Kirchhorst, 16 aprile 1939
“[…] guardando dalla finestra, ho visto sulla strada i cannoni affrettarsi l’uno dietro l’altro verso est, quasi come in guerra alla vigilia di un grande combattimento. In queste settimane i tedeschi hanno occupato la Boemia, la Moravia e il Territorio di Memel, gli italiani sono entrati in Albania. Tutti segnali che indicano guerra in tempi brevi; farò bene a mettere in conto di dover presto interrompere il lavoro. E ciò accade a un punto in cui sento che mi si sta facendo un po’ più chiaro, e in cui il valore del tempo per me è molto aumentato. In tutti i casi, la penna dovrà riposarsi, perfino sul diario. Toccherà agli occhi, invece, farsi carico del lavoro, perché gli spettacoli non mancheranno” |
La penna di Jünger, però, non riposerà. Per quasi dieci anni — dal 1939 al 1948 — annoterà minuziosamente nei Diari la sua partecipazione alla Seconda Guerra mondiale come Capitano della Wermacht prima e poi, dopo la disfatta tedesca, la vita sua e della sua famiglia nella Germania occupata dalle truppe delle potenze vincitrici.
Un racconto affascinante che mi ha riempito a tratti di stupore e meraviglia, che ha suscitato in me decine di interrogativi, che è risultato anche proficuamente spiazzante per chi, come me, è abituato a vedere/leggere la storia della blitzkrieg (la guerra lampo) di Francia, della battaglia di Parigi e degli anni dell’occupazione tedesca della capitale francese, dei tedeschi a Stalingrado e in Ucraina servendosi prevalentemente delle testimonianze e degli occhi di quelli che si trovavano “dall’altra parte”. I Diari di Jünger mi hanno fatto vedere e considerare molte cose da una prospettiva e con un’ottica che non mi è abituale. Ho letteralmente divorato i tre corposi volumi di cui è composta l’edizione italiana.
Giardini e strade è il primo di questi volumi.
Prima di iniziare a parlarne e di seguire Jünger dentro la guerra penso possa essere utile, però, fare qualche passo indietro. Il viaggio non sarà breve. Meglio dunque avviarsi con almeno un minimo di attrezzatura e di bagaglio.

Nell’aprile del 1939 Junger ha 44 anni. Vive con la moglie Grethe de Jensen e i figli a Kirchhorst, un villaggio nei pressi di Hannover. Scappato di casa ancora adolescente, in Francia si è arruolato nella Legione Straniera, è stato in Algeria e in Marocco. Rimandato in Germania grazie all’intervento del padre e del Ministero degli Esteri tedesco a causa della sua minore età, ha poi raccontato questa esperienza nel romanzo autobiografico Ludi africani, pubblicato nel 1936.
Nell’agosto 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola volontario in fanteria. Inizialmente soldato di truppa, nel 1915 frequenta un corso per allievi ufficiali e nel novembre di quell’anno viene nominato tenente. Combatte sul fronte occidentale e, ferito quattordici volte, viene decorato nel 1917 con la Croce di ferro di prima classe e il 18 settembre 1918 con la più alta decorazione militare prussiana istituita nel 1740 da Federico il Grande, l’Ordine Pour le Mérite.
Dopo aver lasciato l’esercito si è dedicato soprattutto alla scrittura ed alle sue passioni per l’entomologia, la botanica, la zoologia e la filosofia. Il periodo che segue la grande guerra è confuso, Ernst Jünger si trova a militare in vari movimenti. In questi anni scrive per alcune riviste di destra. Critica la democrazia della Repubblica di Weimar, ma non appoggia attivamente il Partito nazional socialista di Adolf Hitler, rifiutandosi anche di dirigere l’unione nazista degli scrittori.
Non sopporta la volgarità e le idee del Partito Nazionalsocialista (di cui è uno dei primi ad intuire la potenziale pericolosità); questo gli procura antipatie tra i gerarchi: la stampa smette di parlare dei suoi libri e la Gestapo gli perquisisce la casa.
Joseph Goebbels, Ministro della propaganda del Terzo Reich, che diventa presto un suo pericoloso avversario scrisse di lui nei propri Diari: « facemmo a Jünger ponti d’oro, ma lui non li volle attraversare».
