I MIEI PREMI – THOMAS BERNHARD

Thomas Bernhard I miei premi
Thomas BERNHARD, I miei premi (tit. orig. Meine Preise), traduz. Elisabetta Dell’Anna Ciancia, p.133, Adelphi, Piccola Biblioteca Adelphi, 2009, ISBN: 8845924378 ISBN-13: 9788845924378

I miei premi è un librino in gran parte autobiografico in cui Bernhard parla delle varie cerimonie alle quali dovette partecipare in occasione della consegna dei premi che gli erano stati assegnati.

Nella Nota Editoriale di Raimund Fellinger contenuta nel volumetto Adelphi si legge che tra le carte di Bernhard trovate dopo la sua morte c’era una cartella contenente materiale eterogeneo tra cui un dattiloscritto di cinquanta pagine corrette e numerate dall’Autore: sulla prima compaiono scritti a macchina il nome di Thomas Bernhard e sotto il titolo “I miei premi”. Sul margine destro, un’annotazione a mano: “9 premi su 12 o 13”.

La genesi di questi scritti si fa risalire al 1980 mentre la pubblicazione, prevista inizialmente per il 1989, data della morte dello scrittore, è avvenuta soltanto da poco.

Bernhard i premi li accettava tutti, ma solo ed esclusivamente per “ragioni pecuniarie” e lo dice più volte molto esplicitamente perchè “Se qualcuno offre del denaro vuol dire che ne ha ed è giusto alleggerirlo”.

Con i soldi dei premi Bernhard paga vecchi debiti, si concede il lusso di comprarsi una fiammante Triumph Herald rossa, acquista quella casa alla cui ristrutturazione si dedicherà fino alla morte e che è diventata ormai luogo di pellegrinaggio per innumerevoli lettori di tutto il mondo.

I nove testi de I miei premi sono redatti con frasi corte, incisive, e sono tutti percorsi da uno dei principali leit motiv della sua opera, profondamente segnato dal cedimento dell’Austria al regime nazista: “Tutta la mia esistenza non risponde che all’unica volontà di disturbare e di irritare”.

Ed in effetti, tanto per fare un esempio, la consegna, nel 1968, del Premio Nazionale Austriaco per la Letteratura si conclude con uno scandalo davvero senza precedenti.

Basti solo pensare che tutto il breve discorso (il cui testo integrale è contenuto nel libro) pronunciato da Bernhard era un feroce attacco contro l’Austria. Parlava degli austriaci con frasi del tipo: “Non abbiamo niente da riferire, se non che siamo miserabili, schivi, per forza d’immaginazione […] strumenti del declino, creature dell’agonia; se tutto ci si spiega, nulla noi capiamo […] Non occorre che ci vergognamo, però noi siamo davvero niente e non meritiamo nient’altro che il caos”.

Non c’è da meravigliarsi se in sala e sul palco scoppiò il finimondo, il Ministro se ne andò furibondo e la cerimonia venne interrotta…

I miei premi è un libro feroce, iconoclasta, ironico e… strepitosamente esilarante.

Tra aneddoti, descrizioni delle reazioni del pubblico ai suoi discorsi, grande arte della digressione, violenza verbale ed humor implacabile, Bernhard esibisce una libertà di toni che arriva alla provocazione.

Il libro appare proprio come un  feroce  regolamento di conti   nei confronti dell’ Austria e del sistema dei premi letterari.

Molte le pagine irresistibili: come per esempio quella in cui Bernhard parla della cerimonia della consegna del Premio Grillparzer e della Ministra della Ricerca Scientifica che, appisolatasi durante la cerimonia, si risveglia improvvisamente e “con un tono di impareggiabile arroganza e stupidità nella voce, chiese: ma dove si è cacciato il nostro scrittorello”.

Oppure quelle in cui a Ratisbona il Presidente incaricato di consegnare il premio che è stato assegnato ex aequo a Bernhard e alla scrittrice Borchers scambia i nomi ed annuncia: “…e con ciò l’Associazione Federale dell’Industria Tedesca consegna le Borse per il millenovecentosessantasette alla signora Bernhard ed al signor Borchers!”.

