
Józef CZAPSKI, La terra inumana (tit. orig.le Na nieludzkiej ziemi), a cura di Andrea Ceccherelli, Traduz. di Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova, pp. 459, Adelphi
“Questo libro non offre conclusioni né sintesi, è semplicemente il racconto di un anno di esperienze, osservazioni e pensieri di un polacco in Unione Sovietica.”
No. Questo libro è molto di più.Tutti coloro che hanno letto La terra inumana lo sanno: si tratta di una eccezionale descrizione della drammatica situazione dell’esercito polacco nel corso della Seconda Guerra mondiale, la descrizione delle popolazioni dell’Unione Sovietica in quegli anni (“la terra inumana dello stalinismo”) ed una testimonianza capitale. Józef Czapski è infatti uno dei pochi ufficiali polacchi scampati al massacro di Katyn. Ha conosciuto il Gulag (campo di transito di Pavliščev Bor, nei pressi di Juchnov, nell’oblast’ di Kaluga, campo di Grjazovec , nei pressi di Vologda, nel Nord della Russia dove, da fine anno, tenne – basandosi esclusivamente sulla propria memoria – conferenze in francese su Proust), la Siberia; Mosca e l’Uzbekistan, l’Iran; Iraq e Palestina. Sarà poi catapultato nella guerra in Libia, in Italia a Montecassino, vivrà la lenta traversata dell’Europa occupata dai Nazisti. Un’odissea eccezionale, raccontata da un uomo, un testimone, uno spirito eccezionale.
La terra inumana, ora tradotto da Andrea Ceccherelli e da Tullia Villanova per Adelphi costituisce, insieme con Ricordi di Starobielsk, che nell’immediato dopoguerra fu pubblicato anche nel nostro Paese, un dittico di forte testimonianza autobiografica.
La testimonianza di Czapski, pubblicata per la prima volta nel 1947 ed in seguito arricchita con ulteriore documentazione relativa ai fatti di Katyn è un vero gioiello. Czapski racconta, facendo avanti e indietro tra diverse epoche della sua vita, l’incredibile storia dell’Armata polacca del Generale Anders, scampata ai Gulag sovietici e formatasi con enormi difficoltà in URSS, poi trasferitasi in Iran prima di venire lanciata nel 1944 all’assalto di Montecassino in Italia.
Racconta, La terra inumana, la drammatica storia delle migliaia di militari polacchi (la maggior parte dei quali ufficiali) prigionieri di guerra in URSS che, all’atto della liberazione dai gulag sovietici scomparvero nel nulla; narra di come si arrivò finalmente alla rivelazione, dopo tanti anni di inutili, frustranti ricerche finite nel nulla per i continui depistaggi delle alte sfere del potere sovietico, di ciò che avvenne davvero a Katyn.

Fonte
Poeta, scrittore, pittore, ufficiale, cattolico fervente, Józef Czapski mostra, con questa cronaca-diario-memoria dei fatti di possedere tutte le caratteristiche per essere eccezionale testimone e attore dentro un infernale abisso che non conosce fondo.
Cosmopolita che non smette mai di essere polacco (“cosmopolacco”, è stato definito) di nobili origini, nato a Praga nel 1896 e morto nel 1993 a Maisons-Laffitte, la località alle porte di Parigi dove aveva sede l’Instytut Literacki del quale lo stesso Czapski era stato instancabile animatore in particolare attraverso la rivista Kultura, durante tutta la sua lunghissima esistenza aveva trascorso in Polonia solo una decina d’anni – peraltro decisivi in termini di formazione culturale – ma questo non gli aveva impedito di mantenere saldo il legame con la patria.
Pittore affermato, Czapski fu intellettuale raffinatissimo e nello stesso tempo estremamente concreto. Un umanista che con naturalezza anche nel resoconto brutale della guerra e della detenzione cosparge il testo di precise citazioni letterarie che non sono sfoggio di sterile erudizione ma che hanno la precisa funzione di rendere più evidenti e quasi palpabili le caratteristiche di una determinata situazione.