Nell’aprile del ’39, alla vigilia della Seconda Guerra mondiale, Jünger è già uno scrittore affermato e famoso, ha all’attivo una decina di pubblicazioni tra cui Nelle tempeste d’acciaio (1920-1922), La lotta come esperienza interiore (1922), Il tenente Sturm (1923), Boschetto 125, Una cronaca delle battaglie in trincea nel 1918 (1925), Fuoco e sangue. Breve episodio di una grande battaglia (1925). Tutte opere che, basate sulle sue personali esperienze del fronte, sono una riflessione sulla guerra e che al loro apparire sono state accolte con grande entusiasmo dai lettori e, almeno in un primo momento, dalla stampa conservatrice tedesca.
L’inizio della Seconda Guerra mondiale e la chiamata alle armi colgono Jünger nel momento in cui sta rivedendo ed ultimando la stesura di Sulle scogliere di marmo, romanzo che diventerà uno dei suoi libri più famosi.
Questo Giardini e strade, primo volume dei diari di Jünger relativi alla seconda guerra mondiale, cui partecipa con il grado di capitano della Wermacht, ottenuto al momento dell’arruolamento (26 agosto ’39), copre il periodo che va dal 3 aprile 1939 al 24 luglio 1940

Il 25 aprile del 1939 Jünger riceve dal distretto militare la comunicazione di essere stato inserito nella riserva con il grado di sottotenente, e il 27 agosto 1939 arriva l’ordine di mobilitazione totale che richiama il sottotenente già decorato nella prima Guerra Mondiale a Celle.
Benché il diario incominci dunque cinque mesi prima dello scoppio effettivo della guerra, nelle sue annotazioni non traspare alcuna preoccupazione per la situazione complessiva dell’Europa ma leggiamo la descrizione degli ultimi mesi di pace in bassa Sassonia, delle sue giornate in famiglia a Kirchhorst.

(Fonte)
Le giornate si dividono tra la cura delle piante del giardino e dell’orto, la lettura, la prosecuzione della scrittura del romanzo Sulle Scogliere di marmo e la frequentazione dei propri cari e amici.
Ernst Jünger semina e raccoglie ortaggi, osserva il crescere dei fiori e delle piante, incrementa la sua collezione di insetti con una passione che sembra esprimere l’idea di come l’esistenza sia un grande laboratorio in cui tutto diventa materiale di riflessione. Mentre rifinisce la stesura del romanzo Sulle scogliere di marmo, che vedrà la luce nello stesso anno, trae ispirazione dalle zampette degli anfibi che gli appaiono simili a “un primo affondo della natura verso l’essere umano”.
Ecco un passo che offre un’idea della sua quotidianità:
«Nel pomeriggio, vangate le aiuole. Seminati i ravanelli e il cerfoglio. Lettura: Thornton Wilder, Il Ponte di San Louis Rey».
Jünger sembra insomma più preoccupato della stesura di Sulle scogliere di marmo e della “piaga delle talpe” che affligge il suo giardino ( “In giardino le cose vanno sempre come nella vita: per ogni vantaggio ci è sempre inflitta anche una noia. Non appena il terreno si fa più soffice, ecco che si secca anche più facilmente; chi ai tropici riesce a mietere un raccolto dieci volte più grande, dovrà mettere in conto nove piaghe”) che non del precipitare degli eventi internazionali.
Nel giorno stesso in cui riceve dal distretto militare la comunicazione di essere stato inserito nella riserva con il grado di sottotenente (25 aprile ’39), Jünger annota come gli eventi politici di quelle settimane gli ricordino la vigilia della prima guerra mondiale:
“Con la posta, il mio libretto di servizio, che mi arriva dal comando della circoscrizione di Celle, e da cui apprendo di essere inserito nelle liste dello Stato nel rango di sottotenente a disposizione. La politica di queste settimane ricorda la vigilia della Guerra mondiale. La novità sta tuttavia nell’estrema sensibilità delle masse, in crescente contrasto con lo spaventoso incremento dei mezzi. Ne deduco perciò che i due fenomeni derivino da un’unica e medesima causa, e che al momento prevalgano le apparenze. Tremenda è e rimane in ogni tempo una sola grandezza — l’uomo, per il quale le armi altro non sono che membra aggiuntive e pensieri in forma plastica.”