Ma succede anche che lo stesso Bernhard si trovi a far parte di una giuria. Accade a Brema.

Bernhard è decisissimo a proporre Canetti, ma

“pronunciai ripetutamente la parola Canetti e ogni volta le facce attorno al lungo tavolo si contrassero in una smorfia di disappunto. Molti a quel tavolo non sapevano neppure chi fosse Canetti, ma tra i pochi che sapevano di lui ci fu uno che tutt’a un tratto, dopo che ebbi ripetuto il nome Canetti, disse: ma pure quello è un ebreo. Poi ci fu solo un mormorio e di Canetti non si parlò più. Ancora oggi mi risuona nelle orecchie la frase Ma pure quello è un ebreo!

 

Per concludere: non solo I miei premi è un libro la cui lettura mi ha divertita moltissimo, ma lo consiglio a tutti e particolamente a coloro i quali svenderebbero in saldo l’anima al diavolo pur di comparire in libreria con la fascetta “Vincitore del premio Pinco Palla”.

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UN SOPRAVVISSUTO DI VARSAVIA – ARNOLD SCHOENBERG

Arnold Schoenberg “UN SOPRAVVISSUTO DI VARSAVIA”

Oratorio per voce recitante, coro maschile ed orchestra op.46

Bamberger Symphoniker, Direttore Horst Stein, Hermann Prey (voce narrante).

Un giorno, discutendo di questo argomento, chiesi a un amico:

«… conosci Un sopravvissuto di Varsavia? – Un sopravvissuto? Chi?»

Non sapeva di che cosa stessi parlando. Eppure Un sopravvissuto di Varsavia (Ein berlebender aus Warschau), oratorio di Arnold Schönberg, è il più grande monumento che la musica abbia mai dedicato all´Olocausto. Tutta l´essenza esistenziale del dramma degli Ebrei del XX secolo è in quest´opera viva e presente. In tutta la sua atroce grandezza. In tutta la sua bellezza atroce. Ci si batte perché degli assassini non vengano dimenticati. E Schönberg, lo abbiamo dimenticato.


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L’ARTE DEL TACERE

Francois de La Rochefoucauld

Dalla IV Riflessione (“La conversazione”) di François de La Rochefoucauld

“E’ necessario osservare che non tutti i tipi di conversazione, per decorosa e intelligente che sia, si adattano egualmente a tutti i tipi di interlocutori: bisogna scegliere l’argomento adatto a ciascuno e scegliere anche il momento adatto per trattarlo.

Ma se parlare è un’arte sovrana, tacere non lo è da meno. C’è un silenzio eloquente che certe volte serve ad approvare oppure a condannare; c’è un silenzio beffardo e un silenzio rispettoso […] Il segreto di servirsene bene lo conoscono in pochi e certe volte sbagliano anche quelli che ne stabiliscono le regole; la più sicura, secondo me, è non averne nessuna immutabile, mostrare piuttosto negligenza che affettazione in ciò che si dice, ascoltare, parlar poco e non sentirsi mai costretto a parlare”

 

PER UNA GIUSTA CAUSA

Ufficiale Armata Rossa
“La nostra causa è giusta, vinceremo”

Così esclama il giovane colonnello Novikov — uno dei protagonisti di Per una giusta causa di Vasilij Grossman —- ascoltando a Radio Mosca il discorso con cui Molotov nel giugno del 1941 annuncia ai cittadini sovietici l’invasione tedesca dell’URSS.

In Vita e Destino ritroveremo Novikov a Stalingrado…

In questi giorni sono in full immersion nella lettura di Per una giusta causa di Vasilij Grossman, il grande romanzo che precede Vita e Destino e di cui si può ben dire costituisca la prima parte.

1941-I tedeschi invadono l'URSS

Mentre in Vita e Destino siamo già nel pieno della battaglia di Stalingrado, Per una giusta causa si apre nel 1942, ad un anno di distanza dall’invasione tedesca del territorio sovietico.

“Vavilov si guardò attorno ancora una volta.