Venne mobilitato nel 1939 dopo il Patto Molotov-Ribbentrop che segnò l’alleanza tra tedeschi e sovietici e la spartizione della Polonia tra URSS e III Reich, Patto a seguito del quale le autorità sovietiche dichiararono la Polonia inesistente e venne stabilito che tutti gli ex cittadini polacchi delle aree annesse all’URSS venissero considerati e trattati come cittadini sovietici. Questo portò all’arresto e alla detenzione di circa 2 milioni di cittadini polacchi (tra cui 250.000 prigionieri di guerra e 1,5 milioni di deportati) da parte della NKVD e di altre autorità sovietiche.
Czapski viene catturato dall’Armata Rossa a Chmielek il 27 settembre fra Lublino e Leopoli, e condotto via Leopoli e Tarnopol’ fino al punto di raccolta di Voločisk, da dove a inizio ottobre è trasportato in treno al campo di Starobel’sk, nella regione di Vorošilovgrad (oggi Luhans’k, in Ucraina). Nel 1940 viene trasferito al campo di transito di Pavliščev Bor, nei pressi di Juchnov, nell’oblast di Kaluga, e poi in giugno al campo di Grjazovec, nei pressi di Vologda, nel Nord della Russia. Qui, da fine anno, tiene conferenze in francese su Proust (pubblicate in traduzione polacca nel 1948 su ´Kultura- in italiano nel volume Proust a Grjazovec, Adelphi, Milano, 2015). Viene liberato nel 1941 in virtù dell’ “amnistia” seguita all’Accordo Sikorski-Majskij e del successivo accordo militare circa la formazione di un esercito polacco in Unione Sovietica. Si saprà solo molto tempo dopo che Czapski era stato liberato giusto poco prima che iniziassero la deportazione e lo sterminio dei militari polacchi a Katyn.
In questo modo aveva potuto unirsi alle truppe del generale Anders, costituite dagli stessi sovietici dopo il cambio di fronte dell’URSS nel 1941. La terra inumana è anche il racconto delle peregrinazioni di questa armata piccola e coraggiosa che dette in Italia un contributo determinante nella battaglia di Montecassino nel cui cimitero polacco giacciono 1051 soldati polacchi.
Il libro racconta in presa diretta ed in ogni dettaglio una vera e propria infernale odissea: l’esodo in condizioni disumane di militari e civili, le atroci testimonianze dei reduci dai campi, migliaia di detenuti polacchi liberati dall’URSS tramite la cosiddetta “amnistia” che vengono radunati – quelli che saranno sopravvissuti al trasferimento – per formare questo corpo di spedizione. Sempre più frequenti arrivavano voci che parlavano di una “liquidazione premeditata” di molti ufficiali polacchi
“La prima versione giunta al nostro orecchio riguardava l’affondamento di alcune barži (´chiatte’) con a bordo ufficiali e agenti di polizia. Questi barconi, capaci di trasportare fino a quattromila persone, si sarebbero inabissati nel Mar Bianco o nel Mar Glaciale Artico. Il capitano di cavalleria N., al tempo in cui lavorava nella miniera di Vorkuta, aveva sentito parlare più volte della deportazione di molti ufficiali polacchi nelle isole del Nord e dell’affondamento di tre barži, e le stesse voci furono riferite anche da altre persone arrivate da Vorkuta. Quanto c’era di vero in quello che si raccontava? Solo molto tempo dopo mi imbattei in una relazione dettagliata che sembrava avvalorare quelle voci provenienti da Vorkuta: era contenuta nell’accurata deposizione rilasciata da una crocerossina, la signora N., sull’affondamento di tre barconi trainati da un rimorchiatore nel Mar Glaciale Artico.
[…]
una cosa è ormai evidente: un eccidio come quello di Katyn non rappresenta un’eccezione.”
Anche se all’inizio delle ricerche, nonostante le voci che arrivano non è possibile ancora immaginare che siano possibili eccidi di massa di prigionieri di guerra Czapski arriverà poi a scrivere, a proposito di Katyn: “Non è avvenuto durante una rivoluzione, quando la lava è ancora liquida. Katyn faceva parte di un piano più vasto, attuato a freddo.”
