LE GUERRE SONO GRANDI GIOCHI

Dasa Drndic Trieste

“Le guerre sono grandi giochi. Ragazzotti viziati spostano soldatini di piombo su variopinte carte geografiche. Vi inseriscono il ricavato. Poi vanno a dormire. Le mappe volano nei cieli come aeroplani di carta, si posano sulle città, sui campi, sui monti e sui fiumi. Coprono la gente, ridotta a un ammasso di figurine che più tardi grandi strateghi smisteranno altrove, dislocheranno di qua e di là, insieme alle loro case e ai loro stupidi sogni. Le carte geografiche di dissoluti condottieri ricoprono quello che è stato, sotterrano il passato. Quando il gioco finisce, i guerrieri riposano. » E’ a quel punto che arrivano gli storici, a trasformare i giochi crudeli di chi non è mai sazio in menzogne alla moda. Viene dunque scritta una nuova Storia, la quale sarà annotata da nuovi condottieri su nuove carte, perchè il gioco non abbia mai fine.”

Daša Drndić, Trieste. Un romanzo documentario, traduz. di Ljiljana Avirović, pp. 446, Bompiani, 2016

“DAVANTI SI POTEVA VEDERE LA COSTA FRANCESE…”

 

Hemingway e Capa_Giugno1944_Portland
Robert Capa ed Ernest Hemingway alla base navale di Portland, Giugno 1944
(fonte)

“Nessuno ricorda la data della battaglia di Shiloh. Ma il giorno in cui prendemmo la spiaggia Volpe Verde era il 6 giugno, e il vento soffiava forte da nordovest. Man mano che procedevamo verso la terraferma nella luce grigia del primo mattino, i battelli d’acciaio da trentasei piedi a forma di bare ricevevano solide lamine verdi d’acqua che andavano a cadere sulle teste coperte da elmi dei soldati, stipati spalla a spalla nel difficile, goffo, scomodo, solitario cameratismo degli uomini che vanno alla battaglia. C’erano casse di tritolo avvolte in salvagente di tubi di gomma per galleggiare nella risacca, accatastate a prora nella sentina d’acciaio dell’LCV (P) , e c’erano pile di bazooka e scatole di proiettili di bazooka protette da rivestimenti che ricordavano gli impermeabili trasparenti delle studentesse. Anche a questo materiale erano stati legati con delle cinghie salvagente in tubi di gomma, mentre gli uomini portavano questi stessi tubi grigi legati sotto le ascelle.Quando l’imbarcazione si levava sul mare, l’acqua da verde diventava bianca e andava a sbattere sugli uomini, le armi e le casse di esplosivo. Davanti si poteva vedere la costa francese. La massa grigia, imboschita di bome e di picchi da carico, dei mezzi d’assalto era ormai dietro di noi e su tutto il mare le imbarcazioni stavano strisciando in direzione della Francia.

[…]

Sono molte le cose che non ho scritto. Si potrebbe scrivere per una settimana senza attribuire a tutti i meriti per ciò che hanno fatto su un fronte di 1135 iarde. La guerra vera non è mai come quella sui giornali, e i resoconti che se ne leggono non assomigliano molto al suo aspetto effettivo. Ma se volete sapere qual era la situazione a bordo di un LCV (P) il D-Day quando prendemmo la spiaggia Volpe Verde e la spiaggia Facile Rosso il 6 giugno 1944, questa è la migliore approssimazione alla quale posso arrivare.”

Hernest Hemingway, Viaggio verso la vittoria -Voyage to Victory, corrispondenza di guerra per la rivista ´Collier’s. Articolo pubblicato il 22 luglio 1944
In By-Line, traduz. Giorgio Monicelli, p. 496, Oscar Mondadori, 2011. Ne avevo parlato >> qui

  • Robert Capa, foto dello sbarco >>
  • Le spiagge del D-Day >>

MEZZANOTTE A PARIGI – DAN FRANCK

Dan Franck Mezzanotte a Parigi
Dan FRANCK, Mezzanotte a Parigi. La capitale della cultura mondiale nel momento più difficile: l’occupazione nazista (tit. orig. Minuit), traduz. Doriana Comerlati, pp.512, Fotografie in bianco e nero, Garzanti

Parigi e la sua intellighentia, Parigi e i suoi artisti, Parigi e i rappresentanti della sua cultura.

