ED OGGI?


Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi.
Francobollo commemorativo emesso dalla Repubblica Italiana nel 1998
per il bicentenario della nascita (part.)

… il cinismo è tale che  supera di gran lunga quello di tutti gli altri popoli, parlando proporzionatamente di ciascuna classe. Per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni, ma gli altri popoli altrettanto e più filosofi di noi, ma con più vita, e d’altronde con più società, ridono piuttosto delle cose che degli uomini, piuttosto degli assenti che dei presenti, perché una società stretta non può durare tra uomini continuamente occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. In Italia il più del riso è sopra gli uomini e i presenti.

La raillerie il persifflage, cose sì poco proprie della buona conversazione altrove, occupano e formano tutto quel poco di vera conversazione che v’ha in Italia. Quest’è l’unico modo, l’unica arte di conversare che vi si conosca. Chi si distingue in essa è fra noi l’uomo di più mondo, e considerato per superiore agli altri nelle maniere e nella conversazione, quando altrove sarebbe considerato per il più insopportabile e il più alieno dal modo di conversare.

Gl’Italiani posseggono l’arte di perseguitarsi scambievolmente e di se pousser à bout colle parole, più che alcun’altra nazione. Il persifflage degli altri è certamente molto più fino, il nostro ha spesso e per lo più del grossolano, ed è una specie di polissonnerie, ma con tutto questo io compiangerei quello straniero che venisse a competenza e battaglia con un italiano in genere di raillerie. I colpi di questo, benché poco artificiosi, sono sicurissimi di sconcertare senza rimedio chiunque non è esercitato e avvezzo al nostro modo di combattere, e non sa combattere alla stessa guisa. Così un uomo perito della scherma è sovente sconcertato da un imperito, o uno schermitore riposato da un furioso e in istato di trasporto. Gl’Italiani non bisognosi passano il loro tempo a deridersi scambievolmente, a pungersi fino al sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il risparmiare il loro amor proprio, senza di che non vi può aver società, il lusingarlo senza bassezza, il procurar che gli altri sieno contenti di voi, così in Italia la principale e la più necessaria dote di chi vuole conversare, è il mostrar colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di se stessi e per conseguenza di voi.

Sono incalcolabili i danni che nascono ai costumi da questo abito di cinismo, benché per verità il più conveniente a uno spirito al tutto disingannato e intimamente e praticamente filosofo, e da tutte le sovraespresse condizioni e maniere del nostro modo di trattarci scambievolmente. Non rispettando gli altri, non si può essere rispettato.

 

Giacomo Leopardi francobollo commemorativo 1998

CATERINA DE’ MEDICI – JEAN ORIEUX

Jean Orieux Caterina de Medici
Jean ORIEUX, Caterina de’ Medici. Un’italiana sul trono di Francia (tit. orig. Catherine de Médicis ou la reine noire), traduz. Francesco Sircana, p. 744, Mondadori, Oscar Storia, 1994

Il sottotitolo italiano di questa corposa e densissima biografia di una delle figure più discusse della storia europea del ‘500 ed emblematica, per molti versi, dei rapporti non sempre idilliaci che da secoli intercorrono tra italiani e francesi — i nostri cosiddetti “cugini d’oltralpe” — recita: “un’italiana sul trono di Francia”, mentre se prendiamo in mano il volume francese edito da Flammarion troviamo, come sottotitolo, “La reine noire”.

Il sottotitolo dell’edizione italiana profuma di orgoglio nazionalista, il sottotitolo francese richiama invece (mai sottovalutare i sottotitoli!) l’alone sulfureo che per secoli ha evocato, per molti francesi, il nome di Caterina de’ Medici.

E’ infatti con questo soprannome di “regina nera” che Caterina de’ Medici è stata etichettata per secoli.

Perchè?

Il 10 luglio 1559 moriva tra atroci sofferenze Enrico II, re di Francia, a seguito di un colpo di lancia ricevuto nell’occhio dieci giorni prima nel corso di un torneo durante i festeggiamenti in onore del matrimonio della figlia Claudia con il duca Carlo III di Lorena.