Esperienze che diventano anche “una lenta, quotidiana iniziazione all’immensità della miseria umana”.
Russia, 1941:
“Un viaggio straordinario: fiumi di gente nelle stazioni, ovunque polacchi rilasciati dalle prigioni o dai campi di internamento, avvolti in stracci e giacconi logori, la barba lunga, ma tutti con gli occhi felici, scintillanti, un po’ da ubriachi: vengono da Archangel’sk, dalla penisola di Kola, da Vorkuta, e vanno tutti verso sud-est per raggiungere l’esercito polacco.” (cap. II)
Accanto a loro, c’è la miseria “normale” del popolo sovietico nei kolkhoz, le fabbriche, villaggi medievali.
“Ma no, questo nessuno lo può capire. Ci vorrebbe uno scrittore di genio, un grande osservatore, un nuovo Tolstoj o un nuovo Proust, russo o polacco, capace di descrivere ciò che in Russia è presente ovunque e in ogni istante, e si rivela nella vita normale, di tutti i giorni, in un piccolo gesto o in uno sguardo che non si dimentica. Non parlo dei disagi, o della fame: queste sono cose meno importanti rispetto a un tale annientamento degli esseri umani, rispetto agli sguardi muti delle persone, fra cui non c’è quasi nessuno che non abbia almeno un proprio caro nei campi del Nord.
Non so quanta gente sia reclusa nelle prigioni e nei campi di lavoro sovietici. Si sentono cifre che vanno dai sedici ai trentacinque milioni, ma è significativa la reazione di un giudice istruttore che, quando un mio conoscente interrogato gli disse che noi polacchi siamo trenta milioni e non sarebbe stato così facile sterminarci, scoppiò in una risata: ´Capirai, solo nei campi di lavoro e nelle prigioni ne abbiamo di più’.”
Certo, una miseria invidiabile se paragonata a quella degli zec (termine gergale russo che sta per “prigioniero” o “detenuto” in un campo di lavoro sovietico – n.d.r) e delle famiglie dei deportati. Quante nazionalità, etnie? Ed in più, i polacchi, i baltici (deportati anche loro a decine di migliaia), ucraini… Un percorso dentro l’inferno.

Convocato allo stato maggiore e all’ambasciata polacca a seguito di alcuni rapporti e materiali da lui inviati riguardanti i compagni di prigionia dei campi di Starobel’sk, Kozel’sk e Ostaškov dispersi e di cui non si ha più alcuna traccia, Czapski viene nominato responsabile di una sezione dello stato maggiore il cui compito era raccogliere i nomi delle persone disperse e dei compagni arrestati e non ancora rilasciati, passa l’inverno del 1941-1942 allo stato maggiore a Buzuluk, facendo viaggi a Čkalov (già Orenburg), a Mosca, e tre volte anche a Kujbyšev. Incaricato di indagare sul destino di migliaia di ufficiali polacchi che dopo l’ “amnistia” concessa ai prigionieri di guerra non si ripresentavano, Józef Czapski traversò “La terra inumana dello stalinismo”.
Quel che accadde davvero durante il massacro di Katyn – un enorme mistero coperto da una menzogna durata quasi mezzo secolo – venne ammesso dalle autorità sovietiche soltanto nel 1990, quando Gorbačëv riconobbe quanto in Occidente si sapeva già da tempo: l’assassinio nel 1940 di oltre 20.000 ufficiali e sottoufficiali polacchi internati nei campi di prigionia di Kozel’sk, Starobel’sk e Ostaakov altro non era che uno dei molti crimini dello stalinismo.