Il tema dei due precedenti volumi Montmartre e Montparnasse (la Parigi dei primi anni del Novecento) e Libertad! (la Parigi degli anni della guerra civile spagnola) rimane al centro dell’interesse dello scrittore francese Dan Franck anche in questo terzo volume di quella che ormai si può considerare una vera e propria trilogia.

“Mezzanotte a Parigi” vuole rispondere alla domanda: come si comportarono scrittori, pittori, attori e registi di teatro e del cinema, musicisti e cantanti, editori piccoli e grandi, giornalisti negli anni più bui dell’occupazione nazista di Parigi e della Francia?

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LA FEDE E (E’) LA GUERRA

Gustave Dore Crociati
Dire: “la guerra è religione” ci conduce solo a metà strada. Al di là, troviamo un enunciato ben più grave: la religione è guerra
[…]
Dove la vita è vissuta nei miti, gli dei sono così palesemente presenti nell’animazione della vita che non hanno bisogno della nostra fede.

La fede è invece la componente psicologica essenziale della religione. Senza la fede, sacrifici, preghiere, atti di devozione sono gesti vuoti. Ed è la fede che ci porta alla guerra.

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EROISMI [2]

Hillman

In un momento chiave del celebre film sul generale Patton, un memorabile George C. Scott passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri.

Volgendo lo sguardo a quello scempio, esclama:

«Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita»

Considero Hillman uno dei miei Maestri. Permettetemi di citarlo.

JAMES HILMAN
James Hillman

L’ARMATA SCOMPARSA. L’AVVENTURA DEGLI ITALIANI IN RUSSIA – ARRIGO PETACCO

L'armata scomparsa
Arrigo PETACCO, L’armata scomparsa. L’avventura degli italiani in Russia, p.240, Mondadori, Collana Oscar Storia, 2010, ISBN 9788804595878

Qualche settimana fa mi sono improvvisamente resa conto (succede!) di aver letto parecchi libri sulla Seconda guerra mondiale (ed altri ho in programma di leggerne, sia di  narrativa che di saggistica) ed in particolare sul fronte russo, su Stalingrado, sui massacri degli ebrei in Ucraina, sulle nefande imprese delle SS e delle Einsatzgruppen.

Mi sono accorta di avere ormai   dimestichezza con   molti  nomi di generali tedeschi come Friedrich Paulus, Von Manstein e Guderian o russi come Cuikov (Zukov)  o Eremenko ma…e gli italiani?!

Mi sono    accorta   cioè  del fatto che quel poco che sapevo sulle vicende degli italiani in Russia era costituito più che altro da un disorganico e confuso insieme di spezzoni di film, qualche brano di letteratura, qualche documentario visto distrattamente in televisione.

La sola lettura del pure ottimo Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern non poteva certo essere sufficiente per conoscere il dramma dei militari italiani scaraventati sul fronte russo da un ambizioso ed incosciente Mussolini bramoso soprattutto di assicurarsi la sua parte di bottino nel momento della spartizione delle spoglie di un nemico sovietico che pensava sarebbe rimasto travolto nel giro di poche settimane dalle potenze dell’Asse (“Mi bastano un migliaio di morti da gettare sul tavolo delle trattative” aveva risposto a Badoglio che, come Capo di Stato Maggiore, aveva avanzato gravi riserve sulla preparazione delle truppe italiane)

Ho cercato allora un testo che senza essere specialistico mi consentisse un primo approccio fornendomi la cronologia degli avvenimenti, mi facesse prendere dimestichezza anche con divisioni, battaglioni, schieramenti italiani, mi desse i nomi dei loro comandanti, consentendomi insomma di farmi un’idea meno nebulosa di quella che possedevo sul tema “gli italiani in Russia”.

Ho comprato questo libro di Petacco e l’ho letteralmente divorato in un paio di giorni.

