UN PAIO DI CALZONI

Stalin e Gorkij nel 1931
Gor’kij con Stalin nel 1931

Mandel’stam era tornato attraverso la Georgia dalla Crimea […], lo avevano arrestato ben due volte ed era arrivato a Leningrado semivivo, senza nessun indumento caldo. In quegli anni gli indumenti non erano in vendita e si poteva averli solo presentando un apposito buono. Questi buoni destinati agli scrittori venivano firmati da Gor’kij. Quando gli venne presentata la richiesta di concedere a Mandel’stam un paio di calzoni e un maglione, Gor’kij cancellò la parola “calzoni”, dicendo: “Può anche farne a meno…”. Fino allora non aveva mai lasciato nessuno senza calzoni. Numerosi scrittori, divenuti in seguito “compagni di strada” esaltano le cure paterne di Gor’kij. I calzoni sono un’inezia, che dimostrava però l’ostilità di Gor’kij nei confronti di una corrente letteraria a lui estranea: i soliti “intellettualucoli” da conservare in vita solo se in possesso di una buona dose di nozioni scientifiche”.

L’ARMATA SCOMPARSA. L’AVVENTURA DEGLI ITALIANI IN RUSSIA – ARRIGO PETACCO

L'armata scomparsa
Arrigo PETACCO, L’armata scomparsa. L’avventura degli italiani in Russia, p.240, Mondadori, Collana Oscar Storia, 2010, ISBN 9788804595878

Qualche settimana fa mi sono improvvisamente resa conto (succede!) di aver letto parecchi libri sulla Seconda guerra mondiale (ed altri ho in programma di leggerne, sia di  narrativa che di saggistica) ed in particolare sul fronte russo, su Stalingrado, sui massacri degli ebrei in Ucraina, sulle nefande imprese delle SS e delle Einsatzgruppen.

Mi sono accorta di avere ormai   dimestichezza con   molti  nomi di generali tedeschi come Friedrich Paulus, Von Manstein e Guderian o russi come Cuikov (Zukov)  o Eremenko ma…e gli italiani?!

Mi sono    accorta   cioè  del fatto che quel poco che sapevo sulle vicende degli italiani in Russia era costituito più che altro da un disorganico e confuso insieme di spezzoni di film, qualche brano di letteratura, qualche documentario visto distrattamente in televisione.

La sola lettura del pure ottimo Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern non poteva certo essere sufficiente per conoscere il dramma dei militari italiani scaraventati sul fronte russo da un ambizioso ed incosciente Mussolini bramoso soprattutto di assicurarsi la sua parte di bottino nel momento della spartizione delle spoglie di un nemico sovietico che pensava sarebbe rimasto travolto nel giro di poche settimane dalle potenze dell’Asse (“Mi bastano un migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative” aveva risposto a Badoglio che, come Capo di Stato Maggiore, aveva avanzato gravi riserve sulla preparazione delle truppe italiane)

Ho cercato allora un testo che senza essere specialistico mi consentisse un primo approccio fornendomi la cronologia degli avvenimenti, mi facesse prendere dimestichezza anche con divisioni, battaglioni, schieramenti italiani, mi desse i nomi dei loro comandanti, consentendomi insomma di farmi un’idea meno nebulosa di quella che possedevo sul tema “gli italiani in Russia”.

Ho comprato questo libro di Petacco e l’ho letteralmente divorato in un paio di giorni.

Documentato, corredato da una utilissima bibliografia, molto dettagliato ma scritto con uno stile asciutto e coinvolgente, il racconto percorre tutto il dramma degli italiani coinvolti nella campagna di Russia nella Seconda guerra mondiale: la partenza per il fronte, i tremendi combattimenti, la ritirata, il dramma dei dispersi, la vita (e la morte!) dei prigionieri di guerra nei gulag sovietici.

Grandi pregi di questo libro sono, per me, la pacatezza del racconto, l’equilibrio nei giudizi, l’assenza di schematismi e di valutazioni di parte pilotati da una ideologia, la giusta e doverosa valorizzazione da parte di Petacco dell’eroismo dimostrato da tanti soldati italiani in quella terribile situazione facendo questo senza però mai scadere nella retorica militarista.

Bellissime e malinconiche le pagine dedicate alla memorabile carica del Savoia Cavalleria nella battaglia di Isbucenskij alla fine della quale Petacco commenta: “L’esercito italiano sapeva fare bene le cose che non servivano più, e male quelle che sarebbero state necessarie nella guerra che stava combattendo” , e non esito a definire struggenti ed epiche quelle dedicate agli alpini sul Don ed ai tanti esempi di vero e proprio eroismo individuale mostrato da bersaglieri, carabinieri, ragazzi della fanteria in tante e tante occasioni.

