LASCIAMI ANDARE MADRE – HELGA SCHNEIDER

Lasciami andare madre
Helga SCHNEIDER, Lasciami andare, madre, p.130, Adelphi, La collana dei casi/Saggistica, 2001, ISBN 9788845915932

Quella che segue è una mia recensione scritta e pubblicata qualche anno fa a Palermo su MEZZOCIELO, una rivista bimestrale di politica cultura e ambiente pensata e realizzata da donne.

Berlino, luglio 1941.

La piccola Helga Schneider di quattro anni e il fratellino Peter vengono abbandonati dalla loro madre.

La donna, fanatica nazista, lascia anche il marito Stefan per andare ad arruolarsi nelle SS, l’ordine nero di Himmler.

Diventerà una delle più spietate guardiane del campo di sterminio di Birkenau.

Helga rivedrà sua madre solo altre due volte nella vita.

Il primo incontro (riportato in un altro bellissimo e terribile libro della Schneider Il rogo di Berlino) avviene trent’anni dopo. Nel corso di esso la madre mostra con fierezza, alla figlia annichilita e nauseata, la sua divisa di SS offrendole anche, in dono, manciate dell’oro rubato agli ebrei.
Helga fugge inorridita.

Lasciami andare madre è il racconto del secondo ed ultimo incontro, un drammatico e definitivo faccia a faccia che si svolge a Vienna nel 1998.

La madre è ormai prossima a morire.

Per la figlia, la conseguenza del brutale abbandono materno è stata una vita vissuta nel dolore dell’assenza. Dal 1963 si è trasferita in Italia dove tutt’oggi risiede e lavora.

Ha tentato in mille modi di spezzare il legame che, suo malgrado, la unisce alla madre “perfino rinunciando alla mia madre lingua” (la Schneider infatti non usa il tedesco e i suoi libri sono scritti in italiano).

In questo impietoso resoconto autobiografico di un “atroce sdoppiamento” Helga Schneider descrive da un lato la ripugnanza per le atrocità commesse dalla madre, dall’altro il bisogno di sapere, di conoscere tutto, per potere infine riuscire ad odiarla.

E la madre, questa donna “furba, sleale, ipocrita” parla. Incalzata dalla figlia, descrive senza un’ombra di pentimento e con abbondanza di agghiaccianti particolari le nefandezze di cui è stata responsabile.

“Fatti odiare, madre!” è il disperato urlo interiore di Helga “solo odiandoti sarei finalmente capace di strapparmi dalle tue radici. Ma non posso, non ci riesco”.

Helga si accorge infatti che, se certo non può amare sua madre, non riesce però nemmeno ad odiarla: la forza della procreazione vince sulle colpe materne.

“E’ pur sempre mia madre, e quando se ne andrà una parte di me se ne andrà con lei. Ma quale? Non trovo risposta a questa domanda”

Libro di grande tensione emotiva e non certo di facile lettura, “Lasciami andare madre” è un testo doloroso e prezioso.

Non solo, infatti, ci offre una della pochissime testimonianze dirette della tragedia vissuta dai figli – innocenti – dei carnefici.

Ci permette anche di scrutare all’interno di un complesso rapporto madre-figlia nel quale la figura materna, piuttosto che simbolo di dolcezza, creazione e vita si manifesta come dispensatrice di sofferenza, morte, tortura.

Dev’essere stato difficilissimo, per Helga Schneider, scrivere queste pagine.

Non si può che esserle grate per aver trovato la forza e il coraggio di parlarci di questa “storia mancata di una madre e di una figlia. Una non storia. Lasciami andare, madre”

Di aver trovato “le parole per dirlo”.

Con l’occasione voglio anche segnalare che è appena arrivato in libreria l’ultimo libro di Helga Schneider La baracca dei tristi piaceri. Il sesso forzato come strategia del nazismo. Io l’ho visto sugli scaffali della Feltrinelli, l’ho preso in mano ma confesso di  non avere  ancora il coraggio di affrontarlo…

Helga Schneider

Questa foto di Helga Schneider l’ho scattata io nel 2003 a Venezia, dove, nell’ambito della manifestazione “Fondamenta-Venezia città di lettori” Helga Schneider tenne una Lectio magistralis sul tema “Donne senza più”.

