L’IMPERO DI CINDIA – FEDERICO RAMPINI

L'impero di Cindia-copertina
Federico Rampini,L’impero di Cindia. Cina, India e dintorni: la superpotenza asiatica da tre miliardi di persone
Mondadori, 2006, pag. 369, ISBN 88-04-55130-5

Ho appena finito di leggere questo libro che su di me, mai stata nè in Cina e neppure in India — questi Paesi li conosco molto superficialmente soltanto attraverso film e letteratura — ha avuto l’effetto di una salutare doccia fredda, di quelle che fanno rabbrividire ma schiariscono anche le idee togliendo tutta quella matassa di ragnatele di cui ti accorgi di avere avuto ingombro il cervello.
Federico Rampini, corrispondente di “Repubblica” da Pechino, editorialista, inviato e corrispondente a Parigi, Bruxelles, San Francisco ha insegnato nelle Univesità di Berkeley e Shangai. In questo libro ci parla della Cina e dell’India ma anche dei paesi limitrofi e del Giappone per descriverci questo immenso impero nascente e per cercare di rispondere ad alcune domande chiave sul nostro futuro.

Fornisce nomi, descrizioni precise di luoghi e di eventi, numeri, dati concreti. Aiuta a mettere a fuoco una realtà che molti di noi occidentali siamo abituati a guardare con occhio distratto e/o con lenti deformanti e deformate dalla nostra paura del “pericolo asiatico”. Mentre siamo ancora occupatissimi a tenere gli occhi puntati sugli USA, Rampini ci aiuta a capire dove sia il vero laboratorio in cui si decideranno i destini dell’umanità: in Cindia. Termine che significa Cina più India, e che guarda caso è stato coniato per la prima volta proprio dai mass media indiani.

Dall’analisi di Rampini emergono una serie di straordinari paradossi e contraddizioni su cui si fonda la grandezza di Cindia.

Da una parte l’India: società aperta che è sì il “massimo laboratorio mondiale del terrorismo di matrice islamica” ma anche il paese in cui periodicamente 650 milioni di cittadini adulti esercitano il diritto di voto ed in cui la democrazia costituisce uno dei tratti forti dell’identità nazionale. Vengono spazzati via gli stereotipi dell’immaginario occidentale che crede l’India sempre profondamente spiritualista e impregnata di religiosità ed impregnata della mistica (se non della mitologia) della povertà. L’India che viene fuori dalle pagine del libro è fatta di arretratezza e modernità continuamente mescolate; un Paese in cui se da una parte sopravvive ancora ben radicato il sistema delle caste, tuttavia gli Intoccabili — cittadini aventi diritto di voto — sono diventati anche loro una forza politica di cui tutti i partiti politici devono tener conto; un paese leader nella produzione del software, in cui il numero dei laureati supera l’intera popolazione della Francia e in cui alle vacche sono stati fatti ingoiare dei microchip che permettono di multare i loro proprietari nel caso in cui, nonostante il divieto governativo, vengano lasciate ancora circolare in mezzo alle strade ad intralciare il traffico…

L’altro gigante dell’impero è la Cina: un “rullo compressore” le cui strategie di conquista globale si fondano su una serie di paradossi: produttività, alto livello di scolarizzazione, ricerca scientifica, investimenti in infrastrutture moderne ma anche sfruttamento ai limiti della schiavizzazione, fabbriche lager in cui si trovano i moderni “dannati della terra”: disparità giuridica, diritti umani calpestati, censura, stampa imbavagliata. revival nazionalisti, repressione feroce della dissidenza. E, paradosso dei paradossi, è proprio la Cina comunista che ha “paradossalmente attuato brutalmente l’equilibrio mondiale tra profitto e salario in favore dei detentori di capitali” (pag. 104)

In questo scenario, come si colloca l’Occidente?Le notazioni di Rampini sono abbastanza desolanti: ne viene fuori un Occidente miope, che vede nel protezionismo l’unica difesa per combattere l’impero di Cindia, incapace di cogliere le opportunità che, dallo sviluppo dei colossi asiatici pure emergono con forza. L’Occidente, secondo Rampini, ben poco sa fare oltre che ad assistere passivamente allo sviluppo dei due colossi e chiedersi quale delle due ricette vincerà: quella indiana o quella cinese?

