Iosif Brodskij nel 1981 scrisse di lei:
“Degli ottantuno anni della sua esistenza, Nadezda Mandel’stam ne ha vissuti diciannove come moglie e quarantadue come vedova del più grande poeta russo di questo secolo, Osip Mandel’stam. Il resto fu infanzia e adolescenza”
Il manoscritto del primo volume di memorie, redatto da Nadezda intorno al 1964 e cioè quando lei aveva 65 anni e Osip era morto da ventisei arrivò clandestinamente negli Stati Uniti con il semplice titolo “Ricordi”.
Venne pubblicato per la prima volta in inglese con il titolo Hope against Hope e poi in francese Espoir contre Espoir. Sia il titolo inglese che quello francese significano Speranza contro Speranza.
In russo, Nadezda vuol dire Speranza.
Qui in Italia venne pubblicato per la prima volta da Mondadori nel 1971, poi scomparve dagli scaffali ed è stato finalmente ripubblicato nel 2006 dalla casa editrice Liberal con il titolo L’epoca e i lupi.

Il racconto di Nadezda inizia nel 1934, quando Mandel’stam venne arrestato per la prima volta. Nadezda evoca poi i tre anni di confino cui Osip venne condannato e dove lei lo seguì volontariamente.
Prima a Cerdyn e poi Voronez.
Il racconto prosegue con il brevissimo intervallo di tempo intercorso tra lo scadere del periodo di confino e il secondo arresto del 1938 (il periodo della Grande Illusione) e si chiude con la morte di Osip quasi certamente avvenuta nel vagone del treno che lo portava in un gulag della Kolyma, in un certo giorno del 1938.
Nel libro, all’interno di questo quadro ed arco temporale, Nadezda Mandel’stam, che quasi mai parla di se stessa e utilizza poco o nulla la parola “io” non parla solo di se e di Osip: evoca nel modo più vivo tutta una intera generazione di intellettuali e di politici.
Nelle pagine di Nadezda troviamo tutti quelli che all’epoca contavano qualcosa: da Bucharin ad Anna Achmatova, da Pasternak a Sklovskij, da Belyi a Bulgakov, da Gorkij ad Ehremburg…
Leggiamo della messa del bavaglio e della rapida riduzione al silenzio, negli anni 1920-1930 della parte più viva e feconda della cultura russa del tempo.
“sto parlando del periodo staliniano e le fasi attraverso cui passò Mandel’stam servono ad illustrare il processo di asservimento della letteratura; altrettanto accadeva in altri settori, in forme un po’ diverse, naturalmente, ma la sostanza era sempre la stessa” (p.177)
Il nuovo Stato aveva cominciato a imprigionare e ad uccidere dal 1918, quando era stato aperto il primo campo in cui rinchiudere quelli che “non sono dei nostri”.
Nel 1934 la categoria dei “non dei nostri” si è già ingrandita parecchio. Dapprima si cerca di trovare una motivazione, per gli arresti: se chi è arrestato è colpevole io, che non ho commesso alcuna colpa, non verrò arrestato, è l’illusorio ragionamento.
Arriva però il momento in cui Anna Achmatova, Osip e Nadezda sono costretti a comprendere l’inconcepibile: si arrestano le persone anche senza alcuna motivazione. Basta essere qualcuno. O non sorridere abbastanza, e dunque si può esser sospettati di avere paura, di non approvare il regime.
Tutti si aspettano di venir prelevati da un momento all’altro.
Le notti trascorrono insonni (gli arresti avvengono di notte). Ogni automobile che si ferma davanti al condominio può essere “quella” e si tira un sospiro di sollievo se l’ascensore non si ferma al piano in cui si abita.
Ma se questo vuol dire che per questa volta è andata, vuol dire anche che la “cosa” è solo rimandata. Prima o poi succederà anche a noi.