Nello  stesso giorno si svolse anche un incontro con un’altra scrittrice che ammiro moltissimo, l’ungherese Agota Kristof.

Alcune mie impressioni su quella giornata e gli  incontri con le due scrittrici tanto diverse ma che hanno anche molte cose in comune si possono leggere >> QUI

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Informazioni su Gabrilu

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29 risposte a LASCIAMI ANDARE MADRE – HELGA SCHNEIDER

  1. stephi ha detto:

     per cortocircuiti del tutto personali mi viene in mente un Dvd che ho trovato l’anno scorso e che mi impressionò molto:

    http://www.reflections.it/libri/segretariadihitler/scheda.htm

    si tratta di un film/documentario/intervista realizzato da  http://www.andreheller.com/misc/index_e.html (un personaggio molto interessante ed eclettico)
    purtroppo non ho trovato niente su you tube in italiano, i trailer sono tutti in tedesco, ma la storia di questa donna Traudl Junge cattura per un insolito punto di vista, perché lei è una come tante (come lo dice anche la recensione linkata) che però verso la fine del suo percorso personale sembra di prendere coscienza, anche se in modo molto faticoso e doloroso (percorso che la madre di Helga non è stata in grado di compiere)
    cmq. il dvd in questione esiste in edizione sottotitolata in italiano, ed è proprio la voce di Traudl in originale che compie l’empatia (mi rendo conto di usare un termine forte in quel contesto, ma è lì che secondo me si compie una specie di "miracolo" quando è il buio, l’ombra di una persona a commuoverti) nello spettatore, questa voce che sembra ricalcare tutto il percorso dall’infatuazione attuale fino al risveglio durissimo poco prima della sua morte (è morta di cancro poco dopo le riprese)

  2. arden ha detto:

    Hai ragione: è di "non facile lettura" e molto doloroso, per tutto ciò che smuove nel profondo circa il rapporto madre-figlia, oltre che per le vicende molto particolari della storia narrata e per il ritratto che emerge di quella donna "mostruosa" che fu appunto la madre dell’autrice.
    Significativa, inoltre, la rinuncia alla lingua materna: questo tentativo di sradicarsi dal ceppo, e ciononostante sentire e sapere di esservi radicati anche nel momento stesso in cui lo si nega.

  3. Menzinger ha detto:

    Avevo già letto di questo libro. Non so se lo leggerò, ma la vicenda è davvero inquietante.

  4. gabrilu ha detto:

    Stephi
    conosco il film  sulla segretaria di Hitler. Non l’ ho visto ma lo conosco.
    C’è anche il suo libro di memorie "Fino all’ultima ora" edito nella collana Oscar Storia  della Mondadori, che però adesso è fuori catalogo

     Ho però visto che ce l’hanno alla Biblioteca Regionale Siciliana,  magari lo prendo lì (ma ci vorrebbero sette vite per leggere tutto quello che uno vorrebbe….)

    Traudl Junge è anche ben delineata nel film  "La caduta", che io ho trovato molto buono e con un    Bruno Ganz  davvero straordinario
     
     Bruno Ganz ha poi interpretato, tra l’altro,  la parte del professore in "The reader" di Stephen Daldry con Kate Wislet …

    Arden a me sono venuti gli incubi, mentre  leggevo.
    Conosco parecchi psicoanalisti, e tutti mi dicono che per molti anni in  Germania  la maggior parte dei  clienti/pazienti dei loro colleghi tedeschi erano figli  di ex nazisti.
    Se è vero che le colpe  dei padri non dovrebbero ricadere sui figli, è anche vero che purtroppo e troppo spesso sono poi i figli innocenti a pagare un alto prezzo per le colpe dei padri.
    Sul sito di Helga Schneider, se vai a spulciarlo nella parte biografica, c’è anche una fotografia della madre scattata  durante l’incontro a Vienna nel 1971. Sono rimasta una decina di minuti imbambolata a guardarla….
     

