AUTUNNO TEDESCO – STIG DAGERMAN

Stieg Dagerman Autunno tedesco
Stig Dagerman, Autunno tedesco (tit. orig. Tysk höst), traduz. dallo svedese Massimo Ciaravolo, Postfazione Fulvio Ferrari, pp. 160, Iperborea, 2018.

1946. Un giornalista vaga tra le rovine delle città tedesche distrutte dai bombardamenti. Si chiama Stig Dagerman, ha 23 anni, è svedese e nell’autunno del 1946 è stato inviato in Germania per testimoniare delle condizioni in cui si trovano le città tedesche.

Per due mesi egli si aggira tra le rovine e si immerge nelle sofferenze della vita quotidiana dei tedeschi. Ma Dagerman non è solo un giornalista, ha la stoffa e la sensibilità dello scrittore. Il suo sguardo va oltre il semplice reportage.

Per settimane, Dagerman osserva, pone domande, scende nelle cantine e nei rifugi per incontrare e parlare con la gente che vi abita, interrogandosi lui stesso, meditando sulla sofferenza e l’angoscia, l’odio e il senso di colpa. Così, a poco a poco, prende forma il libro Autunno tedesco (dal titolo del primo reportage), libro che si impone subito come una testimonianza di grande forza sulle conseguenze della disfatta tedesca e il destino dell’Europa.

La qualità di tutti gli articoli che compongono il libro è sempre molto alta, negli scritti di Dagerman non c’è alcun giudizio pre-costituito. Lui non parteggia per nessuno, si accontenta di presentare quello che vede; non giudica nè i tedeschi e nemmeno gli occupanti. Questa neutralità, indispensabile per il giornalista che egli è, gli permette di farsi un’idea della vita quotidiana dei tedeschi così come si presenta nella realtà.

Dagerman mostra i tedeschi che vivono nelle cantine di palazzi sventrati dalle bombe allagate da parecchi centimetri d’acqua stagnante che arriva fino alle caviglie, che fanno ogni giorno chilometri e chilometri in treno per raccogliere anche solo un sacco di patate che permetterà loro di — letteralmente — non morire di fame. I bambini sono malati, i vecchi agonizzano, si assiste alla lotta disperata e rassegnata di una popolazione che cerca soltanto di sopravvivere. La vita scorre tra mercato nero, furti, rapine (per coloro che hanno la forza fisica sufficiente per commetterle).

Su tutto sembrano prevalere apatia, cinismo, indifferenza

“Apatia e cinismo (… dann kommt die Moral) sono stati i fattori dominanti nella reazione ai due avvenimenti politici più importanti: le esecuzioni capitali a Norimberga e le prime elezioni libere. Grigie folle di amburghesi si sono fermate davanti ai manifesti che rendevano nota l’esecuzione delle condanne a morte. Nessuno diceva una parola. Ci si limitava a leggere e poi si andava via. I volti non apparivano nemmeno seri, solo indifferenti. […] A Berlino, immersa in un silenzio di tomba, il 20 ottobre, giorno delle prime elezioni libere, è apparso identico a tutte le altre domeniche senza vita. Nemmeno un briciolo di entusiasmo o di gioia tra i gruppi di votanti muti come cadaveri.”

La situazione è resa ancora peggiore per il sovraffollamento causato dall’arrivo ininterrotto dei profughi dell’Est, indesiderati come quei tedeschi che, evacuati in Baviera dopo i primi bombardamenti a tappeto sulla Ruhr cercano adesso di tornare a casa ma vengono fermati nelle stazioni e non è loro permesso di proseguire oltre “´Pensi, connazionali che espellono connazionali. Tedeschi contro tedeschi. Questa è la cosa più terribile di tutte.'” dice a Dagerman uno di questi “indesiderati” bloccato su uno di quei treni… Per un giovane medico antifascista disposto a collaborare con gli alleati “l’esperienza della spietatezza tra tedeschi è stata una scossa tremenda.”.