Molti arrivano al punto di dormire con la valigia già pronta, per non farsi trovare impreparati quando “loro” verranno…(“Non ci si riprende più, dalla paura. Chi ha respirato questa atmosfera è perduto, anche se ha salvato la vita”).
Per Mandel’stam arrivano una notte di maggio del 1934.
Osip se lo aspettava. Nel suo sacco (bisogna esser sempre pronti!) aveva messo anche un copia del suo amatissimo Dante, comprato apposta in una edizione piccola e non ingombrante proprio per essere portato in carcere o chissà dove.
Nel momento cruciale però perde il suo Dante di carta, ma non importa.
Osip la Divina Commedia la sa tutta a memoria.
Osip ha conosciuto l’Europa, è stato in Francia, in Italia ma ha scelto di tornare in Unione Sovietica, per fedeltà a questa terra in cui si sta facendo la Storia. Ama ancora la Rivoluzione come se fosse una religione, ma ha anche capito che sarà sempre uno dei “non dei nostri”.
Ha scritto una poesia su Stalin, i suoi “occhiacci da blatta”, le sue “tozze dita [che] come vermi sono grasse”. La legge a pochi amici. Un suicidio, perchè Stalin ordina che il poeta Mandel’stam sia “isolato, ma conservato in vita”. Viene condannato a tre anni di esilio in un villaggio di provincia. Una pena benevola (considerati i tempi). Ma i Mandel’stam scopriranno anche troppo presto il vero significato di quella formula “isolare, ma conservare in vita”.
Seguendo le vicende di Osip e Nadezda (che ha seguito volontariamente il marito al confino) scopriamo che migliaia, decine di migliaia di condannati al confino cercano un alloggio, dei mezzi per sopravvivere, un pezzo di pane. Dappertutto si vedono persone che fanno code interminabili, impazziscono, vediamo contadini spogliati di tutto, aristocratici espulsi da quella che fu San Pietroburgo, ma anche l’annientamento di Quadri del Partito, di scrittori, di operai.
Dopo i tre anni di confino Mandel’stam — al quale viene proibito di tornare nella sua casa di Mosca — è messo nell’impossibilità di trovarsi un qualsiasi lavoro retribuito. Il solo fatto di stringergli la mano può portare dritti in prigione. I Mandel’stam riescono a sopravvivere solo grazie all’elemosina di pochissimi amici fidati che ogni tanto — rischiando grosso — allungano loro qualche rublo. Osip e sua moglie sono veri e propri mendicanti.
Eppure, e nonostante tutto, Osip è felice e le pagine in cui Nadezda descrive la sua gioia di vivere, il suo rifiuto di suicidarsi (Nadezda più volte gli propone di suicidarsi entrambi) sono forse tra le più difficili da comprendere, per noi.
“che hai da lamentarti?” mi diceva [Osip] “Solo da noi hanno rispetto per la poesia, visto che uccidono in suo nome. In nessun altro paese uccidono per motivi poetici” (p.202)
E infine, nel 1938, ecco scattare la trappola. Osip Mandel’stam viene arrestato di nuovo.
Questa volta lo mettono su un treno diretto ad un gulag. Osip morirà su quel treno, ma a Nadezda — come a tutte le mogli di detenuti — non viene comunicato nulla sulle circostanze di questa morte.
Questo era il vero significato della formula “isolare, ma conservare in vita”:
“l’isolamento prometteva non la conservazione ma la solita liquidazione, eseguita però alla chetichella, senza testimoni e ‘nel momento adatto’ ” (p.88)

Stalin faceva cancellare dai libri i nomi di tutti coloro che venivano liquidati, faceva di tutto per uccidere anche la memoria.
Ma Stalin non è riuscito a cancellare Osip Mandel’stam dalla memoria dell’umanità e questo, grazie soprattutto alla memoria di Nadezda.
Morto il marito, per venticinque anni e contro ogni speranza (ricordiamo che Nadezda vuol dire Speranza) la vedova Mandel’stam riesce a sfuggire all’arresto spostandosi continuamente da un villaggio all’altro.
