Hans Magnus ENZENSBERGER, Josefine e io (tit. orig. Josefine und Ich), traduz. Valentina Tortelli, p.134, Einaudi, 2010, ISBN 9788806185510
Germania, 1990.
Un incontro proprio strano, quello tra Joachim, un trentenne ricercatore in scienze economiche e la settantacinquenne Josefine, un tempo famosa cantante lirica e l’intesa non sembra proprio facilissima. Tuttavia, Joachim non riesce a sottrarsi agli inviti settimanali a casa della vecchia, eccentrica signora.
Un giorno Joachim, assistendo per strada al tentativo di scippo nei confronti di un’anziana signora è intervenuto in suo soccorso; lei lo ha ringraziato ed invitato a casa sua a prendere il te. Da allora, ogni martedi alle cinque Joachim si presenta puntualmente in Kastanienallee e bussa alla porta del grande, vecchio appartamento un po’ malridotto in cui Josefine vive con una vecchia e fedele domestica che si chiama Fryda.
Josefine K. è una gran dama, disinvolta, raffinata, altera, piena di verve, particolarmente propensa alla superbia e ai giudizi caustici e tranchants. Gli argomenti sono i più svariati: Dio, la società, il mondo, l’arte, la cultura, la musica; il tempo che passa, la vita, la malattia e la morte… Josefine riesce ad essere sempre spiazzante.
Di volta in volta affascinato, emozionato o esterrefatto e spesso anche irritato dai discorsi di Josefine, Joachim non riesce a spiegare a se stesso che cosa lo spinga a trascorrere tanto tempo con questa anziana signora dalla quale lo dividono la grande differenza di età, la differente visione del mondo, le esperienze di vita.
Cosa mai può avere in comune con questa donna che colleziona scarpe e passa il tempo a disquisire su tutto fumando Gauloises?
La conversazione di Josefine è molto sagace e brillante (il che non le impedisce di essere anche contraddittoria) e non conosce censura. In casa sua niente telefono nè giornali ma libri, tantissimi libri sparsi dovunque, che lei legge voracemente e che molto spesso cita. Josefine esalta il valore del denaro, considera la pigrizia un’arte e l’oblio un valore; disprezza lo Stato (“questo sinistro parassita”), la Riunificazione tedesca, i francesi, l’arte contemporanea, lo sport…
Reazionaria dichiarata, ironizza allegramente sulla democrazia, l’ideale di giustizia, sui politici e sui matematici. Il modo franco di parlare di questa “sirena” di un’altra epoca non sempre convince il giovane ma in qualche modo lo “ipnotizza”.
Il giovane economista cerca di capire quale sia stata veramente la vita di questa donna libera e così poco convenzionale: una bella carriera sotto il III Reich, tre matrimoni ciascuno dei quali durati molto poco, molti amanti, parecchio denaro, molte spese.
Joachim sente che nonostante Josefine parli molto, molto di se stessa gli nasconde e quando il giovane le rivolge domande precise sulla sua vita passata, lei riesce sempre a glissare ed a cambiare discorso con grande abilità; ci sono troppi particolari che a Joachim non risultano affatto chiari.
Eppure, nonostante tutto, ad un certo punto Joachim si rende conto che tra lui e la sua ospite si è creata — entro i limiti definiti dal rispetto reciproco e dal riserbo cui entrambi tengono molto — una sorta di strana intimità.
E che pensare inoltre della misteriosa Fryda, che già appena dopo poche pagine si rivela un elemento fondamentale del racconto?

Enzensberger, con lentezza ed una maestria che è fatta tutta di allusioni letterarie, fa intravedere gradualmente la storia dell’anziana signora attribuendole anche un altro passato, completamente diverso, di origine letteraria.
“La nostra cantante si chiama Josefine. Chi non l’ha mai ascoltata non conosce la potenza del canto”.
Con queste parole si apre l’ultimo racconto di Kafka, Josefine, la cantante o il popolo dei topi, pubblicato nel 1924, l’anno della sua morte.
Come tutti gli scritti di Kafka, anche questo è stato oggetto di svariati tentativi di interpretazione; la più congruente con questo racconto di Enzensberger a me sembra quella che nel testo di Kafka legge una parabola sulla natura e sulla funzione dell’arte e del rapporto tra artista e società. Enzensberger “gioca” in modo molto raffinato con Kafka a cominciare dal nome e dal cognome dell’anziana ex cantante: Josefine infatti — oltre ad essere una esplicita allusione all’ultimo racconto di Kafka — è anche, al femminile, il nome di alcuni celeberrimi personaggi kafkiani così come il cognome indicato con la sola iniziale K. non può che rimandare a Il processo ed all’agrimensore K. de Il castello.
Lo scrittore però non esagera ed il suo gioco è condotto con grande leggerezza. Le allusioni al testo di Kafka sono molto poco esplicite e soprattutto sono funzionali al senso del racconto, che uno straordinario finale a sorpresa colora tutto di una luce completamente nuova e costringe il lettore ad un ripensamento riguardo ciò che ha appena finito di leggere.
Il racconto Giuseppina la cantante, ossia il popolo dei topi inizia con la perentoria affermazione che “chi non l’ha sentita cantare non conosce il potere del canto. Non c’è nessuno che non sia trascinato dal suo canto” ma nel giro di appena due paragrafi Kafka arriva a sostenere l’esatto contrario, e cioè che Giuseppina non solo canta in modo mediocre, ma che non sa nemmeno cantare. il suo è più un fischio, che un canto.
Perchè allora stanno tutti ad ascoltarla?
Perchè il fischio di Giuseppina è capace di risuonare come una straordinaria melodia soltanto a chi le presta un ascolto attento, e per costoro, Giuseppina funziona come una sorta di specchio perchè: “in lei ammiriamo ciò che non ammiriamo affatto in noi”.
Il racconto sembra una parabola con la quale Kafka invita l’ascoltatore/ il lettore a non fermarsi alla superficie del suono/testo, ma a cimentarsi in una lettura attenta e profonda, ad una continua rilettura, perché la letteratura non è soltanto narrazione, ma infinita ricerca.
Perchè il giovane trentenne va ogni martedi alle cinque a prendere il tè dalla vecchia signora?
Forse la risposta ce la dà lo stesso Joachim quando ad un certo punto chiama Josefine “La mia terapeuta involontaria” (p.111).

Ambientato nel 1990, nel momento della riunificazione delle due Germanie, Josefine ed io è però anche da leggere, a mio parere, come un apologo della storia tedesca del Novecento visto attraverso il confronto tra due generazioni ed in cui il ricorrere, nei serrati dialoghi tra il trentenne Joachim e la settantacinquenne Josefine, del tema della memoria e dell’oblio (e della rimozione!) non mi pare certo casuale.
Voglio citare solo un esempio: questo stralcio di dialogo tra Josefine e Joachim in cui la ex cantante che, celebre al tempo dei nazisti, era riuscita ad utilizzare la sua frequentazione con Goebbels per salvare la vita di una ebrea parla proprio del suo “dimenticare”.
— Ovviamente, la maggior parte delle cose l’ho prontamente dimenticata. Non sorprende, alla mia età! Lei è giovane […] crede di avere ancora tutta la vita davanti e crede che si debba tenere a mente ogni cosa significativa. Io no. Ci tengo alla mia smemoratezza. Mi mantiene in salute.
[…]
— E ha rimosso tutto? Che peccato. Il momento spiacevole è sempre quello della verità
— Un giorno capirà che è meglio rinunciare a verità del genere. Gli psicologi sono i soli ad avercela con la rimozione. Non sorprende che siano infelici (pp. 24-25)
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