Arriva infine il momento della partenza. Subito promosso capitano, ha inizio il faticoso susseguirsi di tappe che, prima attraverso la Germania e poi passando dal Lussemburgo e Belgio porteranno Jünger in Francia e lo avvicineranno al fronte. I capitoli del Diario portano i nomi delle tappe che dalla sua Kirchhorst nella Bassa Sassonia condurrano lui e la sua compagnia a Wadgassen nel territorio della Saar, dove apprende la notizia dell’armistizio Francia-Germania. Gercy, Laon, Essommes, Mont St. Michel, Montmirail, Bourges… sono tanti, i luoghi che Jünger e i suoi uomini attraversano trovandosi davanti un paesaggio spettrale: paesi semidistrutti e abbandonati dagli abitanti che all’approssimarsi dell’esercito tedesco si sono dati alla fuga, fattorie, acquartieramenti vari e postazioni pericolose.
“Le vie, i villaggi, le città che attraversavamo scorrevano via tra le macerie lungo la strada fittamente orlata di carri bruciati; c’erano anche dei carri armati carbonizzati. Cavalli morti, rovine, fosse. Dal folto dei boschi, odore di cadaveri. In molti punti, monumenti del 1870 e della Grande guerra, spesso distrutti dai proiettili. In mezzo a questo mondo di rovine risuona per le strade e sui ponti ricostruiti il rullio delle ruote pesanti nell’avanzata di colonne interminabili dirette a ovest. Cannoni, batterie antiaeree, munizioni, fanterie sui trattori, carri armati, autoambulanze, riflettori, compagnie di disinfezione e altri veicoli di cui tutti ignorano la forma e il contenuto. Domina un senso di stanchezza e, nel contempo, una consapevolezza da superpotenza invincibile.”
Descrizioni che hanno del surreale:
“Tutta la strada dell’avanzata militare è disseminata di bottiglie di spumante, Bordeaux e Borgogna. Ne ho contata almeno una a ogni passo, a parte i bivacchi, dove sembrava che ci fosse stata una pioggia di bottiglie. Ma questa, per una campagna militare in Francia, è tradizione. Ogni marcia dell’esercito tedesco è accompagnata da una bella bevuta, come facevano gli dèi dell’Edda, senza lasciare alcuna riserva.”
“Abbiamo attraversato cortili dove i gatti stavano in cerchio immobili – terribili e solenni. I negozi, soprattutto le macellerie, esalavano un sentore di putrefazione. Passare per gli edifici abbandonati era dapprima eccitante, poi spossante, infine angosciante. Siamo entrati in un caffè, dove i bicchieri, mezzi pieni, erano ancora posati sul bancone di marmo, e ci siamo messi a colpire con la stecca l’unica palla da biliardo rimasta sul tavolo verde.”
“Sono stanco di entrare e uscire da queste dimore abbandonate”. Poi ancora carri armati, appostati nei punti strategici e in mezzo al paese; a tratti, vicinissime, tombe, ed elmetti con gli occhiali appoggiati alla croce.
A Romilly-sur-Seine, il 20 giugno 1940, incontrano per la prima volta schiere di profughi: “Si vedevano carretti a due ruote, con materassi accatastati su cui sedevano ragazzini che dondolavano ceste di polli; sono passati anche un autobus e una locomobile che trainava una fila di trattori. Frattanto giungevano truppe in bicicletta, e altre che spingevano carri, e altre ancora a piedi. In mezzo a questa gente si vedevano coppie di oltre settant’anni che si trascinavano lentamente, madri con in braccio neonati in fasce, bambini di tre anni già costretti a portare in mano piccoli cesti.”