[…] Si ricordò all’improvviso l’ultima notte di pace, la notte dal sabato alla domenica 22 giugno: tutta l’immensa, giovane Russia, la Russia degli operai e dei kolkoziani stava suonando la fisarmonica nei giardini delle città, sulle piste da ballo, nelle strade dei villaggi, nei boschi, nei dintorni, sui fiumi del paese…

Improvvisamente, tutto era piombato nel silenzio, le fisarmoniche avevano taciuto.

Già da un anno, un austero silenzio che niente poteva ravvivare era calato sulla terra sovietica.”

Tutti i personaggi sono gli stessi che chi ha letto Vita e Destino ha incontrato già in medias res ed ha imparato ad amare.

Di tutti loro, il lettore di Vita e Destino conosce la sorte finale.

In Per una giusta causa invece, Alexandra Vladimirovna e tutti i componenti della numerosa famiglia Šapošnikov, il commissario politico Krymov, l’operaio e bolscevico della prima ora Mostovskoï, il medico militare Sofia Ossipova Levinton, il colonnello Novikov, il fisico Viktor Štrum, sua madre Anna Semionovna Štrum e tutti gli altri personaggi entrano in scena e vengono presentati ad uno ad uno con calma, ciascuno con le loro storie pregresse, con la descrizione delle loro caratteristiche personali.

Grossman avvia la sua epopea con un ritmo lento, da “andante maestoso”.

Si tratta di una lettura appassionante ed avvincente, anche se molto scomoda soprattutto per le dimensioni del volume, enorme, quasi impossibile da leggere a letto o sdraiati su un divano.
Se avessero suddiviso le circa 700 pagine in due agili volumetti sarebbe stata una gran bella cosa. Queste difficoltà… come dire… di gestione del volume mi stanno rallentando di molto la lettura.

Ma ringrazio comunque davvero di cuore la casa editrice svizzera L’ Age d’Homme d’aver pubblicato questo testo introvabile in italiano e, per quel che ne so, anche in inglese.

1941 Resa dei russi

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Le immagini che ho inserito nel post provengono da siti web dedicati alla Seconda Guerra Mondiale.

  • Ufficiale dell’Armata Rossa con i suoi uomini (Fonte)
  • 26 Giugno 1941. Soldati tedeschi, supportati da carri armati, incendiano un villaggio russo in una località non identificata (Fonte)
  • Soldati sovietici nei giorni dell’invasione tedesca (Fonte)

RIVE LONTANE – LAURENT MARTIN

Laurent Martin Rive lontane
Laurent MARTIN, Rive lontane (tit. orig. Des rives lointaines), traduz. Sabrina Manca, p.152, Voland Edizioni, Gennaio 2010, ISBN 978-88-6243-048-7

Un romanzo breve, centrato su pochi personaggi, ambientato in una banlieu di una qualche città francese probabilmente durante gli anni ’70, una periferia in cui la monotona vita degli abitanti ruota tutta attorno al Panama, una Taverna in cui tutti — operai e disoccupati — si ritrovano per bere vino bianco (secco) — e la Fabbrica.

Taverna e Fabbrica con l’iniziale maiuscola.

Perchè nel quartiere non c’è nient’altro.

Nessun orizzonte, nessuna speranza per Renée, il proprietario del Panama, Maurice, l’attivista sindacale, Mac lo scozzese o “il grande Lucien”, appena uscito di prigione dove è stato per aver cercato di rubare la cassa della Fabbrica…

La vita si trascina monotona e sempre uguale, tanto da far pensare a Joseph, il diciottenne protagonista che ci racconta la storia in prima persona “Mi domando se certe giornate meritino di essere vissute talmente somigliano alle precedenti”.

Lui però non è rassegnato. Tra l’affetto per la madre che non si è mai fatta una ragione della scomparsa del marito Paul e quello per Juliette, la sua ragazza, Joseph sogna, leggendo e rileggendo Mark Twain, di andarsene in America, di andare a vedere il Mississippi…

No! Io non finirò mai come voi. Io ho dei progetti. Voglio andare in America. Per vedere scorrere il Mississippi. Ma prima voglio lavorare. Ne ho bisogno. Ora. Poi si vedrà”

Per poter mettere da parte i soldi del viaggio Joseph cerca dunque di farsi assumere dalla Fabbrica, ma proprio in quello che dovrebbe essere il suo primo giorno di lavoro il Direttore viene trovato morto, assassinato. Non solo, ma il nuovo Direttore annuncia subito una grande ristrutturazione che comporterà molti licenziamenti.

