
Heinrich MANN, Il suddito (tit.orig. Der Untertan), traduz. di Clara Bovero, Prefazione di Luigi Forte, Revisione di Fabrizio Cicoria, p. 530, UTET Collana Letteratura Linguistica, 2009, ISBN 9788802080932
Heinrich Mann, fratello maggiore di Thomas, nato a Lubecca nel 1871, autore di importanti romanzi tra i quali Professor Unrat (da cui venne tratto il celeberrimo film L’angelo azzurro interpretato da Marlene Dietrich), La piccola città e morto esule in America, dove si era rifugiato all’avvento del nazismo per sfuggire alle persecuzioni hitleriane scrisse Il suddito tra il 1912 e il 1914.
La vicenda del libro fu molto travagliata perchè nel 1914 la guerra era alle porte e l’editore decise di bloccarne la pubblicazione. Il romanzo venne poi dato finalmente alle stampe soltanto nel 1918.
Il suddito, tagliente parodia del servilismo nei confronti del potere da parte del cittadino medio, splendido ritratto del grigiore borghese pronto a trasformarsi in ottusità, pochezza culturale e odio nei confronti dell'”altro” è oggi di nuovo in libreria grazie a Utet.
Operazione editoriale meritoria, perchè Il suddito è un libro importante ed attualissimo.
Il romanzo racconta le vicende del protagonista Diederich Hessling sin dall’infanzia scandita dalle frustate del padre che applica in famiglia la rigida disciplina prussiana e dalla scuola in cui i bambini vengono obbligati ad imparare a memoria lunghi elenchi di date storiche che ripetono senza capirne il senso.
Seguiamo poi Deiderich quando da Netzig, la piccola cittadina natale, si trasferisce a Berlino dove oltre che iscriversi all’università entra a far parte dell’associazione studentesca “Nuova Teutonia”, lo vediamo imparare a battersi in duello per questioni d’onore, trascorrere ore in birreria in compagnia dei suoi camerati, cosa che lo fa sentire importante e gli fa provare un delizioso senso di deresponsabilizzazione e di appartenenza:
“La birra! L’alcol! Si stava seduti, si poteva averne sempre di più […] era cordiale e fedele. Con la birra non occorreva agire, non occorreva volere e conquistare qualcosa, come con le donne. Tutto veniva da sé. Si inghiottiva: e già si era riusciti a qualcosa, ci si sentiva trasportati sulle vette della vita, si era liberi, interiormente liberi”
“Egli personalmente non era che un uomo, cioè nulla; tutti i suoi diritti, tutta la sua autorità e la sua importanza gli venivano dall’associazione. Anche fisicamente le doveva tutto: il largo faccione bianco, la pancia che gli assicurava il rispetto delle matricole, il privilegio di comparire alle solennità in stivali alti, con nastro e berretto, il possesso dell’uniforme! Certo, doveva pur sempre cedere il passo a un tenente, perchè il corpo cui questo apparteneva era evidentemente più elevato; ma almeno con un tranviere poteva trattare senza paura, senza il pericolo di doverne subire i rabbuffi”
Durante gli studi ha una relazione amorosa ed intima con Agnes Göpel, una figlia di un collega del padre. La seduce, la maltratta: e quando il povero padre di lei gli chiede di fare il suo dovere sposandola, egli risponde…
“Il mio senso morale mi proibisce di sposare una ragazza che non si porti in dote la sua verginità”.
Tornato a Netzig, nella città natale, diventa capo dell’azienda di famiglia dopo la morte del padre e comincia la sua scalata al potere.
Trovandosi a Zurigo in viaggio di nozze (con la donna che ha sposato soprattutto per i suoi soldi, ovviamente) viene a sapere che l’Imperatore compie un viaggio in Italia; allora Diederich vi si precipita, e a Roma lo segue fedelmente, in un delirio patriottico “tenuto su” da buone bevute di vino.
L’imperatore se lo trova davanti tutte le volte che esce per la strada con il suo seguito, Diederich lo segue ovunque, urlante, festante, estatico davanti alla più alta incarnazione del Potere:
“E l’imperatore volgeva la testa sorridendo. Lo riconosceva, il suo suddito! il suo suddito urlante, che c’era sempre, come una mignatta. Scattante d’entusiamo per l’attenzione dimostratagli dal sovrano, Diederich fulminava con lo sguardo i visi benevoli e allegri della folla” .
