Sono arrivata anch’io al termine della lunga avventura di LOST, ho voglia di parlarne e, cari i miei Happy Few… questa volta non sarò breve. Sappiatelo.
Dopo ben sei anni, penso di essermelo guadagnato, il diritto al lusso di non esser breve.
Tanto, voi mica siete obbligati a leggere quello che io scrivo, nevvero?
Si sappia però che in questo post c’è parecchio SPOILER, quindi chi decide di proseguire con la lettura lo faccia a suo rischio e pericolo
Lost, S01E25

Lost, S06E18
THE END
Comincio proprio da qui, dal Gran Finale, dal “puntatone” intitolato The End.
Un finale che non solo si è rivelato assolutamente spiazzante rispetto alle mie prefigurazioni e aspettative, ma soprattutto di grande impatto emotivo e, non mi vergogno di dirlo, a tratti persino commovente.
Si tratta di un finale “chiuso” o “aperto”?
Lo si può definire “aperto” perchè non fornisce quelle risposte che tutti noi — chi più chi meno — attendevamo, speravamo.
Eppure si tratta, allo stesso tempo, di un finale molto “chiuso” perchè non è vero che non ci siano risposte: la risposta c’è, però è una sola e si indirizza al cuore e non alla mente.
Fa appello al Sentimento, piuttosto che alla Ragione.
RAGIONE E SENTIMENTO
LOST è stato sempre, fin dall’inizio, giocato sulla dualità e sul tema del doppio binario: Noi e gli Altri, l’isola e il resto del mondo, scienza e fede, bianco e nero, il bene e il male… logica e intuito, razionalità ed istinto…
Anche tra noi spettatori (che siamo stati milioni) c’è chi ha privilegiato guardandolo, e forse spesso anche inconsapevolmente, l’elemento della ragione rappresentato dagli innumerevoli misteri di cui era costellato ogni episodio e riguardo ai quali ci si aspettava risposte e soluzioni e chi privilegiava quella del sentimento rappresentato dai singoli personaggi, dalle loro storie, dalle loro dinamiche interpersonali, dai loro amori, le loro debolezze, il mutare di atteggiamenti, comportamenti…
E’ per questo io credo che il finale fortemente emotivo piuttosto che logico ha scatenato da una parte le ire di tutti coloro che dal finale risposte e soluzioni non ne ha ricevute e, dall’altra, la soddisfazione di chi invece, pur rimanendo inevitabilmente deluso su questo fronte ha trovato comunque bella e poetica la modalità di chiudere questa lunga, appassionante avventura.
In questi anni LOST ha sempre giocato con la contrapposizione fra i personaggi che sostenevano che c’era un disegno che aveva portato i protagonisti sull’Isola e quelli che non erano d’accordo.
Un po’ come chi, fra gli spettatori, si attendeva risposte logiche e razionali per ogni singola domanda e chi invece preferisce muoversi all’interno degli spazi interpretativi che gli sceneggiatori hanno lasciato.
Io non mi ritrovo completamente nè con gli uni nè con gli altri, mi sento di stare nel mezzo.
NELLA TERRA DI MEZZO
Infatti, anche se a me The End è piaciuto molto, non per questo non sono ben consapevole dei tanti limiti, incongruenze, sbavature, scricchiolii, crepe che l’impalcatura generale del “Progetto LOST” ha mostrato a partire già dal quarto anno. Negli ultimi tempi, poi, stavano cedendo persino — mi si passi la metafora — anche i pilastri che credevo essere di cemento armato…
Fino all’inizio di questa Sesta Stagione sono sempre stata convinta che esistesse un impianto progettuale a livello macro all’interno del quale poi, nel corso dei singoli episodi, venissero inserite varianti, abbellimenti, depistaggi che però non minavano quella che ritenevo essere la solidità narrativa dell’impianto generale e non ero d’accordo con tutti coloro che invece continuavano a ripetere che un progetto generale non c’era, che gli autori improvvisavano, che accumulavano materiale in quantità tale da essere poi, alla resa dei conti, impossibilitati ad uscirsene in maniera decente…
Adesso, a visione ultimata, penso che una impostazione di fondo ci sia stata, all’inizio, che questa impostazione abbia retto sino alla fine della Terza Stagione ma che poi tutto sia andato lentamente ma inesorabilmente tracimando.
IL PATTO E L’IM-PATTO
Gli autori di LOST non hanno, alla fine, mantenuto il Patto che avevano stretto con gli spettatori.
Per circa metà della serie avevano fatto capire che le spiegazioni sarebbero arrivate.
A partire dalla quarta stagione hanno però, inaspettatamente, cominciato a lanciare meta-messaggi del tipo “non aspettatevi risposte, non ce ne saranno”.