E’ il famoso esodo dei profughi francesi, quello magistralmente descritto dall’ebrea Irene Nemirovsky nella prima parte di Suite francese. Quell’ esodo che abbiamo avuto modo di vedere rappresentato in tanti film e documentari… ma visto e descritto qui attraverso gli occhi di un colto capitano della Wermacht, attento osservatore e amante della cultura francese…
Cominciano anche ad imbattersi in cadaveri:
“Lungo la strada, masse di cavalli morti, di fronte ai carri delle munizioni e alle cucine da campo, alcuni di essi ancora tra gli spasmi” […] “Poi morti. Prima uno soltanto, a sinistra, nel campo, coperto con il telone di una tenda, così che se ne scorgeva solo l’avambraccio. Lo puntava verso l’alto, con il pugno semichiuso, come a stringere il collo di un violino. Più in là, sulla destra del bosco, un’intera distesa di corpi.”
“Avrà fine il nostro vagare nel caos di questa tempesta”, annota; non si capisce bene se si tratti di una affermazione o una domanda che rivolge a se stesso…
Tutto questo però non impedisce a Jünger di dedicarsi alle sue raffinate perlustrazioni annotate puntualmente nel diario. Intellettuale eclettico, acuto, animato da un grande senso dell’osservazione di persone e cose, non solo degli orrori della guerra parla ma continua ad osservare e descrivere la vita degli insetti e il mondo delle stelle.
Nei bunker, nelle postazioni, nelle case dei civili requisite o abbandonate dai proprietari, Ernst Jünger durante le pause legge Esiodo, la Bibbia, Melville. Montherlant, Baudelaire e Victor Hugo. Ha sempre una certa distaccata compostezza, anche di fronte ai paesi colpiti dai bombardamenti e alle strade ingombre di materiale lasciato dai fuggiaschi, ma ama la cultura e la lingua del Paese che sta cedendo all’urto delle armate tedesche. Si intrattiene a lungo con i civili da cui riceve volentieri lezioni di francese. In un’abitazione scova, gettato in un angolo tra una scatola vuota di caramelle ed altre cianfrusaglie abbandonate dagli abitanti in fuga, un libro di Maupassant che legge in lingua originale notandone le peculiarità linguistiche.
A Montmirail annota: “Montmirail è il castello di La Rochefoucauld, e per me, che da tempo mi nutro delle sue Massime per assumere la mia buona razione di ferro, rappresenta un atto di gratitudine spirituale conservarvi quel che c’è da conservare. Perciò l’ho fatto immediatamente mettere sotto sorveglianza, e ho dato inizio allo sgombero. Per patrimoni di questa entità, spesso tutto sta nel proteggerli da una serie di brutte giornate.”
A Laon fa fare l’inventario di un museo e voglio riportare quasi per intero il lungo passo in cui descrive quello che trova entrando in una biblioteca abbandonata (si tratta della biblioteca dell’Abazia). I grassetti sono miei:
“Al buio, ancora nella biblioteca, dove siamo entrati passando per il portone sfondato. Abbiamo attraversato le sale in cui ho illuminato qua e là dei libri con la pila tascabile — tra gli altri un’edizione dei Monumenti antichi, di valore inestimabile. Riempiva un intero scaffale. In parte sul pavimento, in parte su un lungo tavolo, c’era un’imponente collezione di autografi, in circa trenta volumi. Ne ho aperto uno a caso, e conteneva lettere di celebri botanici del XVIII secolo, per lo più scritte in una fine ed elegante calligrafia. Da un altro fascicolo ho sfilato uno scritto di Alessandro I, e anche pagine di Eugène de Beauharnais e Antommarchi, il medico personale di Napoleone. Con la sensazione di aver varcato un antro di Sesamo, ho lasciato quel luogo e me ne sono tornato al quartiere.
Dopo mezzanotte, di nuovo bombe sulla città” .
