I PIACERI DELL’ACCHIAPPARELLO

Copertina anteriore

“E’ un’immensa partita a nascondino; l’Europa gioca ai quattro cantoni con l’America mentre i viaggiatori si abbandonano ai piaceri dell’acchiapparello; non appena gli svizzeri sono partiti per Positano o Rapallo, gli italiani prendono il loro posto a Saint Moritz, ed i francesi a Verbier; mentre i californiani visitano il paese di Shakespeare, gli studenti ingl esi vengono ad occupare i sedili vuoti degli auditori di San Francisco. La gente di campagna non viaggia ancora; quando ci si metterà, bisognerà dirigerla sulle città, dove potrà occupare i letti vuoti dei cittadini.”

(Paul Morand, Viaggiare)

Grande viaggiatore per lavoro (era un diplomatico) e per diletto, Morand mescola in questo gradevolissimo librino acute osservazioni sul moderno turismo di massa e ricordi personali sul modo di viaggiare all’inizio del Novecento.

Su questo tema, mi è sembrato delizioso il capitolo “Addio all’Orient Express” ricco di aneddoti sui bizzarri personaggi che popolavano un tempo questo celeberrimo treno.

E poi ci sono i consigli: per esempio questo su com’è utile conoscere le lingue, quando ci si reca all’estero:

“La conoscenza delle lingue straniere permette, in viaggio, di non comunicare con i propri compatrioti”

Mai motivazione mi sembrò più efficace.
Specialmente di questi tempi.
E’ già da un po’ che, quando vado all’estero, mi munisco di barba e baffi finti.

Altri consigli (riportati nel capitoletto “Bagagli”) non mi sono molto utili.

Quelli, ad esempio, sul tema “del fare la valigia”.

Nel far la valigia sono infatti, ormai, una sorta di Maga Houdini: riesco star fuori di casa per più di venticinque giorni solo con una trolley da “bagaglio cabina” (aerea, of course).

…Però suvvia, voglio egualmente riportare qualche consiglio di Morand.

Chi lo sa, magari i suoi consigli possono risultar utili ad altri

“Sapete fare le valigie? Sapete stringere delicatamente gli oggetti gli uni contro gli altri, in modo da evitare di trovare sopra quelli che erano sotto e viceversa?”

“Ricordate, acquistando una valigia, che nel corso di un lungo viaggio ci sarà sempre un momento in cui sarete costretti a portarvela da voi stessi”

LE VIN DE SOLITUDE – IRÈNE NÉMIROVSKY

Le vin de solitude
Irène NÉMIROVSKY, Le vin de solitude, ed. Albin Michel, 2004, ISBN 2226156755

Il libro (del 1935) racconta — in terza persona — la vita di Hélène da quando è una bambina di otto anni sino alla maggiore età e si svolge tra l’Ucraina e San Pietroburgo, la Finlandia, Parigi.

Ucraina, 1914.

Hélène è una bambina molto sola, figlia unica e trascurata dai suoi genitori: il padre Boris Karol, un ebreo di modeste origini (“un obscur Juif”)  che è riuscito a fare fortuna lavora ma soprattutto è un uomo divorato dalla passione per il gioco e non c’è quasi mai; Hélène vuole bene al padre, ma Boris è troppo preso dal gioco e dall’ossessione di far soldi per occuparsi di lei: una sera arriva al punto di dimenticarsi della figlia abbandonata per ore nella hall di un Casino.

La bambina    si sente come una valigia abbandonata  (“J’ai l’état d’âme d’une malle oubliée à la consigne”, songea-t-elle en essayant de se moquer d’elle-même.)

La madre Bella è una donna affascinante ma frivola ed egoista, completamente priva di sentimenti materni e che preferisce il lusso, i divertimenti e gli amanti piuttosto che occuparsi di sua figlia.

Non è che la caricatura di una madre.
In Finlandia, M.me Haas dirà parlando di Bella: “Ça une mère ? …La caricature d’une mère, oui!”