Da quel momento la sua giovanissima vedova, la fiorentina Caterina de’ Medici, rifiutando di vestirsi di bianco, che era il colore tradizionale del lutto delle regine di Francia, si avviluppò nei lunghi veli neri che non avrebbe più abbandonato fino alla propria morte. Questi veli e questi vestiti funebri hanno contribuito a dare a colei che li adottò il soprannome di “Reine Noire”, “Regina Nera”.

Caterina de Medici
Francois Clouet
Caterina de’ Medici (1556 ca.)
Versailles, Château de Versailles et Trianon (fonte)

 

Ma questo tristo soprannome di “Regina nera” dato a Caterina non è certo dovuto esclusivamente al suo abbigliamento.

Caterina in abiti vedovili in un altro dipinto di François Clouet (1559 ca.) sec.

 

La verità è che i francesi odiavano Caterina.

I suoi sudditi la disprezzarono per tutta la vita. La nobiltà perchè la riteneva di bassa estrazione e non tollerava di dover sottomettersi a qualcuno che riteneva inferiore.

Il popolo… per le stesse ragioni, dimostrando così di essere più tradizionalista dello stesso re Francesco I, che dovette far valere tutta la sua autorità per imporre l’appena adolescente piccola Medici ai suoi sudditi come moglie del figlio allora ancora duca d’Orleans.

Da Michelet in poi, tutti gli storici del XIX secolo si sono scagliati con furibonda misoginia contro quella che ormai la maggior parte degli storici francesi considera una figura che può essere annoverata tra i più grandi monarchi e statisti che abbia avuto la Francia.

Dalla libellistica alla tradizione orale, la vox populi ha accusato Caterina delle peggiori nefandezze contribuendo a costruire un’immaginario in cui la “Regina nera” era tale perchè esperta di pratiche occulte e magia nera, di veleni e sortilegi, dipingendola femmina lussuriosa (lei che per tutta la vita amò un solo uomo, suo marito) accusandola di essere la mandante di omicidi e addirittura di avere ucciso in prima persona.

Nell’Ottocento fa eccezione solo Balzac, che non era uno storico ma un narratore, il quale nel suo saggio Sur Catherine de Médicis mostra una formidabile intuizione dipingendo Caterina come “un grande uomo politico”.

Ma qual’era la vera, profonda ragione di tanto odio? ” i francesi non volevano obbedire a una donna, e per giunta ad una donna straniera”, è la risposta di Orieux (p.293).

Jean Orieux ha cercato, con il suo libro, di rendere giustizia a questa donna che benchè non fosse di sangue reale ma solo una “figlia di mercanti” (come sprezzantemente la chiamò un giorno persino la giovanissima nuora Maria Stuarda, moglie di Francesco II) era arrivata a sedere sul trono dei gigli.

Ma andiamo con ordine.

Figlia unica di Lorenzo II de’ Medici, duca di Urbino, e di Madeleine de La Tour d’Auvergne, nipote di Lorenzo il Magnifico, nipote del Papa Leone X e parente del Papa Clemente VII, moglie di re (Enrico II di Valois) e madre di tre re (Francesco II, Carlo IX ed Enrico III), Caterina de’ Medici è stata un personaggio di una levatura che va ben al di là della diabolica leggenda che lo stesso Alexandre Dumas, affascinato dal potenziale drammatico del personaggio contribuì ad alimentare dipingendo la “reine noire” con tratti addirittura grotteschi nel romanzo — peraltro assai avvincente ed intrigante — “La Regina Margot”.

Senza tacere minimamente i (rari) lati deboli, le azioni negative della Donna di Stato e quelli, molto più numerosi invece, che Caterina manifesta in quanto troppo spesso letteralmente accecata dall’amore materno per i suoi figli, Jean Orieux rende un bellissimo omaggio alla piccola principessa fiorentina che, appena quattordicenne, venne scelta da Francesco I (il Re-Cavaliere) come moglie per il figlio cadetto Enrico duca di Orleans al tempo in cui egli sognava di prendere possesso dell’Italia, delle cui bellezze e della cui cultura era follemente innamorato.

