IL MIO NOME E’ KATERINA – AHARON APPELFELD

Aharon APPELFELD, Il mio nome è Katerina (tit. originale Katerina), traduz. Elena Loewenthal, postfazione Susanna Nirenstein, pp. 240, Ugo Guanda Editore

Katerina, una contadina cristiana, una donna semplice, ritorna nel suo villaggio natale in Ucraina sessant’anni dopo la sua partenza. Seduta davanti alla finestra, Katerina ricorda la sua giovinezza negli anni precedenti la Seconda Guerra mondiale ed i tempi in cui era a servizio presso famiglie ebree. Fu accanto a loro, agli ebrei, che aprì gli occhi sul mondo. In questo romanzo molto potente e – lo vedremo – anche molto particolare sia in generale che nella stessa produzione narrativa dello scrittore israeliano Appelfeld delinea magistralmente un personaggio che assiste, impotente, all’orrore della Shoah.

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“VI PREGO, RUOTE, PARLATE, ED IO, IO PIANGERO’…”

Yitzhak Katzenelson
Yitzhak Katzenelson
(Fonte: Holocaust Historical Society
)

Nato nel 1886, Yitzhak Katzenelson divenne un intellettuale di spicco nell’ambito del movimento sionista attivo in Polonia. Rinchiuso nel ghetto di Varsavia, fu costretto ad assistere impotente alla deportazione di sua moglie e di due suoi figli a Treblinka, il 14 agosto 1943. Nel maggio del 1943, utilizzando un falso passaporto dell’Honduras, riuscì a trasferirsi in Francia, e qui scrisse in lingua yiddish – tra il 3 ottobre 1943 e il 17 gennaio 1944 – un terribile poema intitolato Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944, insieme ad un altro figlio, Katzenelson fu deportato ad Auschwitz. Il testo qui riportato è tratto dal canto n. 4 (dei 15 che, nell’insieme, compongono il poema); datato 26 ottobre 1943, descrive in forma poetica le deportazioni da Varsavia a Treblinka.

IV. I vagoni sono tornati!

1
Orrore e paura mi assalgono, mi soffocano –
i vagoni sono già di ritorno! Sono partiti solo ieri sera –
e oggi sono qui di nuovo, già pronti all’Umschlag [= abbreviazione di Umschlagplatz, posto di
smistamento, il luogo in cui gli ebrei erano caricati sui vagoni – n.d.r.].
Li vedi, là con le fauci aperte, spalancate nell’orrore?

2
Hanno ancora fame! Niente li sazia.
Aspettano gli ebrei! Quando glieli porteranno?
Sono affamati – come se non avessero già divorato i loro ebrei…
Ne hanno avuti tanti! Ma ne vogliono di più, ancora di più!

11
Vagoni vuoti! Eravate pieni, ed eccovi di nuovo vuoti.
Cosa ne avete fatto degli ebrei? Dove sono finiti?
Erano diecimila, contati e stivati – e voi siete qui di nuovo!
O vagoni, vagoni vuoti, ditemi dove siete stati!

12
Voi tornate dall’altro mondo, lo so. Non dev’essere lontano.
Solo ieri siete partiti carichi, e oggi siete già di ritorno!
Perché questa fretta? Avete così poco tempo?
Presto sarete vecchi come me, logori e grigi.

13
Solo a guardare, a vedere, a sentire tutto ciò – gevàld ! [= aiuto!, in lingua yiddish – n.d.r.] –
come fate, anche se siete di ferro e di legno?
O ferro, giacevi nel profondo della terra.
O legno, un giorno fosti un albero alto e fiero.

14
E ora? Ora siete vagoni, e state a guardare,
testimoni muti di un tale carico, di una tale pena.
In silenzio tutto avete osservato. Oh, ditemi, vagoni,
dove andate, dove avete portato a morire il popolo ebraico?

