LA TERRA INUMANA – JÓZEF CZAPSKI

Jozef Czapski La terra inumana

Józef CZAPSKI, La terra inumana (tit. orig.le Na nieludzkiej ziemi), a cura di Andrea Ceccherelli, Traduz. di Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova, pp. 459, Adelphi

“Questo libro non offre conclusioni né sintesi, è semplicemente il racconto di un anno di esperienze, osservazioni e pensieri di un polacco in Unione Sovietica.”

No. Questo libro è molto di più.Tutti coloro che hanno letto La terra inumana lo sanno: si tratta di una eccezionale descrizione della drammatica situazione dell’esercito polacco nel corso della Seconda Guerra mondiale, la descrizione delle popolazioni dell’Unione Sovietica in quegli anni (“la terra inumana dello stalinismo”) ed una testimonianza capitale. Józef Czapski è infatti uno dei pochi ufficiali polacchi scampati al massacro di Katyn. Ha conosciuto il Gulag (campo di transito di Pavliščev Bor, nei pressi di Juchnov, nell’oblast’ di Kaluga, campo di Grjazovec , nei pressi di Vologda, nel Nord della Russia dove, da fine anno, tenne – basandosi esclusivamente sulla propria memoria – conferenze in francese su Proust), la Siberia; Mosca e l’Uzbekistan, l’Iran; Iraq e Palestina. Sarà poi catapultato nella guerra in Libia, in Italia a Montecassino, vivrà la lenta traversata dell’Europa occupata dai Nazisti. Un’odissea eccezionale, raccontata da un uomo, un testimone, uno spirito eccezionale.

La terra inumana, ora tradotto da Andrea Ceccherelli e da Tullia Villanova per Adelphi costituisce, insieme con Ricordi di Starobielsk, che nell’immediato dopoguerra fu pubblicato anche nel nostro Paese, un dittico di forte testimonianza autobiografica.

La testimonianza di Czapski, pubblicata per la prima volta nel 1947 ed in seguito arricchita con ulteriore documentazione relativa ai fatti di Katyn è un vero gioiello. Czapski racconta, facendo avanti e indietro tra diverse epoche della sua vita, l’incredibile storia dell’Armata polacca del Generale Anders, scampata ai Gulag sovietici e formatasi con enormi difficoltà in URSS, poi trasferitasi in Iran prima di venire lanciata nel 1944 all’assalto di Montecassino in Italia.

Racconta, La terra inumana, la drammatica storia delle migliaia di militari polacchi (la maggior parte dei quali ufficiali) prigionieri di guerra in URSS che, all’atto della liberazione dai gulag sovietici scomparvero nel nulla; narra di come si arrivò finalmente alla rivelazione, dopo tanti anni di inutili, frustranti ricerche finite nel nulla per i continui depistaggi delle alte sfere del potere sovietico, di ciò che avvenne davvero a Katyn.

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BILANCI & PROGETTI

I primi cinque

Come alla fine di ogni anno, WordPress mi ha fornito i dati riassuntivi riguardanti la frequentazione di NonSoloProust, l’elenco dei post maggiormente visti nel corso del 2013 ed altre informazioni circa la provenienza dei visitatori, le chiavi di ricerca maggiormente utilizzate etc.

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ANTIGONI

Wajda Katyn
Agnieszka (Magdalena Cielecka) nel film Katyn di Andrzej Wajda (2007)

“L’Antigone di Sofocle non è un testo qualunque. E’ una delle azioni durature e canoniche della storia della nostra coscienza filosofica, letteraria e politica.”

(George Steiner, Prefazione a Le Antigoni)

Nella tragedia di Sofocle Antigone si ostina a pretendere che il corpo del fratello Polinice venga sepolto.
Antigone vuole che lo spirito di suo fratello possa riposare in pace.
Antigone comunica alla sorella Ismene la sua intenzione di seppellire — celebrando tutti i riti funebri — il fratello Polinice, nonostante l’assoluto divieto emesso da Creonte, re di Tebe.
Pur riconoscendo la correttezza morale del gesto di Antigone, Ismene rifiuta però di sostenerla in questa impresa.

Antigone, contravvenendo al divieto, va al campo di battaglia davanti a Tebe, copre di sabbia il corpo di Polinice ed effettua i riti di sepoltura. Si lascia quindi docilmente arrestare da una guardia e viene portata davanti a Creonte.

Al cospetto del rappresentate dello Stato Antigone mantiene ferma la propria posizione.

Creonte adduce la ragione del diritto positivo, della disposizione di legge:

“Ubbidire, ubbidire, e nel molto e nel poco, nel giusto e nell’ingiusto, sempre e comunque, all’uomo che sia posto al timone dello Stato. È l’anarchia il pessimo dei mali: distrugge le città e sconvolge le case, mette in fuga e fa a pezzi gli eserciti in battaglia. Ma è l’ubbidienza, l’ubbidienza ai capi la fonte di salvezza e di vittoria. Noi dobbiamo ubbidire alle leggi, alle leggi scritte”.

