GLI AQUILONI – ROMAIN GARY

Tamara de Lempicka

Educazione europea, La promessa dell’alba, La vita davanti a se, Le radici del cielo, La notte sarà calma… sono i più celebri romanzi di Romain Gary. Che, nato a Vilnius in Lituania in realtà si chiamava Roman Kacew ma che in Francia cambiò e diventò Romain Gary; che firmandosi Émile Ajar vinse nel 1975 con La vie devant soi (La vita davanti a sé) per la seconda volta – in barba al regolamento, che lo proibiva – il prestigioso Premio Goncourt, già ottenuto nel 1956 con Les racines du ciel (Le radici del cielo). Che si firmò anche, in alcuni romanzi minori, come Shatan Bogat e Fosco Sinibaldi.

“Uomo inafferrabile”, secondo Todorov.”Un camaleonte” secondo la sua biografa. Romain Gary, le caméléon è infatti il titolo della sua biografia- quasi ottocento pagine – scritta da Myriam Anissimov; Il camaleonte titola Jan Brokken il capitolo di Anime baltiche dedicato allo scrittore di origini lituane nato a Vilnius e che nella sua vita straordinaria fu lituano, polacco, francese; militare ed eroe di guerra, poliglotta, diplomatico, uomo affascinante e grande seduttore.

Gli aquiloni è il suo ultimo romanzo. Venne pubblicato nel 1980.

Il 2 dicembre dello stesso anno Romain Gary si suicidò. Aveva sessantasei anni.

Inevitabile leggere il libro “anche” come una sorta di testamento letterario in cui si ritrovano tutti i temi cari allo scrittore: l’amore, l’amicizia, la libertà di pensare e di agire, il potere dell’immaginazione contro tutto e nonostante tutto. Nel biglietto indirizzato a Robert Gallimard lasciato da Gary accanto a sé sul letto in cui si sparò tornano alcune parole dell’explicit de Gli aquiloni. Non fu certo un caso.

Ne Gli aquiloni Gary racconta la storia – che si svolge prima e durante la Seconda Guerra mondiale dal 1939 al 1945 – dell’amore appassionato ma ostacolato dalla drammatica Grande Storia di quegli anni fra Lila, giovane aristocratica polacca e Ludovic (Ludo), un ragazzo normanno dotato di una memoria prodigiosa.

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ARRIVA L’ARMATA ROSSA

Museo del campo di sterminio di Auschwitz
Mucchi di scarpe tolte a uomini, donne e bambini
Credit: Scott Barbour/Getty (Fonte)

Qualche pagina da un libro di storia, il racconto di uno dei soldati dell’Armata Rossa che per primi entrarono ad Auschwitz.
E’ così che quest’anno voglio dare il mio contributo alla Giornata della Memoria.

Lo storico è Dan Stone, autore del libro La liberazione dei campi. La fine della Shoah e le sue eredità del quale ho parlato in questo post.

Il testimone è Yakov Vincenko, uno degli ultimi liberatori sopravvissuti dell’Armata Rossa sovietica intervistato nel 2005 da Giampaolo Visetti per La Repubblica. Yakov Vincenko aveva raggiunto il campo di sterminio con la divisione di fanteria numero 322 – Fronte ucraino.

La sua testimonianza è lunga, ma spero venga letta per intero, perchè suscita molte riflessioni. Non solo su Auschwitz ed i nazisti ma anche su quello che significava, per un ragazzo di 19 anni, venire catapultato nell’Armata Rossa a combattere una guerra infernale.

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LA CASA DI GHIACCIO – SERENA VITALE

Serena Vitale, La casa di ghiaccio. Venti piccole storie russe, pp. 223, Mondadori

“Il signor Š. nutriva un amore sviscerato per salme e funerali. Pagava i fabbricanti di bare pietroburghesi perchè lo informassero su chi, a quale indirizzo era passato a miglior vita; avvisato dai ragazzi di bottega, prendeva con sè un cambio di biancheria, un cuscino, e senza indugio si faceva portare da una vettura di piazza a casa dell’estinto: lavava il cadavere, di notte leggeva il Salterio a capo della bara, la accompagnava al cimitero, era l’ultimo a lasciare la tomba.”

Questo è l’ incipit di uno dei venti racconti (non vi dico quale) di questo libro bizzarro e affascinante in cui, lasciando sullo sfondo i grandi protagonisti della storia Serena Vitale evoca una folla di personaggi apparentemente marginali – ma realmente esistiti – nei quali l’ anima russa si rivela con l’evidenza dell’incubo o della follia, fornendo un’immagine della Russia tra il XVIII e il XIX secolo basata su documenti e rigorose ricerche storiche. Si tratta in sostanza di vere e proprie indagini storiche trasposte su un piano narrativo.

Venti casi estremi che parlano di personaggi della Russia sotto gli Zar, da Caterina a Potëmkin a Nicola I.

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IL MARE NON BAGNA NAPOLI – ANNA MARIA ORTESE

Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, pp. 176, Adelphi

“Qui, il mare non bagnava Napoli. Ero sicura che nessuna lo avesse visto, o lo ricordava. In questa fossa oscurissima, non brillava che il fuoco del sesso, sotto il cielo nero del sovrannaturale.”

Il mare non bagna Napoli apparve la prima volta nei Gettoni della Einaudi, con una presentazione di Elio Vittorini. Era il ’53. L’anno seguente il libro vinse il Premio Viareggio. Si compone di cinque racconti dei quali i primi quattro (Un paio di occhiali, Interno familiare, Oro a Forcella e La città involontaria) descrivono con surreale, allucinata crudezza una Napoli infernale, da girone dantesco, derelitta e animalesca in cui “una miseria senza forma, silenziosa come un ragno, disfaceva e rinnovava a modo suo quei miseri tessuti, invischiando sempre più gli strati minimi della plebe, che qui è regina”. Un viaggio nelle viscere della città, in cui la narratrice – come un moderno Virgilio – conduce noi lettori attraverso realtà infernali.

Il quinto racconto Il silenzio della ragione è il più lungo, si assiste ad un mutamento di registro ed ha caratteristiche specifiche e molto particolari.
Il libro, nonostante il premio Viareggio e nonostante il giudizio molto positivo della critica, venne percepito come un’invettiva contro la città e i napoletani. Eppure, non di invettiva si trattava ma di una sferzata di chi amava Napoli di una passione che la spinge a scrivere: “Io cercavo […] qualcosa che fosse Napoli, il Vesuvio e il contro Vesuvio, il mistero e l’odio per il mistero, i sussulti di un figlio di queste strade, di un fedele di queste strade, che fu, o cessò di essere soffocato, e tornò ad essere soffocato”.

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