    Menzinger
    Ti capisco. Certi libri è davvero arduo leggerli, se uno ha un minimo di sensibilità
    Io ho almeno una decina di titoli che  vorrei leggere  ma che non ho il coraggio di affrontare.
    Però se un giorno o l’altro tu dovessi deciderti a  prendere in mano questo  di HS ti assicuro che  ne vale la pena.
    Ciao e grazie  🙂

  5. stephi ha detto:

     richiesta d’aiuto tecnico:
    come fai a mettere il testo che poi appare in coincidenza con il link, nella nuova schermata di splinder?
    se apro con il mappamondo incatenato per mettere dentro l’indirizzo del link non ho la casella dove di solito mettevo il titolo mio che voglio dare al link. Help!!!

  6. gabrilu ha detto:

    Stephi, adesso per mettere un link non devi fare altro che:

    —- scrivere normalmente il testo che  ti pare

    —- evidenziare  la parte di testo al quale vuoi associare un link  passandoci sopra con il mouse

    —  andare in alto nella casellina con il mappamondino  e la catenina

    —  scrivere  nella mascherina  che ti compare  l’url del link (cancellando il doppione "http: "  che tanto  lo si trova già di default, nella mascherina), cliccare su OK e… il gioco è fatto.

    Però se avete problemi ditemelo, vedrò di fare un post (di servizio) apposito per agevolarvi/ci    la vita   

    E cmq, magari fossero questi, i problemi 

     

  7. stephi ha detto:

     e vai! funziona!!!  grazia 

  8. stephi ha detto:

     

    c’è questa fotografia che sbalordisce! ma sbalordisce esclusivamente per la nostra conoscenza del suo contesto, perché sappiamo di questa donna ritratta e soprattutto sentiamo tutto il dolore dell’occhio di chi la ritrae. noi guardiamo attraverso l’obiettivo con la stessa incredulità di colei che cerca invano una spiegazione, anche solo un tratto nel viso di questa donna che possa aiutare a risolvere questo terribile enigma!
    addirittura comincio a scrutare gli oggetti che stanno attorno per afferrare l’inafferrabile, quel quid che si sottrae ogni qual volta che ti sembra di individuarlo nell’antenna del televisore, nei fiori che spuntano, nei centrini di pizzo. ho cercato persino di voler vedere il braccio che cinge il nipotino, come lo appoggia, che sentimento ci mette in quel gesto??? 
    e arrivo in fondo pensando quanto sia dolorosa, straziante questa impossibilità di vedere un sentimento in quel viso, così regolare, perfino armonioso, bello, ma non perché non ci possa essere, ma perché affondo negli occhi di Helga!
     
    penso che quello che ci sfugge in continuazione in questa immagine è la insondabilità dell’animo umano.

    non posso distanziarmi dallo sguardo di Helga!

  9. stephi ha detto:

     avevo scritto una riflessione sulla foto che ritrae la madre di Helga Schneider che anch’io sono rimasta davanti un bel po’ a guardare. purtroppo non la vedo,  ma se dovesse essersi persa nell’etere avrà un suo senso recondito!

  10. gabrilu ha detto:

    La madre di Helga Schneider

    (foto  presa dal sito ufficiale di Helga Schneider)

    Per Stephi:  (ma anche per tutti gli altri che fossero interessati): per inserire un’immagine che prendi dal web devi  cliccare  (una volta entrata nella mascherina dei comment)  sull’icona  in alto     che indica "inserimento immagine" e nell’apposita  nuova  mascherina  che ti si presenta  indicare il percorso completo (url)  dell’immagine, che  — giusto per fare un esempio —-   in questo caso è

    E’ possibile anche  modificare le dimensioni dell’immagine.