Antigone, però, forte e tenace, e convinta di essere nel giusto dice:

“Ma per me non fu Zeus a proclamare quell’editto, né la Giustizia che dimora tra gli dèi. […] Io seguo le leggi sacre e incrollabili degli dèi, leggi non scritte, di quelle io un giorno dovrò subire il giudizio. […] E non credevo che i tuoi bandi fossero così potenti da sovrastare e sovvertire le leggi morali degli dèi!”.

Incredulo che una donna abbia osato disobbedire ai suoi ordini, Creonte decide l’imprigionamento.

Si trovano di fronte due concezioni opposte del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos)

In Katyn, film di Andrzej Wajda di cui ho già parlato >> QUI, il desiderio dei parenti di poter almeno dare una degna sepoltura agli uomini massacrati a Katyn e gettati nelle fosse comuni è uno dei temi più presenti e dolorosi.

Nella terribile storia raccontata da Wajda con un linguaggio cinematografico apparentemente semplice e poco innovativo l’eterno mito di Antigone è presente, è citato esplicitamente ed incarnato dalla bionda e coraggiosa Agnieszka (Magdalena Cielecka), la sorella del tenente Pilot, un ingegnere aeronautico, uno di quelli finiti nelle fosse comuni di Katyn.

Come Antigone, Agnieska vuole ricordare il fratello e dichiarare la verità sul massacro di Katyn.
Vuole non solo che il fratello abbia una tomba ed una lapide, ma che sulla lapide sia scritta la verità sulla sua uccisione, e cioè che è morto per mano dei sovietici.

Per procurarsi il denaro occorrente per la lapide, Agnieska vende i propri capelli. Servono ad un’attrice che deve recitare in teatro il ruolo di Antigone e che, essendo stata deportata ad Auschwitz, è completamente calva.

Wajda

Sul significato simbolico del taglio dei capelli, su cosa significhi per una donna rimanere senza capelli credo sia superfluo dilungarsi.

Wajda Katyn
Wajda Katyn

Agnieska però si vede rifiutare la sepoltura del fratello in chiesa.

Il vecchio parroco — che aveva consegnato ad Agnieszka il rosario trovato addosso al cadavere del fratello — è stato arrestato, il nuovo parroco ha paura, teme le ritorsioni dei sovietici, rifiuta di officiare il rito funebre, la manda via.

Wajda Katyn
“Quelli che hanno portato via il parroco hanno detto
che conoscono tutti i nemici del popolo, incluso Dio”
Wajda Katyn

Agnieszka si dirige al cimitero con due uomini che, su un carretto, portano la lapide.

Wajda Katyn

Quando la sorella Irena (Agnieszka Glinska) viene a sapere delle intenzioni di Agnieszka la raggiunge al cimitero e cerca, proprio come Ismene, di dissuadere Antigone.

Irena, finita la guerra, è diventata la direttrice di un liceo di Cracovia e non vuole che la sua posizione sia messa in pericolo dall’atto di Agnieszka. Sa che la sua posizione è in un equilibrio molto fragile.

Wajda Katyn

Cerca di convincere la sorella: “Non puoi cambiare questo mondo, noi polacchi non saremo mai liberi” ma Agnieszka è irremovibile e le risponde “Io scelgo di stare dalla parte degli assassinati, non degli assassini”

Wajda Katyn

L’iscrizione che ha fatto incidere sulla lapide della tomba dice che il tenente è morto ucciso dai sovietici.

Wajda Katyn

Una macchina della polizia segreta arriva e Agnieszka viene arrestata.

Wajda Katyn

Agnieszka tiene testa all’ufficiale che la minaccia per cercare di convincerla a ritrattare pur sapendo bene quello che la aspetta.Viene infatti imprigionata in una cella sotterranea.

Wajda Kaatyn
Wajda Kaatyn

Al cimitero, la polizia politica ha già provveduto a distruggere la lapide.