E il giorno dopo:
“sono tornato in biblioteca per dare ancora un’occhiata alla collezione degli autografi, che oggi mi appariva perfino più significativa. Nei suoi poderosi volumi erano raccolti numerosi documenti: dalle pergamene carolinge, nelle cui artistiche scritture il signore apponeva la sua firma con un tratto, fino ai manoscritti dei contemporanei; inoltre lettere e decreti dei Capetingi, fino ai Breves di Luigi XV e al Louis di suo nipote, che sembra stranamente esitante. Nel primo volume ho trovato uno scritto di Lotario, datato 972 se ben ricordo, e nell’ultimo due lettere del maresciallo Foch al presidente del tribunale civico di Laon, Berthault. Erano state pinzate assieme nel 1920, secondo la brutta consuetudine dei bibliotecari francesi, con uno spillo che aveva ampiamente macchiato di ruggine la carta, e che mi sono premurato di rimuovere. Rovistavo in questo luogo silenzioso come un’ape nel trifoglio appassito, finchè è scesa la penombra del crepuscolo. Sono queste le ore privilegiate per contemplare la grandezza e il suo tramonto – tra polvere di alloro. Quanto al valore: simili tesori sono inestimabili — li si abbandona solo quando si è stati colpiti nell’intimo. Posso dire in tutta sincerità: non mi ha quasi sfiorato il pensiero che i fogli che mi rigiravo tra le mani avessero un valore monetario di milioni, forse perchè sono verosimilmente il solo in questa città a comprendere il loro significato. Per un attimo ho pensato di trasferire i documenti che avevo osservato, come pure gli elzeviri, nel museo, e di metterli sotto sorveglianza, ma alla fine, anche solo questo spostamento mi è parso una responsabilità troppo grossa. Così li ho lasciati incustoditi al loro posto.”
Detto per inciso: molti anni dopo, nel 1972, il Sindaco di Laon, d’intesa con le associazioni partigiane, conferisce a Jünger la cittadinanza onoraria per esprimergli la gratitudine della cittadina per avere protetto la cattedrale ed avere tra l’altro, messo in salvo gli inestimabile tesori custoditi nella splendida biblioteca dell’Abazia Saint-Martin de Laon …
Momenti di meditazione e solitudine: nella capanna di giunchi dell’Anwald che si è costruito con le sue mani proprio per poter godere almeno per qualche ora al giorno di totale privacy, il 29 marzo 1940 il Capitano Jünger compie 45 anni, legge Boezio e, come sempre, la Bibbia. Cita il Salmo 73 e osserva la magnificenza della Foresta Nera.
E i prigionieri francesi?
“Al mattino è passata una processione di oltre diecimila prigionieri francesi. Quasi non era scortata: solo di tanto in tanto si scorgeva una guardia che, con la baionetta inastata, la accompagnava come un cane pastore. L’impressione era che queste stanche, profondamente esauste masse di uomini, si spingessero avanti da sole verso una meta sconosciuta. Io ero nella scuola, e poiché disponevo di cento prigionieri tra belgi e francesi per i lavori di riordino, ho fatto portare da un magazzino depredato casse piene di gallette e scatolette di carne per distribuirle fra di loro. Ho fatto distribuire anche del mosto, ma le schiere avanzavano in una colonna tanto allargata che a mala pena un ventesimo di quegli uomini è riuscito ad avere qualche cosa.” […] “La sofferenza di masse tanto imponenti in uno spazio così ristretto era nuova per me; si avverte in questi casi che non è più possibile riconoscere il singolo. Si nota anche il tratto meccanico, travolgente, tipico delle catastrofi. Ce ne stavamo dietro il cancello del cortile della scuola, e porgevamo scatolette e gallette, o le allungavamo su un intrico di mani che premevano contro le inferriate. Proprio in questi dettagli c’è un che di sconvolgente.”
Tra settecento prigionieri francesi che è lui a dover gestire direttamente chiede se c’è qualcuno in grado di cucinare come si deve una sole à la meunière e scopre il cuoco monsieur Albert che lo accompagnerà fedelmente per tutta la Campagna di Francia accanto al braccio destro Spinelli. Considerazioni su pregiati vini del Reno e bottiglie di Borgogna, opere di Bernanos, gonfie carogne di cavalli morti studiati come allegorie della decomposizione universale, quadri di Fussli e passi di Erodoto, Esiodo e Boezio si intrecciano formando un quadro allo stesso tempo terribile e meraviglioso.
Il Capitano Jünger si trova anche a passare in zone in cui era stato nella Prima Guerra Mondiale e gli succede di incontrare, in un clima di grande e reciproco rispetto, dei francesi che all’epoca combatterono contro di lui nel suo stesso settore. Le bellezze artistiche e paesaggistiche vengono descritte in passi molto ricchi di dettagli, senza che l’orrore della guerra le offuschi. Giunge la notizia dell’armistizio: “è stata resa nota la firma dell’armistizio, al che il Borgogna è sparito da tutti i tavoli e vi è apparso in abbondanza lo Champagne.”