    Opzione questa molto più utile di quanto non  appaia  a prima vista, perchè a volte può succedere di  voler far vedere immagini che sono  troppo grandi e che per  non far sbiellare tutto devono venire ridimensionate.  

  11. stephi ha detto:

     ti ringrazio per questi consigli utilissimi, anche perché più d’una volta mi è capitato di "sbiellare" tutto!

  12. arden ha detto:

    La foto, avendo letto il libro, lascia l’animo in subbuglio.
    Anch’io "imbambolata", Gabriella…

  13. utente anonimo ha detto:

    Grazie per questo post Gabrilù
    Devo dire che, tra le tante testimonianze sul rapporto duro madre-figli, quella della Schneider è il resoconto più drammatico di una vita crudele, tanto più sconvolgente perché ogni cosa era già stata scritta dalla Storia. La vicenda personale viene ripescata con dolore, la necessità della verità è un atto di forza e coraggio supremo, Helga vuole conoscere e forse perdonare quella madre portatrice di morte; m se non sarà possibile perdonare, almeno imparare a odiarla per non dimenticare..
    A marzo 2008 ascoltai l’intervista della Schneider rilasciata a Fazio, ne apprezzai l’equilibrio, il rigore morale, la convinzione che nulla di quel periodo poteva essere cancellato. Soprattutto la serenità conquistata in tarda età, tanto da permetterle di parlare della sua ultima fatica “Heike riprende a respirare”: é soprattutto ai ragazzi che si rivolge in questo libro,  per trasmettere una cultura della pace.  Così, la sua personale vicenda diventa parte della memoria collettiva.

    Elisabetta Mori (Questioni di libri)

  14. gabrilu ha detto:

    Elisabetta
    Purtroppo  quell’intervista in TV me la sono persa, o meglio  ho acceso la  TV troppo tardi ed era  praticamente finita.
    Per il resto, sottoscrivo tutto quello che dici.
    Ciao 🙂

  15. PattyBruce ha detto:

    Incantata da questo post, come sempre, non ho saputo resistere e stamattina ho ordinato online sia "Lasciami andare, madre" che  "Il rogo di Berlino" nonché "La baracca dei tristi piaceri". Ancora una volta ti devo ringraziare.

  16. gabrilu ha detto:

    Cara Patty, i libri della Schneider sono molto belli  ma terribili. Si fatica a leggerli (per i contenuti, non  certo per lo stile che è scorrevolissimo e molto efficace e nemmeno per la  lunghezza), ma poi si è contenti di averli letti
    Ciao e grazie 🙂

  17. utente anonimo ha detto:

    E’ un libro che amo molto. E’ tra quelli che porto dentro, per ricordarmi cos’è il coraggio, il dolore che  spesso porta con sè e il senso di liberazione.
    Libro che consiglio a chi mi è amico, ma che abbia lo stomaco forte, perchè inevitabilmente mette davanti ad uno specchio. E quello che si vede specchiato rischia di non piacere. Anche.
    Che poi, avere il coraggio di riconoscere nel proprio sangue l’orrore, e avere altrettanto coraggio di liberarsene non è da tutti.

    E trovo questo libro così bello, qui:) Non mi  meraviglio d’altronde.

    Con splinder non vado ancora tanto d’accordo gabrilù, ma ci sto provando.
    Buona giornata grande donna.

    Sgnà

    p.s. intendo leggere anche l’ultimo arrivato, anche se devo ammettere che solo il titolo mi mette estremamente a disagio. Ma questo è un periodo così: di coraggio.

  18. PattyBruce ha detto:

    Sono già arrivati e sono felicissima. Non ti preoccupare per le tematiche sconvolgenti, ci sono abituata ^___^ e poi, come rappresentante della categoria delle figlie in aperto conflitto con le proprie madri, questo tipo di letture mi si confà.

