ITALIANE IN GERMANIA

Lubecca RathausLubecca, il Rathaus (particolare)
La foto è mia

Schleswig-Holstein

, un nome impronunciabile per un italiano. Le labbra e la lingua compiono mirabili acrobazie per afferrare quei suoni, che rischiano di incagliarsi fra i denti o naufragare fra la saliva. Otto mesi mi ci sono voluti per impararlo, ma poche gite per farmi conquistare dalla bellezza ruvida di quei luoghi

Gli italiani non immaginano neanche lontanamente quello che si perdono trascurando la Germania nelle loro rotte turistiche

Intelligente, acuto, di piacevolissima e scorrevole lettura, il libro di Antonella Romeo — che ho comprato l’anno scorso a Monaco consigliata da una gentilissima signora ad IlalLIBRI, l’unica libreria italiana esistente in Baviera — mi ha incantata e l’ho letto più di una volta.

Si tratta di una testimonianza lucida ed utilissima sulle implicazioni dell’ essere un’italiana che sposa un tedesco e si trasferisce definitivamente nella Germania del Nord, ad Amburgo.

Un libro che parla degli italiani ai tedeschi, e dei tedeschi agli italiani.

Ho scelto proprio questa citazione tra le tante altre possibili perchè  anche a me è bastato molto poco per innamorarmi di quei luoghi…

La nostalgia del Baltico, Amburgo, Lubecca, Travemünde era davvero grande, ed infatti ci ritorno e martedi ri-spiccherò il volo per Amburgo

La prefazione del libro della Romeo è di Marisa Fenoglio, lei stessa residente in Germania dal 1957 ed autrice di Vivere altrove.

Mi piace la scrittura della Fenoglio.

Per piacere, non liquidate Marisa Fenoglio con un semplice “… ah! la sorella di Beppe Fenoglio”.

Sorella di Beppe Marisa lo è, certo che lo è.

Ma è essa stessa scrittrice che merita di venir considerata in proprio, e non — banalmente — solo come “…ah! la sorella di…”. Scrittura pacata e molto raffinata.

Molti passaggi sulle difficoltà e le ambivalenze di chi emigra (anche se, come nel caso della Fenoglio, si tratta di una emigrazione “dorata”, privilegiata) sono comuni e li ritroviamo in tutta la memorialistica degli scrittori immigrati.

Ma siccome poi ciascun individuo ha una sua particolarissima storia, che è solo sua, questo determina ovviamente anche reazioni individuali proprie di quel percorso di vita.

Dico questo perchè a volte alcuni atteggiamenti della Fenoglio nei confronti del Paese in cui è andata a vivere mi hanno lasciata abbastanza perplessa e, in alcuni punti, persino lievemente irritata.

Ma non è possibile criticare un vissuto personale, reazioni istintive, sentimenti provati e dunque pur non condividendo a volte alcuni ragionamenti li rispetto e taccio.

Davvero belle le pagine in cui si parla della lingua come patria, della conoscenza della lingua del Paese ospitante come la chiave più efficace per penetrare (o almeno tentare di penetrare) una realtà che all’inizio può apparire opaca e, a volte, addirittura ostile.

Un altro libro che mi ha aiutata molto ad avvicinarmi alle problematiche derivanti dall’incontro tra la cultura italiana e quella tedesca è Piccolo viaggio nell’anima tedesca di Vanna Vannuccini e Francesca Predazzi (su Google se ne possono leggere le prime pagine), che proprio su questo blog mi era stato segnalato da Stephi in uno dei suoi commenti.

Il libro è diviso in 15 capitoli (più uno introduttivo) ciascuno dei quali è incentrato su parole ed espressioni tipiche della mentalità tedesca.

Il suo grande merito è quello della chiarezza e della sintesi. Lo stile è giornalistico, l’obiettivo divulgativo ma di ottimo livello.

Personalmente, pur non conoscendo la lingua tedesca, sulle famose “parole intraducibili” di cui parlano le autrici non  ho letto cose che non conoscessi già.

Chiunque abbia un minimo di frequentazione con la letteratura, la musica — penso a Wagner ed alla liederistica — , il cinema e la storia recente della Germania queste cose le conosce.

Ho apprezzato molto però la maniera di argomentare e di esemplificare: ottimi, ad esempio, i capitoli su “L’insozzatore del nido” (Nestbeschmutzer) e il capitolo sul significato e il valore che per i tedeschi ha il passeggiare intitolato “Il sentiero per gite a piedi” (Wanderweg)

Come non pensare a libri come Il passeggiatore solitario di G.W. Sebald e a La passeggiata di Walser o al Lieder Wanderer ed alla composizione per pianoforte Fantasia Wanderer di Schubert?

Insomma: tre piccoli ma densi e preziosi libri di italiane in Germania che    mi sento davvero di consigliare.

LETTURE DA VIAGGIO

E la nave va Federico Fellini

Lettura da viaggio è un concetto che implica una svalutazione. E’ diffusa l’idea che quel che si legge in viaggio debbano essere i libri più leggeri e scadenti, stupidaggini “per ammazzare il tempo”. Io non l’ho mai condivisa. Anche a prescindere dal fatto che la cosiddetta letteratura amena è la più noiosa del mondo, non riesco a persuadermi perchè mai, in una circostanza così austera e solenne come è sempre un viaggio, si debba abbassare il livello delle proprie consuetudini intellettuali dedicandosi alla stupidaggine. Forse che lo stato di libertà e di tensione insito nel viaggiare crea una disposizione d’animo e di nervi in cui la stoltezza ci ripugna meno del solito?