Giardini e strade si chiude con parole di attenzione e di speranza verso le vittime indifese dei conflitti, ossia i civili:
“A Wadgassen abbiamo trovato i primi abitanti tornati a sistemarsi nelle loro case e nei loro giardini. Che tutti possano tornare così nella propria terra”.
Poteva immaginare, Jünger, che si era appena all’inizio? Me lo sono chiesto.

Dopo l’uscita di questo libro in Germania, in particolare a causa del richiamo al Salmo 73, la censura nazista vietò al suo autore qualunque altra pubblicazione. Nel diario Jünger ha riportato solo il numero del Salmo e nient’altro, ma tanto è bastato per attirarsi gli strali nazisti. Se ci prendiamo allora la briga di andarlo a cercare, il testo di questo Salmo, di leggerlo tutto ed in particolare il versetto finale (il 28) possiamo ben capire perchè la citazione non poteva passare inosservata:
[28] Il mio bene è stare vicino a Dio:
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio,
per narrare tutte le tue opere
presso le porte della città di Sion.
Nella Prefazione a Strahlungen (Irradiazioni) — il secondo volume dei Diari di guerra che comprende gli anni dal 1941 al 1948, pubblicato in Germania nel 1949 — Jünger scriverà:
“Il primo dei sei diari, Giardini e strade, descrive la avanzata tedesca attraverso la Francia e fu pubblicato poco dopo. Mi piacque allora accennare alle condizioni in cui mi trovavo per mezzo di indovinelli destinati a uomini veri o a gente che voleva rimanere tale. Ai rebus dell’opera appartiene anche la citazione del salmo settantatreesimo. Durò un anno prima che questo arabesco acquistasse una generale notorietà; poi il ministro dell’educazione popolare fece dipendere la ristampa del volume dalla abolizione di questo passo. Poichè rifiutai, Giardini e strade finì all’indice, dove è rimasto tuttora. Mutando autorità in uno stato moderno, mutano le motivazioni, non i mezzi della violenza; chi devia anche di poco dalla norma si troverà sempre in pericolo.”
“Scrivere per indovinelli” era il massimo che si potesse fare, in quel contesto. In effetti, sono molti i passaggi dei primi due volumi dei Diari che al lettore di oggi richiedono in qualche modo una sorta di decodifica e possono esser compresi solo da chi abbia almeno una infarinatura della storia di quel periodo. Spesso, però, neppure con tali accorgimenti era possibile esser tranquilli. Il Terzo Reich ha occhi e orecchie per tutto e per tutti.

I Diari di guerra di Jünger pullulano — credo si sia ormai capito — di riflessioni su botanica, entomologia, astrologia così come di considerazioni su letteratura, musica, arti figurative.
Le letture vanno da Leon Bloy a Poe, da Maupassant a Melville (la Bibbia, sempre); gli ascolti musicali spaziano da Wagner a Verdi a Bizet, le considerazioni pittoriche si concentrano (in questo primo volume) su artisti come Bosch e Toulouse-Lautrec.
Fulminanti “ritratti” di libri e di autori letterari, da Maupassant a Dumas, da Goethe a Victor Hugo.
Tra tutti mi piace riportarne uno, un po’ perchè si tratta di un italiano, ma soprattutto perchè l’ho trovato davvero gustoso ed acuto ed avendo letto (con gran spasso e diletto, devo dire — ma mi rendo conto che sto per divagare) l’integrale di Memoires. Histoire de ma vie, condivido pienamente il giudizio di Jünger. Ecco come Jünger parla del nostro Giacomo Casanova:
“Casanova. Gli storici che fanno congetture sul suo conto sono oltremodo noiosi. Le fonti di prima scelta scaturiscono in questo caso dalle sue memorie, e non dai pubblici registri di Venezia, Parigi o Vienna. L’uomo non si rivela qualora si dimostri che mentiva — egli stesso, piuttosto, si rivela nella maniera in cui sa mentire.