Ecco allora che il tranquillo e sonnolento tran tran della banlieu si interrompe bruscamente, tutto si mette in movimento: scatta lo sciopero, e questo universo chiuso e claustrofobico si trova a vivere giorni di lotta, di ansie, di cariche della polizia ma anche della scoperta della solidarietà e del fatto che questa solidarietà può restituire senso morale e dignità.
Giorni carichi di paure.
Paura dei licenziamenti, paura del misterioso assassino che non smette di colpire: l’uccisione del Direttore non rimane, infatti, l’unico omicidio.

Rive lontane dipinge una realtà di periferia senza alcuna attrattiva; squallida e senza avvenire, abitata da persone che vivono una vita priva di gioia e di speranza che però al momento giusto mostrano di non avere perso la volontà  di ritrovarsi a lottare assieme per un obiettivo comune.

Un libro che è ottimo noir ma non solo, una scrittura secca e tagliente, un’ambientazione che pur senza precisi riferimenti geografici risulta sorprendentemente realistica, personaggi delineati con tratti essenziali ma molto efficaci. Un libro che si legge d’un fiato, con la rivelazione finale, all’ultima pagina, che lascia tramortiti…

Di Laurent Martin avevo letto qualche anno fa L’ivresse des dieux che mi era piaciuto molto ma che non mi risulta essere stato pubblicato in Italia.

Questo Rive lontane credo sia il  primo romanzo di Martin che possiamo leggere in italiano grazie alla casa editrice Voland ed alla bella traduzione di Sabrina Manca.

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GADDA, CONTINI, PROUST

Carteggio Contini Gadda
Stralcio dall’articolo di Pietro Citati “GADDA & CONTINI Affettuose o tragiche le lettere ritrovate tra due grandi maestri”
Repubblica, 15 gennaio 2010, pagina 46 sezione Cultura.

“Nell’ Introduzione [a La cognizione del dolore n.d.r.] Contini ricordò un episodio, secondo lui simile, raccontato nella Recherche.

A Montjouvain, mademoiselle Vinteuil, figlia di un oscuro musicista, bacia ed abbraccia un’ amica, distesa sopra di lei in un canapè: lì accanto sta un piccolo ritratto fotografico del padre; e l’ amica sputa su di esso, con la complicità di mademoiselle Vinteuil.

Nascosto all’ ombra tra i cespugli, Marcel osserva la scena senz’ essere visto: l’ episodio di Montjouvain è il suo Peccato Originale; contemplando la scena lesbica e sadica, egli mangia il frutto dell’ albero del bene e del male. Guarda; e nel mondo della Recherche, guardare il male è una colpa simile a quella di commetterlo.

Quando lesse l’ Introduzione di Contini, Gadda diventò furibondo di dolore, disperazione, vergogna, angoscia.

Contini non aveva compreso né La Cognizione del dolore né la Recherche” 

DAI TACCUINI DI GUERRA DI VASILIJ GROSSMAN – LA RITIRATA DEL 1941

Russian soldiers 1941

I Taccuini di guerra di Vasilij Grossman non sono stati ancora pubblicati in italiano, perciò la traduzione dal testo francese (che a sua volta è una traduzione dall’originale russo) è mia.

Molto dilettantesca ed artigianale, mi rendo conto, ma la potenza della scrittura di Grossman è tale che — di questo sono certa — riesce ad emergere comunque.

LA RITIRATA DEL 1941

Bombardieri tedeschi 1941

Ottobre 1941. Dopo la distruzione di Gomel da parte dei tedeschi, la 50° Armata dell’esercito sovietico comandata dal generale Petrov al seguito del quale si trova Grossman è in rotta, in fuga verso il sud, bombardata dagli aerei tedeschi e incalzata dai carri armati di Guderian che mette in atto una grande operazione di accerchiamento per abbattere Kiev.

