
Il rumore del tempo, magnifico testo in prosa di quello che sarà uno dei più grandi poeti del Novecento ed in cui Mandel’stam, rievocando i suoi ricordi di infanzia in una Pietroburgo a cavallo dei due secoli scrive:
“Non è di me che voglio parlare: voglio piuttosto seguire l’ epoca, il rumore e il germogliare del tempo. La mia memoria è nemica di tutto ciò che è personale. Se fosse per me, mi limiterei a storcere il naso pensando al passato. Non li ho mai capiti i Tolstoj, gli Aksakov, i nipoti di Bagrov, innamorati degli archivi di famiglia con le loro epiche memorie domestiche. Lo ripeto, la mia memoria è spinta dall’ ostilità, non dall’ amore, e il suo lavorio rimuove il passato, non lo riproduce. Un raznocinec non ha bisogno della memoria, gli è sufficiente parlare dei libri che ha letto e la sua biografia è bell’ e pronta. Ci sono generazioni fortunate in cui l’ epos si esprime in forma di esametri e di cronache. Al posto di questo, nel caso mio, c’ è un segno di discontinuità, e tra me e la mia epoca si apre un abisso, un baratro riempito dal tempo che rumoreggia, il posto destinato alla famiglia e al suo archivio”
Un Mandel’stam che questa volta fa poesia in prosa catapultandoci, nel testo principale posto come titolo alla raccolta Il rumore del tempo ed altri scritti pubblicata recentemente da Adelphi, nella San Pietroburgo della sua infanzia e facendoci davvero ascoltare, attraverso la sua memoria, “il rumore del tempo”.