IL RUMORE DEL TEMPO – OSIP MANDEL’STAM

Osip Mandel'stam
Osip Mandel’stam nel 1914

Il rumore del tempo, magnifico testo in prosa di quello che sarà uno dei più grandi poeti del Novecento ed in cui Mandel’stam, rievocando i suoi ricordi di infanzia in una Pietroburgo a cavallo dei due secoli scrive:

“Non è di me che voglio parlare: voglio piuttosto seguire l’ epoca, il rumore e il germogliare del tempo. La mia memoria è nemica di tutto ciò che è personale. Se fosse per me, mi limiterei a storcere il naso pensando al passato. Non li ho mai capiti i Tolstoj, gli Aksakov, i nipoti di Bagrov, innamorati degli archivi di famiglia con le loro epiche memorie domestiche. Lo ripeto, la mia memoria è spinta dall’ ostilità, non dall’ amore, e il suo lavorio rimuove il passato, non lo riproduce. Un raznocinec non ha bisogno della memoria, gli è sufficiente parlare dei libri che ha letto e la sua biografia è bell’ e pronta. Ci sono generazioni fortunate in cui l’ epos si esprime in forma di esametri e di cronache. Al posto di questo, nel caso mio, c’ è un segno di discontinuità, e tra me e la mia epoca si apre un abisso, un baratro riempito dal tempo che rumoreggia, il posto destinato alla famiglia e al suo archivio”

Un Mandel’stam che questa volta fa poesia in prosa catapultandoci, nel testo principale posto come titolo alla raccolta Il rumore del tempo ed altri scritti pubblicata recentemente da Adelphi, nella San Pietroburgo della sua infanzia e facendoci davvero ascoltare, attraverso la sua memoria, “il rumore del tempo”.

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ALICE MUNRO E LE TRAME DELLA VITA

Alice Munro

 

“il concatenarsi dei fatti […] mi affascinò; ebbi la sensazione di aver gettato un’occhiata sulla prodigiosa, devastante e spudorata assurdità con cui si improvvisano le trame della vita, a differenza di quelle dei romanzi”


Proprio questo fa Alice Munro nei suoi volumi di racconti, tutti magnifici: ci fa guardare nella “prodigiosa, devastante e spudorata assurdità” delle trame della vita.

Questa sua prima raccolta, il suo esordio come scrittrice, è invece la quinta che leggo io. E non posso che constatare che la Munro era grande già agli inizi…

Una delle straordinarie caratteristiche della Munro è che dietro l’apparente semplicità se non addirittura – a volte – banalità delle sue storie c’è in realtà una visione del mondo molto lucida, molto pragmatica, molto dura. Pugno di ferro in guanto di velluto, mi verrebbe da dire. A volte è anche parecchio esplicita, e molla sganassoni non da poco, che lasciano storditi. Alcuni racconti sono proprio un pugno nello stomaco.

Dei racconti di Alice Munro (riferendosi in particolare alle raccolte Nemico, amico, amante e Il sogno di mia madre) scrive Pietro Citati:

” […[ sono concentratissimi come i racconti di James: a volte abbiamo l’impressione che si complichino come romanzi di Balzac, o contengano storie di intere famiglie e paesi come ‘Guerra e Pace’. Quando appare un personaggio, crediamo sia quello principale, poi se ne affaccia un altro, che ne prende il posto, e poi ancora un altro e poi ancora un altro e ancora un altro: mentre il primo personaggio si sposta, cambia idee e natura, e ci sembra di non riconoscerlo più
[…]
“Da Henry James, il padre di tutti coloro che, nei tempi moderni, raccontano storie, Alice Munro ha imparato che la prima qualità di un racconto è l’enigma: ogni storia è un mistero, che la collaborazione dell’autore e del lettore portano lentamente alla luce. Appena entriamo in un racconto, c’è un piccolo enigma, e poi un terzo e un quarto […]”

(Pietro Citati, I racconti di Alice Munro in La malattia dell’infinito)

pallino

Su NSP i miei precedenti post su

  • Alice Munro, Nemico, amico, amante >>
  • Alice Munro, Il sogno di mia madre >>
  • Pietro Citati, La malattia dell’infinito >>

ISAAC B. SINGER E LE TRAPPOLE DELLA SCRITTURA

Isaac B. Singer
Isaac Bashevis Singer

[…] tanti pericoli […] insidiano gli autori di narrativa. I peggiori sono:

1. L’idea che lo scrittore debba essere un sociologo e un politico, e adeguarsi alla cosiddetta dialettica sociale.

2. La fame di denaro e di una rapida affermazione.

3. L’originalità forzata: vale a dire l’illusione che la retorica pretenziosa, le ricercate innovazioni di stile e il giocare con simboli artificiosi possano dare espressione alla natura essenziale e sempre mutevole delle relazioni umane, o riflettere le combinazioni e le complicazioni tra ereditarietà e ambiente.

Queste trappole della scrittura cosiddetta ´sperimentale’ hanno rovinato chi pure aveva del talento autentico; hanno guastato molta della poesia moderna, rendendola oscura, esoterica e senza più fascino. Un conto è dar sfogo all’immaginazione, ma la distorsione di ciò che Spinoza definiva ´l’ordine delle cose è tutt’altro davvero. La letteratura può ben descrivere l’assurdo, ma non dovrebbe diventare mai assurda essa stessa.

[…]

In generale, la narrativa non dovrebbe mai diventare analitica. Difatti, chi la scrive non dovrebbe neppure provare a infilarsi nella psicologia e nei suoi vari ´ismi’. La letteratura vera informa mentre intrattiene. Riesce a essere al contempo chiara e profonda. Ha il magico potere di mescolare causa e scopo, dubbio e fede, le passioni della carne con gli struggimenti dell’anima. » unica e generale, nazionale e universale, realistica e mistica. Mentre ammette che altri la commentino, non dovrebbe mai cercare di spiegare se stessa. Queste verità ovvie vanno ribadite con forza, perchè la critica fasulla e la pseudo-originalità hanno indotto uno stato di amnesia letteraria nella nostra generazione. La troppa ansia di trasmettere messaggi ha fatto dimenticare a molti scrittori che è il raccontare la raison d’être della prosa artistica.

LUNGO LA VIA INCANTATA.VIAGGI IN TRANSILVANIA – WILLIAM BLACKER

William Blaker

William Blacker, Lungo la via incantata. Viaggi in Transilvania (tit. orig. Along the Enchanted Way. A Story of Love and Life in Romania) traduz. Mariagrazia Gini, pp. 335, Adelphi, Collana dei casi, 2012.

Voglio segnalarlo subito: l’incantevole ragazza che compare nella copertina del volume Adelphi è la zingara Natalia, in una foto scattata da Blacker.

E il titolo? Il titolo viene da un verso del poema On Raglan Road dell’ irlandese Patrick Kavanagh : “I saw the danger, yet I walked along the enchanted way,
And I said, let grief be a fallen leaf at the dawning of the day.” (“Vidi il pericolo, eppure camminai lungo la via incantata, e dissi: che il dolore sia una foglia caduta all’alba del giorno”)
.

Poco dopo la caduta del Muro di Berlino un giovane inglese abbandona gli agi di Londra, attraversa la Germania e si avventura, da solo, con un’automobile scassata, qualche libro e alcuni quaderni d’appunti ancora vergini verso l’interno della Romania nella Terra dei Sassoni prima, vivendo e condividendo poi al Nord, nel Maramuresh la durissima vita dei contadini rumeni e al Sud, in Transilvania, la vita degli zingari.

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