Benedetta TOBAGI, La Resistenza delle donne, pp. 376, Einaudi, 2022
Moltissime donne hanno preso parte alla Resistenza, alla lotta dei patrioti italiani per la liberazione dal fascismo. Lo sapevamo. Non è dunque escluso che si apra questo libro con la convinzione di sapere già tutto, della Resistenza e delle donne italiane nella Resistenza. Già dopo poche pagine ci si accorge però che non è affatto così. Ma non voglio parlare certo a nome di tutti. Dichiaro solo che a me è successo proprio questo. Credevo di sapere ma ho scoperto che quello che sapevo non solo non era tutto, ma non era nemmeno abbastanza.
Ada Gobetti Marchesini Prospero, Diario partigiano, Introduzione a cura di Goffredo Fofi, Contributi di Italo Calvino, Postfazione a cura di Bianca Guidetti Serra, pp. 444, Einaudi
“Dedico questi ricordi ai miei amici: vicini e lontani; di vent’anni e di un’ora sola. Perchè proprio l’amicizia – legame di solidarietà, fondato non su comunanza di sangue, nè di patria, nè di tradizione intellettuale, ma sul semplice rapporto umano del sentirsi uno con uno tra molti – m’è parso il significato intimo, il segno della nostra battaglia. E forse lo è stato veramente. E soltanto se riusciremo a salvarla, a perfezionarla o a ricrearla al disopra di tanti errori e di tanti smarrimenti, se riusciremo a capire che questa unità, quest’amicizia non è stata e non dev’essere solo un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma è un valore in se stessa, perchè in essa forse è il senso dell’uomo – soltanto allora potremo ripensare al nostro passato e rivedere il volto dei nostri amici, vivi e morti, senza malinconia e senza disperazione.
Credo di dover incominciare il mio racconto da quel momento – verso le 4 del pomeriggio del 10 settembre 1943 – in cui, mentre con Paolo, Ettore e Lisetta stavo distribuendo manifestini all’angolo di via Cernaia e corso Galileo Ferraris, vidi, con occhi increduli, passare una fila d’automobili tedesche.”
Lo sto leggendo in questi giorni e ne sono conquistata. Questi sono libri che dovrebbero circolare nelle scuole, tra i ragazzi e le ragazze. Il Diario partigiano di Ada Gobetti, traduttrice, intellettuale, madre intelligente ed affettuosa, scrittrice e partigiana (nome di battaglia Ulisse) Medaglia d’Argento al valore militare per il suo contributo alla Resistenza, cui partecipò attivamente assieme al diciottenne figlio Paolo (le è a fianco in due delle foto qui sopra) è puntuale cronaca di anni terribili (1943 – 1945). Sono anni durissimi raccontati con semplicità e passione, e sono pagine avvincenti come un romanzo.
Nell’immediato dopoguerra fu Benedetto Croce, di cui era amica, ad esortarla a scrivere di questa straordinaria esperienza e lei lo fece, basandosi sugli appunti che in quegli anni aveva scritto quotidianamente in una minuscola agendina in un inglese criptato che poteva decifrare e capire solo lei.
Tornerò, spero, a parlare più nel dettaglio di questo libro a lettura ultimata. Intanto però ho voluto riportare qui la bellissima dedica iniziale e le prime righe di avvio del racconto di questa donna intelligente e coraggiosa.
“Le guerre sono grandi giochi. Ragazzotti viziati spostano soldatini di piombo su variopinte carte geografiche. Vi inseriscono il ricavato. Poi vanno a dormire. Le mappe volano nei cieli come aeroplani di carta, si posano sulle città, sui campi, sui monti e sui fiumi. Coprono la gente, ridotta a un ammasso di figurine che più tardi grandi strateghi smisteranno altrove, dislocheranno di qua e di là, insieme alle loro case e ai loro stupidi sogni. Le carte geografiche di dissoluti condottieri ricoprono quello che è stato, sotterrano il passato. Quando il gioco finisce, i guerrieri riposano. » E’ a quel punto che arrivano gli storici, a trasformare i giochi crudeli di chi non è mai sazio in menzogne alla moda. Viene dunque scritta una nuova Storia, la quale sarà annotata da nuovi condottieri su nuove carte, perchè il gioco non abbia mai fine.”
