda, di evitare accuratamente l'Oktoberfest…

Sono stata all'Hofbräuhaus il Primo Maggio (metterò qualche stralcio dei video che ne ho ricavato, perchè ho filmato molto e fotografato poco). Però poi, quando ad un certo punto mi è venuta fame e sete, me ne sono andata in un bel posto tranquillo dove ho mangiato molto bene e bevuto ottimo vino. Per fortuna, in Germania hanno vini eccellenti.

La faccia di Monaco che mi è più congeniale e che mi è piaciuta immensamente è l'altra, quella dei musei, dei parchi e dei giardini. Ho trascorso due splendide giornate all'Alte Pinakotheke e alla Neue Pinakotheke

Monaco Neue Pinakotheke

Altre due giornate le ho passate immersa nel verde della parte "all'inglese" dell'immenso parco di Schloss Nymphenburg, il castello dei Wittelsbach in cui nacque Ludwig di Baviera, in mezzo ai cigni che popolano l'acqua dei canali e che zampettano tranquillamente accanto ai visitatori del parco.

Schloss Nymphenburg

Cigni di Nymphenburg

Come non pensare al "Mein liebe schwan" ed al cigno di Lohengrin?

Avevo scelto di andare a Monaco perchè mi interessava molto vedere analogie e differenze con Berlino in rapporto al passato nazista.

Non sono riuscita a dimenticare ad esempio nemmeno per un minuto che Monaco è stata la culla del nazismo, che il primo importante raduno del Partito Nazionalsocialista Hitler lo tenne proprio al secondo piano della bellissima, storica e immensa  birreria Hofbräuhaus, che fu da una delle finestre dell' Altes Rathaus — il Municipio Vecchio — che Goebbels nel 1938 pronunciò l'agghiacciante discorso che diede il via alla famigerata "Notte dei cristalli"  e che Dachau è un posto che dista poche decine di kilometri da Monaco e che lo si raggiunge addirittura in tram…

E poi anche Monaco, come Berlino, è stata oggetto di devastanti bombardamenti americani ed inglesi. Com'era stata ricostruita la città? Che scelte erano state fatte? Avevano guardato in avanti, come a Berlino, oppure avevano cercato di ricostruire esattamente come prima?

Pensavo a tutto questo, e avevo sempre in mente le pagine dei libri di Sebald

Ma non è certo questo un tema che posso liquidare in tre righe alla fine di un post, perciò mi fermo qui. Il rischio di scadere nella banalità degli stereotipi è troppo grande.

Mi basta dire che questi pensieri sono sempre stati molto presenti dentro di me, durante la mia piacevolissima permanenza a Monaco.

TORNATA

Monaco, Schafflerstrasse

Rieccomi qua.

Le trasmissioni riprenderanno al più presto.
Adesso sto caricando   la lavatrice e scaricando   filmini e foto…
Intanto però ne metto subito  una scattata a Monaco,
all’ angolo tra Schäfflerstrasse e Weinstrasse.
Se ci cliccate sopra la vedrete bella grande.

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