
Alice Munro, Nemico, amico, amante, traduz. Susanna Basso, Einaudi Super ET, 2005, p.320, ISBN 8806174681
Hateship, Friendship, Courtship, Lovership, Marriage.
Questo il titolo originale della raccolta di racconti di Alice Munro. E’ il suo primo libro che leggo, ma mi è bastato per trovarmi d’accordo con coloro che la definiscono una delle più grandi narratrici viventi. Sicuramente non mi fermerò qui e recupererò tutto quello che finora mi sono persa, di quest’autrice canadese.
I racconti sono nove, uno più bello dell’altro. Perfetti come ritmo, scelta dei tempi, strategia narrativa. Non una parola in più nè una di meno del necessario. Protagonista sempre una donna. Gli uomini sono, di volta in volta mariti, amanti, padri, fratelli. E dunque, in quanto tali, di volta in volta amati, odiati, ammirati, disprezzati. Spesso sopportati.
Tutte le storie si svolgono all’interno della famiglia. L’ambientazione è il Canada. Grandi metropoli come Vancouver o paesetti sperduti in quell’ immenso territorio.
Eppure, l’accurata contestualizzazione risulta, di fatto, di importanza molto marginale. Perchè le storie sono, in realtà, senza tempo e senza luogo. Alice Munro, che si è spesso definita “scrittrice anacronistica” poichè rifugge da facili sperimentalismi ad effetto, racconta storie universali. Tali sono infatti le tematiche che ci troviamo dentro: lo scarto esistente tra psicologia femminile e psicologia maschile, la problematica dei rapporti tra i sessi, tra genitori e figli. Il tema del rapporto con la malattia e la morte, la corporeità. Ove corporeità vuol dire anche parlare di come liberarsi di un assorbente inzuppato di sangue mestruale se in casa c’è un uomo che non regge al pensiero che una donna possa avere le mestruazioni.
La narrazione è a volte in terza persona, a volte in prima. Il tono sempre pacato, mai sopra le righe.
Abbiamo dunque a che fare con una scrittrice minimalista? La sua è una scrittura intimista? Magari fosse così semplice. Aggiungo che in questo libro tutto si può trovare tranne che facile sentimentalismo o qualcosa di sia pur lontanamente stucchevole. Insomma, riuscire ad ingabbiare Alice Munro dentro una comoda e rassicurante etichetta può risultare davvero arduo.
Questa garbata e sorridente signora canadese richiede una lettura attenta e che non si fermi alle apparenze. Rimanendo in superfice rischieremmo di esclamare — come a qualche lettore è pur accaduto — “ma in questi racconti non succede niente!”.
Di cose, invece, nei suoi racconti ne succedono eccome. Basta saperle vedere. In ciascuno di essi c’è sempre un evento — grande o piccolo o apparentemente trascurabile o di difficile individuazione — che porta ad un capovolgimento di prospettiva, ad un ribaltamento nelle relazioni, allo spiazzamento del lettore. Situazioni di partenza apparentemente banali e il cui sviluppo può sembrare scontato e prevedibile determinano conseguenze assolutamente inaspettate. Da uno scherzo crudele dal quale è legittimo aspettarsi dolore e frustrazione scaturisce invece un lieto fine… Ci vengono forniti tutti i segnali di un suicidio annunciato e ci troviamo davanti alla nascita di una storia d’amore… Un uomo apparentemente freddo e distante si rivela l’amante di un giorno che non si dimenticherà per tutta la vita. Un’esperienza erotica extraconiugale rinsalderà un matrimonio, invece di distruggerlo come ci saremmo aspettati…Cancro, morte, follia rivelano la verità dei rapporti tra marito e moglie.
Protagonista di tutti i racconti sempre una donna, dicevo. Allora abbiamo a che fare con una scrittrice femminista? La mia risposta è Si, se consideriamo l’attenzione che la Munro ha per l’analisi delle relazioni uomo-donna, per la corporeità, per le sfumature, per il non detto. La mia risposta è No, se quando diciamo “femminista” pensiamo alla scrittrice femminista militante. Alice Munro non milita. Non platealmente, almeno.
Alice Munro si limita infatti a descrivere, non prende mai le parti di questo o quel personaggio (sia esso femminile o maschile). Non giudica. Sembra persino non partecipare emotivamente alle cose che racconta. E’ il tipo di autore che è dovunque ma non si mostra mai (sarà un caso, ma mi ha fatto tornare in mente Flaubert…) perchè sono gli eventi stessi che parlano. E questi eventi, che nulla hanno in sè di straordinario (matrimoni, nascite, malattia, un funerale, un trasloco…) mostrano però quanto invece possa essere estremamente complesso il quotidiano, quanto ricco di sfumature. Il finale di ciascun racconto non è mai “chiuso”, si ha sempre la sensazione che ci sia dell’altro, che tante possibilità rimangano ancora aperte.
Maestra delle sfumature e delle allusioni, abilissima a destreggiarsi nel gioco del “punto di vista”, non mi sembra affatto esagerato il paragone che molti hanno fatto tra i suoi racconti e quelli di Cechov o di Henry James.
Due parole infine su questo volume Einaudi che ho acquistato e letto: mi sembra uno di quei casi in cui una copertina, anche se bella, non solo non rende giustizia al contenuto del libro ma rischia addirittura di portare fuori strada.
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