Ma a quel punto era ormai troppo tardi.
Non è corretto — una volta sicuri di avere ottenuto la fidelizzazione del cliente/spettatore — mutare in corso d’opera ed unilateralmente i termini del contratto.
Di spiegazioni non ne hanno dato nemmeno una e dunque il Patto non è stato rispettato. Questa è la verità pura e semplice.
Cercare — come pure ho visto fare girando per la rete — di dimostrare il contrario mi sembra solo un arrampicarsi sugli specchi ed un tentativo di razionalizzazione davanti a un qualcosa che da molti fan è stato vissuto non solo come una cocente delusione ma un vero e proprio tradimento.
Davanti ad una dissonanza affettiva ancor prima che cognitiva, si cerca di far quadrare un cerchio che gli autori per primi non sono riusciti a far quadrare.
Gli autori non hanno districato nemmeno un decimo delle centinaia di garbugli in cui si erano e ci avevano cacciati ed hanno tentato di cavarsela cercando di utilizzare alla grande l’impatto emotivo di un puntatone finale bello, si, e commovente, e con musiche meravigliose e con intelligenti agganci al primo episodio della prima serie.
Tutto questo non può però certo far dimenticare a chi negli anni ha seguito con passione quello che continuo a ritenere uno degli eventi più importanti della storia della televisione i mille problemi che rimangono irrisolti.
Soprattutto, nemmeno le splendide sequenze finali di The End possono far ignorare il cambiamento di registro che dalla terza stagione ha subito LOST, e cioè una vera e propria svolta mistica in cui religione, mitologia, metafisica, irrazionale sono ad un tratto diventati non solo elementi preponderanti, ma sono stati sin troppo spesso utilizzati anche assai furbescamente per non dare spiegazioni che gli autori non erano in grado di fornire.
Il pur bellissimo e commovente The End non riesce a far dimenticare che una splendida serie TV è stata letteralmente rovinata nelle ultime due/tre stagioni dall’aggiunta forsennata ed indiscriminata di tutta una serie di elementi fuori luogo.
I PERSONAGGI
Uno dei punti forti per i quali milioni di persone (tra cui la sottoscritta) si è appassionata alla serie era l’eccellente caratterizzazione di tutti i personaggi, anche di quelli secondari.
Ebbene, da un certo momento in poi e specialmente in questa Sesta Stagione abbiamo assistito al massacro di gran parte dei personaggi ridotti a semplici stereotipi con il conseguente effetto di mortificare anche, in questo modo, la bravura e la professionalità di attori che si erano mostrati tutti eccellenti.
Basti per tutti vedere come hanno ridotto Benjamin Linus (Michael Emerson), che da personaggio chiave e molto complesso è stato trasformato in una figura assolutamente marginale e con un ruolo di spalla.
Personaggi ridotti ormai a pedine di una sorta di gioco dell’Oca, dimentichi di sè e delle proprie storie…
Guarda come hanno ridotto in quest’ultima Stagione, ad esempio, Sayid (Naveen Andrews): irriconoscibile, o Kate Austen (Evangeline Lilly) che abbiamo visto muoversi come una marionetta senza vita… senza che le si facesse dire niente di minimamente interessante e significativo.
Da personaggi di una Commedia Umana a pupazzi di un video game…
E meno male che Juliet (Elizabeth Mitchell) è morta con l’esplosione: lei, almeno, si è salvata da quell’ altro tipo di massacro che — a questo punto ci posso scommettere — del personaggio avrebbero fatto gli sceneggiatori…
Almeno per Juliet, il suo “It worked!” ha effettivamente funzionato.
A SPASSO ATTORNO A UN TAPPO
LOST chiude sì dignitosamente, ma chi ha seguito attentamente tutta la serie non può non vedere il mucchio di macerie in cui viene sepolta una storia che nel tempo si è andata riempiendo di buchi e di falle atroci, con un affastellarsi di misteri su misteri, piena di storie aperte e mai più chiuse e non è possibile assolvere gli autori per avere cercato di far quadrare il cerchio gettando alla fine tutto —- persone, cose, storie, misteri insoluti — nel gran calderone di luce di una fontana con un tappo (sull’isola) e nella luce divina che si vede quando Christian Shepard (il Pastore Cristiano! Ma nooo! Ma dai…) spalanca la porta della chiesa.
Certo, nessuno di noi era così ingenuo da poter pensare e pretendere che tutti gli interrogativi di LOST ottenessero una risposta, ma come hanno potuto pensare di potersela cavare facendo finire il tutto con… un tappo?!?
Ma mi facci il piacere.
Non sono mai stata tra quelli che volevano che alla fine mi dicessero tutto, che volevano spiegato anche il minimo dettaglio. Avevo accettato (ed apprezzato) da tempo l’impianto mitologico-onirico di LOST.