Wajda Katyn
CREONTE
Or non sapete che se fosse lecito
parlar pria di morire, e nenie e gemiti
niun cesserebbe mai? Volete in fretta
condurla via? Nella profonda tomba,
come v’ho imposto, sia rinchiusa, e sola
vi sia lasciata, e ch’ivi morir debba,
o in quell’antro restar viva sepolta.
Pure del sangue suo le mani avremo;
ma sarà priva del consorzio umano.
ANTIGONE
O tomba, o nuzïal camera, o eterna
mia prigione rupestre, ove m’avvio
verso i miei cari che defunti giacciono
la piú gran parte, e li ospita Persèfone!
Ultima ora io fra loro, e assai piú misera,
discendo, prima che sia giunto il termine
della mia vita. E, lí discesa, spero
giunger diletta al padre, a te diletta,
madre, diletta, o mio fratello, a te.
Ché, poiché spenti foste, io vi lavai
con queste mani, vi vestii, v’offersi
le libagioni funebri. E perché
cura mi presi della salma tua,
o Poliníce, il mio compenso è questo.
Pure, per quanti han senno, io bene feci
ad onorarti. Ch’io non mai, se figli
avessi avuti, se lo sposo morto
mi fosse, e stesse a imputridire, mai
questa fatica assunta non avrei
contro il voler dei cittadini. E quale
legge m’incuora a dire ciò? Se morto
uno sposo mi fosse, un altro sposo
avrei potuto avere; e un altro figlio
da un altr’uomo, se un figlio era la perdita.
Ma poi che padre e madre asconde l’Orco,
germogliar non mi può nuovo fratello.
Per questa legge onor ti volli rendere
piú che ad altri, o fratello; ed a Creonte
sembrò che rea, che temeraria io fossi;
e a forza ora m’ha presa, e mi trascina,
che non talamo seppi od imenèi,
né sorte ebbi di nozze, e non di pargoli
ch’io nutricassi; ma, cosí tapina,
dagli amici deserta, io viva scendo
alle fosse dei morti. E qual giustizia
di Numi vïolai? Ma gli occhi agl’Inferi
volgere ancora, che ti giova, o misera?
Quale alleato invocherò, se taccia
d’empietà guadagnai per esser pia?

(Traduzione di Ettore Romagnoli)
Wajda Katyn
  • Antigone di Sofocle >>
  • Su NSP: Katyn di Andrzej Wajda >>

KATYN – ANDRZEJ WAJDA (2007)

Katyn Wajda

Katyn di Andrzej Wajda è il primo film sul massacro di 22.000 polacchi avvenuto nella foresta di Katyn, che si trova in Ucraina, non lontano dalla frontiera russa. Il primo film sulla “bugia di Katyn”.

Questo massacro venne effettuato nel 1940, nel momento in cui la Polonia veniva invasa contemporaneamente dall’ Armata Rossa dell’URSS e dalla Wermacht della Germania nazista.

Ad ottantatre anni, il grande regista polacco, Oscar alla carriera nel 2000, ha fatto uno splendido film su un tema assolutamente tabu ai tempi del comunismo in Polonia. Tanto tabu che il solo fatto di essere parente di una vittima di Katyn poteva avere come conseguenza anche l’interdizione agli studi universitari.

Centoventiquattro minuti di immagini che raccontano ciò che accadde nella foresta di Katyn e la tragedia delle famiglie delle vittime.

A Katyn vennero uccisi su ordine di Stalin e Beria più di 22.000 civili ed ufficiali polacchi, rappresentanti la maggior parte l’èlite della società polacca o quanto meno i principali corpi dirigenti ed i quadri più importanti dell’apparato statale della Polonia.

Vennero uccisi uno per uno con un colpo alla nuca e gettati poi ammassati in fosse comuni. II massacro (una vera e propria mattanza) aveva uno scopo ben preciso: eliminare la classe dirigente della Polonia.

Furono i nazisti i primi a scoprire il massacro quando, nel 1943, le loro truppe d’occupazione invasero la Russia e trovarono le fosse. Stalin accusò i tedeschi di essere stati loro gli autori dell’eccidio dei polacchi, ma i tedeschi insistevano nel propagandare la scoperta fatta in Russia per mascherare i loro propri massacri degli ebrei, degli zingari…

Questo soggetto non era affrontabile nella Polonia del dopoguerra, visto che la Polonia fu sotto il regime comunista fino al 1989. I sovietici insistevano nella loro propaganda addossando l’eccidio agli uomini di Hitler e punivano con il carcere chiunque osasse dire la verità.

Soltanto nel 1990 Mikhail Gorbaciov ammise la responsabilità del suo paese.

Nel film, la narrazione si apre in data 17 settembre 1939 con una grande scena simbolica: due folle di fuggitivi polacchi si trovano su un ponte correndo gli uni in direzione degli altri, scappando gli uni dai nazisti della Wermacht e gli altri dai sovietici dell’Armata Rossa.

L’Urss invadeva la Polonia facendo seguito al patto Molotov-Ribbentrop con cui il regime nazista e la controparte staliniana si erano spartiti nel 1939 il territorio polacco.

Katyn - WajdaKatyn - Wajda

Katyn

“Dove andate? Ci sono i tedeschi dietro di noi!”

“Sono entrati i sovietici!”

“Dove andate, tornate indietro, sono entrati i Russi!”

“Ma dietro di noi ci sono i tedeschi!”