Pittore ed acquarellista tra le due guerre, uomo di grande cultura che ha vissuto la prima guerra mondiale, la rivoluzione russa e la nascita dell’URSS, Czapski rivolge uno sguardo di una eccezionale profondità al tempo stesso molto personale ed ampio sulla guerra, sul trattamento riservato alla Polonia ed ai polacchi dai sovietici e dai tedeschi offrendoci anche una lunga serie di ritratti di persone da lui incontrate nelle circostanze più diverse e drammatiche: uomini politici, artisti, poeti travolti dalle vicende della Storia (Erenburg, Achmatova, Aleksej Tolstoj…), gente comune, bambini besbrizornye…Chiave di volta della narrazione è la ricerca, vana, dei suoi compagni di Gulag nei campi di Starobel’sk, Kozel’sk e Ostal’kov, gli ufficiali polacchi che – si saprà poi, solo alla fine della guerra – sono stati uccisi nel 1940 nella foresta di Katyn dai sovietici.
Un racconto, quello di Czapski, che permette di accostarsi al dramma della Polonia del XX secolo e di conoscere un uomo che ha vissuto molte vite tutte segnate, nonostante le situazioni drammatiche attraversate, dalla compassione, empatia e dal desiderio di comprendere… l’incomprensibile.
Storia, da un lato, del destino di una nazione, la Polonia, dapprima devastata dall’invasione degli eserciti alleati di URSS e Germania, poi ridotta in schiavitù dai conquistatori, uno dei quali, l’Unione Sovietica, dovrà però liberare gli schiavi polacchi e allearsi con loro contro il Terzo Reich, La terra inumana è anche ciò che dice il titolo e cioè un reportage dall’inferno marxleninista.
“L’immensità di Mosca, l’atmosfera stessa di questa città mi opprimevano. A ogni passo vedevo l’espressione di una volontà brutale e sistematica, incrociavo migliaia di volti chiusi in sé stessi o addirittura ostili, sentivo il terribile squilibrio di forze che c’era tra noi e quell’impero, che negli ultimi anni aveva sterminato più polacchi che nel corso di tutta la storia passata.”
[…]
“conoscevo la Russia prerivoluzionaria ed ero in grado di cogliere l’enorme differenza tra questa massa di pseudointellettuali e i russi di allora, quando in ogni vicolo, in ogni stazione, in ogni locanda o vagone di treno si potevano incontrare persone, fossero intellettuali o analfabeti, che si interrogavano su tutto, comprese le questioni ultime. Non dimenticherò mai quel giovane tolstoiano conosciuto su una slitta contadina nella provincia di Pskov, o quella vecchia che rifletteva ad alta voce di questioni religiose in una via di Pietrogrado; non dimenticherò quelle piazze di Pietrogrado che, nel giugno del 1917, nelle notti bianche del Nord, erano affollate di gente che a capannelli discuteva con passione di tutto: del diritto alla guerra e di pacifismo, della riforma agraria, dell’esistenza di Dio, di come conquistare il mondo o renderlo un posto più felice, e di cosa fosse o non fosse lecito possedere. Dove mai è finita quella molteplicità di punti di vista, quella vivacità e audacia estrema di pensiero che caratterizzava la Russia prerivoluzionaria e non solo la sua intellighenzia?”
Per Czapski, già autore di quel bellissimo e terribile memoriale dal Gulag, Proust a Grjazovec l’URSS è “la terra inumana” in cui la storia del regime terroristico e la storia dei polacchi deportati, sterminati in veri e propri eccidi di massa, torturati, liberati si intrecciano, si confondono, diventano quasi indistinguibili.
Nella sua postfazione, Andrea Ceccherelli sottolinea la “straordinaria attualità” del libro di Czapski; non potrei essere più d’accordo ed è anche per questo che voglio chiudere con una citazione da La terra inumana che mi sembra (purtroppo) tremendamente, sinistramente attuale se penso, oggi, alla Russia di Putin:
“Quante volte, cancellando, liquidando tribù, popoli e intere repubbliche, dalla Terra di Novgorod ai tempi di Ivan III fino alla Repubblica di Calmucchia, alla Repubblica di Crimea e alla Repubblica di Cecenia ai tempi di Stalin, cambiando i nomi dei fiumi e delle città che erano stati testimoni di rivolte o massacri, perfino cambiando il proprio sistema politico, la Russia ha condannato all’onta del disonore o all’oblio il suo stesso passato? Ed è forse cambiato qualcosa nella materia stessa di cui sono fatti gli uomini che governano la Russia? Sono forse divenuti migliori, più compassionevoli, più umani?”
