
Sándor MÁRAI, Le premier amour, traduz. dall’ungherese al francese di Catherine Fay, ed. Albin Michel, 2008, ISBN 2226188711
“En effet, il ne s’est rien passé dans ma vie. ” (“in effetti, nella mia vita non è successo nulla”).
E’ tutto qui. In questa dichiarazione di impotenza, in questa accettata sterilità, in questa ammissione di sconfitta.
Sándor Márai ha 28 anni quando, nel 1928, scrive questo primo romanzo utilizzando la prima persona singolare, sotto forma del diario intimo di un uomo di 54 anni, rispettabile professore di latino che vive in una piccola cittadina della provincia ungherese intorno al 1910.
Questo professore, celibe, conduce una vita grigia ed abitudinaria, priva di sorprese e di affetti: le lezioni al liceo, i pasti preparati dalla governante, serate al club, qualche rara visita alla casa di tolleranza.
Ma basta pochissimo per mettere in pericolo l’ordinato tran tran di una vita regolata come una metrica latina, e l’occupazione principale del professore sembra consista soprattutto nel prendere tutte le precauzioni possibili per mettersi al sicuro da ogni imprevisto, evitare le sorprese, le incertezze, i dubbi.
Ogni relazione con un qualsiasi essere umano che non si limiti alle sole formule di cortesia ed alla conversazione stereotipata e convenzionale è da lui avvertita come una sorta di trappola. Ad un certo punto decide che anche la governante, al suo servizio da tanti anni, dovrà lasciarlo.
Perchè non c’è nulla che il professore ami di più che la solitudine e la routine.
Il professore decide di riprendere la stesura del suo diario per fuggire un poco la monotonia delle sue giornate.
In vacanza in una piccola stazione termale semideserta, distante tre ore di treno dalla cittadina in cui abita, egli ritrova la camera che aveva occupato circa trent’anni prima e questo, ad uno abitudinario com’è lui, va benissimo perchè tutto è immutato: solo, passa una notte intera a cercare freneticamente un paio di cava stivali che trent’anni prima erano in dotazione della stanza e che ora non ci sono più. Certo — pensa — perchè oggi gli stivali sono meno usati e dunque l’attrezzo non viene più fornito dalla Direzione, ma la spiegazione razionale che lui stesso si dà non gli impedisce di avere qualcosa che assomiglia molto ad una vera e propria crisi isterica.
Succede poi che rileggendo le vecchie pagine del diario su cui aveva smesso di scrivere e proprio ricominciando adesso ad appuntare i propri pensieri si trova a fare il bilancio del proprio passato.
Un bilancio che lo porta a constatare come egli abbia guardato scorrere il tempo senza reagire, accettando quelle che lui chiama delle “concessioni” che somigliano piuttosto ad un abbandono, ad un lento scivolare verso la vecchiaia e la morte.
Peggio ancora: l’uomo capisce di essersi lasciato sfuggire, con il suo comportamento apatico e negligente, un amore che avrebbe potuto cambiare la sua vita:
“C’est un peu comme si, un jour, j’avais découvert quelque chose que j’aurais ensuite oublié pendant vingt-huit ans et que, décidé pour une fois à agir, je n’avais rien trouvé de plus intelligent à faire que de renouveler une expérience passée. “
Dal 4 agosto al 20 giugno dell’anno successivo, questo diario diventa sempre di più il documento ed il rendiconto di una crisi imprevedibile e che si rivelerà fatale.
Nella misura in cui egli descrive i piccoli insignificanti fatti ed i gesti delle sue giornate, gli tornano alla mente brandelli di ricordi d’infanzia, il ghiaccio che ricopre le sue emozioni comincia ad incrinarsi.
Il professore si scopre “en attente de quelque chose, quelque chose qui devrait arriver”, ma non ha la minima idea di cosa possa essere.
Tanti piccoli episodi, come per esempio l’incontro con un perfetto sconosciuto al quale inspiegabilmente ed improvvisamente si confida rivelandogli i suoi pensieri più intimi, la richiesta di un prestito di denaro che gli rivolge un collega immerso fino al collo in una sordida storia di adulterio annunciano l’evento che destabilizzerà la sua vita: il professore si innamora di una delle sue allieve, un’adolescente di diciassette anni…
Un primo amore violento, tardivo, rabbioso e del quale, paradossalmente, il professore non si rende nemmeno conto o di cui comunque si rifiuta di prendere coscienza perchè, pensa “Le temps des amours n’est plus de mon âge. Je suis passé à côté de ce temps-là.”