“A salvarmi dall’arresto fu la mancanza di un alloggio” (p.175), “per me non si trovò una trappola e così, senza casa, fui dimenticata, e mi sono salvata e ho salvato i versi di Mandel’stam” (p.176)
Nadezda è aiutata a volte da operai, altre volte denunciata da una padrona di casa. Ricorre a mille stratagemmi per rendersi invisibile a spie e delatori, vive della carità e della generosità della Achmatova, anche lei in pericolo costante ed anche lei perseguitata dal regime e ridotta in povertà (“Non si passa indenni attraverso una vita simile. Il nostro equilibrio psichico è turbato…”)
Per venticinque lunghi anni i manoscritti di Osip che Nadezda ed Anna sono riuscite a salvare dalle grinfie dei cekisti sono rimasti nascosti in un luogo sicuro. Per venticinque anni Nadezda e pochi amici (Anna Achmatova soprattutto) hanno ripetuto a memoria le poesie di Osip di cui non esisteva più il testo scritto.
Se l’opera di Osip Mandel’stam è riuscita a sopravvivere, questo è dovuto al coraggio ed al costante esercizio di memoria di Nadezda. Trascrivere le poesie sulla carta sarebbe stato un suicidio.
L’epoca e i lupi è un libro in cui sfilano innumerevoli personaggi, ma in cui grande protagonista è la poesia di Osip:
“per me, in quella notte di maggio, si profilò un […] compito, ed è per esso che ho vissuto e continuo a vivere. Modificare il destino di Osip Emil’evic era al di sopra delle mie possibilità, ma sono invece riuscita a salvare una parte dei suoi scritti e molti ne ho conservati nella memoria. Io sola potevo salvarli” (pp.31-32)
“Bisogna lottare contro l’oblio anche a costo della morte” diceva Osip Mandel’stam. E Nadezda, in quell’ “epoca pre-gutenberghiana” come la chiamava l’Achmatova — in cui lasciare qualcosa di scritto era pericolosissimo, non ha altra scelta, per lottare contro l’oblio e perchè le poesie del marito non vengano perse per sempre, che ripeterle costantemente, incessantemente nella sua memoria.
“Di notte, mentre correvo su e giù per l’enorme reparto a sistemare le macchine, mormoravo versi. Dovevo imparare tutto a memoria […] La memoria era un mezzo supplementare di custodia, e mi è servita moltissimo nella mia difficile impresa” (p.421)

Le memorie di Nadezda Jakovlevna Chazina Mandel’stam sono un grande libro.
Sono innanzitutto la testimonianza di una donna che ha amato, aiutato, supportato, seguito Osip Mandel’stam nella sua straordinaria lotta di un Davide contro il gigante Golia.
Sono una descrizione degli anni più drammatici e fecondi di colui che è ormai unanimamente considerato come il più grande poeta russo del XX° secolo ma non sono certo semplicemente classificabili come i ricordi di una “vedova di uno scrittore”.
Sono una testimonianza eccezionale sull’asfissia della cultura russa che ha accompagnato la prese del potere da parte di Stalin.
Lucidissima l’analisi e la critica alla dottrina del determinismo storico che “Ci aveva privati di ogni volontà e di ogni libertà di giudizio” (p.66) e che aveva sprofondato un’intera generazione nella paura, in un “sonno ipnotico”, nel “letargo“, nell’ “ipnosi” causato dalla “peste psicologica” (p.70) che aveva accompagnato il passaggio da quello che Anna Achmatova chiamava “il periodo vegetariano” del confino a quello in cui “dalla prigione […] si stendevano due sole strade: verso il lager o verso l’altro mondo” (p.273).
Precisa, sarcastica, mordace, Nadezda Mandel’stam è un giudice istruttore cui nulla sfugge; il suo giudizio sul comportamento degli intellettuali è spietato e può anche apparire cattivo perchè pochi si salvano, ai suoi occhi. Ma per quei pochi ha parole di grande tenerezza ed affettuosità.