Quello che mi interessava soprattutto erano i personaggi e le loro storie ma… a tutto c’è un limite, e il venirsene fuori con una storiella così banale come quella dei due fratelli, del tappo e della caverna con la fontana e la luce l’ho percepito come un’offesa alla mia intelligenza e mi ha fatto sentire molto in imbarazzo per loro: sì, per gli autori.
I quali autori hanno avuto a disposizione almeno ben 15 episodi di questa serie (più le ultime della scorsa stagione) per provare a dare, strada facendo, qualche spiegazione se non a tutte almeno ad alcune delle macro-domande.
Invece si sono persi in episodi inutili, in storie senza senso (che diavolo ci hanno messo a fare tutta quella stupida sequenza del Tempio, l’interminabile (e noiosissima) sequenza del tentativo di resuscitare Sayid, tutti quegli inutili andirivieni da un posto all’altro dell’isola?
PASSEGGIANDO NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Nei primi anni, i curatissimi flash back e flash forwards costruiti sui singoli personaggi avevano l’obiettivo (raggiunto in modo egregio, bisogna dirlo) di fare emergere la complessità di ogni singolo individuo, i suoi cambiamenti.
Ma i Flash-sideways, la “realtà parallela” di quest’ultima stagione?!?!
Solo in Jack c’è stata una evoluzione (o involuzione, a seconda dei punti di vista) perchè da laico e uomo di scienza si è trasformato in un uomo di fede.
Per il resto, quale valore aggiunto hanno apportato, i Flash-sideways ? Che obiettivo hanno avuto, in realtà, se non quello — pensiero maligno, il mio — di un menare il can per l’aia e far passare il tempo in attesa di arrivare a The End?
“COERENZA”.
E’ FORSE PAROLA OBSOLETA?
Tutta la cornice entro la quale la storia dei losties è racchiusa non ha alcuna coerenza interna.
C’è forse una logica nel fatto che sull’isola qualcuno guarisce miracolosamente ed altri si ammalano e muoiono? E perchè mai insistere tanto sulle quattro dita del piede di una statua egizia (ricordate Sayid: “È più inquietante che non ci sia il resto della statua o che il piede abbia quattro dita?”), se poi questa statua non compare mai più e di essa non si parlerà mai più?
Insomma, per dirla senza giri di parole: quello che a LOST è mancato completamente, guardando retrospettivamente e nel suo complesso ***tutta*** la serie è, da un punto di vista squisitamente narrativo, la coerenza interna.
Davvero lo dico con gran dispiacere, ma ormai mi sono convinta che dietro l’accumularsi di sottomarini, balzi temporali, statue egiziane, orsi polari, geroglifici non c’era nessun disegno logico che desse un senso a tutto.
MISTERI E PERSONAGGI
I poli di interesse/attrazione di LOST, che hanno determinato la passione di tanti fan sono stati due, di uguale peso entrambi: i personaggi e i misteri.
Non è corretto, adesso, tentare di banalizzare il ruolo che questi ultimi hanno avuto all’interno della serie.
Quello che mi ha tenuta incollata allo schermo, stagione dopo stagione, era la voglia di sapere perché Kate era una fuggitiva, ma era anche la voglia di sapere perchè in quell’isola le donne incinte non potevano portare a termine una gravidanza.
Era l’emozione di veder Locke che torna a camminare, ma era anche la curiosità di scoprire perchè Locke ci riesce e Rose guarisce miracolosamente dal cancro mentre altri, invece, non solo si ammalano, ma muoiono come mosche.
Era l’emozione di veder ricongiungere Desmond e Penny, di assistere all’uccisione a bruciapelo di Ana Lucia da parte del mite Michael ma anche il voler sapere il perchè della necessità di premere un bottone ogni 108 minuti.
Era l’emozione di veder Sawyer il “duro” commuoversi fin quasi alle lacrime nel leggere la sua lettera, ma anche voler capire perchè diavolo e con quale criterio gli Others rapivano alcune persone e non altre.
Mi sono appassionata alla storia personale di Kate, mi sono sentita partecipe del suo rapporto conflittuale con la madre, del suo grande sentimento materno che si manifesta nel disperato salvataggio di Aaron e del suo amore disinteressato per il bambino di Claire.
…Ma questo non esclude che mi sarebbe piaciuto anche capire perchè le storie di Walter e Aaron, bambini dei cui “poteri speciali” ci hanno riempito la testa per episodi su episodi, tirando in ballo persino un sensitivo (ve lo ricordate?) ad un certo punto semplicemente si perdono nel nulla e perchè dei “bambini speciali” da un certo punto in poi non si parla proprio più.