Contrariamente a molti altri suoi colleghi giornalisti, Dagerman da una parte si rifiuta di fare una sintesi sommaria e superficiale del tipo “miseria e fame = rimorsi del passato = cancrenizzazione nazista della società tedesca” ma allo stesso tempo riferisce senza alcun compiacimento delle difficoltà e degli errori commessi nel corso del processo di denazificazione dimostrando soprattutto che anche là come ovunque quelli che ne escono meglio sono i più forti e i più furbi, quelli che hanno meno scrupoli.

Le Spruchkammern (i tribunali per la denazificazione) non fanno che esacerbare una sorta di disillusione che si insinua nell’animo della gente. Dagerman descrive nel dettaglio una delle sessioni di uno di questi tribunali. Assistere alle udienze, dice, nella zona americana è da molti considerato un vero e proprio passatempo, un’esibizione di arte scenica e di quest’arte scenica

“Un’udienza della Spruchkammer ne è davvero un prodotto eccellente, perlomeno quando tutti gli attori sono abbastanza interessanti; uno spettacolo superbo e affascinante, che con i suoi rapidi passaggi dal passato al presente e gli interminabili interrogatori dei testimoni – in cui tutte le azioni dell’imputato durante i dodici anni in causa, anche le più insignificanti, vengono considerate troppo importanti per essere tralasciate – sembra un esempio pratico di esistenzialismo applicato. L’atmosfera di sogno e irrealtà nella quale vengono presi in esame i ricordi dolorosi o terrificanti di un’intera nazione fa venire in mente un altro richiamo letterario. Ci si sente trasportati nel fantastico mondo-tribunale di Kafka, e queste aule giudiziarie con le finestre parzialmente murate, le pareti rigorosamente spoglie, le lampadine fredde, il misero mobilio danneggiato dalle bombe e il tetto semidistrutto appaiono come un’illustrazione tratta dalla realtà dei desolati uffici nelle soffitte dove si svolge Il processo.”

Il giudizio di Dagerman sulla reale utilità dei tribunali è perentorio: “Come strumento della denazificazione […] non servono a niente: su questo punto non si può che essere d’accordo con l’unanime opinione dei tedeschi.”

Molti funzionari del passato regime continuano infatti a passare indenni tra le maglie della rete mentre ci si accanisce nel cercare di provare a tutti i costi un passato nazista attribuito ad oscuri cittadini qualunque.

Certo, si rimane un bel po’ choccati leggendo che ebrei sopravvissuti vendono la loro testimonianza di “buona condotta” a loro compatrioti ariani che sono sottoposti al processo di denazificazione:
“l’imputato ha sei testimoni pronti a sostenere la sua innocenza, testimoni che giurano di non averlo mai sentito esprimere opinioni naziste, testimoni che attestano di averlo visto ascoltare la radio straniera (tutti gli accusati l’hanno ascoltata), testimoni ebrei che l’hanno visto comportarsi umanamente con altri ebrei (tutti gli accusati hanno questo tipo di testimoni: costano circa duecento marchi l’uno)”

Noi possiamo anche rimanere choccati ma… ebrei o no, anche loro devono trovare qualsiasi stratagemma per non morire di fame e sopravvivere. “la fame non ha niente a che spartire con la morale. Erst kommt das Fressen, dann kommt die Moral…” chiosa Dagerman, citando L’opera da tre soldi di Brecht.

La Germania che viene fuori da Autunno tedesco è quella di una società distrutta fisicamente e moralmente, una società incancrenita dal sospetto e dall’odio, nella quale regna la legge del più forte.

Ma andando oltre la descrizione della condizione dei luoghi e delle rovine di un passato nazista, l’autore invita a riflettere sul concetto di “punizione” di un intero popolo.

Amburgo 1946
1946. Bambini giocano tra le rovine di Amburgo.
(Fonte)

Che si tratti di soldati sconfitti o di famiglie innocenti tutti subiscono il fango delle inondazioni ed i topi, tutti soffrono di fame e di odio, un odio che investe i vincitori, Hitler, sè stessi. Dimenticati da tutti, abbandonati dal mondo intero, essi sono ben lontani dal vivere ideali di giustizia e di onore.

