LA MENTE PRIGIONIERA – CZESLAW MILOSZ

Milosz La mente prigioniera

Czesław Miłosz, La mente prigioniera,
(tit. orig. Zniewolony umysł)
traduz. Gino Origlia, pp.290,
Adelphi, 1981

Come si comporta l’essere umano quando è messo di fronte a circostanze insolite come una guerra, l’occupazione della propria patria da parte di un regime non solo straniero, ma totalitario?

Che cosa ne è del libero pensiero? Cosa fanno, come reagiscono gli intellettuali (scrittori, pittori, musicisti, insegnanti, scienziati…)?

La mente prigioniera, scritto a Parigi nel 1951 (la data è importante, e ci tornerò più avanti) è un’analisi dei meccanismi attraverso i quali un regime totalitario (Miłosz si riferisce, in particolare, a quello sovietico) giunge pian piano a sopprimere il libero pensare dei suoi cittadini e, prima di tutto, dei suoi intellettuali per ridurre l’uomo, cui si nega non solo il diritto, ma anche il piacere e la volontà di pensare con la propria testa, a “materiale umano” per la costruzione del collettivistico “uomo futuro”.

“Quello che cerco di mostrare è come operi il pensiero umano nelle democrazie popolari. E poichè l’ambiente che ho avuto modo di osservare più da vicino è quello degli artisti e degli scrittori, questo libro è soprattutto uno studio su tale ambiente, che a Varsavia come a Budapest, a Praga come a Bucarest ha un ruolo importante.”

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LA PECORA NERA – ISRAEL JOSHUA SINGER

Roman Vishniac
David Eckstein and classmates in cheder (elementary Jewish school),
Brod, ca. 1935-38
© Mara Vishniac Kohn, courtesy International Center of Photography

(Fonte)

“Per quanto mia madre cercasse di rispondere alla domanda con cui la tormentavo – perché mai un gatto porta gli stivali e fuma una sigaretta? -, le sue spiegazioni non erano mai soddisfacenti. A quanto pare, già da allora la mia inclinazione al realismo non riusciva a digerire un’immagine così surreale”

La pecora nera di Israel Joshua Singer, primo volume di un’autobiografia che Singer non ebbe modo di continuare e completare (morto nel 1944), ripercorre l’infanzia dello scrittore fino alla sua adolescenza.

Il libro fu pubblicato postumo a puntate sul «Jewish Daily Forward», poi in volume nel 1946 con il titolo Fun a Velt Vos Iz Nishto Mer (Di un mondo che non c’è più).

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I GUERMANTES ALLA KOLYMA

Varlam Salamov
Varlam Salamov

“Il libro era sparito. Chi avrebbe letto quella strana prosa quasi priva di peso, come pronta a volare nel cosmo, dove tutte le proporzioni sono spostate, alterate, dove non ci sono grande e piccolo? Di fronte alla memoria, come di fronte alla morte, tutti sono uguali, e l’autore ha il diritto di ricordare l’abito della serva e di dimenticare i gioielli della padrona. Gli orizzonti dell’arte verbale sono stati straordinariamente allargati da questo romanzo. Io, uno della Kolyma, un detenuto, ero stato trasportato in un mondo perduto da tempo, in abitudini altrui, dimenticate, inutili. Il tempo per leggere l’avevo. Facevo l’infermiere al turno di notte. Ero stato sopraffatto dai Guermantes, dal quarto volume, avevo fatto la conoscenza di Proust. Il libro lo avevano spedito a Kalitinskij, un infermiere che conoscevo, che sfoggiava in corsia pantaloni alla zuava di velluto, la pipa tra i denti, diffondendo l’inverosimile odore del capstan. Tanto il capstan che i pantaloni gli erano stati spediti in un pacco insieme ai Guermantes di Proust.

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L’ORIGINE DI UNA STORIA

yiddish typewriter

Primi del Novecento. A Leoncin, uno shtetl polacco, un bambino di circa dieci anni viene condotto dal padre, rabbino hassidico di quel piccolo villaggio in una casa in cui si stanno svolgendo i festeggiamenti per la circoncisione di un bimbo.

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MANDEL’STAM E “QUELLA SFRENATA FORZA DIONISIACA”

spartito

I blog sono strane creature. Pensiamo di averne il controllo ma… quando mai. Il Golem, una volta creato, pretende di vivere una vita propria.

Succede per esempio che la tenutaria di un blog (me stessa medesima, nella fattispecie) mette on line un post come quello sul concerto di Milano di Garrett che nelle intenzioni dovrebbe essere solo un post interlocutorio, un post cuscinetto, un post assolutamente irrilevante ed ecco che i commenti si rivelano non solo più rilevanti del post, ma molto più interessanti, perchè non solo pongono con forza temi sui quali si potrebbe discettare per settimane ma evocano anche altre musiche, e libri, ed altre esperienze.

Sulla questione “apollineo”-“dionisiaco”, per esempio, un commento di Rosella mi ha evocato (torno a parlare — almeno momentaneamente — di libri) sia il racconto di Julio Cortazar Le Menadi contenuto nella raccolta di racconti Bestiario
che un brano di Mandel’stam contenuto in quel Il rumore del tempo ed altri scritti di cui guarda caso ho parlato proprio solo pochi giorni fa.

Il racconto di Cortazar è troppo lungo perchè io possa  riportarlo per intero, e qualsiasi estrapolazione non renderebbe giustizia al testo.

Mi permetto invece di riportare per intero il brano di Mandel’stam, sperando di non incorrere in chissà quali reati di violazioni etc.

Prima di augurarvi buona lettura dico solo che quando ho notizia o assisto in TV a concerti con tifo da stadio, con gente che si sbraccia ed urla per l’entusiasmo, che si precipita sotto il palco, che scoppia in lacrime etc…a me  la cosa sembra sempre molto inquietante, mi vengono i più brutti pensieri e penso “io, lì, non vorrei esserci”. Questo tipo di reazione l’ho avuto sempre, anche da pre-adolescente. Anche da bambinetta. Non è questione di età. Almeno per quanto mi riguarda.

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GARRETT

Cari Happy Few, ormai dovreste saperlo che non parlo solo di libri

Ordunque. Ho un sassolino nel mouse e voglio togliermelo qui. Ma niente panico  in sala:  è solo  un post provvisorio, tra un paio di giorni  molto probabilmente  farà  un bel  “pouf” e si volatilizzerà  🙂

Gli è che vorrei parlare  di David Garrett  🙂

David Garrett

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