Scrive Petacco: “Se durante la campagna di Russia il Corpo di spedizione italiano, come macchina bellica, non diede […] risultati complessivi rimarchevoli, vi furono tuttavia dei reparti che, quanto a combattività e spirito di sacrificio, spesso eguagliarono o addirittura superarono gli alleati tedeschi”

Petacco mostra grande umanità quando parla anche, per esempio, di tanti piccoli dettagli apparentemente marginali della vita quotidiana dei soldati al fronte, ma non tace il degrado, lo sbandamento, gli orrori ed il precipitare a livello subumano di tanti uomini che, distrutti dal freddo, dai congelamenti della ritirata prima e dalle terribili “marce del davai” imposte dai russi ai prigionieri di guerra e dagli orrori del gulag poi dimenticano qualunque sentimento di solidarietà umana arrivando, per la fame, a veri e propri atti di cannibalismo.

Tante sono le pagine sinceramente commosse e commoventi, nessuna però melensa o strumentalmente “strappalacrime”.

Ritirata dalla Russia 2wwLa descrizione della ritirata è straziante : se nell’estate ’42 oltre duecento lunghe tradotte avevano trasportato dall’Italia alla Russia il corpo d’armata alpino, nella primavera del ’43 ne basteranno soltanto diciassette, e piccole, a rimpatriare i superstiti. Per dare un’idea di quella disfatta nelle nevi del Don cito solo le cifre della della divisione Cuneense: la divisione, che al 30 settembre ’42 contava 15.846 uomini di truppa, 542 ufficiali e 681 sottufficiali, registra 13.470 fra morti e dispersi 2.180 fra feriti e congelati, pari a un totale di 15.650 uomini.

Un corpo d’armata alpino mandato allo sbaraglio, senza indumenti invernali, senza armi adeguate, senza nemmeno sapere dove e come sarebbe stato impiegato dai tedeschi soltanto per un altro criminale sogno imperialista di Mussolini: “Caro Messe”–ha detto il duce al comandante dell’Armir “al tavolo della pace peseranno molto i suoi 200.000 uomini”.

L’ultimo capitolo, in cui Petacco parla del ruolo di Togliatti e di molti dirigenti di primo piano dell’allora PCI nel travagliato (non solo non desiderato ma anzi addirittura ritardato) rientro in Italia dei prigionieri di guerra nel 1954 mi ha fornito davvero abbondante materiale su cui riflettere…

Ho imparato molto, da questo libro in cui, leggendo delle vicende di alpini e bersaglieri, carabinieri e soldati a cavallo, ho finalmente preso dimestichezza anche con tanti nomi italiani.

Il racconto, poi, di molte singolarissime manifestazioni di quella che Vasilij Grossman avrebbe definito “bontà folle e insensata” verificatesi non raramente anche tra militari tra loro nemici (i russi e gli italiani) mi ha convinta una volta di più dell’orrore di ideologie totalitarie che macinano il singolo individuo e della validità di quello che ha scritto Grossman in Vita e Destino, e cioè di quanto sia importante poter decidere di se stessi e non esser costretti a subire una sorte decisa da altri.

A LIPSIA, CON IL THOMANERCHOR

Il Thomanerchor di Lipsia
Thomanerchor Leipzig, 05.06.2006
© Gert Mothes, Leipzig

Uno dei ricordi più belli di questo mio ultimo viaggio in Germania è il giorno in cui, a Lipsia, sono andata a visitare la Chiesa di San Tommaso (Thomaskirche) e, il pomeriggio, ad ascoltare il Thomanerchor.

La Thomaskirche è nota in tutto il mondo perchè Johan Sebastian Bach vi lavorò come Kantor, direttore del coro dal 1723 fino alla sua morte, avvenuta nel 1750. In questa veste fu sostanzialmente responsabile dell’intera vita musicale della città: tra i suoi impegni c’era anche l’istruzione del coro dei ragazzi della Thomasschule e – settimanalmente – la composizione di cantate per le funzioni religiose domenicali e festive.

Fu proprio durante gli anni trascorsi a Lipsia che Bach compose alcuni dei suoi più grandi capolavori, come il Magnificat e la Passione secondo Matteo.

Le spoglie di Bach riposano dentro la chiesa, protette da una lastra tombale bronzea che ne indica la collocazione.

Thomaskirche la tomba di Bach

La Thomaskirche è dunque anche sede del famosissimo Thomanerchor, uno dei più importanti cori di chiesa di tutta la Germania e non solo. Attualmente è composto da 92 ragazzi dai 9 ai 18 anni.

