ALICE MUNRO E LE TRAME DELLA VITA

Alice Munro

 

“il concatenarsi dei fatti […] mi affascinò; ebbi la sensazione di aver gettato un’occhiata sulla prodigiosa, devastante e spudorata assurdità con cui si improvvisano le trame della vita, a differenza di quelle dei romanzi”


Proprio questo fa Alice Munro nei suoi volumi di racconti, tutti magnifici: ci fa guardare nella “prodigiosa, devastante e spudorata assurdità” delle trame della vita.

Questa sua prima raccolta, il suo esordio come scrittrice, è invece la quinta che leggo io. E non posso che constatare che la Munro era grande già agli inizi…

Una delle straordinarie caratteristiche della Munro è che dietro l’apparente semplicità se non addirittura – a volte – banalità delle sue storie c’è in realtà una visione del mondo molto lucida, molto pragmatica, molto dura. Pugno di ferro in guanto di velluto, mi verrebbe da dire. A volte è anche parecchio esplicita, e molla sganassoni non da poco, che lasciano storditi. Alcuni racconti sono proprio un pugno nello stomaco.

Dei racconti di Alice Munro (riferendosi in particolare alle raccolte Nemico, amico, amante e Il sogno di mia madre) scrive Pietro Citati:

” […[ sono concentratissimi come i racconti di James: a volte abbiamo l’impressione che si complichino come romanzi di Balzac, o contengano storie di intere famiglie e paesi come ‘Guerra e Pace’. Quando appare un personaggio, crediamo sia quello principale, poi se ne affaccia un altro, che ne prende il posto, e poi ancora un altro e poi ancora un altro e ancora un altro: mentre il primo personaggio si sposta, cambia idee e natura, e ci sembra di non riconoscerlo più
[…]
“Da Henry James, il padre di tutti coloro che, nei tempi moderni, raccontano storie, Alice Munro ha imparato che la prima qualità di un racconto è l’enigma: ogni storia è un mistero, che la collaborazione dell’autore e del lettore portano lentamente alla luce. Appena entriamo in un racconto, c’è un piccolo enigma, e poi un terzo e un quarto […]”

(Pietro Citati, I racconti di Alice Munro in La malattia dell’infinito)

pallino

Su NSP i miei precedenti post su

  • Alice Munro, Nemico, amico, amante >>
  • Alice Munro, Il sogno di mia madre >>
  • Pietro Citati, La malattia dell’infinito >>

NON CI SARANNO INEDITI

Si, Alice, brucia, incenerisci, insomma distruggi tutto.

Non lasciare nulla di cui non ti ritenga pienamente soddisfatta e che consideri incompiuto.

Spero che almeno il tuo testamento non venga tradito.

Non lasciare che gli sciacalli ravanino tra i tuoi appunti, tra le tue bozze. Non lasciare che succeda a te quello che è successo a (tanto per dire) Nabokov con L’originale di Laura, o a Elias Canetti con Party sotto le bombe. E a tanti altri.

Insomma, se lo vuoi veramente, ce la puoi fare a non farti sciacallare.

Lo spero proprio.

“PARLO CON ALICE MUNRO?”

Alice Munro intervistata telefonicamente da Adam Smith (Nobelprize.org) subito dopo la notizia dell’assegnazione del Nobel 2013 per la Letteratura.

Sono felice  di questa scelta. Un’autrice che ho amato sin da quando, anni fa,  ho cominciato a leggerla.

