

E’ morta, all’età di 83 anni, Denise Epstein, la figlia maggiore di Irène Némirovsky. E’ grazie a lei, al suo coraggio, alla sua tenacia, alla sua pazienza che i lettori di tutto il mondo hanno potuto leggere quello che è considerato il capolavoro di Irène Némirovsky Suite francese, rimasto incompiuto a causa della deportazione ad Auschwitz della scrittrice.
Voglio ricordare Denise Epstein con un video in cui Denise racconta di se stessa e della famosa valigia affidatale dal padre il giorno in cui anche lui venne deportato ed in cui erano conservati i manoscritti di Irène, di tutto quello che poi successe in seguito
Il video è in francese, ma Denise parla in modo talmente chiaro che penso — spero — chiunque può comprendere (o almeno intuire) quello che racconta.

I media italiani hanno dato pochissimo spazio alla notizia della morte di Denise. E’ anche per questo che voglio riportare integralmente il testo del bell’articolo di Gabriella Bosco comparso su LA STAMPA del 5 Aprile 2013, a pag.33, dal titolo “La ragazza con la valigia della Némirovsky”
Adesso anche lei non c’è più. Aveva 83 anni, l’ha uccisa il cancro. E con Denise Epstein, con il suo sorriso franco, i suoi modi gentili, la voce roca da grande fumatrice, se ne va un mondo. Il mondo di Irène Némirovsky, della sua famiglia, di quelli che avevano fatto della loro vita un impegno volto alla testimonianza. L’altra figlia di Irène, Elisabeth Gille, era morta già tanti anni fa, nel 1996. Erano due bambine, quando furono private di padre e madre, arrestati dalla polizia di Vichy e uccisi entrambi a distanza di poche settimane ad Auschwitz. Per lunghi decenni, come unica memoria di quella mamma scomparsa, avevano serbato una valigia, dentro alla quale c’era tra le altre cose un manoscritto, rimasto inedito fino al 2004, quello di Suite francese , il capolavoro della Némirovsky.
Quando incontrai Denise Epstein nel 2009, nella sua bella e luminosa casa tolosana, mi raccontò generosamente la sua esperienza e quella della sorella. Di come la differenza di età – Denise aveva 13 anni, otto più di Elisabeth, nel 1942 – avesse determinato la diversità di reazione. Tanto Elisabeth aveva avuto bisogno di compensare, di inventarsi una madre di fantasia (ne nacque il romanzo Le mirador ), tanto Denise aveva invece puntato, attraverso un lavoro duro di accettazione e poi di elaborazione della perdita, alla preservazione della sua opera. Innanzitutto il famoso manoscritto. Fu proprio Denise, mi raccontò quel pomeriggio, ad accollarsi il compito, non facile né materialmente né emotivamente, della trascrizione delle tante pagine di scrittura minuta, con continue correzioni, della madre.
Denise Epstein se n’è andata allo scadere dei 70 anni di protezione dei diritti per i titoli di Irène (da noi in Italia; in Francia, gli autori che il governo dichiara «morti per la Francia» godono di un’estensione della protezione di 30 anni – mi pare di sentire la voce di Denise: Irène Némirovsky «morta per la Francia»? Ma come?). Ricordando quanto, insieme agli inevitabili momenti di commozione superati con naturalezza, Denise si fosse consentita quel giorno che trascorsi con lei parole esplicite e dirette in merito a certi atteggiamenti che erano stati soprusi nei confronti della madre (un solo esempio: le accuse di antisemitismo), cerco di immaginare come vivrebbe ora il prevedibile arrembaggio editoriale.
Del resto, anche prima Irène Némirovsky è stata usata – si consenta l’espressione – come una gallina dalle uova d’oro. Fermo restando che per i cultori dell’autrice il suo editore italiano è Adelphi, è innegabile che sono stati in tanti a buttarsi sui numerosi titoli minori pur di avere una Némirovsky in catalogo. Basta fare una semplice ricerca in rete per verificarlo. A parte i pionieri – la casa editrice Feltrinelli, che aveva pubblicato già nel 1989 una prima traduzione delle Mosche d’autunno – lo sfruttamento intensivo è iniziato in seguito alla pubblicazione del capolavoro, il 2005 per l’Italia. La grandezza di quel libro, e il suo successo, hanno determinato una vera e propria bulimia. Vengono via via ripresi tutti i titoli, che all’uscita originaria erano stati molto apprezzati ma che poi erano caduti nell’oblio.
Denise Epstein era rigorosa, filologicamente parlando. È ovvio. Era però spiritosa, e capace di aprire il volto a improvvisi lampi di allegria. Così, nel dire quanto avesse provato soddisfazione per il Prix Renaudot conferito postumo a Suite francese – «una bella vittoria, non mi piace la parola rivincita: preferisco vittoria» – aveva poi aggiunto: «Ovunque sia maman , deve aver riso di cuore quando ha saputo del premio». Sì, perché quando si era trattato di darle il Goncourt, ai tempi dei primi grandi successi, negli anni 30, glielo avevano negato dicendo che non era un’autrice francese.
Sopravvivere e vivere , titolo della toccante autobiografia di Denise edita anch’essa da Adelphi nel 2010, riassume in sé la postura esistenziale di chi «alle 8 di un mattino aveva ancora i genitori e alle 8 e cinque li aveva persi per sempre». Imparò allora, tredicenne, a guardare la vita in un certo modo, cioè nel presente, visto che tutto può ribaltarsi da un momento all’altro. Così, il suo spirito si era fatto anche pratico, necessariamente. E alla domanda inevitabile sulla mitica valigia che tutti dicevano nera, mi aveva risposto: «Marrone, la valigia è marrone. All’esposizione del Museum of Jewish Heritage di New York, straordinaria, l’hanno messa sotto vetro. Mi ha fatto sorridere vederla così. È sicuramente una valigia che ha avuto una lunga storia. Era di mio nonno, ci sono le sue iniziali incise. Lui viaggiava molto, l’aveva comprata a Londra, è foderata di tessuto verde ed è trapuntata all’interno. Credo fosse una specie di cappelliera, è quadrata. Se penso ai calci che le ho dato nel trascinarmela dietro per tanti posti sinistri, ritrovarla sotto vetro mi fa un curioso effetto».
(fonte)
Denise EPSTEIN, Sopravvivere e vivere. Conversazioni con Clémence Boulouque ,Traduzione di Francesco Bergamasco, Piccola Biblioteca Adelphi, 2010, pp. 181
ho letto molto volentieri quanto qui riportato, avevo scoperto come mosche d’autunno alla sua uscita anni e anni fa, i racconti di ebrei uccisi e dei loro eventuali figli che raccontano vivere e sopravvivere mi interessano sempre molto
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@cristina
benvenuta e grazie anche del link 🙂
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http://www.culturacommestibile.com sito web e rivista porta miei contributi scritti se può interessare
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Molto interessante il tuo articolo…
Amo molto Irene e la sua scrittura..
Se ti va passa a trovarmi.. io parlo di libri..
Luna
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@luna
Ho visto il tuo post su “Il ballo”. Vedrai che più la si approfondisce, più la Némirovsky si rivela donna e scrittrice di grandissima levatura
Ciao! 🙂
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Vieni a lasciare il tuo commento allora!!!
Ti aspetto!
Luna
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L’ha ribloggato su LibriPensierie ha commentato:
dal blog Non solo Proust, che ringrazio, un bell’articolo su Irène Nemirovsky.
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