L’epoca e i lupi è molto, molto più che una testimonianza su Mandel’stam.
Lo comprese molto bene la grande giornalista americana Martha Gellhorn che, avendo trovato per caso il libro di Nadezda in una biblioteca pubblica ed avendo cominciato a sfogliarlo “con una curiosità un po’ tiepida” subito
“Ne fui elettrizzata, e lo lessi tutto di un fiato, interrompendomi solo per mangiare e per dormire. Nessun altro testo mi aveva spiegato così bene come fosse la vita, un giorno dopo l’altro, tra paura ed afflizione, sotto il terrore di una dittatura. Tanti erano i pregi di quel libro che non sapevo da dove cominciare. Il coraggio di quella donna? La potenza dei suoi ricordi? Lo stile nitido e risoluto che esprimeva senza sforzo quello che l’autrice voleva dire?”
>>> Martha Gellhorn, Uno sguardo alla Grande Madre Russia, in In viaggio da sola e con qualcuno <<<
L’opera di Nadezda è un vero e proprio processo istruito nei confronti di una intera epoca, di una intera generazione che, malata della “peste psicologica” capitola davanti all’idolo che la Storia ha imposto alla generazione della Rivoluzione.
Nadezda demolisce anche il mito degli Anni Venti:
“I sospiri idilliaci intorno agli anni Venti sono una leggenda […] In realtà gli anni Venti sono il periodo in cui furono poste tutte le premesse del nostro futuro: la dialettica artificiosa, la sconsacrazione dei valori, il desiderio di unanimità e sottomissione” (p.213)
Una piccola (apparente) divagazione: sono rimasta molto impressionata da quanto questo giudizio della Mandel’stam sia sostanzialmente identico a quello che, su quegli anni, esprime Vasilij Grossman (il quale, ricordiamolo tra parentesi, venne anche lui sottoposto dal regime alla formula “isolare, ma mantenere in vita”) nel capitolo dedicato a Lenin in Tutto scorre e a quello che (mutatis mutandis) in Hammerstein, o dell’ostinazione fornisce Hans Magnus Enzensberger a proposito degli anni Venti nella Germania della Repubblica di Weimar…
Concludo utilizzando ancora una volta parole di Brodskij:
“I suoi libri […] non erano tanto memorie e guide alla vita di due grandi poeti […] i suoi libri illuminavano la coscienza della nazione” .
“Una fragile donna di sessantacinque anni si rivela capace di rallentare — se non di scongiurare, in una prospettiva più lunga — la disintegrazione culturale di un’intera nazione. Le sue memorie sono qualcosa di più che un testimonianza dei suoi tempi; sono un modo di vedere la storia alla luce della coscienza e della cultura”

Nadezda MANDEL’STAM, L’epoca e i lupi
Traduz. e note di Giorgio Kraiski, Prefazione di Vittorio Strada, p.523
Ed. Fondazione Liberal, 2006
Qualche link di approfondimento
- Nadezda Jakovlevna Mandel’stam >>
- Il libro >>
- Da ascoltare: Serena Vitale su Radio3 ci parla di Nadezda Mandel’stam >>
- Varlam Salamov, Correspondance avec Alexandre Soljenitsyne et Nadejda Mandelstam >>
- Otto poesie di Mandel’stam (a cura di Fiamma Giuliani) sul sito Fili d’Aquilone >>
- Stralci dai Taccuini di Voronez di Osip Mandel’stam >>
N.B. Le citazioni di Iosif Brodskij sono tratte da “Nadezda Mandel’stam. Un necrologio” in Fuga da Bisanzio, Adelphi.