Era emozionante scoprire una dopo l’altra le Stazioni del Cigno e dell’Idra ma… mi sarebbe piaciuto sapere anche, alla fine, qualcosina del perchè di tutto quell’ambaradan della Dharma.
Pretendevo troppo? No, se penso che sulla Dharma ci hanno costruito un’intera stagione. E i numeri misteriosi, le statue egizie, i piedi con quattro dita con cui ci hanno portato a spasso episodi dopo episodi? etc. etc. etc… E non basta: non solo non sono stati risolti i misteri delle passate stagioni, ma a questi si sono aggiunti gli interrogativi posti con questa serie. Ma stendiamo un velo pietoso. In rete si trovano interminabili elenchi di “domande senza risposta”.
Hanno deciso di fare un finale che chiude soltanto sui personaggi.
Un finale autocelebrativo ed autoreferenziale, ma OK, ci può stare.
Mi sta bene, puntare sulla “mozione degli affetti” è una scelta narrativa legittima.
Ignorare però completamente tutto l’altro aspetto della serie quello no, che non mi può star bene.
DIETRO LE QUINTE
E’ noto ormai da tempo che Carlton Cuse e Damon Lindelof — creatori e produttori esecutivi di LOST — erano decisi a fare una serie di tre stagioni (ed infatti le prime tre stagioni sono decisamente le migliori), ma che poi, visto il successo planetario che LOST stava ottenendo, i dirigenti della ABC hanno imposto di prolungarlo adddirittura per dieci anni, utilizzando anche nuovi sceneggiatori.
Per nostra fortuna questo non è successo e si è arrivati all’accordo per sei stagioni.
E’ stata scongiurata quindi la jattura dei dieci anni, ma il compromesso dei sei anni ha prodotto egualmente effetti decisamente non positivi.
Il risultato è stato infatti che gran parte della coerenza interna che sicuramente all’inizio LOST aveva è andata a farsi benedire per fare spazio all’affastellarsi di indizi, vicoli ciechi, digressioni che hanno creato tutta una serie di ‘nodi’ che poi sciogliere è diventato impossibile, anche solo in parte.
Credo che questo (importante) elemento abbia giocato parecchio nella scelta del taglio da dare al finale.
GABBATA E SODDISFATTA? SI. MA CONSAPEVOLE
In questi giorni leggo in rete molti commenti di chi ha mollato la serie al primo o al secondo anno o non l’ha vista per nulla che dicono compiaciuti: “L’avevo detto, io, che era tutta una bufala! Ho fatto bene, io!” etc. etc. con variazioni sul tema.
Il meta-messaggio di tutti questi è ovviamente: “… Ma come sono stato/a furbo/a io!” e/o “… e come siete stati imbecilli voi”.
Vabbè.
Io mi dichiaro invece ufficialmente e pubblicamente
gabbata, soddisfatta e consapevole.
Già.
Non sono affatto pentita di aver seguito LOST per tutto questo tempo non perdendomi nemmeno un episodio.
Le sei stagioni di LOST mi hanno regalato momenti di grande coinvolgimento; mi sono divertita, intenerita, incuriosita, spaventata, appassionata. A volte anche irritata, infastidita, annoiata.
Nonostante tutto quello che ho scritto sopra, nonostante le critiche, le delusioni, le frustrazioni, io sono grata a LOST, a chi l’ha ideato, scritto, prodotto, intepretato.
Per apprezzare una “cosa” credo non ci sia bisogno di narcotizzare il proprio spirito critico e nemmeno di castrare il proprio côté “mozione degli affetti”.
LOST finisce là dove era cominciato: sull’isola, in un campo di bambu, con l’occhio di Jack che si chiude.
Il viaggio tra questi due momenti sono stati, per me e nonostante tutte le critiche di cui ho scritto sopra, un viaggio indimenticabile.
Jack e gli altri non sono gli stessi di quelli che erano in quel settembre del 2004 e nel frattempo, con loro, sono cambiata anche io.
Mi fa piacere pensare che, in universi paralleli, abbiamo vissuto — loro ed io — vite emozionanti.
Mattew Fox, Evangeline Lilly, Naveen Andrews, Michael Emerson, Terry O’ Quinn, Josh Holloway, Emilie de Ravin, Jorge Garcia, Elizabeth Mitchell, Yunjin Kim, adesso si separeranno e ciascuno interpreterà altri ruoli, altri film.
Ciascuno di loro proseguirà (auguro da parte mia gran successo a tutti) la propria carriera professionale ma per me e sono sicura anche per moltissime altre persone essi rimarranno ancora per molto, se non per sempre, Jack, Kate, Sayid, Ben Linus, Locke, Sawyer, Claire, Hurley, Juliet, Sun …
“Per ricordare.
E lasciarselo alle spalle”(Lost, S06, The End)
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...