15
Non è colpa vostra – vi caricano e poi vi dicono: andate!
Vi fanno partire pieni e tornare vuoti.
Voi che tornate dall’altro mondo, ditemi una parola.
Vi prego, ruote, parlate, ed io, io piangerò…

26 ottobre 1943

(Y. Katzenelson, Il canto del popolo ebraico massacrato, Firenze, Giuntina, 1998, pp. 43-47. Versione poetica di D. Vogelmann dalla traduzione dallo yiddish di S. Sohn)

Purtroppo, attualmente questa edizione Giuntina del “Canto” che era corredata dalla prefazione di Primo Levi risulta, come si legge sul sito della casa editrice, non disponibile.

Il poema di Katzenelson è invece disponibile tradotto e curato da Erri De Luca e pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Feltrinelli. Qui la scheda del libro.

Varsavia, i treni per Treblinka
Ebrei caricati sui treni per Treblinka all’Umshlagplatz (punto di raccolta) di Varsavia durante l’occupazione nazista della Polonia.
(Fonte)
  • Yitzhak Katzenelson (in inglese) >>
  • Itzhak Katzenelson (in italiano) >>
  • Un video di Rai News su Itzhak Katzenelson ed il suo Canto del popolo yiddish messo a morte >>

*** La Giornata della Memoria su NSP:

2021, 2020, 2019, 2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010, 2009

IL GHETTO INTERIORE – SANTIAGO H. AMIGORENA

Santiago H. Amigorena, Il ghetto interiore (tit. orig.le Le Ghetto intérieur, 2019), traduz. dal francese Margherita Botto, p.144, Neri Pozza Editore, 2020

“Il 13 settembre 1940, a Buenos Aires, il pomeriggio era piovoso e la guerra in Europa così lontana da far credere di trovarsi ancora in tempo di pace. Avenida de Mayo, la grande arteria fiancheggiata da edifici liberty che va dal palazzo presidenziale a quello del Congresso, era quasi deserta; solo pochi uomini frettolosi che uscivano dai loro uffici in centro correvano sotto la pioggia riparandosi la testa con un giornale per prendere un autobus o un taxi e tornare a casa”

Tutto comincia nel 1940. Alcuni amici ebrei, immigrati in Argentina dalla Polonia, si ritrovano quasi ogni giorno al Caffè Tortoni e si chiedono: cosa sta succedendo in quella Europa da cui sono fuggiti in nave qualche anno prima? Interpretare le rarissime notizie che arrivano in Argentina è molto difficile.

Vicente Rosenberg è uno di loro, “Forse, […] semplicemente, se n’era andato da Varsavia come si partiva allora, pensando che avrebbe fatto fortuna all’estero e poi sarebbe tornato, sarebbe tornato e avrebbe rivisto sua madre, sua sorella, suo fratello. Forse, andandosene, non aveva mai pensato che non sarebbe tornato, che non li avrebbe mai rivisti.”

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LA GRANDE VIENNA EBRAICA – RICCARDO CALIMANI

Calimani La grande Vienna ebraicaRiccardo CALIMANI, La grande Vienna ebraica, pp. 229, Bollati Boringhieri

“Gioiosa Apocalisse”.
Così, con questo fulminante ossimoro Hermann Broch definì la Vienna degli anni tra il 1880 e il 1920 mentre un acronimo diventato famoso AEIOU (Austria Erit In Orbe Ultima, l’Austria resterà l’ultima al mondo), denotava una potenza infinita, ma anche l’ineluttabilità di una decadenza irreversibile.

Ne La grande Vienna ebraica Riccardo Calimani — ingegnere e filosofo della scienza, esperto di storia e cultura ebraica alle quali ha dedicato molte sue opere — ci conduce in un viaggio affascinante attraverso questo periodo storico della città, ci parla di questa “gioiosa Apocalisse” che sprofonda nella finis Austriae prima, nell’Anschluss e nel baratro nazista poi centrando l’attenzione sulla componente ebraica del mondo degli intellettuali e degli artisti, sul loro rapporto sia personale che come gruppo (o gruppi a volte anche decisamente contrapposti tra loro), con il proprio essere ebrei, con l’accettare o con il negare le proprie origini e le proprie radici, in una parola con l’ebraismo, con il nascente sionismo, con l’antisemitismo. Con l’ “odio si sè”, con il fortissimo e sincero amore per la cultura e per la lingua tedesca, con La Grande Illusione della perfetta assimilazione.