Caterina de Medici
Jacopo Chimenti detto l’Empoli
Papa Clemente VII celebra le nozze tra Caterina de’ Medici ed Enrico II di Francia
Firenze, Palazzo Medici Riccardi

 

Orieux descrive l’ immediato amore di Caterina per il suo sposo (Enrico II rimarrà fino alla sua morte il suo grande, unico amore) che però è già innamorato pazzo di Diana di Poitiers e che giudica molto freddamente questo matrimonio di convenienza con colei che molti, a causa della favolosa ricchezza dei Medici chiamano sprezzantemente, “la Banchiera”.

Troppi cortigiani, troppi aristocratici non andranno più lontano di questi epiteti per nulla amabili. Lo stesso Enrico impiegherà molti anni prima di rendersi conto del genio politico della moglie.

Solo Francesco I, il suocero, si rende subito conto che dietro la figura non particolarmente attraente, priva di charme della ragazza e la sua dolcezza un po’ affettata si nascondono le qualità di un grande monarca, quelle qualità che lui stesso possiede e che tutti gli riconoscono.

Sarà proprio il ricordo del suocero Francesco I, cui Caterina era molto affezionata e del quale ammirava molto lo spirito cavalleresco ad alleviare i giorni tristi in cui essa subisce la supremazia e lo strapotere di Diana e poi quella della giovane nuora Maria Stuart, sposa del figlio primogenito Francesco (che diventa re come Francesco II) ed infine quella dei favoriti del suo figlio prediletto Enrico III, quel figlio tanto amato e dal fascino ambiguo del quale perdona tutte le inquietanti eccentricità che in breve tempo lo rendono inviso alla quasi totalità dei sudditi ed in particolare ai parigini.

E’ sempre l’esempio ed il ricordo di Francesco I che la sostiene e le dà la forza di affrontare le rivalità delle grandi famiglie aristocratiche come i Guisa e i Montmorency che mal sopportano di essere soggetti al potere della dinastia dei Valois.

Queste famiglie, sotto la copertura delle battaglie per “la vera fede” — siamo nell’epoca in cui in tutta Europa si diffonde il calvinismo e la Riforma protestante ed imperversano le guerre di religione tra cattolici ed ugonotti — hanno come vero scopo recuperare il potere sottratto loro dalla monarchia assoluta e magari di impossessarsi anche del trono. Le guerre civili e di religione che devastano la Francia sotto il regno dei Valois sono infatti, soprattutto, la sanguinosa ribellione della grande feudalità contro il potere regale ed il trono.

Praticando una politica di mutua tolleranza, privilegiando decisamente la diplomazia e la negoziazione contro il ricorso alle armi, non rassegnandosi alla guerra ed al massacro se non quando ritiene che le sorti dello Stato e del trono si trovino seriamente minacciate Caterina de’ Medici riesce, costi quel che costi, a mantenere in vita il regno dei Valois.

Caterina detesta, scrive Orieux, la guerra e la violenza. Negoziato, diplomazia, conciliazione sono sempre stati, fino alla sua morte, i principi informatori del suo agire politico sempre supportato da grande intelligenza, accortezza, duttilità e rara capacità di dissimulazione.

Una donna, Caterina, che conosceva a memoria Machiavelli, e a cui, secondo Orieux, Machiavelli non aveva nulla da insegnare.

Tutta l’analisi e il racconto che Orieux fa, ad esempio, della carneficina seguita alla congiura di Amboise e della strage di San Bartolomeo si fonda su questi presupposti: “questa carneficina [la strage di Amboise] le si impose come un dovere orribile e inevitabile, in nome della sua vera religione, della religione del trono dei Valois” (p.219) mentre, della strage di San Bartolomeo Orieux scrive che si rivelò per lei una vera sconfitta perchè “non l’aveva voluta, ma non ne aveva saputo misurarne nè l’orrore nè le conseguenze” (p.462)

Certo, alla fine le toccherà vedere la dinastia dei Valois estinguersi e assistere dunque al passaggio del regno nelle mani dell’odiato genero Enrico di Borbone re di Navarra (marito della figlia Margot), secondo la secolare legge salica francese unico legittimo erede al trono di Francia.