Le sue origini risalgono al 1212, e si esibisce ogni fine settimana durante le celebrazioni della messa

Io ho avuto la fortuna di essere a Lipsia proprio in un fine settimana, e così ho potuto assistere alla loro esibizione, che è durata circa un’ora e mezza durante la quale i ragazzi hanno cantato alcuni Mottetti, soprattutto, ovviamente, di Bach.

E’ stata per me un’esperienza così bella che vorrei cercare di condividerla con questo mio brevissimo video.

E’ molto imperfetto ed artigianale, l’ ho realizzato con molta difficoltà.

Da una parte infatti volevo avvicinarmi il più possibile e dall’altra ero preoccupatissima di non disturbare in alcun modo: appiattita ad una colonna che si trovava proprio di fronte al coro, avrei voluto essere invisibile. Dietro ogni fotogramma di questo video c’è dunque la paura che da un momento all’altro qualcuno potesse rimproverarmi ed allontanarmi. Cosa che invece non è avvenuta ed anzi, a tratti ho colto persino sguardi compiaciuti di alcuni presenti…

Il signore che nel mio filmino si vede quasi sempre di spalle, in piedi a sinistra o al centro è Georg Christof Biller, attuale direttore del coro della Chiesa di San Tommaso (Thomaskantor) e dunque il 16° successore di Bach

Georg Christof BillerGeorg Christof Biller

Su YouTube si trovano molti ottimi video realizzati con una eccellente tecnica professionale.

Per poter giudicar meglio  di  quanto si possa fare con il  mio  modestissimo video di  cosa è capace  questo coro di ragazzi ho scelto per voi questo brevissimo ma potente stralcio della Passione secondo Matteo di Bach in cui il Thomanerchor è diretto dal loro Kantor, Georg Christof Biller

Qualche link di approfondimento

  • Il Thomanerchor >>
  • Georg Christof Biller >>
  • La Thomaskirche >>

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La foto della tomba di Bach è mia, la foto di Biller l’ho presa da Internet, ma purtroppo non ricordo da dove.

LE MIE GERMANIE

Vetrata del Duomo di ColoniaColonia. Particolare di una vetrata del Duomo.

Ho finalmente messo su Flickr alcune foto che ho scattato in Germania a Colonia, Dresda, Lipsia, Berlino
Le foto non sono molte, e questo per due motivi: metereologici perchè non sempre il clima mi ha consentito di avere la luce giusta ma anche perchè da tempo mi sono resa conto che mi piace molto di più girare e montare video e che quindi più o meno consapevolmente scatto le mie foto sempre più in funzione dei video che andrò a montare finalizzando i miei scatti ad un lavoro successivo centrato sul movimento e sulla “narrazione”.

Di Colonia, Dresda e Lipsia mi hanno interessata soprattutto due aspetti di queste città: quello — certamente — dei grandi musei, dei favolosi tesori artistici ma forse e soprattutto quello in cui sono riconoscibili i segni e le cicatrici della drammatica storia recente.

Alcuni di questi segni sono dichiarati, esibiti e non si può non vederli; altri sono meno evidenti, si devono cercare e di molti di essi un turista distratto può anche non accorgersi.

Lipsia, muraleLipsia. Particolare di un gigantesco murale dipinto sulla parete di un palazzo in Bruehl Strasse.

Queste città furono infatti non solo quasi interamente rase al suolo durante la Seconda guerra mondiale dai bombardamenti anglo-americani (posseggo ormai una raccolta notevole di foto di quell’epoca, e sono impressionanti), ma Lipsia e Dresda fino al 1989 fecero parte della Repubblica Democratica Tedesca, la DDR.

Ho camminato perciò per le strade di Lipsia e Dresda avendo sempre presenti in particolare il libro sulla DDR di Anna Funder , la raccolta di conferenze intitolata Storia naturale della distruzione di Sebald e La Germania bombardata di Jörg Friedrich (libro di cui non ho mai parlato qui sul blog, ma la cui lettura, mesi fa, mi ha impressionata enormemente).

Certo, sono state tante le emozioni provate davanti ai capolavori ospitati dalla Gemäldegalerie Alte Meister o l’affascinante Cavalcata dei Principi nell’Augustus Strasse di Dresda, davanti alle vetrate del Duomo di Colonia o dentro la Thomaskirche di Lipsia in cui Johan Sebastian Bach visse e lavorò per tanti anni, anni durante i quali compose capolavori come il Magnificat e La Passione secondo Matteo.

