La morte di Seneca
olio su tela, collez. privata
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Ne Le confessioni di un italiano, Carlino Altoviti, protagonista di uno dei più bei romanzi della nostra letteratura, inizia —- ormai ottantenne —- a scrivere le sue memorie.
Ha trascorso una vita a battersi in prima persona nelle guerre per l’indipendenza e l’unità d’Italia.
Ricordate quel bellissimo incipit di Ippolito Nievo?
Il libro inizia così:
“Io nacqui veneziano il 18 ottobre del 1775 […] e morrò per la grazia di Dio italiano”.
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Le immagini dei garibaldini durante i combattimenti presso Porta Felice a Palermo sono tratte da Il Gattopardo di Luchino Visconti
Antonina NIKOLÀEVNA PIROZKÒVA, Al suo fianco. Gli ultimi anni di Isaàk Bàbel’ (tit. orig. Gody, prosedsie rjadom 1932-1939), traduz. G. Pacini, Prefazione Grace Paley, p.208, Archinto, Collana Biografie & Ritratti, 1998, ISBN: 8877682264, ISBN-13: 9788877682260
Antonina Pirozkòva è morta pochi mesi fa negli Stati Uniti, il 12 settembre 2010. Aveva 101 anni. Negli anni ’30 era stata un ingegnere capo ed aveva contribuito ai lavori per la realizzazione della metropolitana di Mosca.
Ma Pirozkòva è stata anche moglie dello scrittore russo Isaàk Bàbel’, al fianco del quale trascorse sette anni dal 1932 al 1939, data in cui Bàbel’ venne arrestato dall’NKDV, la famigerata polizia segreta di Stalin. Da quel giorno Antonina divenne anche la custode della sua eredità letteraria.
In questo libro, Antonina racconta.
Nata a Krasny Yar, un villaggio della Siberia, laureatasi a 21 anni in ingegneria edile, Antonina Pirozkòva si trasferì a Mosca dove trovò lavoro alla Metrostoi e contribuì alla progettazione ed alla realizzazione delle più famose stazioni della metropolitana di Mosca: Mayakovskaya, Paveletskaya, Kievskaya, Arbatskaya e Ploshchad Revolyutsii. Nel 1964 pubblicò un libro che divenne un testo guida sugli standard dell’ingegneria sovietica, Tunnel e Metro.
Per molti anni la Pirozkòva è stata la sola donna ingegnere impiegata nella realizzazione di metropolitane nell’Unione Sovietica.
Antonina incontra il suo futuro marito poco tempo dopo aver cominciato a lavorare all’Istituto di Stato per il disegno metallurgico di Mosca, nel 1932.
Ha 23 anni.
Lui di anni ne ha 38 ed è separato dalla sua prima moglie Yevgenia Gronfein, che adesso vive a Parigi e che (saggiamente, possiamo dire col senno di poi) non ha alcuna intenzione di tornare in Unione Sovietica.
Nel 1934, Pirozkòva e Bàbel’ decidono di vivere insieme.
La giovane bella ingegnere siberiana e lo scrittore ebreo che ha quindici anni più di lei, che ha già una figlia avuta con la prima moglie ed un figlio nato dalla relazione con l’attrice Tamara Kashirina formano una coppia abbastanza particolare…
Nel 1937 nasce una figlia, Lìda.
Pirozkòva e Bàbel’ snobbano la mondanità moscovita, e Bàbel’ si mostra molto fiero dell’importante lavoro nel quale è impegnata Antonina.
Gli inviti mondani vengono da lui declinati con la frase: “lei è una donna che lavora, lei non ha tempo per queste cose”.
In questo libro, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1996 e comparso in Russia solo nel 2001 Antonina Pirozkòva racconta quei sette anni passati al fianco di Isaàk Bàbel dal 1932 fino al giorno del suo arresto il 15 maggio 1939, ma anche gli estenuanti tentativi, durati anni, per cercare di conoscere la sorte del marito e la tenacia con cui, per decenni, ha cercato di salvaguardare il patrimonio letterario di lui, di mantenere viva la sua memoria, di far si che un giorno tutti gli scritti di Bàbel’ — già famoso in Occidente soprattutto per i magnifici racconti de L’Armata a cavallo e la raccolta Gente di Odessa — potessero finalmente esser tutti pubblicati e letti anche in Russia.
Con il suo modo di raccontare “franco e diretto”, con un “tono oggettivo, quasi dimesso ma di inconfondibile autenticità” — come scrivono Grace Paley nellaPrefazione e il curatore Pacini nella sua Introduzione — Antonina Pirozkòva ci parla della sua vita quotidiana con Babel’.
Una vita di coppia caratterizzata soprattutto (è l’elemento che personalmente mi ha più colpita) da un grande rispetto reciproco.
Rispetto per il lavoro, gli spazi personali, le competenze dell’altro: lui si occupa della bambina mentre lei è al lavoro, ammira la sua “intelligenza matematica”, le consiglia di essere meno onnivora e più selettiva nelle sue letture di narrativa e di legger libri “che veramente valgono. Ci sono circa un centinaio di libri che qualsiasi persona colta deve assolutamente leggere”, arrivando a compilare per lei e a consegnarle un elenco che va dai grandi classici latini e greci a Stendhal, Flaubert, Maupassant di cui è grandissimo estimatore. E’ molto orgoglioso anche della sua bellezza.