Ma se la dinastia dei Valois si estingue, il regno e il trono di Francia sono però, nonostante tutto, ancora vivi e questo, scrive Orieux, lo si deve al genio politico di questa donna eccezionale che i suoi nemici chiamano con disprezzo “l’italiana” quando invece essa non ha mai pensato ed agito, per i trent’anni di regno, altro che come una regina soprattutto francese.

Lo stesso Enrico di Navarra, diventato re Enrico IV di Francia dirà di Caterina, di cui è stato per anni genero e nemico: “Madame Caterina è stata un grande re”.

La Caterina dunque che balza fuori dalle pagine di Orieux, la Caterina che è stata chiamata “la reine noire” risulta molto meno nera dei suoi eterni luttuosi veli e meno nera di quella trista reputazione cucitale addosso.

Caterina de Medici
Le insegne di Enrico II di Francia e di Caterina de’ Medici su un caminetto del castello di Chenonceaux

 

Madre di tre re — Francesco II, Carlo IX ed Enrico III — essa ha di fatto regnato per loro conto per trenta lunghi anni, durante il più terribile e forse magnifico periodo della storia moderna. Terribile per i massacri delle guerre di religione, magnifico perchè questo è il secolo del Rinascimento.

Caterina, questo secolo lo incarna perfettamente. Orieux ci mostra come la nipote di Lorenzo il Magnifico, sposando nel 1533 Enrico d’Orleans, secondogenito di Francesco I, abbia portato con sè in Francia la grande civiltà della sua patria, Firenze.

Con lei infatti arriva in Francia un’arte del saper vivere, un gusto artistico, un mecenatismo sino ad allora sconosciuti, ai francesi. Caterina rivoluziona la cucina francese e il modo di stare a tavola (è con lei che arriva in Francia l’uso della forchetta e si smette di mangiare con le mani), è insuperabile regista e scenografa di feste, banchetti, cerimonie ufficiali il cui fasto sbalordisce l’Europa intera, rivoluziona persino… il modo di cavalcare. Pur di seguire infatti Francesco I nelle lunghe cavalcate Caterina (espertissima cavallerizza essa stessa) inventa per le donne lo stile all’amazzone.

Ma Orieux analizza soprattutto e a fondo il particolarissimo genio politico (perchè di vero e proprio genio politico si tratta) della regina madre e cerca di decifrarne il segreto: un profondo machiavellismo fondato sul suo amore per la pace ed ispirato da un’intelligenza superiore, una fede granitica nella grandezza della monarchia francese.

E’ stata rimproverata a Caterina la sua violenza, dice Orieux, proprio a lei che odiava la violenza ed aveva in orrore la guerra. Lei che passò la vita a cercare di risolvere i tremendi conflitti del suo tempo ricorrendo alla negoziazione e alla diplomazia.

Il suo più grande e fatale errore è stato l’ enorme amore per i figli, che arrivava a volte ad un vero e proprio accecamento e nei confronti dei quali mostrava una debolezza dagli effetti spesso tragici.

Caterina, scrive Orieux, amava troppo i suoi figli. Essi non lo meritavano. E’ stato questo, secondo lui, il suo vero crimine di capo di Stato.

“Riversò sui figli […] affetti appassionati […] ai figli riconosceva una dignità superiore alla propria, e si sentiva investita del compito di difendere ed esaltare questo sacro principio del sangue dei Valois. Impegno che assolse con una passione sorda, devastante, impietosa e talvolta, come tutte le passioni, cieca” (p.199)

Per questo tragico errore è morta di dolore. Proprio come un grande re.

Cè grandissima attenzione, nel testo di Orieux, al contesto ed ai retroscena sia fiorentini che della vita francese. La società italiana in cui vide la luce Caterina (le sue radici) e quella francese in cui visse, in una situazione in cui “Ella dovette francesizzarsi, mentre la moda a corte imponeva che ci si italianizzasse”.