  19. gabrilu ha detto:

    Sgnà, sempre un piacere quando vieni a trovarmi.
    Ciao, bella

    Patty, io spero   proprio di non abituarmici  mai…

  20. nncasadibambola ha detto:

    Sì anch’io vidi l’intervista da Fazio che mi lasciò molto impressionata, non potrò mai più dimenticare quella donna e tempo fa anch’io le dedicai un post. Quello che mi ha colpita di più, la sua capacità di andare oltre la sua amarissima esperienza e soprattutto, di non soccombere. Come avrà fatto, si soccombe in genere internamente per molto, molto, molto meno.

  21. gabrilu ha detto:

    nncasadibambola, innanzitutto benvenuta.
     Sono d’accordo, H.S. ha dimostrato   una straordinaria  capacità di elaborazione…
    Ciao e grazie  🙂

  22. stephi ha detto:

     ecco che avevo in mente leggendo di la (Mendelsohn) la citazione "sunt lacrimae de rerum", la foto della madre di H.S., perché questa citazione è valida in entrambi le direzioni.
    lo sto leggendo in questo momento e trovo di molto conforto il fatto che è la prova lampante che le distorsioni/deformazioni psicologiche o psicosomatiche non ti s’iscrivono nel DNA! H.S. dispone di inaudite forze lenitive al suo interno che le hanno permesso non solo di sopravvivere ma di costruirsi nonostante tutto!
    E la sento vicina anche se per motivi diversi ed infinitamente meno traumatici nel trovare in un’altra lingua l’àncora di salvezza che ti permette di prendere delle distanze vitali.
    Non in ultimo anche lei dispone della capacità di percepire le potenzialità lenitive della natura alla quale i tedeschi in particolare prestano molta attenzione e sensibilità:
    nella disperazione più profonda quando sta per incontrare sua madre e il suo corpo le segnala fisicamente il suo rifiuto d’incontrarla, H.S. sente la necessità di aria, a davanti ad una finestra finalmente aperta si sporge appoggiando i gomiti sull’ampio davanzale. L’aria umida ma non fredda, e il profumo della vegetazione bagnata le infonde un senso di sollievo.

  23. gabrilu ha detto:

    Si, Stephi,  la diversità di reazioni che si possono avere guardando ad es.  la foto della madre di H.S. a seconda che si sappia o no quel che c’è da sapere,   di lei,  ed a seconda che la guardiamo  "da esterni", come siamo noi, oppure con  profondo coinvolgimento emotivo come quello che può esserci tra madre e figlia  è molto ben descritto nel libro di Mendelsohn…

  24. PattyBruce ha detto:

    Sto leggendo "Il rogo di Berlino". Non riesco a staccare gli occhi dalle pagine, la mia mente è trasportata in un diverso spazio-tempo e continuo a pensare: " Non c’è limite al male causato dagli uomini".

  25. gabrilu ha detto:

    Cara Patty, te l’avevo detto che leggere questi libri non sarebbe stata una passeggiata…
    Però sono libri da leggere, e so che  sei d’accordo.
    Ciao  🙂

  26. stephi ha detto:

     hai proprio ragione, gabriella, è una tematica quella della molteplice appartenenza che mi coinvolge moltissimo (un primo coup de foudre in quel senso lo ricevetti leggendo Canetti "la Lingua salvata", ed ero ancora lungi dalla mia seconda "Heimat":-))
    ma leggere Helga Schneider ti fa capire che in questo caso ha salvato letteralmente una esistenza…
    soffrivo leggendo quella parte dove la madre le chiede di pronunciare la parola "Mutti", e non è certo l’unico "stupro".
    che forze non  ha dovuto mobilitare quella donna per sopravvivere eppure io colgo moltissimo il potenziale di speranza che abita quel libro, quella esistenza!!
    che umanità è stata capace di sviluppare Helga senza che nessuno si prodigasse più di tanto ad insegnarglielo!
    leggere quel libro è respirare a volte anche a pieni polmoni singhiozzando…

  27. gabrilu ha detto:

    Stephi grazie, ho visto!
    Segnalazione molto utile,  la tua, come sempre.
    Ciao  🙂

  28. Pingback: La Risiera dell’infamia. Daša Drndić e Claudio Magris | Asterismi letterari

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