Grossman annota ciò che vede di questa gigantesca ritirata in pagine che si stenta a credere siano soltanto appunti presi al volo e non ancora rielaborati.

Pensavo di sapere che cosa fosse una ritirata, ma una cosa simile non solo non l’avevo mai vista, ma non ne avevo la minima idea. L’Esodo! La Bibbia! Le vetture avanzano disposte in otto file; in un urlare straziante, dozzine di camion cercano contemporaneamente di tirarsi fuori dal fango. Enormi mandrie di montoni e di mucche vengono spinte per i campi; cigolano carrette trainate da cavalli, migliaia di carri ricoperti di teloni impermeabili colorati, di legno compensato, di latta, con dentro sfollati venuti dall’Ucraina; ancora più lontano marciano masse di gente a piedi cariche di sacchi, fagotti, valige. Non è una corrente, non è un fiume, è il lento movimento di un oceano che si riversa, un movimento che si sviluppa per parecchie centinaia di metri a destra e a sinistra. Da sotto le tettoie che ricoprono i carri spuntano teste bionde e brune di bambini, le barbe bibliche dei vecchi Ebrei, quelle rovinate dei contadini, i copricapi dei nonni ucraini, ragazze e donne dai capelli neri. E che serenità nei loro occhi, che saggezza nel loro dolore, che senso del destino, di una catastrofe mondiale!

Sfollati sovietici 1941

La sera, da sotto molti strati di nuvole blu scuro, nere e grige, appare il sole. I suoi raggi sono larghi, enormi, percorrono lo spazio tra cielo e terra come nei quadri di Gustave Doré che rappresentano le terribili scene bibliche dell’arrivo sulla Terra delle celesti forze vendicatrici. In questi larghi raggi gialli, il movimento dei vecchi, delle donne con i neonati in braccio, delle mandrie di montoni, dei soldati assume una grandezza ed una tragicità tale che per alcuni momenti l’illusione di essere stati trasportati ai tempi delle catastrofi bibliche è completa.

Tutti guardano il cielo, non nell’attesa della venuta del Messia, ma nell’attesa dei bombardieri tedeschi. Improvvisamente delle grida: “Eccoli! Arrivano, arrivano!”

Molto in  alto nel cielo, con un movimento lento e perfettamente regolato, navigano a triangolo dozzine di aerei, si dirigono dalla nostra parte. Dozzine, centinaia di persone si precipitano sotto i camion, saltano fuori dalle cabine e corrono in direzione della foresta. Come una peste che si scatena, il panico si impadronisce di tutti, la folla di coloro che corrono aumenta di secondo in secondo.

E,  al disopra della folla, il grido penetrante di una donna: “Fifoni, fifoni, sono solo  gru che volano!”. Confusione.

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Le immagini:

  • Inverno del 1941. Soldati sovietici combattono gli invasori tedeschi
  • Aerei da guerra tedeschi in volo per bombardare le città sovietiche, 22 giugno 1941
  • Una colonna di sfollati dopo l’invasione tedesca del territorio sovietico nel giugno del 1941

ÉDES ANNA – DEZSÖ KOSZTOLÁNYI

Edes Anna

Édes Anna è il titolo originale dell’ultimo dei quattro romanzi scritti da Dezsö Kosztolányi, uno dei più grandi scrittori ungheresi del primo Novecento.

Giornalista, poeta, saggista, traduttore di autori francesi, tedeschi, italiani, affascinato dalla psicoanalisi (era amico di Sándor Ferenczi) raggiunse la fama con il romanzo storico Nerone il sanguinario a proposito del quale Thomas Mann gli scrisse una lettera in cui manifestava tutto il suo entusiasmo.

Ho scoperto Kosztolányi attraverso un altro grande scrittore ungherese che gli Happy Few che frequentano questo blog sanno bene quanto io ami, e cioè Sándor Márai che a Dezsö Kosztolányi dedica molte, appassionate pagine sia nei suoi due splendidi volumi di memorie pubblicati in Italia (Confessioni di un borghese e Terra! Terra!…) che ne L’ultimo dono, il bellissimo e straziante diario degli ultimi anni di vita di cui ho parlato qui.