La rilettura che ieri ho fatto di questo delizioso librino di Mann è caduta proprio a fagiolo non solo perchè sul punto “lettura da viaggio” la penso esattamente come lui ma perchè fra qualche giorno parto, il blog andrà in stand-by fino alla fine di agosto ed io sono alle prese, nel fare la valigia, con il solito problema della quadratura del cerchio e cioè con la domanda: che libri mi porto?

Quando nel 1934 Thomas Mann compì la sua prima traversata transoceanica dall’Europa in America dove si recava per un ciclo di conferenze portò con se il Don Chisciotte in quattro volumi rilegati in tela arancione perchè, come scrive all’inizio del suo diario di bordo e di lettura:

Il Don Chisciotte è un libro mondiale: sarà il libro che si addice ad un viaggio mondiale. Fu un’ardita avventura lo scriverlo, e l’avventura passiva rappresentata dal leggerlo è adeguata alle circostanze. E’ strano, ma io non ne ho mai condotto a termine sistematicamente la lettura. Voglio farlo qui a bordo e superare quest’oceano narrativo, così come entro dieci giorni avremo superato l’Atlantico”.

 

Io non farò traversate transoceaniche ma non per questo i libri che in questi giorni mi circondano, mi saltellano addosso, occhieggiano e mi richiamano dagli scaffali rendono più facile la mia scelta…

E la nave va Federico Fellini

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Le immagini sono tratte dal film E la nave va di Federico Fellini (1983)

SOLO UN IDIOTA


Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta sempre con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perchè lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.

Uno di questi libri è per me il Don Chisciotte.

Si, lo so, sparatemi in un occhio. O schiaffeggiatemi selvaggiamente sulla tonsilla sinistra. Me lo merito.

Il Cavaliero dalla Trista Figura me lo porto appresso da circa trent’anni ma non sono mai andata oltre pagina 50.

Già a pag. 51 si sente il tonfo del tomo che cade.

Mi  sono mica arresa, veh.
So che prima o poi io e il Cavaliero ci innamoreremo. Lo so.
E so che, quando sarà…  sarà amour fou.

Certum an, incertum quando.

Altro esempio personale: Thomas Bernhard: il suo La Fornace ha soggiornato tranquillamente negli scaffali di una delle mie librerie per circa dieci e passa anni (mi pare ancora di sentire i suoi ron-ron).

Poi un bel dì — e non so il perchè, mentre invece   proprio capire    quel perchè sarebbe   (almeno per me)  la cosa davvero interessante — ho capito che non potevo vivere nemmeno più mezzo minuto senza leggere La fornace di Thomas Berhnard.

Ebbene si, fu da quel fatal momento che cominciò la mia magnifica ossessione per Thomas Bernhardt, ma temo ( e forse, in qualche modo, spero) che ai miei Happy Few poco importino le derive dei miei folli amori

UN MONDO SCOMPARSO – ROMAN VISHNIAC

Vishniac

Sto rileggendo in questi giorni, dopo tanti anni, La famiglia Moskat di Isaac Bashevis Singer e sono rimasta molto colpita dall’immagine di copertina che compare nella edizione italiana della TEA.

Singer La famiglia Moskat

Trovato il nome dell’autore della foto, mi sono bastati pochi minuti di ricerca con Google ed ecco che ho conosciuto l’opera di un fotografo di cui — me ignorante — sconoscevo completamente l’esistenza.

Roman Vishniac
Roman Vishniac
L’ingresso della scalinata conducente al cortile di Rabbi Meir Ben Gedaliah (1558-1616)
Lublino, 1938.

Il suo nome è Roman Vishniac, e l’opera fotografica per cui è diventato famoso è raccolta in un libro intitolato A Vanished World, oggi reperibile, da quel che ho capito, in inglese e in francese (Un monde disparu) mentre l’edizione italiana (Un mondo scomparso) sembra decisamente introvabile.

Con A Vanished World Vishniac documenta la cultura ebraica nell’Europa dell’Est, mostra il mondo dello schtetl polacco alla vigilia della sua eclissi e del macello dell’Olocausto con fotografie che a me sembrano di grandissima bellezza e potenza emotiva.

Queste foto mostrano delle persone e dei luoghi che non esistono più; ma, nel mio ricordo, esse sono sempre là. Spero che voi guarderete ciascuna di queste foto assieme alla loro storia, e che anche voi vedrete il mondo che io ho visto.
Roman Vishniac

Un lunghissimo articolo sul New York Times Magazine ha recentemente scatenato molte discussioni che ruotano attorno all’ipotesi che Vishniac abbia manipolato alcune delle immagini modificando in questo modo il loro senso originario e riaprendo così il dibattito sul vero e il falso in fotografia (un precedente illustre di questa diatriba lo abbiamo con la celeberrima foto del Miliziano che cade di Robert Capa)

La questione è sicuramente interessante ma nulla toglie, a mio parere, alla bellezza e all’importanza delle foto di Vishniac.

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