“Le strade di Vienna sono lastricate di cultura mentre altrove sono ricoperte d’asfalto”, osservò ironicamente Karl Kraus, ed effettivamente a mettere in fila anche soltanto alcuni dei nomi che, a cavallo dell’800 e del ‘900, si incontravano nell’area del Ring, nella Kärntnerstraße, nella Innere Stadt quello che ne risulta è a dir poco impressionante. A me è venuto subito in mente anche quel che scrisse il raffinato e corrosivo Musil ne L’uomo senza qualità: “Sì, benchè molte cose sembrino indicare il contrario, la Cacania era forse un paese di geni e probabilmente fu questa la causa della sua rovina.”
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LA CITTA’ SENZA EBREI – HUGO BETTAUER

Hugo Bettauer La città senza ebrei
Hugo Bettauer, La città senza ebrei. Il romanzo di dopodomani (tit. orig.le Die Stadt ohne Juden), traduz. Matilde de Pasquale, Presentazione Marino Freschi, pp.128, Chiarelettere

“Una sola muraglia umana assediava dall’Università a Bellaria il bell’edificio tranquillo ed elegante del Parlamento. Sembrava che tutta Vienna in quel giorno di giugno si fosse raccolta alle dieci del mattino là dove si sarebbe svolto un evento di portata storica imprevedibile. Cittadini e operai, gran signore e donne del popolo, adolescenti e vecchi, ragazze, bambini, malati in carrozzina: era un accorrere da ogni parte, un gridare generale, un gran far di politica e un gran sudare. Ovunque spuntava un qualche esaltato che improvvisamente rivolgeva alla gente che gli stava intorno un qualche discorso e di continuo si sentiva mugghiare il grido: ´Fuori gli ebrei!'”.

Le date sono importanti. Die Stadt ohne Juden, La città senza ebrei dell’austriaco Hugo Bettauer è del 1922. Quando lo scrisse, Bettauer non poteva immaginare che questo che lui stesso aveva sottotitolato “romanzo di dopodomani”,  concepito come commedia e satira si sarebbe rivelato un libro fin troppo premonitore.
Il romanzo uscì  a Vienna nel 1922, grandissimo successo, 250.000 copie vendute, tradotto in molte lingue. In Italia venne pubblicato solo nel 2000. Scomparso poi dalla circolazione, adesso è finalmente di nuovo disponibile grazie alla casa editrice Chiarelettere.
La trama di La città senza ebrei è semplice e lineare: il Parlamento austriaco promulga un editto per scacciare gli ebrei dall’Austria pur nel rispetto formale della legalità. Continua a leggere “LA CITTA’ SENZA EBREI – HUGO BETTAUER”

LA NECESSITA’ DEL RICORDO

 

Eisenhower a Buchenwald 1945
Aprile 1945.
Il generale Dwight Eisenhower e il generale Troy Middleton ispezionano Ohrdruf- complesso concentrazionario di Buchenwald
Foto William Newhouse. – United States Holocaust Memorial Museum

 

“Che si abbia il massimo della documentazione possibile – che siano registrazioni filmate, fotografie, testimonianze – perché arriverà un giorno in cui qualche idiota si alzerà e dirà che tutto questo non è mai successo”

(Generale Dwight D. Eisenhower, 1945)

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LA GUERRA TEDESCA – NICHOLAS STARGARDT

Stargardt La guerra tedesca
Nicholas Stargardt, La guerra tedesca. Una nazione sotto le armi 1939-1945 (tit. orig.le The German War), traduz. Filippo Verzotto, pp. 832, Neri Pozza

Nel 1939 i tedeschi, ancora traumatizzati dalla sconfitta e dal ricordo del 1918 non volevano affatto una nuova guerra. Nonostante ciò, la loro cieca determinazione fece sì che i combattimenti durassero fino al 1945.