Una scena che è una grande metafora della condizione bellica di un popolo stritolato tra due potenze, condannato qualsiasi direzione decida di prendere.

Altrettanto potente è la scena seguente, in cui si vedono due soldati sovietici strappare in due la bandiera polacca. Uno di loro appenderà all’asta la parte rossa della bandiera, mentre l’altro soldato adopererà la stoffa bianca per pulirsi i piedi…

Katyn

Appena qualche giorno dopo l’invasione ha inizio la deportazione in massa dei graduati migliori dell’esercito polacco nei campi di Kozielsk, Starobielsk, Ostaszkow.

Katyn - Wajda
Katyn - Wajda
Katyn - Wajda
Katyn - Wajda

Il 6 novembre dello stesso anno i professori dell’Università di Cracovia, scienziati e ingegneri di tutto il Paese vengono arrestati dai Nazisti e deportati in Germania.

Anche i tedeschi vogliono “decapitare” la Polonia.

Katyn - Wajda

Comincia così il racconto su due piani paralleli: da una parte la condizione degli ufficiali prigionieri dei sovietici. Pensano ancora di essere normali prigionieri di guerra, non sanno di essere dei condannati a morte. Beria, infatti, ha già firmato il decreto.

Katyn

Il giorno di Natale del 1939 nel campo di Kozelsk

Katyn
Katyn

Dall’altra parte assistiamo al calvario delle famiglie, che non cessano di chiedere invano notizie dei loro padri, mariti, fratelli di cui non sanno più nulla, di aspettarli, di sperare.

Katyn

Katyn Wajda

Finché, nell’aprile del 1943, i quotidiani e la filodiffusione organizzata dai nazisti non inizia a ribadire un giorno dopo l’altro la notizia del ritrovamento di migliaia di corpi nella fossa comune di Katyn, uccisi per mano sovietica.

Katyn Wajda

La pubblicazione e la lettura dei nomi degli scomparsi aleggia come uno spettro sulla vita quotidiana. Il dramma di chi ha perso qualcuno non è maggiore di quello di chi lo sospetta solamente, lo percepisce ma non lo accetta.

Katyn

La fine della Guerra rappresenta, per i familiari delle vittime di Katyn, l’inizio di un’altra guerra: quella per la verità.

Katyn Coloro che non accettano la versione imposta dall’Unione Sovietica alla nuova Repubblica Popolare Polacca, ovvero che responsabili del massacro siano i nazisti, devono fare i conti con la propria coscienza, con la prigione, con una vita da braccati o reclusi. L’università è vietata a chi nel proprio curriculum scrive che il proprio padre è stato ucciso dai russi, la lapide di una tomba non può portare la scritta “ucciso a Katyn”…

Per loro la guerra non è davvero mai finita; sono condannati a vivere in eterno le battaglie che i loro cari hanno solo potuto immaginare dal campo di prigionia.

E’ solo nel finale del film che, tornando indietro al 1940, Wajda ci fa vedere quello che è successo in quei giorni a Katyn.

Una terribile sequenza che dura circa un quarto d’ora ed è di una crudezza quasi insostenibile. In essa Wajda ricostruisce il processo automatico con cui vengono giustiziati i prigionieri, una vera e propria mattanza.

KatynKatyn

Le inquadrature restituiscono il ritmo del massacro, gli uomini che scendono dai camion, trasportati come animali al macello, le mani legate dietro la schiena, molti vengono incappucciati, per tutti il colpo di pistola alla nuca, le fosse comuni, e poi le ruspe che scaricano la terra sui mucchi di cadaveri. Molti tengono in mano un rosario. Sono morti recitando il Pater Noster.

Katyn Wajda
Katyn

Katyn

Il regista ha anche utilizzato immagini d’archivio di filmati girati dai tedeschi durante la riesumazione dei corpi nel 1943, e poi quelle girate dalla propaganda sovietica.

“Mi sono chiesto” ha detto Wajda “se fosse il caso di mostrare o no queste immagini. Mi è sembrato necessario farlo, perchè questo è il primo film che viene realizzato su questo soggetto. Non basta sapere che tutto questo è accaduto. Bisogna che venga visto, sentire e capire come la tragedia si è svolta. Questo è stato vietato per decenni, ed è per questo che c’è bisogno di verità”

Il film si chiude con un intero minuto di schermo completamente nero, mentre risuonano le note del Requiem Polacco di Krzysztof Penderecki.

Wajda dedica il film “ai miei genitori”, perchè anche suo padre, Jakub, fu una delle vittime del massacro di Katyn. Aveva 43 anni, era capitano di un reggimento di fanteria dell’esercito polacco, uno degli ufficiali fatti prigionieri dai sovietici e fu ucciso dagli uomini dell’NKDV con un colpo di pistola alla nuca nella foresta di Katyn.