Un bell’articolo (che condivido **quasi** in toto) di Alessandro Piperno intitolato “Alice nel Paese della sobrietà” >> QUI

LA VECCHIAIA DI ALICE MUNRO

Alice Munro

SCRIVERE. O SMETTERE DI SCRIVERE.
di Alice Munro, luglio 2005

Forse la vera ragione per smettere di scrivere è che sto invecchiando. Sono vecchia. Quando succede,  fare le cose che devi fare richiede sempre più tempo e concentrazione. Pagare le bollette, ricordarti quando passa il camion della spazzatura, fare la raccolta differenziata, donare soldi a tutte quelle buone cause che hai promesso a te stessa di sostenere. Mantenere l’ordine intorno a te. Il disordine è molto più minaccioso di una volta – non è più perdonabile e disarmante, né un segno della propria creatività, ma una prova dell’arrivo della demenza senile, decisamente poco affascinante. In effetti è meno affascinante, la demenza, nelle donne che negli uomini. Lo stesso vale per l’aspetto fisico da mantenere presentabile. Richiede sempre più sforzo, non tanto arrestare il deterioramento quanto rallentarlo in modo che risulti accettabile a te stessa e agli altri. Tutte le pillole e gli esami e gli esercizi. Non puoi più martellare sui tasti, rapita alle tre di notte dal finale di una storia. Non puoi più essere il grande scrittore, quello con il brutto carattere e le cattive abitudini e la genialità graffiante dei vecchi film. Non che io lo sia mai stata (in effetti non ricordo che nessuno di questi geni sia mai stato una donna), ma l’idea è sempre sopravvissuta da qualche parte nella mia testa, come qualcosa che un giorno avrei potuto provare a essere. Insomma: smetterei di scrivere per avere una vita più gestibile. E poi so che è molto raro produrre un capolavoro in questi ultimi anni di vita, e uno o due libri in meno non sarebbero una gran perdita per nessuno. Di sicuro non mi mancherà quel tormento – i tentativi a vuoto necessari perché una storia sia buona – o il vero e proprio orrore che provo nell’attesa che il libro venga pubblicato, per poi dar fondo al mio coraggio e uscire di casa ed esserne responsabile nel vasto mondo (in realtà sembra che sia vasto, ma il mondo dell’editoria, della critica letteraria, del pubblico dei lettori, è così piccolo che la maggior parte della gente che vive nel tuo paese, perfino nella tua cittadina, non saprà mai il tuo nome).

Non mi perderò niente, davvero.

Ma aspetta un attimo: che cosa c’era di così meraviglioso? Che cosa lo faceva sembrare irresistibile? Che cosa rendeva trascurabili questi inconvenienti? Se non è quando stai componendo il lavoro, non quando lo mandi all’editore, non quando ce l’hai in mano stampato, né quando lo leggi in pubblico o lo vedi entrare in classifica (e cominci a preoccuparti di quando ne uscirà), e nemmeno quando vince un premio, anche se devi ammettere che vincerlo è meglio che non vincerlo, allora quando è?

Il momento non è forse quello in cui hai l’idea, o meglio inciampi nell’idea, ci sbatti contro, come se stesse vagando da sempre nella tua testa? È già lì, ancora senza lineamenti precisi, ma armoniosa e brillante. Non è la storia. È lo spirito, il centro della storia, qualcosa che non è fatto di parole, ma che può sorgere alla vita, almeno a una vita pubblica, soltanto quando le parole lo avvolgono. Un oggetto ancora non guastato, ancora protetto dalle interferenze. In una forma più bella di quella che avrà mai, dopo essere stato stirato e schiacciato dentro le tue frasi. Pensa di poter essere soddisfatta da questo incontro soltanto, dal riconoscerlo e poi lasciarlo solo. Come sarebbe?

Vedremo.

Questa testimonianza mi ha lasciata senza parole per la lucidità, la semplicità la profondità e (perchè non dirlo?) l’onestà intellettuale di quella che a mio parere è la più grande scrittrice vivente di racconti.

Leggendo questo testo, che ho potuto conoscere grazie a Paolo Cognetti ed al suo articolo su Il Sole24Ore, non poteva non tornarmi in mente anche che Alice Munro è l’autrice di quello splendido racconto intitolato  The bear came over the mountain (L’orso attraversò la montagna) dal quale nel 2007 è stato tratto il  bellissimo film di Sarah Polley Away from her (Lontano da lei) magistralmente interpretato da Julie Christie e del quale avevo parlato >>qui

LONTANO DA LEI – SARAH POLLEY (2007)

Dopo cena, lui lava i piatti, lei ripone le stoviglie. Ha in mano una padella, la guarda perplessa, poi assurdamente invece che in un armadietto della cucina la mette in frigorifero.