Com’è stato possibile che il popolo tedesco, uno dei popoli più colti d’Europa abbia potuto aderire in massa — fino al disastro finale — all’impresa nazista?

Com’è stato possibile che siano caduti nella stragrande maggioranza nella trappola della propaganda orchestrata da Goebbels e dell’ideologia della razza di Rosenberg che confondessero una guerra intenzionale e brutale di conquista coloniale con una guerra alla quale erano stati costretti per difendere la patria dalle macchinazioni degli Alleati e dall’aggressione polacca? Perchè è a questo che ha creduto la maggior parte dei tedeschi. Com’era possibile che vedessero in se stessi dei patrioti provocati, attaccati, accerchiati anzichè dei guerrieri che si battevano per la “razza superiore” di Hitler?

Alla fine del 1941 i nazisti si rendevano ormai conto che non avrebbero potuto vincere la guerra. Tuttavia, la Seconda Guerra mondiale sarebbe durata ancora circa tre anni e mezzo. Com’è stato possibile che i tedeschi abbiano potuto resistere per così tanto tempo ai bombardamenti, malgrado le privazioni e le sconfitte? Si rendevano conto di stare combattendo una guerra genocida? In che misura credevano alle menzogne di un regime che li stava portando alla loro stessa rovina? Continua a leggere “LA GUERRA TEDESCA – NICHOLAS STARGARDT”

LA LIBERAZIONE DEI CAMPI – DAN STONE

 

Auschwitz 1945
27 Gennaio 1945. Soldati dell’Armata Rossa aprono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz
(Fonte)

“Presto euforia e tempesta delle emozioni si quietarono. C’era gioia, certo, eravamo liberi, i cancelli aperti, ma dove andare? La liberazione era arrivata troppo tardi, per i morti; ma anche per noi rimasti in vita. Avevamo perso le nostre famiglie, gli amici, le case. Non avevamo dove andare; non c’era nessuno ad attenderci da qualche parte. Eravamo vivi, certo. Eravamo scampati alla morte, non ne avevamo più paura; iniziò la paura della vita”
(Hadassah Rosensaft, una sopravvissuta di Belsen)

“Avevo sempre pensato e immaginato tra me e me che questo momento avrebbe avuto qualcosa di particolarmente entusiasmante, magari anche di sconvolgente, ma soprattutto di festoso. Non provai nulla di tutto ciò! Nessuna felicità, nessun entusiasmo, solamente un vuoto disperante e una paura terribile, paura di andare a casa, paura suscitata dalla domanda di che cosa vi avrei trovato, di chi avrei atteso invano. Questo occupava la mia testa al momento. Ero incapace di essere felice.”

(Lisa Sheuer, sopravvissuta a Theresienstadt, Auschwitz, Freiberg, Mauthausen)

“Paura della vita”. “Incapacità di essere felice”.

I filmati dell’Armata Rossa su Majdanek e Auschwitz, le scene di La vita è bella, di Schindler’s List e di molti altri film e documentari, le numerose mostre e i libri che ne hanno trattato, presentano la liberazione dei campi nazisti come un episodio unico e festoso. Ma non fu come nelle favole, non finì con il “… e poi vissero tutti felici e contenti”. In realtà, per ciascun sopravvissuto al lager migliaia di altri internati si ripresero molto lentamente, rimasero per sempre segnati nella mente e nel corpo dall’esperienza concentrazionaria; quando non ne morirono nel volgere di breve tempo dopo la liberazione. Alcuni, in uno stato di totale prostrazione, neppure si resero conto di essere liberati, e soltanto in seguito percepirono l’avvenuto cambiamento. Molti di noi tutto questo lo avevano intuito; che la liberazione dal campo non fosse stata la fine di tutto ce lo aveva fatto capire Primo Levi ne La tregua, ce lo ha fatto capire recentemente Liliana Segre con La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina della Shoah parlandoci delle loro personali esperienze. Ce ne parla oggi, attraverso una gran mole di documenti e di testimonianze di sopravvissuti e di liberatori/soccorritori lo storico inglese Dan Stone nel libro La liberazione dei campi. La fine della Shoah e la sua eredità.
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