Documentato, corredato da una utilissima bibliografia, molto dettagliato ma scritto con uno stile asciutto e coinvolgente, il racconto percorre tutto il dramma degli italiani coinvolti nella campagna di Russia nella Seconda guerra mondiale: la partenza per il fronte, i tremendi combattimenti, la ritirata, il dramma dei dispersi, la vita (e la morte!) dei prigionieri di guerra nei gulag sovietici.

Grandi pregi di questo libro sono, per me, la pacatezza del racconto, l’equilibrio nei giudizi, l’assenza di schematismi e di valutazioni di parte pilotati da una ideologia, la giusta e doverosa valorizzazione da parte di Petacco dell’eroismo dimostrato da tanti soldati italiani in quella terribile situazione facendo questo senza però mai scadere nella retorica militarista.

Bellissime e malinconiche le pagine dedicate alla memorabile carica del Savoia Cavalleria nella battaglia di Isbucenskij alla fine della quale Petacco commenta: “L’esercito italiano sapeva fare bene le cose che non servivano più, e male quelle che sarebbero state necessarie nella guerra che stava combattendo” , e non esito a definire struggenti ed epiche quelle dedicate agli alpini sul Don ed ai tanti esempi di vero e proprio eroismo individuale mostrato da bersaglieri, carabinieri, ragazzi della fanteria in tante e tante occasioni.

Scrive Petacco: “Se durante la campagna di Russia il Corpo di spedizione italiano, come macchina bellica, non diede […] risultati complessivi rimarchevoli, vi furono tuttavia dei reparti che, quanto a combattività e spirito di sacrificio, spesso eguagliarono o addirittura superarono gli alleati tedeschi”

Petacco mostra grande umanità quando parla anche, per esempio, di tanti piccoli dettagli apparentemente marginali della vita quotidiana dei soldati al fronte, ma non tace il degrado, lo sbandamento, gli orrori ed il precipitare a livello subumano di tanti uomini che, distrutti dal freddo, dai congelamenti della ritirata prima e dalle terribili “marce del davai” imposte dai russi ai prigionieri di guerra e dagli orrori del gulag poi dimenticano qualunque sentimento di solidarietà umana arrivando, per la fame, a veri e propri atti di cannibalismo.

Tante sono le pagine sinceramente commosse e commoventi, nessuna però melensa o strumentalmente “strappalacrime”.

Ritirata dalla Russia 2wwLa descrizione della ritirata è straziante : se nell’estate ’42 oltre duecento lunghe tradotte avevano trasportato dall’Italia alla Russia il corpo d’armata alpino, nella primavera del ’43 ne basteranno soltanto diciassette, e piccole, a rimpatriare i superstiti. Per dare un’idea di quella disfatta nelle nevi del Don cito solo le cifre della della divisione Cuneense: la divisione, che al 30 settembre ’42 contava 15.846 uomini di truppa, 542 ufficiali e 681 sottufficiali, registra 13.470 fra morti e dispersi 2.180 fra feriti e congelati, pari a un totale di 15.650 uomini.

Un corpo d’armata alpino mandato allo sbaraglio, senza indumenti invernali, senza armi adeguate, senza nemmeno sapere dove e come sarebbe stato impiegato dai tedeschi soltanto per un altro criminale sogno imperialista di Mussolini: “Caro Messe”–ha detto il duce al comandante dell’Armir “al tavolo della pace peseranno molto i suoi 200.000 uomini”.

L’ultimo capitolo, in cui Petacco parla del ruolo di Togliatti e di molti dirigenti di primo piano dell’allora PCI nel travagliato (non solo non desiderato ma anzi addirittura ritardato) rientro in Italia dei prigionieri di guerra nel 1954 mi ha fornito davvero abbondante materiale su cui riflettere…

Ho imparato molto, da questo libro in cui, leggendo delle vicende di alpini e bersaglieri, carabinieri e soldati a cavallo, ho finalmente preso dimestichezza anche con tanti nomi italiani.