Rampini conclude: “Ritraendoci di fronte a un cambiamento che ci spaventa, ci condanniamo alla deriva” (pag. 363)

Federico Rampini, foto

MONTMARTRE E MONTPARNASSE – DAN FRANCK


Dan FRANCK, Montmartre e Montparnasse. La favolosa Parigi di inizio secolo
Traduz. dal francese di Antonia Tadini Perazzoli
Garzanti, 2000, ISBN 88-11-73872-5

“All’inizio del secolo, Montmartre e Montparnasse si fronteggiano. Due colline da cui nasceranno le bellezze del mondo di ieri e anche quelle di oggi. […] A destra, il Bateau-Lavoir. A sinistra, l’atmosfera fumosa della Closerie des Lilas. Tra i due, scorre la Senna. E tutta la storia dell’arte moderna.” (pag.17)

Cubismo e dadaismo, futuristi e surrealisti. Pittori, poeti, musicisti. La Parigi dei primi decenni del Novecento è il crogiolo di tutte le avanguardie e di mille sperimentazioni artistiche: Apollinaire e Max Jacob, Picasso e Braque; il Doganiere Rousseau, Derain, Cocteau, Vlaminck, Duchamp. Eric Satie e Darius Milhaud; Matisse e Modigliani e Andrè Breton. Diaghilev e i suoi Balletti Russi. E mercanti d’arte e mecenate-intellettuali come Gertrude Stein e suo fratello Leo. E i luoghi “culto”: oltre il Bateau-Lavoir e la Closerie des Lilas, Le Lapin Agile, il Dome, il Cafè Flore

Dan Franck, francese e autore di numerosi romanzi fa rivivere per noi nelle circa cinquecento pagine del suo libro quel mondo favoloso in cui talento artistico e voglia di vivere, aspirazioni libertarie e belle ragazze, genio, miseria e sbornie si intrecciano costantemente.

Il ritmo è serrato, la scrittura brillante; gli artisti evocati balzano dalle pagine come personaggi di un romanzo in uno straordinario affresco in cui vengono descritti nei loro lati geniali ma anche nelle loro debolezze e meschinità di esseri umani.

Un libro che è un vero godimento per chiunque ami l’arte e Parigi.

TONIGHT AT NOON – SUE GRAHAM MINGUS

Lei bianca, bionda, con gli occhi azzurri, giornalista della middle class. Lui artista geniale ma “peggio di un bastardo”, e cioè un meticcio dal carattere impossibile proveniente dal ghetto nero di Los Angeles e il cui nonno era stato uno schiavo nelle piantagioni. Sue Graham, ultima moglie di Charles Mingus, ha raccontato la loro tormentata e appassionata storia d’amore nel libro “Tonight at Noon”

Sue descrive l’esperienza intensa ma anche emotivamente devastante di questo matrimonio con un uomo i cui eccessi erano la regola e non l’eccezione e il calvario degli ultimi due anni quando Mingus venne colpito da una terribile e rara malattia incurabile (sclerosi laterale amiotrofica) che lo paralizzò — mantenendo però intatta la lucidità mentale e compositiva — poco alla volta, muscolo dopo muscolo, fino alla paralisi respiratoria finale ed alla morte avvenuta nel 1979.

Questa “indimenticabile storia d’amore e di jazz” (come recita giustamente il sottotitolo del libro) non si è però chiusa con la morte di Charles.

Da allora, infatti, Sue Mingus è diventata l’instancabile promotrice e divulgatrice della musica del marito. Ha formato e portato in giro per il mondo gruppi e orchestre: la Mingus Dinasty, la Mingus Big Band, la Mingus Orchestra. Ha promosso il monumentale progetto Epitaph diretto da Gunther Schuller (2 ore di musica continua con un’orchestra di 32 elementi). Con un lavoro certosino di ricostruzione a partire dai manoscritti più o meno decifrabili ha anche curato “Charles Mingus: more than a fake book”, la raccolta e la pubblicazione cioè di tutte o quasi le composizioni del contrabbassista, ha curato la produzione di 6 CD della Mingus Big Band, ha fondato un’etichetta discografica indipendente (la Revenge Records) che si propone di recuperare tutto il materiale illegale e piratesco che circola a nome di Mingus per poterlo ripubblicare ufficialmente e rimborsare i musicisti defraudati.
Sue Graham Mingus, Tonight At Noon. Un’indimenticabile storia d’amore e di Jazz, Baldini Castoldi Dalai, 2005,ISBN 8884907519, pagg. 318

PEGGIO DI UN BASTARDO – CHARLES MINGUS

Charles Mingus, Peggio di un bastardo, Traduzione Ombretta Giumelli, Baldini Castoldi Dalai, 2005, ISBN 8884906938, pagg. 373

Tutti coloro che, come me, amano l’opera di questo artista leggendario (compositore, contrabbassista, direttore d’orchestra) non possono  non leggere questo libro appassionato, dolorante e dolente, iperrealistico ed intriso di erotismo ai limiti del porno, scoppiettante e tenero ed elegiaco ed, a tratti, persino spiritoso.