Come centinaia di altre donne, la madre di Wajda per molto tempo non ha accettato di credere alla sua morte. “Mia madre si è nutrita di illusioni fino alla fine della sua vita, perchè il cognome di mio padre compariva con un altro nome sulla lista degli ufficiali massacrati” ha raccontato il regista in una conferenza stampa.

Il film di Wajda permette di individuare le responsabilità dei due grandi invasori della Polonia, perchè mostra anche la complicità della Germania nello scopo comune di sopprimere le èlites intellettuali e militari della Polonia.

Katyn è un film struggente, magnificamente diretto e interpretato. Una buona parte si svolge a Cracovia e racconta l’attesa delle donne (mogli, madri, figlie, sorelle) negli anni tra il 1939 e il 1950.

Il film è articolato attorno alle tre date che segnano questo itinerario del massacro e della menzogna: 1939-1940, con la duplice occupazione e la cattura degli ufficiali da parte dei sovietici. 1943, in cui gli altoparlanti e i giornali tedeschi diffondono i nomi degli uccisi ed polacchi apprendono il massacro di Katyn. 1945, quando la menzogna dei sovietici che cercano di addossare l’eccidio ai nazisti arriva alla nuova generazione: vediamo un ragazzo rifiutato all’università perchè figlio di un ufficiale scomparso a Katyn e che viene ucciso poco dopo per aver strappato un manifesto della propaganda sovietica.

Quello che vediamo è una fiction, certo, ma Wajda ha insistito molto nel dire che è basato su episodi autentici.

Per raccontare la tragedia dei quattro ufficiali del film, delle loro mogli che li aspettano senza notizie e dei loro figli che avranno in eredità il silenzio e la menzogna, Wajda ha utilizzato storie dal diario autentico del maggiore Adam Solski trovato durante l’esumazione del cadavere nel 1943.

Katyn

Il film ha un duplice obiettivo: raccontare il massacro in quanto tale e la soppressione della verità e le conseguenze che tutto questo ha prodotto sulle famiglie delle vittime.

Katyn Per raggiungere questi due obiettivi, Wajda parla soprattutto dei sentimenti di coloro che vissero il dramma. E’ attraverso la narrazione di storie personali ed intime vissute da alcuni personaggi, che il film diventa testimone della storia.

Katyn è un grande film: ha il respiro dell’epopea, una grande potenza evocativa, riesce a soddisfare i canoni dello spettacolo popolare senza rinunciare alle esigenze storiche. E’ angosciante, commovente, coinvolgente.

Non sono per nulla d’accordo con coloro (pochi, in verità) che, arricciando il naso, hanno sentenziato che Katyn ha troppo elementi da telenovela, da melodramma.

Può darsi. Ma io me lo spiego così: quella di Wajda è stata una precisa scelta di codici di comunicazione. Voleva raggiungere il cuore di molte persone, e per ottenere questo ha utilizzato un codice cinematografico non ermetico, non per “i soliti pochi”.

Ha fatto bene, ha fatto male?

Io so solo che il film mi ha commossa profondamente, mi ha provocato una notte di incubi e mi sono detta: “…ma chi me lo fa fare a vedere film così?”.

Eppure, nei giorni seguenti l’ho rivisto altre tre volte. E cose del genere assicuro che non mi succedono tanto spesso e facilmente.

… E poi ho sentito l’esigenza di documentarmi, di leggere, di cercare altro materiale. Di legger libri. Tutto questo, per me è importante.

Wajda ha voluto che il suo film fosse interamente polacco, tutto, in Katyn, è polacco. Ha anche rifiutato qualsiasi forma di co-produzione.

La fotografia è di Pawel Edelman, l’operatore de Il pianista, la musica — bellissima — è di Krzysztof Penderecki.

Stralci della Terza Sinfonia, del Secondo Concerto per Violoncello e del Requiem Polacco sottolineano ma allo stesso tempo amplificano, con le loro quiete ma inquietanti dissonanze, tutto l’orrore di quello che avviene sullo schermo.

La sceneggiatura è un adattamento di Post mortem, un libro di Andrzej Mularczyk.

Nel cast sono presenti i migliori attori contemporanei della Polonia.

I più giovani di essi non erano nemmeno nati, all’epoca dell’eccidio, e in conferenza stampa hanno detto di avere appreso i particolari di questa tragedia soltanto durante la lavorazione del film.

Andrzej Wajda

Andrzej Wajda

La Cancelliera tedesca Angela Merkel ed altri rappresentanti del governo tedesco hanno assistito alla proiezione del film al Festival del Cinema di Berlino, dove era stato presentato fuori concorso. La presenza della Merkel è stata molto apprezzata da Wajda, che ha spiegato, in una conferenza stampa, che secondo lui questo gesto è stato tanto più ammirevole in quanto simbolizza il fatto che non si può andare avanti facendo tabula rasa del passato.