Liliana Picciotto Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah 1943-1945. Una ricerca del Centro di documentazione ebraica contemporanea, pp. 570, Einaudi Storia, 2017
“Gli ebrei presenti, alla fine di settembre del 1943, nell’Italia occupata, erano 38.994, di cui 33.452 italiani e 5.542 stranieri. Di tutti costoro, quelli identificati, arrestati e deportati (morti e sopravvissuti) oppure uccisi in Italia prima della loro deportazione, sono stati 7.172. Rimasero perciò non catturati e sfuggiti alla Shoah 31.822 ebrei, tra italiani e stranieri, oggetto di questa ricerca… Gli scampati rimasti in patria furono cioè più dell’81 per cento”.
Il volume è il risultato di un progetto di ricerca dedicato alla “Memoria della salvezza”, è il tentativo di rispondere ad una serie di domande e di spiegare attraverso quali percorsi, per il tramite di chi, con il concorso di quali fattori “un alto numero di ebrei d’Italia si sia potuto salvare durante il biennio 1943-45, mentre l’occupante nazista e il suo alleato fascista misero in pratica ogni sforzo possibile per opprimerli e non lasciare loro alcun margine di scampo”
Non occorre arrivare all’ultima pagina del romanzo per comprendere il senso del titolo che si rifà ad un passo della poesia “Flussi” di Eugenio Montale:
“La vita è questo scialo di triti fatti, vano più che crudele.”
Avevo letto Lo scialo decenni fa, Pratolini era ancora vivo. Poi il libro era scomparso dalla circolazione ed io avevo perso la mia copia. Due poderosi volumi di circa 1300 pagine dell’ edizione Mondadori che potete vedere in questa foto presa da un annuncio su eBay
Finalmente ristampato nel 2015 da Rizzoli, l’ho subito riacquistato in ebook. Di quella prima lettura conservavo infatti un ottimo ricordo e mi chiedevo se oggi, a distanza di anni, questo romanzo fiume (circa 1000 pagine in ebook) mi avrebbe delusa oppure no.
Terminata la rilettura, posso dire che non solo non sono rimasta delusa, ma che forse oggi ho apprezzato ancora di più questa sontuosa messa in scena corale — una decina di personaggi principali e vera folla di secondari appartenenti a tutte le classi sociali — della Firenze dai primi anni del ‘900 al 1935 circa. Gli anni bui della Grande Guerra e, poi, dell’ascesa del PNF, le squadracce, le repressioni.
Miriam Mafai, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale pp. 304, ed. Ediesse, 2008
“La tessera era un cartoncino grigio, con un numero, il nome e tanti tagliandini a ognuno dei quali corrispondeva una certa quantità di pasta, riso, olio, burro, zucchero”.
E pane. Un pane nero scadente che la popolazione italiana era costretta a mangiare durante gli anni della guerra.
«Roma era felice, quel 10 giugno 1940, com’erano felici Milano, Torino, Cosenza, Bari, Palermo, Bologna, Firenze. La guerra sarebbe durata poche settimane e la vittoria era sicura. Parigi stava per cadere. Presto sarebbe caduta anche Londra. Milioni di donne preparavano la cena a milioni di uomini, mentre alle otto in punto, annunciate dall’uccellino della radio, nelle case italiane tornavano a farsi sentire le parole di Mussolini: “L’ora della decisione suprema è scoccata…”».
Cominciò così, in una serata estiva, l’avventura di guerra dell’Italia fascista. Durò cinque anni, durante i quali centinaia di migliaia di donne combatterono la più lunga battaglia della loro vita: contro la fame, contro le bombe, contro una guerra la cui fine si allontanava di giorno in giorno, sempre di più.
Il libro di Miriam Mafai ci presenta uno spaccato di quella guerra raccontandocela attraverso testimonianze dirette di donne che l’hanno vissuta in prima persona.
“Le storie che ho qui raccontato sono tutte storie vere. Alcune di coloro con cui ho parlato hanno desiderato non vedere pubblicato il loro nome e sono state accontentate. Altre donne appaiono invece qui con il loro nome e cognome. Altre infine sono assai facilmente riconoscibili. In una storia collettiva, come questa vuol essere, eventuali particolari modificati, per desiderio delle interessate o per esigenze del racconto, non incidono sulla autenticità della vicenda.”