Il contrasto tra l’apparente banalità del racconto (cosa di più trito e ritrito della storia di un cinquantenne che perde la testa per una ragazzina?), l’ingenuità del narratore e la progressiva irruzione di elementi strani, di note false che per il lettore funzionano come segnali di allarme generano una tensione ed una suspense impressionanti.
Inezie, si direbbero. Eppure nel professore tutto cambia anche se sembra che proprio nulla cambi: un giorno si sveglia un’ora più tardi del solito…la decisione di tagliarsi la barba…l’acquisto di un vestito nuovo e di colore chiaro…il percorso della passeggiata quotidiana leggermente modificato…Tutte inezie che sono veri e propri indizi.
L’unico a non capire questi segnali che gli altri personaggi del libro (i colleghi, la governante, il portiere della scuola) avvertono è proprio lui. Non è in grado di comprendere i messaggi che gli altri gli rimandano; la sua ingenuità è disarmante, la sua incapacità di comunicare con il mondo sempre più devastante:
“Tous les mots me paraissent vides de sens. Quelquefois j’ai l’impression qu’ils ont perdu leur contenu. Les mots que ma bouche prononce ressemblent à du fer-blanc. Ils n’ont aucun goût, aucune couleur. Des mots vides, sans couleur.”
“Je suis triste. Pourquoi ? Pour qui ? Je suis incapable de le dire”
Con una profondità di analisi e di approfondimento dei temi della solitudine e della vecchiaia —- stupefacente per un debuttante e per un giovane uomo di 28 anni — Márai descrive la discesa implacabile di un uomo nella psicosi.
Fingendo una neutralità che è soltanto di facciata, Sándor Márai costruisce mirabilmente un testo claustrofobico di rara potenza. Attraverso la descrizione del quotidiano, il passaggio dall’affetto all’odio e poi alla passione egli descrive sentimenti estremamente intensi proprio nel momento in cui tutto sembrerebbe immobile attorno al personaggio centrale dai gesti sempre misurati.
Siamo di fronte al racconto dettagliato del momento in cui un essere umano va in frantumi.
Finchè non succedeva nulla, il professore poteva sopravvivere. Ma è successo qualcosa — per poco che sia — ed ecco che tutta l’impalcatura protettiva delle regole sembra essere crollata: da qui depressione, malinconia, malattia mentale.
Descrizione magistrale della nascita di una psicosi, Le premier amour descrive passo passo una discesa molto lenta ma che il lettore avverte come implacabile ed irreversibile. Tanto più terrificante proprio perchè descritta con le parole tranquille della quotidianità.
Eppure, dietro il distacco con cui Márai descrive con occhio “clinico” questo processo di dissoluzione noi lettori non possiamo non avvertire l’immensa compassione che l’autore nutre per il suo personaggio.
In questo primo romanzo, costruito con la tecnica narrativa che i lettori di Márai conoscono e cioè quella del lungo monologo si trovano già l’insistenza sui rituali dei suoi personaggi, la loro silenziosa banalità che nasconde invece una violenza infinita, la gradissima capacità di analizzare le più recondite sfumature delle dinamiche amorose e tutti i temi dominanti dei romanzi di Márai più famosi che, scritti successivamente, noi lettori italiani abbiamo già letto per la semplice ragione che sono stati tradotti prima di questo romanzo di esordio.
Le premier amour non è ancora disponibile in italiano, che io sappia. Mi auguro davvero che Adelphi, cui va il merito di aver fatto conoscere in Italia questo grande scrittore pubblicando tanti suoi libri provveda quanto prima.
C’est là que réside le plus grand secret : la façon dont quelqu’un s’abîme et reste seul. Il parle dans le vide, on n’entend pas sa voix. On ne le comprend pas. Il prend les mêmes chemins que les autres…mais il n’arrive nulle part. Il marche toujours en rond, toujours autour de lui-même.
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