Il contesto, lo scenario culturale sono fondamentali, secondo Orieux, per cercare di trovare la chiave per comprendere questa figura tanto complessa, che ha sempre messo in primo piano la politica rispetto ai propri sentimenti, il cui fanatismo “non era religioso ma materno e dinastico”, che considerava suo destino essere lo strumento della conservazione della regalità dei Valois, che per tutta la vita ha inseguito il disegno chimerico e magnifico di riconciliare i propri sudditi delle due confessioni e che non può essere approcciata con i parametri di oggi.

“Per comprendere il personaggio di Caterina de’ Medici […] occorre tenerla sempre avvolta e immersa nel suo tempo, evitando di confondere le idee tipiche della nostra epoca con quelle che dominavano nel XVI secolo” (p.X).

Jean Orieux possiede quello che a mio parere deve essere una delle principali caratteristiche di un buon biografo (oltre, ovviamente, la quantità e l’attendibilità delle fonti consultate): la capacità di far rivivere davanti ai nostri occhi i suoi personaggi.

Non ci si dimentica facilmente, una volta arrivati alla fine delle 700 pagine di questo libro, di Enrico II, Francesco I, Margherita di Valois (la regina Margot), Enrico di Guisa, Enrico di Navarra, Filippo II di Spagna, Elisabetta I d’Inghilterra (si, c’è anche lei) e, ovviamente di… Caterina, “la figlia del banchiere [che] ricoprì il ruolo di regina di Francia con una autorevolezza che, prima di lei, mai nessuno ha avuto” (p.229).

Ho anche apprezzato il fatto che Orieux — che non è uno storico ma un professore di lettere — , non nascondendosi dietro una pretesa obiettività spesso esibita da tanti storici “accademici” — non esita ad esplicitare il suo personale parere, le sue simpatie o antipatie a proposito di questo o quell’altro personaggio.

A cominciare da Caterina della quale, pur non nascondendo lati oscuri e piccole meschinerie elogia “la grandezza e la forza d’animo di questa vedova straniera, piccola, grassoccia, nella quale si incarnava il destino della monarchia capetingia, sul punto di capitolare, che lei salvò” (p.379)

Così, non risparmia, per esempio, giudizi al vetriolo sui figli di Caterina, da Margot a François d’Alençon ai tre re Francesco II, Carlo IX ed Enrico III (“Caterina era una regina nera, e una madre nera perchè tutta la sua progenie brilla solo per le tare e le disgrazie”)

Jean Orieux scrive molto bene, ed il risultato è una superba biografia di Caterina de’ Medici, e delinea attraverso la lunga vita di questa donna, che per per più di trent’anni è stata (in barba alla legge salica, dico io) la vera detentrice ed amministratrice del potere regale in Francia un grandioso affresco non solo della politica, della vita quotidiana, degli usi e costumi, degli intrighi politici e delle spaventose guerre di religione non solo della Francia ma di tutta l’Europa del ‘500.

La lettura di questo libro è stata per me davvero impegnativa.

Mi sono trovata infatti a dover memorizzare ed assimilare una serie infinita di nomi, e a districarmi in un diabolico labirinto di parentele, intrighi, alleanze, complotti e tradimenti.

E’ stata però una lettura che mi ha molto interessata anche perchè attraverso gli intrighi politici dell’Europa del ‘500 ci si accorge di quanto delle dinamiche politiche dell’Europa di oggi traggano origine da quelle storie tanto — apparentemente — lontane da noi, ed ho trovato questa biografia romanzata (lo dico nel senso più “alto” del termine) un libro affascinante, coinvolgente e che scardina una miriade di luoghi comuni sulla cosiddetta “Reine noire”.

Ammirevole, ai miei occhi, anche — voglio dirlo — perchè scritto da un francese.

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Jean Orieux
Jean Orieux

COCCARDE

Luchino Visconti Senso

Alida Valli in Senso di Luchino Visconti, 1954

EDUARDO DE FILIPPO – IO VULESSE TRUVA’ PACE

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