“Si pretendeva da chi stava patendo questo autunno tedesco di imparare dalla propria disgrazia. Non si pensava che la fame è una pessima maestra. Chi ha davvero fame ed è privo di mezzi non accusa se stesso per la sua fame”

[…]

“Una maestra altrettanto incapace è la guerra. Se si cerca di interrogare il tedesco della cantina sulle lezioni tratte dalla guerra, non ci si sente purtroppo rispondere che questa gli ha insegnato a odiare e disprezzare il regime che l’ha provocata, semplicemente perchè il costante pericolo di morte non insegna altro che due cose: ad aver paura e a morire.”

Amburgo 1946
Amburgo 1946. File di gente affamata
(Fonte)

Dagerman descrive semplicemente i fatti. I pericoli del risentimento, del bisogno, dell’invidia; la violenza sorda, le ineguaglianze che si incrociano, crogiuolo di una rivolta che non potrà che essere incontrollabile e distruttiva. Come sempre, sono i peggiori che ne escono meglio, trovando nel declino dei sottomessi gli argomenti più indegni, i più immediatamente fruttuosi.
C’è il baratro che divide la gente delle città e le popolazioni rurali, i contadini: i primi accusano i secondi di rovinarli vendendo a peso d’oro i prodotti dei loro raccolti; viceversa, i contadini accusano la gente di città di prendere senza produrre nulla. E’ un mondo caotico in cui la Germania è sprofondata completamente nel corso di un anno passando dallo statuto del “Grande Reich millenario” a quello di “sotto-nazione” divisa ed occupata.C’è la frattura generazionale. Nei partiti e nei sindacati gli anziani non si fidano dei giovani cresciuti all’ombra della svastica ed i giovani a loro volta considerano la generazione precedente responsabile del crollo della vecchia democrazia. Ai giovani tedeschi è dedicato un capitolo intitolato Generazione perduta perchè, scrive Dagerman “La Germania non ha solo una generazione perduta, ne ha diverse. Si può discutere su quale sia la più perduta, ma non su quale sia la più degna di compianto.”

Dagerman non dimentica mai, però chi sono. Non assolve questa gioventù che si è lasciata travolgere dalla brama di schiacciare il mondo, di sbandierare davanti agli occhi dell’umanità intera la supposta superiorità germanica, l’ubriacatura di potere e di potenza che li ha guidati ed accecati per un decennio verso il peggio, unicamente verso il peggio.

Autunno tedesco è un viaggio all’inferno.

Sull’aereo che da Amburgo lo riporta in Svezia, Dagerman annota:

“l’aeroplano svedese si è alzato ancora più in alto sulla sofferenza tedesca. Sorvoliamo la Germania e le nuvole bianche della sera, e sui finestrini compaiono dei cristalli di ghiaccio d’altri tempi.

[…]

Tremilacinquecento metri. I cristalli di ghiaccio si infittiscono sul finestrino. La luna è alta, circondata da un anello di freddo. Ecco la cartina che indica la nostra posizione: voliamo su Brema, ma Brema non la si vede. La città martoriata è nascosta sotto spesse nubi, impenetrabilmente nascosta come la muta sofferenza tedesca. L’aereo è ora al di sopra del mare e correndo su questo marmoreo pavimento mobile di nuvole e di luna diciamo addio alla Germania serrata nel gelo d’autunno.”

Stig Dagerman

Stig Dagerman

=== Scheda del libro >>

=== Mattia Mantovani parla di Autunno tedesco in una trasmissione radiofonica della Radiotelevisione della Svizzera italiana >>

=== Alcuni brani di Autunno tedesco si possono ascoltare in questa Galleria Audio della Radiotelevisione della Svizzera italiana >>

=== Una delle tante gallerie fotografiche sulle città tedesche distrutte dai bombardamenti degli Alleati >>

=== Kafka, Brecht, Rilke… non sono le uniche evocazioni letterarie di Dagerman e, a proposito di letteratura e sofferenza parla anche del “l’estratto cupo e agghiacciante di un romanzo che sta per uscire, Finale Berlino, che sembra essere un romanzo del dolore collettivo, l’interpretazione della sofferenza spaventosa del bombardato, che è patrimonio comune di ogni abitante delle città tedesche e che è ancora viva negli animi sotto forma di amarezza, di isteria, di stanchezza di vivere e di mancanza d’amore.”