Hai scritto un magnifico post. L'ho letto senza tralasciare neppure una riga.Io mi son avvicinata alla letteratura proprio cominciando a leggere i russi, primo tra tutti Fedor.Ieri sera ho cominciato il libro di Tadié. Hai ragione, è scritto molto bene e va a fondo sulle origini dei luoghi dove ha vissuto l'artista. Secondo me un buon biografo si riconosce subito da questo particolare. Buona giornata:)
strillinoGrazie, sono contenta che ti abbia interessata.Sono anche molto contenta che tu stia apprezzando il libro di Tadiè, che a Proust ha dedicato davvero l'intera vita.Ciao 🙂
"L'epoca e i lupi" mi era stato regalato e giaceva nel mucchio dei libri "da leggere" (confesso che la casa editrice, ed i 2 inquietanti – nel senso che mi fanno arrabbiare appena li vedo – sponsor politici che compaiono nel sito della Fondazione Liberal, mi avevano fatto pensare al peggio, cioè all'anticomunismo da <Selezione dal Reader's Digest>, della quale sono stato lettore assiduo ed inconsapevole da quando avevo circa 8 anni fino ai 13/14 circa). Grazie a Gabrilu e al suo appassionato/appassionante post, che mi ha aperto gli occhi (e mi ha tra l'altro ricordato il Brodskij di "Fuga da Bisanzio", che mi sono subito andato a rileggere)."L'epoca e i lupi" è stato ripescato e sta ora in pole position. Grazie ancora, quindi, e a prestoelletibi
ma che fine ha fatto la mia foto da piccolo?
elletibiSi, anch'io ero molto perplessa nel vedere sul sito della casa editrice quel tipo di sponsorizzazioni, ma ho imparato da un po' a non lasciami più influenzare troppo, nella scelta di un libro da leggere, dal "chi l'ha pubblicato".Certo, libri come quelli di Grossman e della Mandel'stam si possono prestare anche a strumentalizzazioni e/o a interpretazioni a senso unico, ma dai tentativi di strumentalizzazioni non sono immuni nè i fondamentalisti di una parte nè quelli di un'altra parte, quindi l'unica cosa che noi possiamo fare è cercare di farci un'idea nostra leggendo il testo e punto.Anch'io ero una lettrice ingenua e inconsapevole di Selezione del Reader's digest. Il mio appuntamento preferito era con "Una persona che non dimenticherò mai": do you remember? Eh, quelli si che sono inprinting…La tua fotina non è comparsa nel tuo precedente commento perchè evidentemente non avevi effettuato il login e dunque Splinder non ti ha riconosciuto e dandoti il via libera come "anonimo" non poteva mettere il tuo avatar.
Ho iniziato la lettura del libro e mi ha fatto molto piacere leggere il tuo post, completo ed esauriente.
ilmestieredileggereblog
ti ringrazio, e sono molto contenta di sapere che hai in lettura le memorie di Nadeszda Mandel’stam 🙂
Pingback: Jan Brokken, Bagliori a San Pietroburgo. Prospettive infinite. – Blog di Pina Bertoli
Bellissimo questo articolo su Nadezda Mandelstam, peccato che il libro nel frattempo sia diventato introvabile.
Paolo
Grazie per l’apprezzamento 🙂
Si, purtroppo ho visto anche io che L’epoca e i lupi è scomparso dalla circolazione, e nemmeno dopo tanto tempo dalla pubblicazione .
Ancora più introvabile è il secondo volume di memorie, in cui Nadeszda parla di sé molto più che nel precedente volume, che era praticamente dedicato tutto a Osip ed alla descrizione del contesto storico di quel periodo.
Il volume di cui parlo, con traduzione e preziose note della nostra eccellente slavista Serena Vitale è questo, io ne posseggo una copia acquistata anni fa ad un’asta su eBay dopo mesi di ricerca certosina in rete…
Nadeszda Mandel’stam “LE MIE MEMORIE con poesie e altri scritti di Osip Mandel’stam”
a cura di Serena Vitale, pp.488, Garzanti (collezione saggi), 1972
Grazie per la risposta, proverò anch’io a cercarlo con molta pazienza.
Buone letture
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