Il tocco finale alla sua ascesa è la realizzazione – anch’essa ottenuta grazie alla corruzione e al compromesso – di un grande monumento a Guglielmo II, a Netzig.
A lui spetta fare il discorso inaugurale. Le grandi risorse della retorica patriottica sono ovviamente sfruttate al massimo…
“Noi siamo il fiore delle nazioni, segno di una grandezza raggiunta per la prima volta dalla civiltà germanica, civiltà di dominatori… I senza patria, i nemici dell’ordine universale instaurato da Dio, che vogliono sovvertire l’ordine del nostro stato, siano estirpati fin dalle radici, perché quando saremo chiamati all’appello celeste, ognuno di noi possa comparire davanti al suo Dio e al suo vecchio imperatore con la coscienza netta…”
Il romanzo si chiude con questa cerimonia e con una scena che è un vero grande colpo da maestro, da parte di Heinrich Mann.
Raramente ho incontrato in un romanzo un protagonista più antipatico, abietto e repellente di questo Diederich Hessling.
Ma, letterariamente parlando, mi ha interessata enormemente.
Perchè la storia di questo personaggio inventato da Heinrich Mann aiuta a capire le radici storiche del nazismo: ci fa vedere come le sue premesse fossero già contenute nella Germania del “cancelliere di ferro”, nell’imperialismo di Guglielmo II e dell’oligarchia industriale costituitasi durante gli ultimi decenni del secolo XIX, nell’alleanza stretta tra alta borghesia e Junkers prussiani, nell’ideologia reazionaria del pangermanesimo, dell’odio di razza e di classe.
Il protagonista Diederich Hessling è dominato dalla paura in tutte le situazioni e in tutto ciò che fa. Impara da ragazzo che deve servire al potere se vuole avere potere egli stesso.
E’ un essere allo stesso tempo ambizioso e pusillanime, esaltato ed arido, mediocre e senza scrupoli.
Il “suddito” per eccellenza.
Un impasto di zelo, invidia e paranoia, un uomo la cui esistenza si riduce a denunciare i suoi nemici e ad abbattere i suoi concorrenti. Le sue passioni per il denaro e per l’ascesa sociale lo portano a commettere le bassezze peggiori, lo spingono perfino a riconoscere la propria mediocrità e a sopportare ogni genere di umiliazioni se queste arrivano da qualcuno più potente di lui.
La sua inclinazione ai sotterfugi, ai colpi bassi gli viene dall’infanzia, non esita un attimo a spezzare il cuore di una ragazza troppo sentimentale e che è innamorata di lui, a farsi riformare dal servizio militare inventandosi un incidente ed implorando un medico amico di famiglia di fornirgli il certificato che potrà consentirgli di lasciare il servizio militare. Salvo poi, anni dopo, colpire alle spalle, denigrandolo, quello stesso medico che lo aveva aiutato.
La rievocazione dell’ambiente della società tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento è straordinaria. Ci sono scene al tempo stesso crudeli e nauseabonde che arrivano al grottesco. L’ammirazione di Diederich per il suo imperatore ha tutte le caratteristiche dell’ossessione e della schizofrenia.
Hessling, nato “suddito”, è patologicamente alla continua ricerca di prepotenze ed umiliazioni tanto da subire quanto da esercitare.
Prototipo del borghese filisteo della Germania Guglielmina, debole verso i potenti, prepotente verso i deboli, razzista, misogino, gonfio di boria teutonica, Diederich presenta tutte le caratteristiche che ne fanno il diretto antenato di quello che sarà il perfetto nazista.
Heinrich Mann, fratello maggiore di Thomas, scrisse questo libro dal 1912 al 1914, ma pare ci pensasse già fin dal 1906.
In esso c’è, in germe, tutta l’inumana crudeltà di un secolo ideologizzato e totalitario, che viene rappresentato attraverso la descrizione di una élite rapace, fanatizzata ed avida di potere che fiorisce in un mondo in cui la ragione non appare più che come manifestazione di debolezza ed ha perduto il suo potere.