Away from her

Fiona (Julie Christie) e suo marito Grant (Gordon Pinsent), professore in pensione, sono una coppia canadese inseparabile, stanno assieme da quarantaquattro anni. Improvvisamente, Fiona si rende conto che, nonostante tutti i suoi sforzi, sta perdendo la memoria. Una visita specialistica le conferma di essere malata di Alzheimer. Fiona legge libri, si documenta sulla sua malattia e su quello che le succederà.

Away from her Julie Christie

E’ ancora abbastanza lucida da decidere di farsi ricoverare in una casa di cura. Prima che la situazione vada assolutamente fuori controllo, e nonostante sia ancora relativamente giovane, e nonostante il marito sia contrario.

Away from her

Una regola ferrea impone ai pazienti appena arrivati di non avere, per i primi trenta giorni, alcun contatto con i loro familiari.

Lontano da lei (titolo originale Away from her) della giovane regista canadese Sarah Polley racconta questo distacco e gli effetti che provoca nella relazione nella coppia: è la prima volta infatti che Fiona e il marito si trovano separati per un tempo così lungo.

Mi fermo qui nel raccontare la trama, anche se questo non è certo un film basato sull’intreccio e sui colpi di scena.

I suoi punti di forza stanno nei caratteri, nelle sfumature dei sentimenti, nella rarefazione di certe atmosfere che trovano l’ambientazione ideale nell’inverno e nelle nevi del Canada, terra della regista Sarah Polley e dell’autrice del racconto da cui Away from her è tratto.

Away from her è basato infatti su un racconto breve della grande scrittrice canadese Alice Munro intitolato The Bear Came Over the mountain (“L’orso attraversò la montagna”) che, secondo quanto leggo in una nota della traduttrice Susanna Basso nel volume Einaudi Nemico, amico, amante… di cui avevo scritto qui, è il verso iniziale di una famosa filastrocca infantile.

All’inizio del film, in cui la voce fuori campo di Grant (Pinsent) descrive una scena della giovinezza sua e di Fiona, il testo della Munro è ripetuto assai fedelmente. Quasi parola per parola.

Away from her

Julie Christie interpreta qui, a sessantasei anni, un ruolo bellissimo ed intenso e lo fa in modo splendido: è tenera e ironica, dolente ed affettuosa; una recitazione in cui le emozioni sono espresse tutte con impercettibili movimenti del volto e con quei suoi ancora oggi bellissimi occhi azzurri.

Away from her Julie Christie

Era candidata all’Oscar 2008 come migliore attrice protagonista, premio che poi è stato assegnato a Marion Cotillard per la sua interpretazione di Edith Piaf in La Môme

Nella parte del marito Grant c’è, accanto alla Christie il poco noto ma bravissimo Gordon Pinsent.

Away from her Gordon Pinsent

Un tema terrificante come l’Alzheimer, difficilissimo da approcciare, viene trattato da Sarah Polley con grande sensibilità, grazia, forza espressiva e compostezza. Niente scene madri e nessuna concessione allo strappalacrime per parlare della malattia, della perdita della memoria e dei sacrifici che un amore solido e duraturo impone di affrontare.

Away from her

Il film era candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura basata su materiale non originale, premio poi vinto da No country for old men (Non è un paese per vecchi) dei fratelli Cohen, tratto dal romanzo di Corman McCarthy.

Sarah Polley è una regista molto giovane. Nata a Toronto nel 1979, è canadese come Alice Munro, ha al suo attivo l’interpretazione di parecchi ruoli come attrice, molto apprezzati dalla critica. Con Away from her è alla sua prima regia di un lungometraggio dopo alcune esperienze di corti.
Nelle note biografiche che la riguardano si legge anche che la sua vita personale è stata profondamente segnata dalla morte della madre Diane per cancro quando Sarah aveva circa undici anni.