Vi sembra che io abbia adoperato troppi aggettivi? Troppi ossimori? Troppa enfasi? Vi sono sembrata esagerata? Ma anche la musica di Mingus (“ricordati. il nostro è uno dei pochi cognomi veramente africani e tuo nonno era ancora uno schiavo nelle piantagioni” gli disse il padre poco prima di morire) è così: appassionata, raffinatissima, volgare, lirica, commovente, enfatica, trascinante, spiazzante. E-sa-ge-ra-ta.

Pagina dopo pagina conosciamo meglio (o meglio: ri-conosciamo) l’autore di “Good Bye Pork Pie Hat” (in memoriam di Lester Young) e l’artista di Pithecantropus Erectus, Jazz at the Bohemia, The Clown, Mingus!Mingus!Mingus!

Ma anche tutti quelli che si disinteressano di Jazz e non hanno mai sentito parlare di Charles Mingus (ma davvero ce ne sono???) dovrebbero leggerlo, questo libro. Perchè parla di identità, della non-unicità dell’Io, di non-appartenza razziale.
Perchè Mingus era un meticcio (o un “mezzosangue”, come scrive lui). E dunque non era riconosciuto nè dai bianchi (che lo disprezzavano come nigger) nè dai neri (che lo insultavano chiamandolo “sporco giallo”)

“Charles come capro espiatorio perchè, be’, lui era una specie di bastardo. Più chiaro di altri – ma non abbastanza da poter appartenere all’élite dei quasi bianchi – non era abbastanza scuro da poter far parte di quella categoria di negri bellissimi ed eleganti, quelli a cui si riferiva Bud Powell quella volta che disse a Miles Davis “Vorrei essere più nero di te! Non c’era davvero nessun altro con la pelle del suo stesso colore” (pag. 72)

Pubblicato per la prima volta a New York nel 1971, questa biografia romanzata (ma io preferisco usare una metafora presa in prestito dalla terminologia musicale e dire “in forma di romanzo”) fu scritta a quattro mani con l’amico Nel King di cui Mingus dice “ha lavorato a lungo e con grande impegno a questo libro ed […] è probabilmente l’unico bianco che avrebbe potuto farlo”

La storia viene narrata a volte in prima persona, più spesso in terza persona. Perchè:

“Io sono tre. Il primo, sempre nel mezzo, osserva tutto con fare tranquillo, impassibile, e aspetta di poterlo raccontare agli altri due. Il secondo è come un animale spaventato che attacca per paura di essere attaccato. Il terzo infine è una persona gentile, traboccante d’amore che lascia entrare gli altri nel sancta santorum del proprio essere e si fida di tutti e firma contratti senza leggerli e accetta di lavorare per pochi soldi e anche gratis, e quando si accorge di cosa gli hanno fatto gli viene voglia di uccidere e distruggere tutto quello che gli sta intorno compreso se stesso per punirsi di essere stato così stupido. Ma non può farlo — allora torna a chiudersi in se stesso” (pag.9)

Ed ora andate a vederlo al contrabbasso nel bel
sito ufficiale di Charles Mingus

PALERMO E’ UNA CIPOLLA – ROBERTO ALAJMO

Roberto Alajmo
Palermo è una cipolla
Bari, Laterza, novembre 2005

“E’ fatta a strati. Ogni volta che ne sbucci uno ne resta un altro da sbucciare, e così via. […] L’Isola è così. La Città è così “ si legge nella quarta di copertina.

Avevo adocchiato questo librino sugli scaffali della Feltrinelli cittadina fin dal suo apparire, ma diffidavo, mi era sembrato uno di quegli innumerevoli prodotti “usa e getta” di cui ormai purtroppo anche le librerie più serie rigurgitano e che io aborro. Poi un giorno l’ho preso in mano, l’ho aperto a caso e l’occhio mi è caduto a pag.68:

“Ciascun abitante della Città ha il suo caffè preferito e un locale dove glielo preparano proprio come piace a lui e solo a lui. Questa pretesa di originalità ha una fenomenologia molto diversificata. Un carattere distintivo consiste, ad esempio, nella pretesa di cambiare il nome delle cose e dei posti per adeguarli al proprio estro. Si è già detto di Santa Maria dei Naufragati che diventano direttamente Annegati. Altro esempio: sant’Agostino non viene considerato un titolare adeguato alla bella chiesa che si trova nel quartiere del Capo, che difatti a discrezione degli abitanti della zona è stata ribattezzata Santa Rita. E’ una tendenza alla personalizzazione che trova parecchi esempi nella toponomastica cittadina: quella comunemente chiamata piazza Politeama è formata in realtà da due piazze contigue e misconosciute: piazza Castelnuovo e piazza Ruggero Settimo; piazza Mordini diventa piazza Croci; piazza Verdi è per tutti piazza Massimo; piazza Giulio Cesare è La Stazione, senza piazza; così come piazza Vittorio Veneto è diventata semplicemente “La Statua”. Da qui derivano dialoghi che per un forestiero possono risultare surreali:

— Dove abiti?
–Alla Statua.”

A questo punto il librino m’è saltato addosso dicendomi “comprami comprami” ed io mi sono affrettata a farlo, l’ho divorato, e siccome eravamo nel periodo natalizio ho fatto incetta di copie e l’ho regalato a tutti gli amici che mi capitavano a tiro e che ancora non l’avevano letto.

Può un librino di poco più di un centinaio di pagine, che si legge al massimo in un’ora e mezza, che fa ridere, essere un libro serio? Certo che si, può essere. Roberto Alajmo riesce toccare tutti i “punti dolenti” di questa mia difficile e inafferrabile e stratificata ed ambigua città con un tocco ironico, leggero e profondo al tempo stesso e che rispecchia il sentimento di amore-odio da cui molti di noi palermitani siamo affetti nei suoi confronti perchè i palermitani “… Pur non ritenendosi all’altezza del resto del mondo non ritengono il mondo alla loro altezza” (pag. 60).

E’ un libro che avrei voluto aver scritto io, tanto mi ci sono ritrovata…

LE DONNE DEL RE SOLE – SIMONE BERTIERE

Simone Bertière
Le donne del Re Sole
Ed. Piemme, 2001, Traduz. di Luisa Collodi

“Una corte senza dame è un giardino senza fiori”, amava dire Francesco I. Un parere condiviso dal suo successore, Luigi XIV, appassionato come lui di giardini e di donne. La sua corte ne è piena, e sono una più brillante dell’altra” leggiamo nel Prologo, a pag. 5.

Simone Bertière — docente di letteratura comparata e considerata una delle maggiori studiose e divulgatrici di storia francese dei nostri giorni — ha scritto una serie di libri dedicati alle regine di Francia.

In questo Le donne del Re Sole (l’unico, che io sappia, finora tradotto e pubblicato in Italia) fa rivivere il regno più lungo della storia francese durante quello che venne chiamato “le Grand Siècle” e le donne che circondarono Luigi XIV a cominciare dalla madre Anna d’Austria. E poi le mogli: da Maria Teresa di Spagna, regina sì ma priva di capacità ed insignificante a Madame de Maintenon (favorita prima e moglie segreta poi) e le moltissime amanti: l’italiana Maria Mancini — nipote del Cardinale Mazzarino — la sfortunata Louise de La Vallière, la potente favorita Madame de Montespan, travolta dall’ “affare dei veleni” e tante altre che, sebbene tenute lontane dagli affari della politica brillarono però, anche se per breve tempo, della luce riflessa del sovrano.

I libri della Bertière sono segnalati e consigliati anche da Benedetta Craveri, che ne parla nel suo bellissimo “Amanti e Regine” nella sezione dedicata alla bibliografia.

Simone Bertière

AMANTI E REGINE – BENEDETTA CRAVERI

Dopo la densa biografia di Madame Du deffand e il sontuoso “La civiltà della conversazione”, Benedetta Craveri ci regala questo splendido “AMANTI E REGINE. Il potere delle donne”, edito da Adephi.

In esso sfila un “illustre corteo di dame”: le Regine, le Reggenti di Francia e le Favorite dei Re di Francia da Francesco I a Luigi XVI; tutte donne che esercitarono un grande potere se pure, come scrive la Craveri, “un potere sui generis”.

“Di questo potere sui generis, che sa trasformare la debolezza in forza, e fare della condizione di inferiorità una carta vincente mi propongo qui di raccontare la storia, a testimonianza del coraggio, dell’intelligenza e dell’inventiva che hanno costantemente caratterizzato le donne francesi di Antico Regime” (pag. 20)

Rigorosamente documentato ma mai noioso e sempre scorrevole, “Amanti e Regine” è un libro che si divora come un romanzo.
Benedetta Craveri è una delle rarissime accademiche che, in Italia, riescono a scrivere seriamente ma non “seriosamente”.

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