Lei, da parte sua, si fa grande scrupolo di mantenere la promessa fattagli di non leggere assolutamente mai le bozze dei suoi scritti letterari, di non parlargli mai di letteratura.
Bàbel’ infatti detestava parlare di letteratura in generale e del suo modo di lavorare in particolare; odiava le interviste letterarie ad un punto tale da arrivare ad essere intollerante e addirittura maleducato…
Il racconto di Antonina è scandito ed intercalato da molte citazioni tratte dalle lettere di Bàbel’ alla madre, un vero e proprio sottofondo, una sorta di “basso continuo” che contribuisce a rendere ancora più viva la grande umanità dello scrittore.
L’immagine di Bàbel che prepotentemente balza fuori dalle pagine di Antonina è quella di un uomo “profondamente buono” (p.27) e generosissimo.
Questo giudizio è condiviso da tutti coloro che lo hanno conosciuto.
“Un uomo profondamente buono”, “un uomo saggio” dirà di lui Erenburg nel 1964 nel suo discorso pronunciato alla Casa dei Letterati di Mosca in occasione del ’70 anniversario della morte di Bàbel’.
Bàbel’ era un uomo “straordinariamente colto e un magnifico conversatore”, pieno di fascino e con uno charme che “agiva irresistibilmente su tutti” (p.123). Un uomo che “amava la vita, pensava che l’uomo nasce per stare allegro e godersi la vita”, scrive Antonina.
“Eppure l’hanno ucciso…”: è di nuovo ancora Erenburg che parla.
Da quel 15 maggio del 1939 in cui Bàbel’ venne prelevato dagli agenti dell’NKDV per anni ed anni Antonina, assieme alla figlia che intanto cresceva e la madre di Bàbel’ non avranno notizia della sua morte, avvenuta per fucilazione il 27 gennaio del 1940. Ad ogni domanda, ad ogni richiesta di informazioni avanzata instancabilmente dalla moglie i funzionari rispondono sempre che il marito “è in vita ed è detenuto in un campo di concentramento”.
Antonina Pirozkòva verrà a conoscenza della morte di Bàbel’ soltanto quindici anni dopo, nel 1954, dopo la conclusione del procedimento di riabilitazione e dopo che avevano tentato di farle credere che il marito era morto nel 1941, durante la guerra.
La descrizione della vita quotidiana che Antonia fa degli anni che precedettero l’arresto di Bàbel’ ricorda tanti altri libri di memorie di persone vissute durante gli anni che Nadezda Mandel’stam ha definito “epoca dei lupi”: anche Antonia e Babel’ (come Nadezda e Osip Mandel’stam, come Anna Achmatova e tanti, tantissimi altri) vedono ogni giorno “scomparire” amici e conoscenti, portati via durante la notte dalle lugubri macchine nere dell’NKDV… assistono ad arresti, apprendono di suicidi, di gulag, di Siberia, di Kolyma…
Eppure, nonostante tutto, Babel’ e la moglie non riescono ancora ad immaginare tutta la verità. Per esempio, non riescono a capire come mai tante persone perbene confessino colpe che non possono avere commesso. Non sanno delle torture, non riescono nemmeno ad immaginare questa possibilità.
Cercano un “perchè” razionale che in qualche modo giustifichi gli arresti “supponendo ingenuamente che non si potesse arrestare un uomo senza motivo”, scrive la Pirozkòva (p.67) cercando di spiegare questa sorta di cecità con il fatto che si era come “dominati da […] uno stato ipnotico” (p.131).
Situazioni, stati d’animo, paure, considerazioni che non possono non far tornare subito alla mente quelle descritte anche da Nadezda Mandel’stam nel suo magnifico L’epoca e i lupi,
Perchè Bàbel’ venne eliminato?
Secondo Erenburg “…Bàbel’ sapeva essere molto cauto […] sapeva che non avrebbe dovuto frequentare la casa di Ezov” (p.189), capo dell’NKDV ed uno dei massimi artefici del Grande Terrore del 1937 caduto in disgrazia nel 1939 all’avvento di Berja.
Probabilmente, però, Bàbel’ sarebbe stato eliminato in ogni caso.
Perchè non era allineato, perchè era un letterato e, come diceva Mandel’stam, la Russia aveva tanto rispetto per la poesia e la letteratura da ammazzare romanzieri e poeti…
Al suo fianco è un libro breve (solo duecento pagine) ma molto denso leggendo il quale non si può non apprezzare l’eccezionale importanza della testimonianza; il coraggio, l’intelligenza, la dignità della sua autrice.
Non si può non rimanere colpiti dalla limpidezza, l’asciuttezza e l’assoluta mancanza di retorica della narrazione. Non si può che essere grati ad Antonina Pirozkova per averci mostrato molti tratti del Babel “privato” che illuminano anche ciò che conosciamo del Babel scrittore e per essersi tanto battuta perché i suoi libri, conosciuti in tutto il mondo, venissero finalmente pubblicati e letti anche nella sua terra russa.