Katyn (2007), Regia Andrzej Wajda, scritto da Andrzej Mularczyk, Przemyslaw Nowakowski, Wladyslaw Pasikowski, Andrzej Wajda

Interpreti e personaggi principali: Artur Zmijewski (Andrzej), Maja Ostaszewska (Anna), Andrzej Chyra (Tenente Jerzy), Danuta Stenka (Róza), Jan Englert (il Generale), Magdalena Cielecka (Agnieszka), Agnieszka Glinska (Irena), Pawel Malaszynski (Tenente Piotr), Maja Komorowska (madre di di Andrzej), Wladyslaw Kowalski (Professor Jan), Oleg Savkin (Ufficiale della NKWD), Antoni Pawlicki (Tadeusz), Agnieszka Kawiorska (Ewa)
Musica di Krzysztof Penderecki.
Fotografia Pawel Edelman, Scene Wieslawa Chojkowska, Costumi Magdalena Biedrzycka
Colori, durata 118 min., Polonia 2007
Nomination per l’Academy Award (Oscar) per il miglior film in lingua straniera.

Documento scritto da Lavrentj Beria, Commissario di Primo Grado della Sicurezza di Stato (il Ministro per gli Affari Interni) con cui viene richiesta l’autorizzazione ad uccidere 14.700 prigionieri di guerra e altri 11.000 prigionieri.
La firma e l’autorizzazione di Stalin compaiono nella parte superiore del documento.

(da Wikipedia)

DANTON – ANDRZEJ WAJDA (1983)

Danton Wajda

Perchè mai proprio Danton?!?!

In fondo, il Danton di Wajda non è un film inconturnable. Bello, ottimamente recitato ma chi non fosse particolarmente attratto dalla grande recitazione teatrale dei beaux temps d’antan non lo riterrebbe certo un film imprescindibile.

E’ un film con una trama molto semplice, lineare. La si potrebbe raccontare in quattro o cinque righe.

Però.

…Se però si avesse voglia di approfondire ci si accorgerebbe subito che tutto è molto meno semplice di quanto possa sembrare a prima vista.

Perchè Wajda ci parla non solo della Francia del 1790 ma anche della Polonia del 1980.

E se la polverosa storia  francese del 1700 si presta a una metafora della Polonia del 1980 chissà, vuoi vedere che magari al fondo di tutto questo ci sta qualcosa che va oltre la Francia e la Polonia?

E che magari riguarda l’Uomo in generale?

Ma forse è meglio andare con ordine, e per andare con ordine forse è meglio cominciare a raccontare la trama, nuda e cruda.

Chè è sempre dalle cose semplici, che bisogna partire.

Gerard Depardieu

Parigi, primavera del 1794.

II anno della Repubblica. Dal settembre del 1793 è in corso la prima parte del periodo del Terrore, quella in cui la fazione dei perdenti, e cioè dei meno estremisti, è condannata alla ghigliottina. La giovane Repubblica attraversa un momento di grave crisi. Le sue frontiere sono minacciate dalle forze realiste, mentre all’interno imperversano carestia, inflazione e la lotta tra le diverse fazioni.

Danton Wajda

In coda per il pane

Il deputato montagnardo Danton (Gerard Depardieu), che con Marat e Robespierre è uno dei grandi protagonisti della Rivoluzione, allarmato dalle notizie che gli giungono dalla capitale lascia la sua campagna ad Arcis-sur-Aube dove si era ritirato temporaneamente e ritorna a Parigi per cercare di arrestare il Terrore.

Morto Marat, un baratro ormai divide Danton e Robespierre. Benché abbia avuto gran parte nelle stragi, sia stato ministro della giustizia e membro del primo Comitato di salute pubblica, Danton ora vuole fermare il bagno di sangue: pensa che, abbattuta la monarchia, la Francia abbia bisogno di pace e tolleranza. Robespierre, al contrario, è convinto che per battere i nemici interni ed esterni la Rivoluzione non debba arrestarsi: anche a costo di essere ingiusti e crudeli, bisogna realizzare tutti i principi banditi dalla Carta dei diritti dell’uomo.

“Il bene del Paese ci impone di essere più che mai cinici”, dice ai componenti del Comitato di Salute Pubblica.

Molto popolare, Danton è appoggiato dalla Convenzione e dagli amici politici che hanno influenza sull’opinione pubblica. Primo fra tutti il giornalista Camille Desmoulins (Patrice Chereau), vecchio compagno di scuola di Robespierre e direttore del giornale Le vieux cordelier.

Sicuro di sè, Georges Danton sfida dunque Robespierre ed il potente Comitato di Salute Pubblica, l’organo del governo rivoluzionario le cui figure principali sono Robespierre (Wojciech Pszoniak) e Saint Just (Boguslaw Linda).