La vicenda di Anna si sviluppa a Budapest nell’arco di un anno, dal 31 luglio 1919 all’autunno del 1921, in un’epoca storica travagliata, per l’Ungheria.

Parallelamente alle storie private dei personaggi principali del romanzo si svolgono infatti eventi decisivi per la storia ungherese: l’ultimo giorno della Comune, l’occupazione di Budapest da parte dell’esercito rumeno, l’entrata a Budapest di Miklós Horthy, la firma del Trattato del Trianon…

Kosztolányi apre il romanzo mostrando la fuga di Béla Kuhn che lascia Budapest su un aereo da lui stesso pilotato e la caduta dei Rossi per passare poi a descrivere le reazioni ed i comportamenti degli abitanti di un immobile condominiale del quartiere Krisztina a Buda in cui convivono e si affrontano famiglie della borghesia e i loro domestici, o meglio, le loro domestiche, visto che sono tutte donne.

Nel bel mezzo di tutti questi capovolgimenti politici, la signora Vizy, moglie di un consigliere ministeriale, ha un solo, ossessivo pensiero: cerca disperatamente la domestica ideale. Finora, mai nessuna domestica è riuscita a rimanere in casa per più di un mese o due. O si licenziano perchè arcistufe della padrona, o vengono licenziate dalla incontentabile, sospettosa, avara e dispotica Vizy.

Budapest Kisztina Korut 1930

Il portiere del condominio, uomo avido ed opportunista, arrogante comunista durante i Cento Giorni ma ora che è cambiato il vento molto ansioso di procurarsi protezioni presso la borghesia conservatrice, propone alla signora di assumere la propria nipote, Anna Édes (“édes” in ungherese significa “dolce” e inoltre, teniamo presente che in ungherese il cognome precede sempre il nome: Édes Anna, infatti: Dolce Anna).

Edes Anna

Effettivamente, non appena entrata nel vecchio e tetro appartamento borghese la diciannovenne Anna si rivela subito una specie di miracolo e si mostra ancora più perfetta di quanto i Vizy avrebbero potuto mai sognare ed al punto tale che tutti i condomini invidiano i due coniugi: Anna lavora molto e bene, è infaticabile, mangia pochissimo, nel suo giorno di libertà (poche ore ogni due settimane) preferisce rimanere in casa, non ha grilli per la testa e…cosa per la signora Vizy straordinaria… non ruba.
Sembra non avere che un solo desiderio: lavorare, lavorare, lavorare.

Marito e moglie sono al settimo cielo.

“Cominciò allora per loro un’esistenza idilliaca di cui sentivano permanentemente il gusto in bocca. L’impossibile si era realizzato; avevano messo le mani sulla domestica, quella vera, quella di cui avevano sognato”

La padrona è talmente contenta della sua domestica che cade malata quando Anna, che ha ricevuto una onesta proposta di matrimonio sembra decisa ad accettarla. Kosztolányi ci ricorda qui che la dialettica tra le classi va di pari passo con quella tra lo schiavo e il padrone: appartengono a due campi opposti ma dipendono l’uno dall’altro.

Così, indispensabile alla Vizy, Anna rinuncia a sposarsi, ma poco tempo dopo ispira una passione erotica tanto violenta quanto fugace a Jancsi, il nipote della padrona, ospite temporaneo degli zii.

Kosztolányi descrive a questo punto molto dettagliatamente le fantasie erotiche ed ancillari del giovane uomo ed i rapporti erotici tra lui ed Anna.

Edes Anna

Ma, al di là di queste descrizioni molto crude e realistiche, chi sia, cosa pensi, cosa senta realmente Anna rimane un mistero.

E’ una ragazza ingenua, povera di spirito, intellettualmente un po’ limitata o semplicemente un essere estremamente chiuso e riservato? Anna non si ribella ai suoi padroni, ma nemmeno dà mai alcun segno di amarli.

