
Foto Yakov Khalip
(Fonte)
“In mezzo al condotto, con indosso una vecchia camicia d’ordinanza e in testa un berretto con la stella verde del fronte, suonava, a capo chino, un violinista.Vavilov vide che Krymov si era svegliato, si chinò su di lui e disse: “E´ Rubincik, il nostro barbiere, un graaande virtuoso!”. Ogni tanto, senza troppi complimenti, qualcuno interrompeva la musica con una battuta volgare; ogni tanto qualcuno urlava un ´posso parlare o no? coprendo il violino con la voce per fare rapporto al comandante; oppure era un cucchiaio a battere contro la gavetta, o il lungo sbadiglio compiaciuto di chi radunava il fieno prima di dormire. Dal canto suo il barbiere badava a che il violino non disturbasse i comandanti, pronto a interrompersi in qualsiasi momento. Ma perché Jan Kubelik, di cui Krymov si era appena ricordato, un Kubelik canuto e con la marsina nera, aveva fatto dietrofront al cospetto del barbiere dello Stato maggiore? Perché la voce esile e stridula del violino, quel motivetto semplice come un ruscello, esprimeva meglio di Bach e Mozart le profondità dell’animo umano?
[…]
Quella musica gli aveva fatto capire che cos’è il tempo. Il tempo è lo spazio trasparente in cui gli uomini nascono, si muovono e scompaiono senza lasciare traccia… […] Così è il tempo: tutto passa, lui resta. Tutto resta, il tempo passa. E com’è lieve, silenzioso il suo fluire. Ieri eri ancora sicuro, allegro, forte, figlio del tempo. Oggi un altro tempo è arrivato, ma tu non lo sai ancora. Dal violino di compensato del barbiere Rubincik usciva il tempo dilaniato dalla battaglia. Il violino diceva agli uni che era giunto il loro momento, agli altri che il loro tempo era scaduto. Scaduto, scaduto, pensò Krymov.”