Molto diverse eppure altrettanto profonde emozioni mi ha dato però guardare la documentazione della lunga e paziente opera di ricostruzione, ad esempio, della Frauenkirche, e i cartelli commemorativi delle manifestazioni che nel 1989 si svolsero a Dresda e che contribuirono alla caduta del Muro ed alla riunificazione della Germania.

A Lipsia, è stato emozionante entrare e sedermi in uno dei banchi della Nikolaikirche che sempre nel 1989 divenne con il suo motto “La Chiesa di San Nicola è aperta a tutti” e con le famose “preghiere del lunedi” il centro propulsore di un grande movimento pacifista contro il regime della DDR e per la riunificazione della Germania

Lipsia  Nikolaikirche

Giusto per rimanere a Lipsia:  visitare il Museo della STASI non è cosa banale.

Specialmente per chi abbia letto anche solo qualcosa su come funzionava ed operava la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Germania Est.

Il Museo infatti è allestito nell’edificio del Runden Ecke e cioè proprio nei locali in cui operava la STASI.

Salire i pochi gradini che portano a quelli che un tempo erano gli uffici della STASI, entrare nelle stanze in cui si svolgevano gli interrogatori, vedere le attrezzature utilizzate per le intercettazioni che servivano a spiare “la vita degli altri”, guardare i travestimenti, i baffi e le pance finte che gli agenti STASI utilizzavano durante i pedinamenti, sentire l’odore di chiuso e di stantio che ancora c’è in quelle stanze, camminare sui pavimenti consumati… beh, non è cosa che mi abbia lasciata indifferente.

Il giorno in cui ci sono andata c’erano molti giovani, studenti, e credo che fossi io l’unica persona, lì dentro, non tedesca.

A Berlino ero già stata quindici giorni nel 2008, in quell’occasione l’avevo girata parecchio, ma com’è naturale che succeda, in quella prima visita avevo privilegiato luoghi e musei cosiddetti “imprescindibili”.

Questa volta mi sono quindi potuta concedere il lusso di andare a vedere cose che possono magari esser considerate più “di nicchia”, ma che a me interessavano molto.

E così sono andata a cercare Rosenstrasse e mi sono fermata davanti al  monumento commemorativo, e poi sono andata  in Stauffenberg Strasse a visitare il commovente Museo della Resistenza Tedesca al Nazismo allestito nei locali che un tempo erano la sede dell’Alto Comando della Wermacht.

Nel cortile vennero fucilati Claus Von Stauffenberg e gli altri ufficiali che avevano preso parte all’ “Operazione Walkiria”, il fallito attentato del 1944 contro Hitler.

Di tante altre cose mi piacerebbe parlare, ma mi accorgo che il post è diventato davvero troppo lungo.

Sarà per un’altra volta, spero.

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N.B. Le foto che ho inserito nel post sono mie.

TORNATA…

Colonia. Particolare della fontana dedicata al Carnevale di Colonia. La foto è mia.

Rieccomi qui, dopo Colonia, Dresda, Lipsia e due giorni e mezzo a Berlino.

Il blocco degli aereoporti provocato dal vulcano islandese mi ha colto a Colonia, costringendomi a modificare alla svelta i miei programmi di viaggio che prevedevano di andare a Berlino in aereo e poi dall’aeroporto di Berlino direttamente a Dresda con il pulman del Berlin Linien Bus.
Invece ho fatto Colonia-Berlino-Dresda tutto in treno, e siccome in quei giorni, con gli aeroporti bloccati, ovviamente tutti si riversavano sui treni, è toccato a me (ma anche a molte altre persone) viaggiare in piedi per tutto il tratto da Colonia sino ad Hannover, perchè l’ICE era rigurgitante di gente… Ma era un’emergenza, e nessuno di noi si è minimamente lamentato.

Tutto sommato posso dire che mi è finita bene, non ho avuto stravolgimenti nelle prenotazioni di alberghi e a parte questo cambiamento aereo-treno tutto è andato secondo i miei piani prestabiliti. Niente code, niente bivacchi, perdita economica molto contenuta.

Adesso sono di nuovo qua, e ho ripreso contatto con l’italica realtà…

Impressioni di viaggio? Tante, e prima o poi verranno fuori.

Theodor è stato un eccellente compagno, con cui mi sono intrattenuta  per molte ore specialmente di mattina. Io mi sveglio e mi alzo sempre molto presto, ma nei posti in cui sono stata prima delle dieci- le undici non si può fare praticamente nulla, e quindi quelle ore  le ho passate — molto piacevolmente — leggendo romanzi di questo signore che Thomas Mann chiamava affettuosamente “il vecchio Fontane”.

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