E DAL CIELO CADDERO TRE MELE – NARINE ABGARJAN

Narine Abgarjan E dal cielo caddero tre mele

Narine Abgarjan, E dal cielo caddero tre mele, traduz. dal russo Claudia Zonghetti, pp.272, Brioschi Editore, 2018

Il titolo viene da un antico proverbio armeno: “E dal cielo caddero tre mele: una per chi ha raccontato, una per chi ha ascoltato, la terza per chi ha compreso” che nel bel libro di Narine Abgarjan diventa “una per chi ha visto, una per chi ha saputo raccontare e una per chi ha ascoltato e ha creduto nel bene del mondo.”

Siamo a Maran, un piccolo villaggio sulle montagne dell’Armenia collocato sulla cima del Manish Kar. Maran è un minuscolo paesino che alla fine della prima guerra mondiale è popolato ormai quasi esclusivamente da persone anziane e molto vecchie che durante la loro vita ne hanno viste di tutti i colori.
I giovani sono stati travolti dalla guerra e non sono mai più tornati, i loro anziani parenti nella maggior parte dei casi non sanno se sono morti, se sono vivi ma prigionieri oppure dispersi; non ci sono più bambini, non c’è ormai più chi possa procreare. La gente del villaggio decimato dal massacro, da una terribile carestia è in attesa della propria morte e della estinzione definitiva della comunità.

L’assenza di giovani e soprattutto di bambini, la lontananza da altri centri abitati e dalle grandi città, il clima inclemente che contribuisce ad isolare il paese dal resto del mondo, l’estrema precarietà e difficoltà dei trasporti, tutto indica che ci si trova in una piccolissima comunità ormai in via di estinzione. Pur dedicandosi diligentemente alla routine quotidiana (coltivazione dei campi, cura dello sparuto bestiame, dei piccoli fazzoletti di giardino, della preparazione del cibo) e dei rituali prescritti nei giorni di festa gli abitanti sono consapevoli che ciò che possono aspettarsi ormai dal futuro è solo la morte.

Maran è in fin di vita. Questo è il punto di partenza di un romanzo che si apre con uno degli incipit più belli e singolari che mi sia capitato di leggere

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FIGLI DEL VOLGA – GUZEL’ JACHINA

Guzel’ Jachina, Figli del Volga, traduz. dal russo Claudia Zonghetti, pp. 528, Salani, 2021

Inizi del Novecento. Nelle grandi steppe della Russia, il Volga taglia il mondo in due.

“Il Volga spartiva il mondo in due. La riva sinistra era bassa e gialla, si estendeva piatta e si scioglieva fra le steppe su cui ogni mattina sorgeva il sole… A ridosso del fiume si incastonavano i paesi. E dalla steppa arrivavano folate calde di odori pungenti: il deserto turkmeno e il sale del Caspio. Come fosse l’altra riva non lo sapeva nessuno. Il lato destro incombeva sul fiume sotto forma di montagne possenti e nel fiume cadeva a strapiombo, come squarciato da una lama… Dietro a quelle montagne tramontava il sole… Dalla riva destra arrivava sempre e soltanto il freddo”.

La riva sinistra scopriremo essere quella della Storia, del Tempo, quella che sta per vivere la Rivoluzione.
La riva destra è un altrove sospeso di cui, sull’altra riva, nessuno sa nulla. È una terra di meli in fiore, di telai che filano, di tavole imbandite.

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