Sarah Polley la notte degli Oscar 2008
Sarah Polley la notte degli Oscar il 24 febbraio 2008
(Foto imb)

Titolo originale: “Away From Her”; Regia: Sarah Polley; Sceneggiatura: Sarah Polley, dal racconto breve di Alice Munro “L’orso attraversò la montagna”; Interpreti: Julie Christie, Gordon Pinsent, Olympia Dukakis, Michael Murphy, Kristen Thomson, Wendy Crewson;Fotografia: Luc Montpellier; Montaggio: David Wharnsby; Scenografia: Ka thleen Climie; Costumi: Debra Hanson; Musica: Jonathan Goldsmith; Origine: Canada; Anno: 2007; Durata: 110′.

Questo post è stato pubblicato anche da Abbracci e pop corn  il 3 Marzo 2008

IL SOGNO DI MIA MADRE – ALICE MUNRO


Alice MUNRO, Il sogno di mia madre (titolo originale The Love of a Good Woman), traduz. di Susanna Basso, Einaudi, Collana ET, p.366, ISBN 88-06-17515-7

Ho appena terminato di leggere un’altra raccolta di racconti di Alice Munro, “Il sogno di mia madre”. Otto storie di donne. Alcune delle quali molto dure.
Non ho molto da aggiungere a quello che già avevo scritto a proposito di “Nemico, amico, amante” se non che da questa lettura ho avuto la definitiva conferma della altissima levatura di questa scrittrice canadese.

Ho voglia però di riportare due pareri che su di lei hanno espresso due autori che apprezzo molto, Pietro Citati ed Antonia Byatt e che condivido totalmente.

  • “Da Henry James, Alice Munro ha imparato che la prima qualità di un racconto è l’enigma” (Pietro Citati)
  • “[I suoi racconti] contengono elementi del probabile e insieme fratture e disastri. L’interesse della Munro è da sempre rivolta al tessuto della “normalità” sia al colpo di forbici che la taglia di netto” (Antonia Byatt)

Anche questa volta, come già mi era successo con Nemico, Amico, Amante, trovo che l’immagine scelta da Einaudi per la copertina, anche se molto bella, non rispecchi per nulla lo spirito e il contenuto del libro. Ma son gusti personali.

NEMICO, AMICO, AMANTE – ALICE MUNRO

Copertina libro
Alice Munro, Nemico, amico, amante, traduz. Susanna Basso, Einaudi Super ET, 2005, p.320, ISBN 8806174681

Hateship, Friendship, Courtship, Lovership, Marriage.

Questo il titolo originale della raccolta di racconti di Alice Munro. E’ il suo primo libro che leggo, ma mi è bastato per trovarmi d’accordo con coloro che la definiscono una delle più grandi narratrici viventi. Sicuramente non mi fermerò qui e recupererò tutto quello che finora mi sono persa, di quest’autrice canadese.

I racconti sono nove, uno più bello dell’altro. Perfetti come ritmo, scelta dei tempi, strategia narrativa. Non una parola in più nè una di meno del necessario. Protagonista sempre una donna. Gli uomini sono, di volta in volta mariti, amanti, padri, fratelli. E dunque, in quanto tali, di volta in volta amati, odiati, ammirati, disprezzati. Spesso sopportati.

Tutte le storie si svolgono all’interno della famiglia. L’ambientazione è il Canada. Grandi metropoli come Vancouver o paesetti sperduti in quell’ immenso territorio.