Casanova come attore. Figlio di attori, compagno di attori. Il suo aspetto, i suoi pizzi, i suoi diamanti, le sue tabacchiere, i suoi gioielli. Chiede al papa se possa ornare di diamanti l’ordine dello Sperone d’Oro che gli è stato conferito. Quando Bernis gli affida un incarico politico, egli non lo esegue da diplomatico, bensì da attore. Come attore trionfa durante il banchetto di Colonia sul buon Ketteler, che gli era probabilmente superiore nella sostanza. Simili tratti giocano un ruolo anche nel duello con Branicki, fonte inestinguibile per la sua vanità. In Polonia, come ovunque Casanova si sia trattenuto più a lungo, è presto sminuita la considerazione che si ha di lui. Egli vi fa cenno nei suoi appunti, senza che ciò getti nel ricordo una sola ombra sui suoi trionfi. E’ un tratto attoriale; gli basta abbagliare e risplendere per una sera. Non si può tuttavia dire che abbia capovolto il motto ´meglio essere che apparire’ nel suo contrario — proprio per il fatto che essere e apparire erano per lui in maniera affatto singolare equivalenti. Egli è un attore di razza; i successi sulla scena sono pertanto successi reali per lui.
E del resto — che cosa avrebbe potuto darci a intendere? Di aver posseduto, lui, il grande artista in materia, solo donne di second’ordine? Ci sono sempre le attrici, le avventuriere, le signore, Henriette compresa, che prima o poi restano a corto di quattrini. Per quanto riguarda la selezione, si possono citare anche altri amatori, come Byron, che possono fungere da esempio. Strano che il supremo cavaliere non dedichi che un cenno fugace a Manon Baletti.
Eppure costei ebbe una parte di grande rilievo nella sua vita — certo recitata dietro le quinte, e di questo non si parla.
Come si può spiegare l’attrazione che questo veneziano pieno di difetti esercita su di noi? Qual è il modello di cui si avvale la nostra memoria per scegliere tra la quantità enorme di coloro che vissero e si distinsero nel passato? Perchè un vagabondo come Villon ci è ancora tanto familiare, mentre innumerevoli gentiluomini che ebbero un nome ai tempi loro sono caduti nell’oblio? Deve dipendere dalla quantità di forza vitale indifferenziata che, come linfa dalle radici, scorre nelle opere e nelle azioni — una forza in cui ci riconosciamo al di là di qualsiasi merito e di qualsiasi morale, perchè costituisce la nostra eredità comune”
Molte le meditazioni sullo stile, che per Jünger è una disciplina di assoluta sobrietà che conferisce alla prosa un nitore cristallino.
“una proposizione breve mi pare incompiuta, mentre so perfettamente che spesso è proprio la frase corta a suscitare una forte impressione. La frase, così come la scrive l’autore, è diversa da quella che legge il lettore”
“Il lavoro che, in prosa, si compie a beneficio del ritmo non deve lasciare tracce; è una fatica tanto più lodevole quanto meno la si percepisce. Si obbedisce così a una legge universale secondo cui l’ultimo gesto della mano ordinatrice dev’essere quello di cancellare le impronte visibili del proprio lavoro.”

Troppo presto per me azzardare considerazioni conclusive. Penso però che già da questo solo volume sia possibile comprendere che ci si trova di fronte ad un uomo d’azione, di uno spiccato senso pratico ma anche davanti ad un grande intellettuale, algido e complesso, la cui apparente impassibilità può risultare a volte inquietante ma che non è mai cinismo, davanti a un uomo che mantiene un radicato senso morale. Lo dimostrano il trattamento più che generoso che riserva ai prigionieri di guerra, al suo atteggiamento nei confronti degli ostaggi e alle stragi di massa e l’onestà intellettuale che lo conduce a rivedere senza indugi le sue posizioni attorno al Terzo Reich. Ma tutto questo lo si vedrà in seguito, non voglio anticipare troppo. Sono tutti elementi che fanno comprendere come mai lo scrittore di Heidelberg sia ancora oggi un autore discusso e controverso, certo, ma rispettato, e amato, anche da fronti ideologici distanti.
Voglio chiudere, però, tornando sul tema di questa prima fase della sua partecipazione alla guerra.