Leggendo La terra inumana non ho potuto fare a meno di avvertire, praticamente quasi ad ogni pagina, l’eco delle parole di Vasilij Grossman. Di Stalingrado e di Vita e Destino, certo, ma in particolare di quanto si legge nei suoi taccuini di guerra pubblicati da Adelphi con il titolo Uno scrittore in guerra e in Tutto scorre… Ma non solo con Grossman il libro di Czapski secondo me in qualche modo “dialoga”, lo fa anche con altri libri ed altri autori di grandissima levatura. Questo pensavo, mentre leggevo La terra inumana.
…E poi è successo che, terminata la lettura del “cosmopolacco” Czapski, mi sono imbattuta per caso in una bella e lunga recensione scritta da Emanuele Trevi da cui non posso fare a meno di riportare questo stralcio che condivido totalmente.
Trevi scrive infatti:
“Si finisce di leggere La terra inumana, il capolavoro di Józef Czapski pubblicato in Francia nel 1949, e inevitabilmente ci si chiede come sia stato possibile non averne mai sentito parlare. Non mi riferisco, ovviamente, agli specialisti di storia e letteratura polacche. Ma nella coscienza comune (se ancora ha un senso l’ espressione) questo libro merita di stare accanto ad altre opere irrinunciabili che provengono direttamente dal cuore di tenebra del Novecento: le memorie di Nadežda Mandel’stam, Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati di Primo Levi, Stalingrado e Vita e destino Vasilij Grossman, La banalità del male di Hannah Arendt… Quando evochiamo questi titoli, e i grandi spiriti che li hanno prodotti, noi proviamo una specie di imbarazzo morale a definirli ´capolavori letterari’, quasi fosse, quello della loro bellezza, un argomento frivolo, sovrastato dalla loro natura di testimonianze decisive, esercizi radicali di verità, argini al dilagare del Male. Ma si tratta di un equivoco, e tra i tanti meriti della scrittura di Czapski c’è anche quello di aiutarci a dissiparlo.”
(tratto da Emanuele Trevi “E’ la letteratura la vera voce dei sommersi”. Il testo integrale >>qui)
Molto utile ed interessante la postfazione di Andrea Ceccherelli, curatore e traduttore di La terra inumana “Servire la verità”. Un profilo di Józef Czapski.

(Fonte Wikipedia)
- La scheda del libro >>
Qualche spunto per chi volesse approfondire:
- Il massacro di Katyn su Wikipedia >>
Il mistero degli ufficiali polacchi prigionieri di guerra liberati dai gulag e scomparsi nel nulla dopo l’ “amnistia”, le inutili ricerche condotte per anni sulla sorte loro toccata, la scoperta del massacro avvenuto nel 1940 nella foresta di Katyn, in Ucraina, da parte dei tedeschi ed attribuito ai sovietici, il rimpallo di responsabilità tra URSS e III Reich ed infine l’individuazione precisa delle responsabilità dell’eccidio e dei suoi mandanti (che furono Stalin e Berija) è un tema fondamentale, nel racconto di Czapski, una sorta di leit motiv o “basso continuo” che è sempre presente, anche se non sempre in primissimo piano.