Priva di amore e di attenzioni Hélène si forgia molto presto un cuore duro e un modo di pensare sin troppo adulto, starato rispetto alla sua età anagrafica (“Tu n’as pas grandi, ni vieilli, comme tu me le faire croire, mais rajeuni simplement. A quinze ans, tu etait une petite vieille… Maintenant, enfin, tu as ton âge”, le dirà  il cugino  Max sulla nave che li porta in Francia)

Fortunatamente, la piccola si trova accanto, durante l’infanzia, la simpatica, affettuosa ed intelligente M.lle Rose, la governante francese. E’ lei la sola persona al mondo dalla quale Hélène è amata ed alla quale la bambina è sinceramente affezionata.

Hélène cresce, la famiglia si trasferisce a San Pietroburgo. Il padre è sempre assente ma sempre più ricco perchè riesce a sfruttare e a speculare, assieme ad altri ambigui personaggi ebrei come lui, il momento di crisi economica e la grande inflazione.

Il cuore di Hélène si indurisce sempre di più; la bambina si rinchiude sempre più in se stessa, l’unico conforto e punto di riferimento è la sua M.lle Rose.

Ma il giorno in cui la madre comprende che Hélène ha scoperto la sua relazione con il cugino Max, che tra l’altro è molto più giovane di lei (ha appena ventiquattro anni)  fa in modo di sbarazzarsi della governante.

M.lle Rose, lontana da anni dalla sua terra, la Francia, che si trova in una terra — la Russia — della quale dopo tanto tempo non riesce a capire nemmeno la lingua, che ormai non ha altri al mondo che Hélène, perde completamente la testa e, dopo una violenta crisi, muore sola in un ospedale di Pietroburgo.

Adesso Hélène è davvero completamente sola.

La Rivoluzione costringe la famiglia Karol (ma si possono considerare una famiglia, questi Karol?) a fuggire dalla Russia e dopo una breve permanenza in Finlandia arriva in Francia stabilendosi infine a Parigi. Max, cugino di Hélène e amante della madre, è sempre con loro. Il padre non può non sapere, ma si ostina sino alla fine a non voler sapere, a chiudere gli occhi.

La vita di Hélène si trascina all’interno di questo trio (il padre, la madre, l’amante della madre) senza mai trovare una sua vera collocazione, un suo spazio vitale.

L’odio (perchè di vero e proprio odio si tratta) per la madre cresce ogni giorno di più, e così Hélène decide di vendicarsi di tutte le sofferenze che le sono state inflitte dalla madre per tutti questi anni. Ha ormai diciotto anni ed il grande vantaggio, nei confronti di Bella il cui invecchiamento —- nonostante i milioni spesi in vestiti e cure di bellezza —- è ormai visibile, di essere giovane e bella.

Se ed in che modo riesce Hélène a vendicarsi e quale sarà infine il suo destino è giusto che il lettore lo scopra da solo.

“Le vin de solitude” è un romanzo feroce, a tratti soffocante ed opprimente, cinico, ma che contiene anche brani di un intenso lirismo nei momenti in cui la Némirovsky descrive i paesaggi notturni, le corse in slitta in Finlandia, le notti di luna che Hélène trascorre affacciata alla finestra della sua stanza.

Nonostante i personaggi si muovano in più luoghi geografici (dalla Russia alla Finlandia alla Francia) il vero “luogo” del romanzo, la vera “scena” è tutta all’interno del quadrilatero familiare, tutto si svolge all’interno dell’universo claustrofobico delle dinamiche di relazione tra Hélène, la madre Bella, il padre Boris ed il cugino Max.

Nonostante il senso di continua instabilità che pervade la vita di Hélène e degli altri ( “La vie était mouvante, instable, peu sûre. Rien ne durait”), a ben pensarci nel romanzo accadono, in realtà, ben poche cose.

E’ molto lentamente, in maniera sottile e sorniona che in questo huit-clos familiare vediamo svilupparsi l’odio e la durezza di Hélène — prima bambina, poi adolescente e infine giovane donna.

E, soprattutto, la sua terribile solitudine.

Per chi abbia già letto altri romanzi di Irène Némirovsky   Le vin de solitude non presenta — almeno a prima vista — grandi novità.