Il racconto, poi, di molte singolarissime manifestazioni di quella che Vasilij Grossman avrebbe definito “bontà folle e insensata” verificatesi non raramente anche tra militari tra loro nemici (i russi e gli italiani) mi ha convinta una volta di più dell’orrore di ideologie totalitarie che macinano il singolo individuo e della validità di quello che ha scritto Grossman in Vita e Destino, e cioè di quanto sia importante poter decidere di se stessi e non esser costretti a subire una sorte decisa da altri.

DAI TACCUINI DI GUERRA DI VASILIJ GROSSMAN – LA RITIRATA DEL 1941

Russian soldiers 1941

I Taccuini di guerra di Vasilij Grossman non sono stati ancora pubblicati in italiano, perciò la traduzione dal testo francese (che a sua volta è una traduzione dall’originale russo) è mia.

Molto dilettantesca ed artigianale, mi rendo conto, ma la potenza della scrittura di Grossman è tale che — di questo sono certa — riesce ad emergere comunque.

LA RITIRATA DEL 1941

Bombardieri tedeschi 1941

Ottobre 1941. Dopo la distruzione di Gomel da parte dei tedeschi, la 50° Armata dell’esercito sovietico comandata dal generale Petrov al seguito del quale si trova Grossman è in rotta, in fuga verso il sud, bombardata dagli aerei tedeschi e incalzata dai carri armati di Guderian che mette in atto una grande operazione di accerchiamento per abbattere Kiev.

Grossman annota ciò che vede di questa gigantesca ritirata in pagine che si stenta a credere siano soltanto appunti presi al volo e non ancora rielaborati.

Pensavo di sapere che cosa fosse una ritirata, ma una cosa simile non solo non l’avevo mai vista, ma non ne avevo la minima idea. L’Esodo! La Bibbia! Le vetture avanzano disposte in otto file; in un urlare straziante, dozzine di camion cercano contemporaneamente di tirarsi fuori dal fango. Enormi mandrie di montoni e di mucche vengono spinte per i campi; cigolano carrette trainate da cavalli, migliaia di carri ricoperti di teloni impermeabili colorati, di legno compensato, di latta, con dentro sfollati venuti dall’Ucraina; ancora più lontano marciano masse di gente a piedi cariche di sacchi, fagotti, valige. Non è una corrente, non è un fiume, è il lento movimento di un oceano che si riversa, un movimento che si sviluppa per parecchie centinaia di metri a destra e a sinistra. Da sotto le tettoie che ricoprono i carri spuntano teste bionde e brune di bambini, le barbe bibliche dei vecchi Ebrei, quelle rovinate dei contadini, i copricapi dei nonni ucraini, ragazze e donne dai capelli neri. E che serenità nei loro occhi, che saggezza nel loro dolore, che senso del destino, di una catastrofe mondiale!

Sfollati sovietici 1941

La sera, da sotto molti strati di nuvole blu scuro, nere e grige, appare il sole. I suoi raggi sono larghi, enormi, percorrono lo spazio tra cielo e terra come nei quadri di Gustave Doré che rappresentano le terribili scene bibliche dell’arrivo sulla Terra delle celesti forze vendicatrici. In questi larghi raggi gialli, il movimento dei vecchi, delle donne con i neonati in braccio, delle mandrie di montoni, dei soldati assume una grandezza ed una tragicità tale che per alcuni momenti l’illusione di essere stati trasportati ai tempi delle catastrofi bibliche è completa.

Tutti guardano il cielo, non nell’attesa della venuta del Messia, ma nell’attesa dei bombardieri tedeschi. Improvvisamente delle grida: “Eccoli! Arrivano, arrivano!”

Molto in  alto nel cielo, con un movimento lento e perfettamente regolato, navigano a triangolo dozzine di aerei, si dirigono dalla nostra parte. Dozzine, centinaia di persone si precipitano sotto i camion, saltano fuori dalle cabine e corrono in direzione della foresta. Come una peste che si scatena, il panico si impadronisce di tutti, la folla di coloro che corrono aumenta di secondo in secondo.

E,  al disopra della folla, il grido penetrante di una donna: “Fifoni, fifoni, sono solo  gru che volano!”. Confusione.