Non mi è possibile dunque non ricordare, a questo proposito, il magnifico film Katyn di Andrzej Wajda del 2007. Il film è disponibile su YouTube in versione integrale e doppiato in italiano >>qui
- Il mio post del 2009 sul film Katyn di Wajda >>qui
Due articoli che mi sono sembrati particolarmente interessanti:
- Francesco M. Cataluccio Il libro di Józef Czapski, nel ’41 sulle tracce del massacro di Katyn. Un viaggio disperato alla ricerca di 15.000 prigionieri polacchi scomparsiPubblicato su “il Foglio”, 4/III/2023. Lo si può leggere su Facebook >>qui
- Emanuele Trevi E’ la letteratura la vera voce dei sommersi >>qui)
- A proposito della raccolta di “conferenze clandestine” Proust a Grjazovec, uscita da Adelphi nel 2015 a cura di Giuseppe Girimonti Greco tengo a ricordare che Czapski era stato uno dei primi critici polacchi a occuparsi della Recherche, nella quale si era imbattuto durante una delle scorribande librarie rievocate anche ne La terra inumana. Di questo libro, che avevo letto anni fa nella vecchia edizione del 2005 dell’Ancora del Mediterraneo con il titolo La morte indifferente. Proust nel gulag con una postfazione di Gustaw Herling avevo scritto in un mio post del 2006. Lo si può leggere >>qui
Ciao,
Grazie della bellissima recensione e degli spunti che offri. Di Czapski avevo già molto apprezzato “Proust a Grjazovec”, che ho letto nell’edizione Adelphi.
Leggerò sicuramente anche “La terra inumana”.
A presto.
Ivan
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Grazie a te, Ivan. Se hai apprezzato il volume delle conferenze su Proust, La terra inumana non ti deluderà di certo.
Ciao!
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Ho da poco finito di leggere “Vita e destino” e non conoscevo Czapski e nemmeno la storia di Katyn. Me lo segno, dunque, grazie per avermi fatto incrociare questo libro!💙
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Baylee
Se hai letto Vita e destino mi permetto di consigliarti vivamente di leggere (sempre che tu non l’abbia già fatto, naturalmente) la lettura di Stalingrado che è la prima parte del dittico.
Fortunati i lettori italiani che approcciano oggi il capolavoro di Grossman e che hanno la possibilità di leggere i due volumi nell’ordine cronologico in cui vennero scritti e seguendo il filo della storia narrata senza incontrare tutte le enormi difficoltà di quelli che, come me, hanno letto Vita e destino anni fa essendo stati costretti ad entrare subito in medias res delle vicende narrate cercando di capire e districarsi nei legami di parentela e nelle dinamiche dei tantissimi personaggi… fu come se avessimo dovuto leggere – che so – Guerra e pace cominciando dalla metà del romanzo… 🙂
Grazie del commento, soprattutto perchè uno dei miei obiettivi, per questo post, era appunto quello di contribuire, nel mio piccolo, a far conoscere un autore (Czapski) che merita assolutamente.
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Confesso che sapevo di Stalingrado, ma ho letto comunque prima Vita e destino perché avevo letto che non era così bello come il secondo e avevo paura che un mattone di novecento pagine non esaltante poi mi dissuadesse dalla lettura di Vita e destino. Ma adesso penso proprio che lo recupererò.
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Questo tuo è un luogo dove si torna e si sosta con piacere, anche a distanza di tempo. Perché si sente (e si vede) che tutto ciò che scrivi nasce da qualcosa che hai elaborato a lungo dentro di te, con l’intento di trasmetterlo agli altri senza tradirlo nella sua essenza. E infatti il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Pensa che proprio adesso ho qui, davanti a me, che troneggia sul tavolo in tutta la sua splendida mole, un volume di 884 pagine che raggiunge i 5 cm di spessore (se si escludono le mappe della ritirata sovietica a completamento), che temo mi assorbirà i neuroni per almeno le prossime quattro settimane. E tutto questo grazie a te, o meglio grazie agli articoli che hai dedicato a Vasilij Grossman nel corso del tempo, come ad esempio quelli pubblicati nel 2010 “Per una giusta causa”, che ho rivisitato appena un momento fa. Di recente tradotti finalmente da Adelphi con il titolo “Stalingrado”.