Finale Berlin, il libro di cui parla Dagerman è scritto da un altro giornalista, Heinz Rein. E’ stato recentemente pubblicato in italiano dalla casa editrice Sellerio a cura di Mario Rubino con il titolo Berlino. Ultimo atto e ne ho parlato >>qui

=== Sui temi “colpa collettiva/colpa individuale” dei tedeschi nell’immediato dopoguerra e sui dubbi, le perplessità, le critiche al processo di denazificazione voluto ed avviato dai vincitori, può risultare interessante a mio parere accostare, confrontare ciò che scrive Stig Dagerman con quello che ne hanno scritto in alcuni libri di cui ho parlato qui su NonSoloProust, tra altri, Klaus Mann (in Contre la barbarie), Ernst Jünger (in La capanna nella vigna. Gli anni dell’occupazione. 1945-1948), Hannah Arendt (in Ritorno in Germania).

=== In Storia naturale della distruzione W.G. Sebald cita due volte il libro di Dagerman (a pag. 40 ed a pag.47 dell’edizione Adelphi). Segnalo soprattutto la prima citazione, quella di pag. 40, in cui Sebald riporta il passaggio in cui Dagerman dice che nei treni i suoi compagni di viaggio tedeschi non guardavano mai (al contrario di lui) fuori dal finestrino. È interessante perchè alla notazione di Dagerman Sebald fa seguire questa riflessione: “Questo mutismo, questo ripiegarsi su se stessi e distogliere lo sguardo sono il motivo per cui sappiamo così poco di ciò che i tedeschi hanno pensato e veduto nei cinque anni tra il 1942 e il 1947. Le rovine, in mezzo alle quali vissero, sono rimaste ‘terra incognita’ della guerra”. (pag.41).

=== A proposito dei “Processi di denazificazione” voglio anche ricordare il bellissimo film A torto o a ragione del regista ungherese di origine ebraica István Szabó del 2002 del quale avevo parlato >>qui

=== Di Autunno tedesco ci aveva parlato Renza commentando il mio post sul libro della Arendt. E’ stato proprio il suo bel commento (lo trovate >>qui) che mi ha spinta a leggere subito il libro di Dagerman, che da tempo avevo in “lista d’attesa” 🙂

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

7 pensieri riguardo “AUTUNNO TEDESCO – STIG DAGERMAN”

  1. gabrilu, leggerò di nuovo questo libro alla luce del tuo accurato ( c’ erano dubbi? ) e bellissimo commento. Grazie anche del materiale sonoro e fotografico che, senza di te, non avrei mai trovato e che amplia e approfondisce quel testo, onesto e suggestivo e di alta qualità. Ho riletto anche il tuo post su ” A torto e a ragione” , su cui si potrebbe parlare all’ infinito, dopo averne riconsciuto la grandezza…
    Sai, mentre leggevo le parti di Autunno tedesco in cui si descrive la miseria, la fame, l’ abbruttimento ho avuto momenti di straniamento poichè mi pareva di essere in un romanzo di Heinrich Böll, in modo particolare ne L’angelo tacque (Der Engel schwieg), testo che mi aveva lasciato una traccia dolorosa e struggente, anche se non è spesso citato tra i suoi più famosi.
    Avevo già messo in nota Tutto per nulla ( Alle umsonst) di Walter Kempowski, essenziale per rimanere in quel tema e anche per rivedere in una luce più attenta le pagine dolorose di Trama d’infanzia (Kindheitsmuster) di Christa Wolf, in cui la marcia dei profughi dall’ est è raccontata da chi l’ ha vissuta giovanetta, pagine che non avevo più dimenticato. Ma ho segnato anche 19 47 di Elisabeth ÅSBRINK, e poi molto altro…
    Il tutto per volgere lo sguardo a noi, qui dove stiamo e guardiamo senza vedere nulla, peggio, trovando ragioni e motivi a una barbarie che s’ avanza a gran velocità, degradando noi, la civiltà e l’ umanità. Scusa l’ eccesso verbale ma il debito – culturale- nei tuoi confronti aumenta sempre di più …