Patrice Chereau

Saint Just (Boguslaw Linda)

 

Danton Wajda

Tecnicamente sarebbe facile mandare sotto processo Danton, implicato com’è in parecchi affari di corruzione tra cui quello della Compagnia delle Indie. Robespierre però in un primo momento rifiuta di farlo arrestare perchè teme la collera delle classi popolari che hanno portato alla Rivoluzione e che amano molto Danton.

Il destino di Danton si gioca in un drammatico colloquio tra lui e Robespierre che si svolge in un scena “a porte chiuse” fondamentale del film.

In essa emergono in tutta la loro chiarezza le inconciliabili divergenze politiche ed i caratteri diametralmente opposti dei due leader della Rivoluzione superbamente interpretati dai due attori principali, il francese Gerard Depardieu e il polacco Wojciech Pszoniak.

La sequenza dell’incontro tra Danton e Robespierre è magnifica.

L’incontro si svolge in una piccola stanza di un palazzo parigino, in un’ opprimente atmosfera claustrofobica. Danton viene mostrato come un buongustaio (ha fatto preparare una cena raffinatissima e beve vino durante tutta la scena).

Danton Wajda

E’ solo lui che si alza, si muove, che occupa spazio, mentre nel frattempo spiega che si batte per il bene del popolo — che lui conosce bene e Robespierre invece no — affinchè possa ritrovare davvero la libertà che il governo del Terrore gli ha tolto. “Voglio che finisca il Terrore proprio perchè sono uno di quelli che l’ha instaurato”.

Danton  Depardieu

“Tu dimentichi che noi uomini siamo fatti di carne ed ossa! Che ne sai tu del popolo? Vuoi fare la felicità del popolo se tu stesso non sai cosa voglia dire essere un uomo?” ed ancora “Maxime, io me ne fotto dei Comitati!” sono soltanto alcune delle frasi sferzanti che getta in faccia a Robespierre.

Danton  Depardieu

Robespierre, di fronte a Danton, rimane immobile, dritto sulla sedia e tocca appena il suo bicchiere di vino, incarnando così l’idea della virtù che vuol fare trionfare.

Appare dogmatico, freddo, uno che fa rientrare l’idea della felicità del popolo in una sterile concezione teorica, uomo di governo che agisce in nome del popolo ma che non lo conosce, il popolo, perchè ne sta lontano. Non esita a minacciare Danton: “Se tu smetti di attaccarmi, ti prometto che non avrai nulla da temere”.

Danton  Depardieu

Ma la la rottura è consumata. Questa volta su proposta di Robespierre, il 30 marzo 1794, il Comitato di Salute Pubblica ordina l’arresto di Danton e dei suoi seguaci.

Danton  Depardieu

Robespierre fa arrestare anche Desmoulins, nonostante sia l’unica persona verso la quale sembra nutrire una parvenza di amicizia e di affetto.

Patrice Chereau

 

Patrice Chereau

Il processo che segue non è che una farsa. Danton usa tutta l’eloquenza che lo ha reso celebre per difendere il gruppo accusato.

Danton Depardieu
Danton Wajda

Robespierre e Saint Just assistono al processo

Fa di tutto per spingere il Tribunale rivoluzionario, a capo del quale c’è il Grande Accusatore Fouquier-Tinville, alle estreme conseguenze.

Danton Wajda

Senza testimoni, senza possibilità di difendersi, senza possibilità di ottenere la parola, i fedeli di Danton si rivolgono alla folla: “Popolo francese…” che manifesta loro la propria simpatia intonando La Marsigliese.

Danton Wajda

La voce tonante di Danton esalta la folla ed allora il giudice Fouquier-Tinville, dietro la pressione di Robespierre utilizza un decreto che tronca il dibattito e vieta alla stampa di scrivere. La sentenza è, ovviamente, la morte. Il gruppo è imprigionato, Desmoulins rifiuta la visita di Robespierre che vorrebbe risparmiarlo.

Vengono tutti ghigliottinati il 5 aprile del 1794.

Danton Wajda
Danton  Depardieu

Le ultime parole di Danton sono al boia Samson: “Tu mostrerai la mia testa al popolo, ne vale la pena”.

E Samson lo farà, afferrandola per i capelli dal fondo dell’orribile canestro. In quel momento, Robespierre è a letto febbricitante e nel suo tragico delirio, intuisce la sconfitta di una Rivoluzione basata sulla violenza.

Le scene finali mostrano un Saint Just esultante ma un Robespierre irrequieto e tormentato dal ricordo di quello che gli aveva profetizzato Danton nel corso del loro ultimo, fatale colloquio: il primo a cadere fra loro due avrebbe inevitabilmente trascinato l’altro alla rovina, e con essi sarebbe morta la Rivoluzione

Il film si chiude così. Ma noi sappiamo che lo stesso Robespierre verrà ghigliottinato appena due mesi dopo e il boia Samson mostrerà alla folla la sua testa.