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Le immagini:

  • Inverno del 1941. Soldati sovietici combattono gli invasori tedeschi
  • Aerei da guerra tedeschi in volo per bombardare le città sovietiche, 22 giugno 1941
  • Una colonna di sfollati dopo l’invasione tedesca del territorio sovietico nel giugno del 1941

I TACCUINI DI GUERRA DI VASILIJ GROSSMAN

Vasilij Grossman
Vasilij Grossman all’aerodromo di Ziabrovski, vicino Gomel, agosto 1941

Durante la Seconda Guerra mondiale Vasilij Grossman, il futuro autore di Vita e Destino, è corrispondente speciale per conto del giornale dell’Armata Rossa ‘Krasnaïa Zvezda’.

Per l’URSS la guerra è cominciata il 22 giugno del 1941 con l’invasione tedesca dei territori russi battezzata da Hitler “Operazione Barbarossa”.

Grossman, come centinaia di migliaia di altri cittadini sovietici, si presenta volontario e il 5 di agosto 1941 viene mandato  al fronte come inviato speciale di Krasnaïa Zvezda (Stella Rossa), il giornale ufficiale dell’armata sovietica per il quale lavorano anche altri scrittori come Constantin Simonov, Ilya Eheremburg, e poi Andrei Platonov.

Grossman segue così — eccezionale testimone in prima linea — tutto lo svolgimento del conflitto: dalla disfatta e dalla ritirata dei sovietici nella prima fase dell’ Operazione Barbarossa (giugno 1941) sino alla battaglia di Berlino nel maggio del 1945 fermando nei suoi taccuini tutto ciò che vede e che colpisce la sua sensibilità.

La guerra si rivelerà una tappa fondamentale nel percorso che porta lo scrittore a prendere coscienza dei crimini del regime in cui è cresciuto ed al quale ha sinora aderito.

Grossman annota fatti e cifre, ma anche sensazioni, emozioni; si appunta aneddoti, brani di conversazione, liti e discussioni tra i comandati dell’Armata Rossa,  gli eroismi dei soldati e della gente comune; speranze e paure sue e di coloro che lo circondano: militari, contadini, povera gente delle città assediate o di  villaggi sperduti nelle immense distese dell’Ucraina e dello sterminato territorio delle Repubbliche Sovietiche.

Alcuni di questi appunti vengono immediatamente rielaborati e trasformati negli articoli destinati al giornale Stella Rossa.

Grossman serve la causa sovietica sul fronte con un orgoglio evidente che gli fa dimenticare i pericoli — fisici ma anche politici — cui va incontro. Scampato più volte alla morte come per miracolo, scrive articoli che gli guadagnano l’ appassionata adesione dei lettori del giornale e lo pongono in prima linea tra i propagandisti sovietici.

Altri appunti costituiranno più tardi — assieme alle lettere inviate a parenti o a giornalisti e scrittori amici come Ehremburg — la “materia prima” dei grandi romanzi Il popolo è immortale, Per una giusta causa e soprattutto di quello che sarà il grande capolavoro Vita e Destino.

Tutti gli appunti descrivono quello che lo stesso Grossman definisce “La verità impietosa della guerra”. La loro scoperta da parte del KGB sarebbe stata molto probabilmente fatale, per Grossman, che sempre di più critica propaganda, tattica e strategia ed insomma la gestione del conflitto da parte di Stalin e dei suoi più stretti collaboratori.

La lettura de Taccuini di guerra di Grossman è un’esperienza appassionante e anche sconvolgente perchè in questi testi buttati giù di getto e senza preoccupazioni  letterarie, si vede da subito l’eccezionale sensibilità descrittiva del romanziere come quando, ad esempio, evoca “l’odore abituale del fronte: qualcosa tra l’obitorio e la fucina”.

Questi appunti, che culminano nella tremenda descrizione dell’ “inferno di Treblinka” forniscono la misura del tormento personale che, durante tutta la guerra, opprime Grossman: nel 1941, infatti, egli non ha potuto far fuggire da Berdicev   sua madre che morirà vittima dei primi massacri commessi in Ucraina dai Tedeschi con l’aiuto e il sostegno di molti civili e cittadini ucraini.

