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La memoria della Shoah, sia quella individuale che quella collettiva è — malgrado a volte ci si possa illudere del contrario — non semplice da controllare e gestire. E’ soggetta — come avverte Tzvetan Todorov — alle derive della sacralizzazione e della banalizzazione.
Un esempio di (orrida, a mio modesto modo di vedere) banalizzazione? Farsi i selfie davanti alle camere a gas, mettersi in posa giulivi e soddisfatti davanti a tutti i luoghi di un campo di sterminio in cui migliaia di esseri umani hanno sofferto in maniera indicibile.
Eccoli qui, gli eroi della banalizzazione, gli “eroi del nostro tempo”, mi permetto di dire parafrasando il titolo di un celebre romanzo di Vasco Pratolini:

Questo che ho inserito è un fotogramma del — secondo me importante e tutto da vedere, specialmente quando si parla di “celebrazioni” — film-documentario Austerlitz di Sergei Loznitsa presentato alla 73a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, girato in lunghissimo piano sequenza a Sachenhausen (campo di concentramento a 35 chilometri appena da Berlino) e il cui titolo è ispirato all’omonimo romanzo di W.G. Sebald. Eccone un assaggio: il trailer ufficiale del film
Auschwitz è entrato così tanto nell’immaginario collettivo (e immemore) da esser diventato luogo di vacanze e di selfie.
Ci si va “per vedere com’era”.
… E la memoria è servita. Alè.
La memoria è (anche) selettiva, e le modalità con cui si può esprimere questa selettività sono tante e ancora forse non abbastanza esplorate. L’USO SELETTIVO DELLA MEMORIA sarà per me, quest’anno, il filo conduttore della Giornata della Memoria 2017.
Abbiate pazienza. Non sarò breve.