Danton  Wajda

 

Il Danton di Wajda si presta ad una lettura almeno duplice: storica e politica. Certo, all’interno del film lo scontro si riduce a quello di due uomini: Robespierre e Danton, ma è chiaro che questi due personaggi incarnano, per il regista, due modalità di intendere la guida di una nazione: Danton la vita, il popolo, la passione; Robespierre il principio astratto, il calcolo, il cinismo politico.

Però è storicamente noto e documentato che, nella realtà, l’opposizione di Danton — arricchitosi con speculazioni di ogni tipo — al regime del Terrore derivava in realtà dalla necessità di non inimicarsi gli aristocratici e i borghesi arricchiti e gli usurai.

Lo scontro cui assistiamo è in realtà lo scontro tra due modalità diverse ma in qualche modo speculari di utilizzare “il popolo”.

A questo si aggiunge che il film di Wajda comporta un duplice discorso. Da una parte ricostruzione storica di uno dei più celebri processi politici della Rivoluzione per mostrarne l’ingiustizia, ma contemporaneamente, attraverso questo, denunciare le purghe dell’URSS e dei Paesi dell’Est. Un doppio discorso dunque, sulla Rivoluzione francese e sul comunismo, su una Francia dilaniata in quei tempi di Terrore e su una Polonia che subiva, negli anni ’80, il potere del generale Jaruzelski e di Mosca. Danton come Lech Walesa e Robespierre come Jaruzelski, dunque?

Si tratta, a mio parere, di un grande film, che però occorre saper decodificare.

Ho già detto delll’impianto teatrale del lavoro di Wajda. In effetti, il regista si è basato su due opere teatrali che sono La morte di Danton di Georg Büchner, un dramma romantico tedesco del 1835 dal quale sono tratte la trama e alcune citazioni e L’Affare Danton della drammaturga polacca Stanislawa Przybyszewska, una pièce scritta tra il 1925 et 1929.

Qualche parola su attori, musica e luoghi del film.

Danton è interpretato da un Depardieu a tratti rodomontesco che con la sua recitazione fisica diventa una forza della natura, espansivo e travolgente, che buca ed occupa la scena. Fa del suo personaggio il manifesto di un appello al volto umano della Rivoluzione.

A lui si contrappone in modo eccellente il rigido e monolitico Robespierre interpretato dall’ascetico e interiorizzato Pszoniak che tende a compensare i dubbi interiori che lo lacerano fino alla malattia con la maschera inflessibile di una razionalità spinta sino al punto di considerare la felicità del popolo come un fine da perseguire anche contro la sua stessa volontà come quando appoggia l’ordine d’arresto dell’amico Camille Demoulins.

Due grandissimi attori protagonisti e antagonisti.

Io conoscevo (e adoravo) Patrice Cherau come regista di quella che per me rimane il più bell’allestimento del Des Ring des Nibelungen (ne avevo parlato >>qui). E’ stata per me una bellissima sorpresa scoprire la sua bravura di attore, nel ruolo di Camille Desmoulins

La musica originale di Jean Prodomides, disarmonica, che alterna note gravi e molto acute, è estremamente efficace nel creare tensione. A partire dalla sequenza di apertura, in cui la carrozza che porta Danton e la sua seconda moglie a Parigi ottiene il via libera dai sanculotti che vigilano alle porte della capitale.

E infine: come potevo  non rimanere colpita dal fatto che l’ambientazione scelta per la prigionia di Danton e dei suoi fosse quel castello di Guermantes nel dipartimento di Seine-et-Marne al cui nome si ispirò Proust per alcuni dei personaggi più importanti della sua opera?

Danton Wajda

L’affaire Danton, 1983, Regia Andrzej Wajda, tratto dal dramma Il caso Danton di Stanislawa Przybyszewska, Soggetto: Stanislawa Przybyszewska, Sceneggiatura: Agnieszka Holland, Andrzej Wajda, Jacek Gasiorowski, Boleslaw Michalek, Jean-Claude Carrière

Interpreti e personaggi principali: Gérard Depardieu (Danton), Wojciech Pszoniak (Robespierre), Anne Alvaro (Eleonore), Roland Blanche (Lacroix), Patrice Chereau (Camille Desmoulins), Angela Winkler (Lucile Desmoulins), Boguslaw Linda (Saint Just)

Fotografia: Igor Luther, Musiche: Jean Prodromides, Montaggio: Halina Prugar; Scenografia: Allan Starski, Costumi: Wieslawa Starska, Anne De Laugardiere,Yvonne Sassinot de Nesle

Durata: 136′,Origine: Francia, Germania, Polonia.

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