Grossman farà rivivere la madre attraverso la commovente figura di Ira Sturm, in Vita e Destino. Ma questo non allevierà il senso di colpa che lo ossessionerà fino alla morte.

Grossman Carnet Attraverso questi scritti scopriamo la vita quotidiana dell’Armata Rossa ma anche della popolazione. Restrizioni, ritirate, sacrifici, attacco, difesa del suolo russo, liberazione… vediamo il popolo russo vivere al ritmo dell’avanzata delle armate di Hitler e delle disfatte dell’armata staliniana.

Con i Taccuini abbiamo   un’opera che presenta almeno tre grandi aree di interesse.

Troviamo innanzitutto una storia della seconda guerra mondiale vista da parte dei sovietici attraverso gli occhi di un giornalista di grande talento.

Le pagine di Grossman ci accompagnano lungo la terribile disfatta e la grande ritirata del 1941, la presa di Orel, la ritirata davanti Mosca, la battaglia di Stalingrado, quella di Koursk, la riconquista da parte dei sovietici dei loro territori occupati e la loro avanzata attraverso l’Europa centrale.

Grossman descrive l’entrata delle truppe sovietiche a Varsavia, poi a Lodz e Poznam, racconta cos’è avvenuto durante l’occupazione nazista.

Arrivati finalmente in Germania descrive — con grande onestà intellettuale e raccapriccio — i saccheggi e gli stupri commessi dall’armata sovietica, descrive la presa di Berlino e conclude il suo percorso con l’ingresso dentro ciò che rimane della Cancelleria di Adolf Hitler.

Abbiamo    un contributo prezioso all’approfondimento della biografia di Vasilij Grossman, perchè queste pagine  ci consentono  di seguirne il percorso, ma anche gli interessi, i dubbi, gli interrogativi e gli choc  da lui  subiti durante la seconda guerra mondiale.

Patriota convinto, lo scrittore si impegna al massimo a descrivere l’exploit del popolo sovietico nel corso di quella che non a caso è rimasta nella storia con la definizione di “Grande guerra patriottica” ma allo stesso tempo non nasconde nulla di ciò che egli chiama, come ho già ricordato, “la verità impietosa della guerra”.

Pagina dopo pagina, la disperazione della disfatta e l’indignazione verso l’incapacità dell’alto comando fanno spazio alla speranza delusa di una liberazione (militare) senza libertà (politica) ed alla desolata constatazione dell’onnipresenza della violenza della guerra e di una barbarie che contamina tutto e tutti.

Nella vita di quest’uomo che con le sue origini giudaiche non ha più, dai tempi della Rivoluzione bolscevica che un tenue  legame (la famiglia di Grossman era composta di ebrei laici) irrompe poi — e nella maniera più atroce — la questione ebraica.

Da un lato Grossman, che si è unito al Comitato antifascista ebreo (CAJ) constata che l’antisemitismo è sempre presente in URSS. Dall’altro, accompagnando le truppe che inseguono i nazisti, scopre l’ampiezza dei massacri che questi hanno commesso nei confronti degli ebrei nei territori occupati.

Viene a sapere che sua madre è stata assassinata dalle Einsatzgruppen e farà di lei uno dei personaggi più commoventi di Vita e Destino.

Sulla via di Berlino, scopre con orrore i campi di concentramento di Maidanek e l’inferno di Treblinka.

Più che mai rigoroso, annota fatti, cifre, ogni genere di dati.

Redige articoli sullo sterminio degli ebrei per un Libro Nero dedicato agli stermini nazisti, ma la pubblicazione di quest’opera verrà proibita dalle autorità sovietiche che non vogliono presentare gli ebrei come  principali vittime della guerra.

Sconvolto dai massacri sistematici dei quali ha scoperto l’ampiezza, Grossman comincia a riflettere sul legame tra questi crimini e la natura dei regimi totalitari.