Lo stile del romanzo è la risata sarcastica ed espressionista, l’alternativa dell’artista alla disperazione. I fascismi e gli altri totalitarismi che gli anni a venire vedranno avanzare prepotentemente daranno il via libera all’arbitrarietà ed all’inumanità.
Ma al di là dello stile di scrittura, comunque notevole e perfettamente funzionale al messaggio che l’autore intende consegnare ai suoi lettori, è il contenuto che qui si impone, e la straordinaria, stupefacente preveggenza di Heinrich Mann che scrisse questo romanzo nel 1914, quando ancora persino la Repubblica di Weimar era di là da venire!
Diederich, questo eroe negativo, è un uomo che, nonostante in possesso di una laurea è sostanzialmente un uomo incolto, senza carattere e infarcito di tutti i pregiudizi del tempo. Ha il culto viscerale dell’impero e dell’imperatore (ma viene da pensare che un Lenin o un Hitler avrebbero egualmente fatto al caso suo, perchè il culto di Diederich è il potere in quanto tale), culto esercitato senza alcuna riflessione critica ed appellandosi al quale giustifica ai suoi occhi ed, ahinoi anche troppo spesso a quelli degli altri ogni suo pensiero, ogni sua azione.
Diederich non ha mai un ripensamento, è graniticamente certo di essere sempre dalla parte della ragione perchè lui è “illuminato” dalla verità.
Intrallazzi di ogni tipo, storie di donne, bassezze, truffe, tradimento dei parenti e di coloro che lo hanno aiutato, strumentalizzazione della madre e delle sue due sorelle, disprezzo per gli uomini, tutto, assolutamente tutto è giusto e morale perchè deriva dalla sua fede che egli proclama alto e forte nei confronti dell’imperatore e di Dio, perchè lui “è un buon, vero tedesco”.
Il ritornello del “vero, buon tedesco” ritorna ossessivamente sulle sue labbra a giustificare ogni nefandezza.
Il suo obiettivo è quello di arricchirsi, ottenere il potere, farsi eleggere deputato, venire decorato e per raggiungerlo non risparmia sforzi e intrighi di ogni genere.
Questo yes man prussiano, questo suddito nato vive della sua ideologica menzogna in un mondo che non può più o non vuole più ricordargli che è semplicemente una carogna ed un bastardo.
Quello di Heinrich Mann è un pessimismo premonitore che si rinforza con la constatazione del crescente degrado dei due pilastri su cui si fonda la società tedesca del tempo: una borghesia liberale e ragionevole che non riesce a svolgere la sua funzione di contrappeso ed un sindacalismo avido di potere ed anch’esso convinto cche la “giusta” causa giustifichi tradimenti e compromessi che dovrebbero essere ritenuti inaccettabili.
Leggendo oggi questo romanzo, noi lettori sappiamo bene che purtroppo, dopo la caduta dell’impero prussiano, il fosco scenario descritto da Heinrich Mann non solo si realizzò in pieno, ma andò ben oltre le tetre previsioni dell’autore.
Un libro superbo ed attualissimo, la cui lettura fa a tratti correre un brivido lungo la schiena perchè Il suddito spinge il lettore di oggi a riflettere non solo sulla storia di ieri, ma anche su quella presente e costringe ad interrogarsi sulla possibilità che ciascuno di noi ha di prevedere e modificare il corso degli eventi storici.
Da non perdere l’eccellente prefazione di Luigi Forte.
Heinrich Mann
Dal romanzo di Heinrich Mann nel 1951 venne realizzato il film tedesco Der Untertan diretto da Wolfgang Staudte in cui il protagonista Diederich Essling era interpretato da Werner Peters.
La foto di copertina del volume UTET e le immagini che ho inserito nel post sono tratte dal film.
Come si può vedere dalla scheda su imdb il film non è mai arrivato sugli schermi italiani.
Stralci su YouTube >> qui, >> qui e >> qui
Sono in tedesco, ma anche se come me non si conosce questa lingua vale egualmente la pena guardarli per la fotografia, la ricostruzione dell’ambiente, per l’ottima caratterizzazione del personaggio di Hessling fornita da Peters.
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...