Il volume che sto appunto per iniziare a leggere (e se Renza passerà da queste parti, tirerà forse un sospiro di sollievo 🙂 ), a cui credo seguirà, dopo una necessaria pausa, “Vita e destino” (che mi attende in ebook), e adesso temo , ahimè, che si aggiungerà in coda anche Czapski, e non so chi altro ancora, perché passare dalle tue parti, cara Gabriella, è molto pericoloso, si rischia sempre di allungare a dismisura il proprio elenco, dal momento che ti sei presa la briga di rinnovare di anno in anno un percorso che si rivela non soltanto utile ma oserei dire prezioso per moltissimi di noi, o meglio per chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerti e apprezzarti. Mi auguro, almeno, di poter vivere un’altra ventina d’anni, come minimo. Altrimenti pazienza, vorrà dire che mi porterò nella tomba molti dei volumi che hai citato su queste pagine (l’eReader lasciamolo perdere, per una volta, che lì dentro non c’è la presa per ricaricarlo), e tanti altri interessanti che ho adocchiato in giro o che sono da mesi (se non da anni) a prendere polvere sugli scaffali. Il problema è mio, naturalmente, che oltre ad essere diventata più selettiva mi sono riscoperta lentissima nella lettura. O meglio, diciamo che adesso amo riflettere “a lungo” su ciò che assimilo, non mi basta più una botta e via 😉 Un autore, qualunque esso sia, se mi prende a livello emotivo lo voglio coltivare a lungo dentro di me, lo voglio scoprire in ogni suo anfratto. L’ultimo che sto leggendo, da qualche settimana, è Ennio Flaiano: uno shock iniziale (con Tempo di uccidere), ma anche, per ogni giorno che passa, una continua e rinnovata scoperta. Magari un giorno ne parleremo, chissà.
E adesso, dopo un abbraccio un po’ frettoloso ma come sempre amichevole, corro subito a leggere cosa hai scritto della Politkovskaja nel post precedente, che uno dei suoi libri, quello sì, l’ho letto quasi tutto d’un fiato, col proposito però di riprenderlo in mano in un secondo tempo. Mi riferisco a “Per questo”, edito sempre da Adelphi, che raccoglie i suoi articoli apparsi sulla Novaja Gazeta e altri testi ancora inediti, oltre che svariati appunti e ricordi personali. Una donna e giornalista eccezionale, Anna Stepanovna Politkovskaja, che ha pagato con la vita la ricerca della verità; ce ne fossero, oggi, di persone così valorose…
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Alessandra se non ti ho risposto subito ieri quando ho letto questo tuo commento è stato perchè… mi hai veramente spiazzata e… resa afasica 🙂
Non sono brava – diciamo le cose come stanno: non lo sono per nulla – a rispondere e ringraziare adeguatamente a cose come quelle che mi hai scritto tu. Insomma: mi hai colpita e affondata (positivamente, è ovvio 🙂 )
Dunque astutamente svicolo e mi metto a parlar d’altro: della lentezza nella lettura, per esempio. Condivido in pieno (e, guarda un po’, mi viene anche in mente il mio amato Kundera de La lentezza (https://www.adelphi.it/libro/9788845911200 )
Si, anche io ormai da tempo rimugino, cerco di approfondire, procedo più per tematiche e per autori che per singoli romanzi (e libri in genere), mi piace sempre di più cercare e trovare collegamenti, echi tra autori, epoche e stili apparentemente diversi…
Anche se commento poco o niente leggo sempre il tuo blog e, ad esempio, penso al grosso lavoro che hai fatto con Hemingway, autore di cui ho letto quasi tutto e con il quale personalmente ho un rapporto molto molto ambivalente (Kundera mi aveva aiutata molto, anni fa, ad apprezzare adeguatamente i suoi 49 Racconti che tu hai scandagliato in maniera superba …).
Stesso discorso vale per il lavoro che fai con i poeti e la poesia in genere. Leggo sempre con piacere ed interesse i post dedicati alla poesia forse anche e proprio perchè io invece, con la poesia, ho uno stranissimo rapporto su cui sarebbe troppo complicato dilungarmi qui ed ora.