Sul fronte francese Ernst Jünger si è guadagnato un’altra decorazione, la Croce di Ferro. All’eroe pluridecorato della Prima Grande Guerra, però, i due conflitti mondiali appaiono diversissimi, non solo perché la rapidità dell’avanzata tedesca respinge qualunque riferimento a una “tenacia dei fronti”, ma soprattutto perché adesso la guerra appare all’osservatore in modo completamente mutato.
Giardini e strade si chiude, abbiamo visto, con il rientro in Germania dopo la stipula dell’armistizio. A Bourges, il 23 giugno del 1940, e cioè il giorno prima che gli arrivi la notizia, Jünger, la cui compagnia da lui comandata non si trovò mai ad entrare in contatto con il fuoco nemico, ha annotato nel diario:
” […] mi è apparso con chiarezza quanto diversa dalla prima sia per me questa seconda Guerra mondiale. Allora le alte onorificenze per le vittorie sugli avversari, oggi il nastrino per un’azione di salvataggio. Da notare anche la distanza che ho mantenuto dal fuoco. Ha ragione Eraclito: nessuno si bagna due volte nello stesso fiume. Il mistero di questa trasformazione sta tutto nella sua corrispondenza con i mutamenti occorsi nel nostro intimo — noi stessi ci costruiamo il nostro mondo e ciò che vi esperiamo non dipende dal caso. Le cose sono attratte e selezionate dalla nostra condizione: il mondo è tale e quale al nostro modo di essere. Ciascuno di noi ha perciò la facoltà di cambiare il mondo — è questa l’enorme importanza attribuita all’uomo. Ed ecco perchè è tanto importante lavorare su noi stessi.”
Mi permetto di osar tradurre (nel senso steineriano del termine) con “il mondo cambia a seconda di chi lo osserva”.


Ernst Jünger, Giardini e strade (tit. orig. Gärten und Strassen), traduz. Alessandra Iadicicco, pp. 210, Guanda, Biblioteca della Fenice, 2008
- === Scheda del libro >>
- === Un lungo, curato e… affettuoso articolo del giornale del Dipartimento dell’Aisne dedicato al conferimento a Jünger della cittadinanza onoraria di Laon per aver protetto nel 1940 la cattedrale e la biblioteca della cittadina francese. L’articolo dedicato a Jünger si trova a pag. 25 di questo file .pdf >>
- === il testo integrale del Salmo 73 la cui semplice citazione non fu gradita ai gerarchi nazisti >>
Ciascuno di noi ha perciò la facoltà di cambiare il mondo — è questa l’enorme importanza attribuita all’uomo. Ed ecco perchè è tanto importante lavorare su noi stessi.”
Profondissimo pensiero. È che quando passava dalle bottiglie vuote di champagne ai corpi svuotati dalla vita non si è chiesto se quel cambiamento necessario avrebbe potuto essere messo in atto, proprio da lui, proprio in quel momento. Cmqe, per me scoperta interessante, ma la ferita troppo aperta ancora…..
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Elena Ferro
Che cosa avrebbe dovuto/potuto fare, secondo te?
E comunque. Di interrogativi ne suscita, eccome, Jünger. E siamo appena all’inizio…
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Che bella recensione Gabrilù. Quali sono gli altri due volumi dei diari a cui hai fatto cenno? Si trovano ancora in commercio?
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uwedona
No, Le mie NON SONO, E NON VOGLIONO ESSERE “RECENSIONI”.
Le recensioni sono altra cosa.
Io mi limito a parlare/chiacchierare/divagare di e su alcuni libri che vado leggendo e che, per una ragione o per un’altra, trovo interessanti. Tutto qui.
Detto questo, rispondo alla tua domanda.
I tre volumi sono:
*** Giardini e strade. Diario 1939-1940, Guanda, Biblioteca della Fenice
*** Irradiazioni. Diario 1941-1945, Guanda, 1993
*** La capanna nella vigna. Gli anni dell’occupazione, Diario 1945-1948, Guanda , 2009
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grazie per la risposta! tuttavia, pur non volendone fare una questione terminologica, credo che in quel divagare/chiacchierare/parlare, specialmente nel modo in cui tu lo fai su questa pagina, ci sia l’essenza di quello che dovrebbe essere una recensione o meglio di quello che a me piacerebbe fosse una recensione 🙂
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