Eppure, l’accurata contestualizzazione risulta, di fatto, di importanza molto marginale. Perchè le storie sono, in realtà, senza tempo e senza luogo. Alice Munro, che si è spesso definita “scrittrice anacronistica” poichè rifugge da facili sperimentalismi ad effetto, racconta storie universali. Tali sono infatti le tematiche che ci troviamo dentro: lo scarto esistente tra psicologia femminile e psicologia maschile, la problematica dei rapporti tra i sessi, tra genitori e figli. Il tema del rapporto con la malattia e la morte, la corporeità. Ove corporeità vuol dire anche parlare di come liberarsi di un assorbente inzuppato di sangue mestruale se in casa c’è un uomo che non regge al pensiero che una donna possa avere le mestruazioni.

La narrazione è a volte in terza persona, a volte in prima. Il tono sempre pacato, mai sopra le righe.

Abbiamo dunque a che fare con una scrittrice minimalista? La sua è una scrittura intimista? Magari fosse così semplice. Aggiungo che in questo libro tutto si può trovare tranne che facile sentimentalismo o qualcosa di sia pur lontanamente stucchevole. Insomma, riuscire ad ingabbiare Alice Munro dentro una comoda e rassicurante etichetta può risultare davvero arduo.

Questa garbata e sorridente signora canadese richiede una lettura attenta e che non si fermi alle apparenze. Rimanendo in superfice rischieremmo di esclamare — come a qualche lettore è pur accaduto — “ma in questi racconti non succede niente!”.

Di cose, invece, nei suoi racconti ne succedono eccome. Basta saperle vedere. In ciascuno di essi c’è sempre un evento — grande o piccolo o apparentemente trascurabile o di difficile individuazione — che porta ad un capovolgimento di prospettiva, ad un ribaltamento nelle relazioni, allo spiazzamento del lettore. Situazioni di partenza apparentemente banali e il cui sviluppo può sembrare scontato e prevedibile determinano conseguenze assolutamente inaspettate. Da uno scherzo crudele dal quale è legittimo aspettarsi dolore e frustrazione scaturisce invece un lieto fine… Ci vengono forniti tutti i segnali di un suicidio annunciato e ci troviamo davanti alla nascita di una storia d’amore… Un uomo apparentemente freddo e distante si rivela l’amante di un giorno che non si dimenticherà per tutta la vita. Un’esperienza erotica extraconiugale rinsalderà un matrimonio, invece di distruggerlo come ci saremmo aspettati…Cancro, morte, follia rivelano la verità dei rapporti tra marito e moglie.

Protagonista di tutti i racconti sempre una donna, dicevo. Allora abbiamo a che fare con una scrittrice femminista? La mia risposta è Si, se consideriamo l’attenzione che la Munro ha per l’analisi delle relazioni uomo-donna, per la corporeità, per le sfumature, per il non detto. La mia risposta è No, se quando diciamo “femminista” pensiamo alla scrittrice femminista militante. Alice Munro non milita. Non platealmente, almeno.

Alice Munro si limita infatti a descrivere, non prende mai le parti di questo o quel personaggio (sia esso femminile o maschile). Non giudica. Sembra persino non partecipare emotivamente alle cose che racconta. E’ il tipo di autore che è dovunque ma non si mostra mai (sarà un caso, ma mi ha fatto tornare in mente Flaubert…) perchè sono gli eventi stessi che parlano. E questi eventi, che nulla hanno in sè di straordinario (matrimoni, nascite, malattia, un funerale, un trasloco…) mostrano però quanto invece possa essere estremamente complesso il quotidiano, quanto ricco di sfumature. Il finale di ciascun racconto non è mai “chiuso”, si ha sempre la sensazione che ci sia dell’altro, che tante possibilità rimangano ancora aperte.

Maestra delle sfumature e delle allusioni, abilissima a destreggiarsi nel gioco del “punto di vista”, non mi sembra affatto esagerato il paragone che molti hanno fatto tra i suoi racconti e quelli di Cechov o di Henry James.

Due parole infine su questo volume Einaudi che ho acquistato e letto: mi sembra uno di quei casi in cui una copertina, anche se bella, non solo non rende giustizia al contenuto del libro ma rischia addirittura di portare fuori strada.

Alice Munro
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