Flaiano: mi piace molto ed ho letto parecchio di suo ma (concedimi questa piccola “debolezza”) per me Flaiano significa soprattutto la sceneggiatura di Alla ricerca del tempo perduto che scrisse per Luchino Visconti ed il suo film mai realizzato. Molto bella 🙂
Ciao cara, ed a presto spero
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Gabriella,
parli giustamente di “cercare e trovare collegamenti, echi tra autori, epoche e stili apparentemente diversi”
E forse esiste un filo rosso che lega tra loro fatti, eventi e persone; talvolta più evidente talvolta leggero, quasi invisibile, ma ostinato.
Ed allora altri tasselli per il mosaico delle tue letture:
– Jan Karski // La mia testimonianza davanti al mondo Storia di uno Stato segreto (La mia testimonianza davanti al mondo | Jan Karski – Adelphi Edizioni)
La storia impossibile ed incredibile di Jan. Il libro inizia come se fosse una favola: un ballo gli amici, e poi nel giro di qualche ora quel mondo non esiste piu’ : “Karski aveva compiuto un’impresa inaudita: era riuscito a infiltrarsi nel ghetto di Varsavia e nel campo di transito di Bełzec e, fatto ancora più inaudito, a uscirne indenne, deciso a denunciare al mondo le atrocità commesse dai nazisti ai danni della nazione polacca e degli ebrei tutti”
– Anna Bikont // Il crimine e il silenzio Jedwabne 1941. Un massacro in cerca di verità (Il crimine e il silenzio, Anna Bikont. Giulio Einaudi editore – Saggi)
Un buco nero, disumano, che bisogna saper guardare in faccia
Leonardo
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Leonardo Il libro di Karski lo conosco; non conosco invece Anna Bikont. Ho preso nota e ti ringrazio 🙂
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Non penso di meritare tutte queste belle parole, ma non posso fare a meno di ringraziarti (ed Hemingway insieme a me). Aggiungo solo che sono contenta di averti “spiazzata”. Sai una cosa? Le persone rigide, troppo rigide, ossia quelle che evitano accuratamente di fuoruscire da alcuni margini prefissati per non rivelarsi o compromettersi più di tanto, io non le sopporto più. Anzi, ho scelto di starci alla larga, dopo svariate delusioni. Contenta, quindi, di constatare che non fai parte della serie (eh, ma ovviamente già lo sapevo, non avevo dubbi in proposito 😊) Per quanto mi riguarda, che ci vuoi fare, sarò forse un’anima un po’ bizzarra, oltre che perennemente inquieta, ma non posso fare a meno di esprimermi alla mia maniera, e se e quando capita di strappare qua e là un sorriso, o anche solo un mezzo sorriso… per me va bene, va più che bene, anzi mi fa piacere (come dire che mi rendo perfettamente conto di esagerare di tanto in tanto, ma non mi faccio troppi scrupoli in merito)
Flaiano: non sapevo di quella sceneggiatura; sguinzaglierò allora il segugio (ovverosia il mio naso) su ogni possibile ed eventuale traccia. Kundera: un autore che dovrei (e vorrei) approfondire. Mi consola però il fatto di poter avere a disposizione il tuo archivio (senza termini di scadenza, mi auguro), da cui semmai attingere notizie e riferimenti al momento opportuno. Intanto ti ringrazio per l’ospitalità, per l’accoglienza sempre così attenta e affettuosa. Chissà se un giorno sarà possibile portare avanti questa nostra “bella” chiacchierata. Speriamo di sì.
p.s. Ho dato appena adesso una sbirciata… Kundera cita Hemingway nel volume I testamenti traditi, precisamente da pag.145 a pag.149, per chi fosse interessato. E poi, lo scopro solo oggi da alcune notizie sparse in rete, nell’Immortalità ci sono persino Goethe e Hemingway che se ne vanno a spasso insieme per diversi capitoli. Questo davvero mi incuriosisce, cerco subito l’ebook! Ah no, che sciocca, dimenticavo che i libri di Kundera non sono disponibili in formato digitale. Eh no, proprio no, non mi pare. O magari nel frattempo è cambiato qualcosa?
Ciao, a risentirci 😊
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