Ritroviamo infatti qui i temi ormai noti dell’emigrazione e dello sradicamento, della relazione perversa tra una madre bella ed egoista ed una figlia di cui a lei non importa nulla, degli ebrei avidi e rapaci che ammucchiano soldi e speculano sulle disgrazie altrui, dell’amore per Parigi e la Francia

Ma quello che almeno ai miei occhi ha reso questo romanzo molto particolare rispetto ad altri lavori narrativi della Némirovsky è la violenza, la durezza con cui questi temi vengono trattati e la chiarezza con cui elementi decisamente autobiografici sono esposti.

Con quanto amaro e persino sadico compiacimento Hélène-Irène descrive le varie fasi dell’invecchiamento della madre, che non chiama mai “mamma”  e nemmeno “mia madre” ma sempre   “Elle”… e “sorcière”, “strega”!

Solo uno   dei tanti passaggi:

“Le visage de Bella commençait à vieillir; les muscles se détendaint; sous la poudre et la crème, Hélène voyait apparaître les rides que le fard engluait sans les masquer, au coin des yeux, des lèvres, des tempes. La surface peinte de la peau se craquelait, perdait son aspect lisse et crémeux, devenait grumeleuse, plus grossère, plus rude”

Gli ebrei del romanzo sono ancora una volta rappresentati attraverso le caratteristiche stereotipali della peggiore letteratura antisemita, come una “razza” (si, la Némirovsky adopera sempre proprio questo termine, quando parla di ebrei) che non potrà mai integrarsi con “gli altri” (“les deux races irréconciliables”). Tutto questo l’abbiamo già visto in David Golder, il romanzo che nel 1929 rese famosa la Némirovsky ad appena 25 anni e lo ritroveremo più tardi ne I cani e i lupi del 1940 ma anche. per esempio, in Le maître des âmes del 1939.

Héléne, come Iréne, è innamorata della Francia e adora Parigi.
Conosce il francese quasi meglio del russo, e nel romanzo troviamo  pagine e pagine che sono un vero canto d’amore per “questa dolce terra, la più bella del mondo” (“cette douce terre, la plus belle au monde”) in cui Héléne è stata più volte, e per mesi, durante la sua infanzia.

Quando, dalla nave che porta i Karol in Francia,  Hélène scorge da lontano le luci di Le Havre

“elle les contemplait avec tendresse. Jamais, en revoyant la Russie, son coeur n’avait battu si joyeusement…”

Leggendo le pagine sull’amore di Hélène per la Francia, come non pensare all’amore che Iréne aveva sempre avuto per questo Paese che non solo non le concesse mai la cittadinanza, ma che alla fine la consegnò ai nazisti? Come non pensare alla nota che si trova in margine di uno dei quaderni in cui febbrilmente, incalzata dai drammatici eventi, scriveva Suite francese?

In questa nota del giugno del 1942 Irène scrisse: “Mio Dio, cosa mi combina questo paese? Dal momento che mi respinge, osserviamolo freddamente, guardiamolo mentre perde l’onore e la vita”

Le vin de solitude è, tra quelli che ho letto, il romanzo più inequivocabilmente autobiografico della Némirovsky e non soltanto perchè anche Irèné Némirovsky, come Hélène, era un’ebrea ucraina nata a Kiev, trascurata dalla madre, rifugiata con la famiglia prima in Finlandia e poi in Francia ma perchè nel suo modo di descrivere l’odio implacabile e il desiderio di Hélène di vendicarsi della madre non si può non (ri)conoscere la profondità della ferita esistenziale della stessa Némirovsky che fa pronunciare ad Hélène diciottenne una delle frasi chiave del romanzo:

“Il aurait fallu si peu de chose, alors, songeait-elle…Maintenant, il est trop tard…. Jamais je ne lui pardonnerai. Je pourrais lui pardonner si elle me faisit du mal maintenant, à moi telle que je suis à présent…Oui, je crois que lui pardonnerais… Ma on ne pardonne pas une enfance gâchée

  • Il libro >>

UN VECCHIO VIDEO SU MARCEL PROUST

Marcel Proust in un prezioso vecchio video della RAI che ho scovato ieri.