C’è un’immagine — terribile — che nei Taccuini torna due volte: è quella della terra delle fosse comuni che  si muove e “vomita” i resti dei corpi che non riesce più ad assorbire e che, agli occhi di Grossman,  accomuna  i morti tedeschi in rotta sulla Bérézina nel 1943 agli ebrei assassinati a Treblinka…

Ancora un a volta, “l’impietosa verità della guerra”…

I Taccuini sono infine una formidabile fonte per tutti coloro che vogliono conoscere la materia prima su cui lo scrittore si è basato per i suoi racconti e i suoi romanzi di guerra e permette di valutare le eventuali differenze tra gli appunti presi “sul terreno” e la la loro rielaborazione letteraria.

C’è un aspetto, negli appunti i Grossman, estremamente importante.

Nonostante sia preso in pieno dalla furia della guerra, Grossman presta sempre una grandissima attenzione all’essere umano in quanto tale, all’essere umano anche il più semplice, il più insignificante; dal giovane prigioniero tedesco alla piccola contadina russa dai piedi nudi e sporchi. Delinea ritratti di militari e di civili, ne trascrive le conversazioni di cui si trova ad essere testimone o che gli riferisono i soldati da lui intervistati.

Parla degli stati d’animo, descrive la collera, la disperazione. Descrive i minimi dettagli della vita di ogni giorno, descrive i feriti che, all’ospedale, si impadroniscono dei giornali per poter con la loro carta farsi delle sigarette, quegli abitanti di Stalingrado che mangiano zuppa di cavolo all’ingresso di una casa bruciata.

L’attenzione di Grossman per i dettagli concreti e, soprattutto, verso gli esseri umani di ogni età e di ogni livello sociale è straordinaria.

Egli racconta con pudica tenerezza le storie dei suoi personaggi, le loro reazioni, i loro sentimenti, i loro sorrisi, i loro piedi che  sono spesso nudi e neri di fango e sporcizia.

I suoi scritti sono impregnati di dolcezza e compassione, ed è questo che li rende diversi da altri resoconti di guerra troppo spesso dominati interamente da idee e principi e che non lasciano spazio alle sensazioni ed alle emozioni.

Tornerò, su questi scritti, perchè troppe cose ancora ho da dire.

Per ora mi fermo qui.

I preziosissimi Taccuini di guerra di Vassilij Grossman, ritrovati nel 1955 negli archivi russi non esistono in italiano ma sono già da tempo pubblicati in Inghilterra e in Francia dove, detto tra parentesi, anche tutte le altre opere di Grossman sono   presenti in catalogo già persino in edizioni economiche.

Uno storico inglese, Antony Beevor, ha  —  insieme a Luba Vinogradova —   non solo selezionato e messo in ordine gli appunti di Grossman ma li ha anche “legati” tra loro fornendo utilissime notizie facilitando così di molto, a me lettrice comune, la contestualizzazione storica di ciò che andavo  leggendo.

Il volume, uscito nel 2005 in Inghilterra con il titolo A Writer at War è stato poi tradotto e pubblicato in Francia dalla casa editrice Calman-Lévy.

Non si tratta di un’edizione scientifica integrale, dotata di un apparato critico, ma di una raccolta di estratti dei Taccuini, di lettere e di testimonianze

Per questo motivo, la casa editrice francese Calman Lévy   (è questa l’edizione dei    Carnets che  ho letto io)  avrebbe fatto bene a mantenere il titolo originale inglese A Writer in War, che meglio esprime l’aspetto composito del libro, in cui si mescolano, come ho detto,  estratti di scritti diversi.

Spero proprio, in ogni caso, che anche in Italia si decidano a tradurre e pubblicare al più presto questi taccuini, perchè essi costituiscono una lettura fondamentale sia per chi conosca già il capolavoro Vita e Destino sia per chi non lo abbia ancora affrontato.

Vasilij Grossman Carnets de guerre

Vasilij GROSSMAN, Carnets de Guerre de Moscou a Berlin 1941- 1945, Textes choisis et présentés par Antony Beevor et Luba Vinogradova.
Traduit de l’anglais et du russe par Catherine Astroff et Jacques Guiod , p.510, ill. in B/N, 2008, ISBN 2253122491

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