…E poi succede che una notte, finito di lavare i piatti e di riordinare la cucina, Anna la dolce, la dolce Anna uccide, accoltellandoli selvaggiamente, ferocemente, la signora Vizy ed il marito.

Lo dico per il semplice motivo che la cosa è annunciata chiaramente già nella quarta di copertina del libro…

La ragazza confessa subito l’omicidio ma non dice e non fa nulla per difendersi, per minimizzare la sua responsabilità.

Perchè ha ucciso? Kosztolányi non fornisce alcuna risposta, lascia il lettore libero di immaginare ciò che vuole, anche che si tratti di un atto assurdo che a noi oggi fa inevitabilmente venire in mente l’omicidio commesso da Mersault ne Lo straniero di Camus

Edes Anna

L’obiettivo di Dezsö Kosztolányi non è dunque quello di creare della suspense e nemmeno quello di scrivere un romanzo poliziesco o un thriller; con uno stile impressionistico e attraverso scene apparentemente anodine ci fa penetrare nel profondo di una relazione tra padroni e servi, ci fa sentire emozioni che la stessa Anna non è capace di formulare, ci fa presagire a poco a poco ma con certezza che il dramma è inevitabile.

La storia di Anna riflette l’idea che lo scrittore ha dell’umanità e del mondo che lo circonda.
Kosztolányi è convinto che le persone costituiscano un mistero inesplicabile e che ciascun individuo è unico, singolo e insostituibile. Si oppone a qualsiasi teoria che favorisca soluzioni semplicistiche.

Rifiuta ogni pensiero che ricorre ad una sola ed unica ragione o causa per spiegare la diversità degli esseri umani e della vita.

Il vecchio e saggio presidente del tribunale che deve giudicare Anna giunge, nel corso del processo, alle stesse conclusioni:

“Sapeva che nessun atto criminale poteva essere spiegato semplicemente enumerando una o più cause. Tutta la vita deve essere presa in considerazione. La giustizia non è in grado di fare luce”

Ciascuno dei personaggi del romanzo, narratore compreso, sono invitati a pronunciarsi sul crimine di Anna. Nemmeno il lettore può sottrarsi alla necessità di formulare egli stesso una propria ipotesi interpretativa del gesto di Anna.

Édes Anna è un eccellente romanzo psicologico ma anche, pur se in minor misura, sociologico perchè ci fa viaggiare nel tempo e scoprire la vita dei borghesi in Ungheria durante gli anni del primo dopoguerra.

Non si tratta però di un romanzo a tesi, perchè lo sguardo di Kosztolányi non esprime preferenze di classe; lo scrittore si comporta come una sorta di entomologo che osserva una società di insetti.

Il romanzo si svolge quasi tutto all’interno del condominio, è un “Huis clos”; Anna non esce quasi mai, di casa.

Però quando lo fa, noi lettori la seguiamo nei suggestivi vicoli di Buda e scopriamo assieme a lei l’interno di quegli edifici davanti ai quali forse ci è capitato qualche volta di passare come turisti.

Édes Anna è anche ferocemente satirico ma è scritto con uno stile avvolgente, sempre sommesso e, voltando le pagine del libro, ci sembra di sentir sussurrare la voce interiore dei personaggi senza che mai l’autore intervenga con analisi e spiegazioni dei loro comportamenti.

Dezso Kosztolanyi

Dezso Kosztolanyi Anna la douce

Dezsö KOSZTOLÁNYI, Anna la douce (tit. orig. Édes Anna), traduz. dall’ungherese al francese e prefazione di Eva Vingiano de Pina Martins, p.315, Paris, Viviane Hamy, 1992

  • Dezsö Kosztolányi >>
  • Il libro (in francese) >>
  • L’edizione del romanzo da me letta è questa traduzione francese dall’originale ungherese. La traduzione dal francese delle citazioni contenute nel post è mia.
  • Le immagini sono tratte dal film ungherese Édes Anna >>

 
see Nel 2014 il romanzo è stato poi pubblicato anche in italiano dalla casa editrice Anfora. Ne parlo >>qui

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