La voce narrante fuori campo sono quasi certa essere quella del mai troppo rimpianto grande attore Romolo Valli (e se non si tratta di lui, gli assomiglia molto), le musiche di sottofondo sono di Franck e di Fauré (due dei musicisti cui Proust si ispirò per il personaggio di Vinteuil ed il suo Settimino).

Il tono generale è, a dire il vero, per i miei gusti un po’ troppo melenso e sdolcinato ma a questo sono purtroppo rassegnata ormai da tempo: quando si parla di Proust lo si fa , ahimè, in genere in questo modo. Pazienza. Il video mi sembra comunque ben fatto e interessante.

Niente di nuovo per chi già conosca la vita e l’opera di Proust, ma è una sintesi che magari può invogliare gli altri a saperne di più e ad approfondire.

Nel video c’è una buona iconografia e compaiono tre preziose testimonianze: Jean Cocteau, François Mauriac e Céleste Albaret.

E poi, c’è (almeno ai miei occhi) il fascino di questi vecchi video in bianco e nero e la nostalgia del “… c’era una volta la RAI”.

Una testimonianza personale: è verissimo quello che dice la voce narrante circa la casa ed il giardino di Combray, allo stesso tempo “piccolo ma infinito”.

Sono stata ad Illiers-Combray nel 2007 e ricordo benissimo lo stupore che ho provato nel vedere che il famoso giardino della casa della zia Léonie, quel giardino che nel romanzo sembra immenso è in realtà minuscolo, tutto sommato un piccolo cortile con alcune aiuole e, girando per l’altrettanto minuscola casa, entrando nella sala da pranzo, ho fatto fatica a pensare che lì dentro si svolgevano i sontuosi pranzi cucinati da Françoise.

Illiers Combray

Ma proprio constatando l’abissale differenza tra la realtà materiale e la sua rappresentazione letteraria che emerge dalle pagine della RTP mi sono resa conto, una volta di più, della straordinaria potenza trasfigurativa che può operare il genio di un artista.

N.B La foto della camera da pranzo è mia. Cliccare per ingrandire.

AL MUSEO DELLE MARIONETTE DI LUBECCA

Lubecca Museo delle Marionette

Visitare il Museo delle Marionette di Lubecca, in una stradina vicino l’Holstentor significa entrare in un mondo affascinante dal quale adulti e bambini rimangono incantati.

Il Museo contiene la sterminata collezione che Fritz Fey ha messo insieme pazientemente e con enorme passione nel corso di tanti anni e che a quanto pare è una delle più importanti del mondo.

Fritz Fey aprì il suo — allora ancora piccolo — Museo nel 1982: oggi ci sono circa 2000 pupazzi fra marionette e burattini, antichi manifesti, arredi scenici, teste di legno del burattinaio Kaspar risalenti al 1850 ma anche le figure del teatro delle ombre dell’Isola di Giava, i burattini di Breslavia e tanto, tanto altro ancora.

Quello che si vede nel Museo è infatti solo una piccola parte della collezione, pare che altri 20.000 pezzi siano conservati in un deposito.

Quando sono entrata nel piccolo ingresso del Museo, già questo pieno zeppo di pupazzi e manifesti di ogni genere, con l’aria impregnata di profumi esotici e con una musica indiana  di sottofondo sono stata accolta da una bellissima signora in sahri (che poi ho appreso essere Saraswathi Fey, la moglie di Fritz)

Fritz FeySaraswathi Fey

Si può immaginare la mia piacevolissima sorpresa quando ho scorto, collocato in bella vista proprio accanto all’ingresso, ad una parete del caffè del Museo … questo Pupo siciliano!

Lubecca Museo delle Marionette

A quel punto, ho avuto due fortune:

La prima, che in quel momento fosse presente anche lo stesso Fritz Fey

La seconda, scoprire che è un signore gentilissimo che parla un più che decoroso italiano (certamente migliore del mio quasi inesistente tedesco e del mio zoppicante inglese).