    Piace a 3 people

    1. Renza, nessuno fa niente da solo… Il libro mi hai spinto tu a leggerlo. Senza quel tuo commento/suggerimento, chissà quando l’avrei letto, Dagerman… Le trasmissioni della Radiotelevisione Svizzera italiana me le ha segnalate un frequentatore del blog che aveva notato che stavo leggendo Autunno tedesco e mi ha inviato i link in privato…
      Adesso tu segnali Trama d’infanzia di Christa Wolf… che prima o poi leggerò. Per i contenuti, soprattutto, perché confesso che Christa Wolf non mi ha mai convinta del tutto, sia come scrittrice che come persona. Persino i suoi famosissimi Medea e Cassandra, i suoi libri che ho apprezzato maggiormente, li ho apprezzati con molte riserve. Sarebbe lungo spiegare il perché, ma uno dei motivi è che l’ho sempre trovata fin troppo schierata ideologicamente. Ho anche avuto occasione, parecchi anni fa, di ascoltarla di persona in un reading non mi ricordo più esattamente in quale occasione. Ricordo solo che era presente anche il mai abbastanza rimpianto Beniamino Placido, quindi davvero molti anni fa. Ma questo Trama d’infanzia mi interessa.
      Di Böll ho letto parecchio, ma pur avendolo cercato a destra e a manca non sono mai riuscita, fino ad oggi, a metter le mani su L’angelo tacque, uno dei pochissimi libri della narrativa tedesca dell’immediato dopoguerra che parli della distruzione della Germania.
      Tutto questo non solo per, ancora una volta, ringraziarti delle tue parole e per il tuo apprezzamento ma per dire che sono molto contenta di questi scambi di idee, suggestioni, evocazioni che si sviluppano con te ed altre persone che frequentano il blog. Son cose preziose.
      Ciao, ed alla prossima! 🙂

      Piace a 1 persona

      1. Gabrilu, L’ angelo tacque, Einaudi, era in casa da tempo ma l’ ho letto solo da poco ( forse un anno fa) e immediatamente l’ ho riletto, tanto ero rimasta colpita da quel breve romanzo, intenso, denso, doloroso. A parte ciò che ho già scritto ( la forte analogia di impressione emotiva e di descrizione oggettiva con il testo di Dagerman), e tutto il resto, l’ aspetto più forte , in senso lato, emotivo e anche razionale, è rappresentato da quelle due umanità perdute ( un soldato tedesco tornato dal fronte in una città distrutta- Colonia- e una donna) che si trovano per caso e cominceranno a vivere insieme senza dirsi nulla. Non parleranno, perchè la parola non può più niente di fronte a quella distruzione, mentre l’angelo tacque di fronte ad un ennesimo crimine sociale – e avrebbe dovuto urlare-, essi tacciono, con la tragica consapevolezza che il verbo ha perso. Mi piacerebbe molto sentire poi il tuo parere.
        Quanto alla Wolf, il suo
        Trama d’ infanzia è .una bella fonte di informazioni storica e…molto altro ( ma io amo molto questa scrittrice). Grazie ancora !

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  2. Quoto quello che ha scritto Renza: le tue non sono mai delle semplici recensioni, ma ogni volta qualcosa di più. Ecco, nella riflessione di Dagerman che la guerra insegna solo ad aver paura e a morire, e che allo stesso modo la fame si rivela sempre una cattiva maestra, credo ci sia proprio tutto, o quasi. Sono cose da tener conto, senza per questo fare sconti sulle colpe, ma piuttosto per tentare di capire quanto la gravità di un contesto, rigurgitante di macerie e sensi di colpa, possa influire anche negativamente sulle coscienze individuali e collettive.

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    1. Alessandra grazie anche a te. Come ripeto sempre, le mie non sono e soprattutto *non vogliono essere* recensioni. Scrivo dei libri che, per un qualche motivo, ho trovato interessanti e ne scrivo anche parlando dei collegamenti e/o delle evocazioni che mi suscitano. A volte abbastanza oggettive, a volte anche molto soggettive ed opinabili. Un po’ una sorta di laboratorio, insomma, come “riflettere ad alta voce” (si fa per dire: qui sarebbe più opportuno “in punta di tastiera” 🙂
      Ciao cara, a presto 🙂

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