Abbiamo perciò potuto chiacchierare un po’, mi ha presentato sua moglie e quando ho detto loro che ero di Palermo e che vedere un Pupo siciliano proprio all’ingresso mi aveva stupita, lui mi ha raccontato la storia dell’inizio della sua collezione.

Perchè la grande passione di Fritz Fey è cominciata quando, in Sicilia, gli accadde di innamorarsi di una marionetta dell’Opera dei Pupi.

Questa storia l’ho poi ritrovata nel bel libretto illustrativo del Museo, e non faccio altro che riportarla qui traducendola dall’inglese.

Scrive Fritz Fey:

Tutto è cominciato con una marionetta siciliana. Durante un mio viaggio in Italia capitai da un vecchio puparo che mi fece vedere un prezioso Pupo fatto a mano risalente ai primi del Novecento. Un magnifico guerriero saraceno mi guardava con i suoi occhi penetranti e prima ancora di rifletterci, lo avevo già comprato.

Esso è diventato la prima pietra di questa collezione che ho messo insieme nel corso di questi ventisei anni.

Ho messo su YouTube un minuscolo video che spero possa in qualche modo dare l’idea del Museo e dell’atmosfera che vi si respira.

Le due foto di Fritz e di Saraswathi Fey le ho prese dal sito del Museo

Ero talmente contenta di parlare con loro due che mi sono proprio dimenticata di scattargliela io, una foto…

GIOCARE CON LA VITA PER TUTTI I NOVANT’ANNI

Fernanda Pivano

Fernanda Pivano, nel suo ultimo articolo comparso sul Corriere della Sera lo scorso 18 Luglio, giorno del suo 92 compleanno:

“Posso confidarvi che l’ ultima volta che ho incontrato Gore Vidal per la presentazione di un suo libro, nel gennaio 2007, io ero appena uscita da un ricovero in ospedale e lui camminava aiutandosi con un bastone. Ma a cena, quando gli ho chiesto cosa potremmo fare insieme, lui mi ha risposto: «Let’ s make a baby – facciamo un bambino». Forse è questo il segreto per riuscire a sopravvivere anche a questa età. Forse è questo il segreto del vecchio Suonatore Jones dello Spoon River caro alla mia giovinezza «che giocò con la vita per tutti i novant’anni»

Il testo integrale dell’articolo La mia giovane vecchiaia e il dono di Gore Vidal di Fernanda Pivano si può leggere >> QUI

QUALCHE FOTO

Foto dalla Germania
Amburgo >>

Hannover >>

Lubecca >>

Ratzeburg >>

Travemunde >>

AL MERCATO DEL PESCE DI AMBURGO

Altona Fischmarkt

Il mercato del pesce di Amburgo (il Fischmarkt) è una tradizione che si rinnova ogni domenica mattina da ben  300 anni.

Si svolge dalle  5.00 alle 9.30 del mattino d’estate, dalle 8.00 alle 10.00 d’inverno.

Si vende di tutto, non solo il pesce, e nella Fisch Halle (l’enorme padiglione un tempo dedicato alle contrattazioni dei venditori di pesce) oggi si canta, si beve, si balla.

Potevo mai perdermi ‘sta cosa?

Certo che no.

Ed infatti ho messo la sveglia per le 5.30 ed alle 6.30 sono sgattaiolata come una ladra fuori dall’albergo   — cercando di evitare lo sguardo vigile del portiere — che era ancora quello di notte.

Per strada non c’era anima viva, ed ho cominciato a chiedermi se non fossi stata matta a fidarmi della Lonely Planet e del depliant fornito dall’Ufficio Turistico di Amburgo.

Al Fischmarkt di Altona – St. Pauli ci si può arrivare in due modi: o dalla parte dell’Elba, per traghetto (più bello ma più complicato, a quell’ora) oppure dall’altra parte (da terra) con la metro che ti sbarca direttamente a Reeperbahn, a circa duecento metri dal Fischmarkt.

Yes, a Reeperbahn. Avete letto bene. Proprio nel centro del quartiere a luci rosse.

Ovviamente ho scelto la metro, e mi è bastato questo per ritrovarmi già nel vagone in mezzo ad un sacco di gente di tutti i tipi e poi immersa in un fiume di persone che si dirigevano tutte, inequivocabilmente, verso il Fischmarkt.

E al Fischmarkt… beh, lì… c’era proprio di tutto.

Gente che vendeva anguille, fiori, magliette, ceramiche.

“Abbanniando” (traduz. dal siculo idioma = urlando per decantare le meraviglie della propria merce) in modo che fa andare in visibilio i turisti e che a me faceva ritrovar aria di casa, abituata come sono agli “abbanniamenti” dei mercati della Vucciria e di Porta Carini.

Noi qui in Terronia diciamo che sono venditori che “abbanniano”.

Lì ad Amburgo, mi assicura la Lonely Planet, i venditori che strillano si chiamano “Marktscheier” = urlatori di mercato.

Ma comunque.  Fin qui, niente di particolarmente nuovo per me: un grande mercato all’aperto con i venditori che etc. etc.

Poi però sono entrata nella Fischauktionshalle, l’enorme edificio in cui un tempo si tenevano le aste del pesce.

Fischauktionshalle Fischmarkt Amburgo

E lì… veramente non potevo credere ai miei occhi.

Ordunque: alle 7.30 del mattino, lì dentro si beveva birra, si mangiavano panini con l’aringa cruda e la cipolla, complessi rock suonavano cose tipo “Satisfaction” , Rythm and Blues a go go, tutti che sapevano le parole,   tutti che ballavano e si agitavano divertendosi come matti.

Beh, mi sono divertita come una matta anche io e sono rimasta due ore, lì dentro. Non ci potevo credere, a quello che vedevo

La cosa incredibile non era tutta ‘sta gente che si agitava, ma che lo facesse a quell’ora e che ci fosse proprio di tutto: allegre famigliole con bambini al seguito, arzille anziane signore, baldi giovinotti, giovani coppie di innamorati,

Amburgo Fischmarkt

punk ultrastagionati  ed arcitatuati, pimpanti vecchietti, tranquille coppie di mezza età.  e poi strani personaggi che evidentemente erano lì non perchè si fossero alzati presto ma perchè  avevano trascorso la notte a Reeperbahn e non si erano mai andati a coricare…

Amburgo Fischmarkt

Insomma, forse più che raccontare è meglio far vedere questo video.

E’ un vero crescendo (perchè la birra, si sa, i suoi effetti li produce e la gente si va sempre più entusiasmando).

… Poi ad un certo punto, alle 9.30 in punto una potente voce comincia a martellare dagli altoparlanti: “Achtung! Achtung!”  per annunciare che la festa è finita, che le bancarelle devono smontare, che il Fischmarkt di questa domenica è finito e che insomma per piacere tutti a casa.

Però nel mio filmino l’ “Achtung! Achtung!” non c’è.

IN PRIMO PIANO

Dmitri Nabokov
Dmitri Nabokov

A volte, nello spazio commenti vengono lasciati suggerimenti e consigli preziosi.
Al mio rientro ne ho trovati due che voglio portare in primo piano.

  • stephi in calce al mio post sulla biografia di Véra Nabokov ha segnalato questo link.Si tratta di un’intervista a Dmitri Nabokov e di un gustosissimo video in cui oltre che Dmitri vediamo (ed ascoltiamo) papà Vladimir leggere il famosissimo incipit di Lolita, lo vediamo andare a caccia di farfalle e tanto altro ancora.Il tutto rigorosamente in inglese, ma anche chi non ha gran dimestichezza con l’inglese può tranquillamente godersi il tutto.
  • L’altro suggerimento viene invece da LilianaRosa, che segnala un eccellente sito su Sebald
    W. G. Sebald
    W. G. Sebald

    Il fatto che io sia, ahimè, incapace di leggere il tedesco non diminuisce l’importanza della segnalazione.

    Se non lo capisco io, il tedesco, non è detto che della segnalazione non possano goderne altri.

Grazie, Stephi e LilianaRosa

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: