LA GRANDE SIGNORINA (IVY COMPTON – BURNETT)

Ivy Compton-Burnett Tradimenti. Incesti. Infanticidi. Adulteri. Figli dodicenni che cercano di assassinare il genitore. Testamenti trafugati o falsificati. Aborti e nascite clandestine. Tranquille dimore della campagna inglese popolate da patriarcali famiglie vittoriane che, sotto la decorosa vernice di rispettabilità covano serpi velenosissime ed in cui “si perpetra, si perpetra, si perpetra”.

Tutto questo e di più, c’è nei romanzi di Ivy Compton-Burnett, scrittrice inglese nata nel 1892 e morta nel 1969. La “Grande Signorina”, come la chiamò Alberto Arbasino.

Parliamoci chiaro: Ivy Compton-Burnett è uno di quegli autori che si ama alla follia o si scaraventa fuori dalla finestra dopo una trentina di pagine. Il suo stile narrativo, fatto essenzialmente di dialoghi serratissimi, conversazioni ciniche e brillanti e aforismi fulminanti, non consente mediazioni. Io dichiaro formalmente di appartenere alla prima tipologia di lettori. Sono una compton-burnettiana entusiasta  

Ho letto la maggior parte dei suoi romanzi  (ne ha scritti diciotto) parecchi anni fa, uno dietro l’altro. Non riuscivo a fermarmi. In questi giorni, ciondolando tra le librerie di casa ho ripreso  in mano uno dei suoi libri  e… sono stata subito risucchiata nel vortice della sua micidiale scrittura.
E così, senza quasi nemmeno accorgermene, ancora una volta mi sono trovata a deliziarmi con la lettura di Servo e serva ed arrivata all’ultima pagina, ho subito attaccato Fratelli e sorelle. Ivy Compton-Burnett ha il potere di ipnotizzarmi. La sua scrittura me la godo parola per parola, ogni sua frase la incornicerei, non potrei citarla perchè dovrei citarla tutta. Nonostante il suo pessimismo radicale, la sua lettura  mi mette grande allegria.

Su di lei hanno scritto pagine straordinarie Alberto Arbasino e Natalia Ginzburg.
Giorgio Manganelli le dedicò il saggio In onore di Ivy Compton-Burnett in La letteratura come menzogna e scrisse tra l’altro: “…nei romanzi di questa straordinaria scrittrice, la materia più torva è dissanguata e imprigionata in una struttura di rigida coerenza, e le passioni vengono esorcizzate dai segni cerimoniali di uno stile astratto e gelidamente ipnotico

Non trovo cosa più sensata da fare che smettere di sproloquiare io e di fare invece un bel “copia e incolla” riproponendo qui alcuni stralci dei testi di Arbasino e della Ginzburg. I grassetti sono miei.

Alberto Arbasino, La Grande Signorina (1965), in Lettere da Londra

Alberto Arbasino “Ivy Compton-Burnett, grande fra i più grandi narratori del nostro secolo, è anche, tipicamente, ‘autore di un solo romanzo’ – però moltiplicato per venti, giacchè ha ‘riscritto’ (praticamente) lo stesso straordinario romanzo, con verve allucinatoria, con smisurata perfidia, per almeno quarant’anni, un anno sì e un anno no. In questi romanzi la dimensione borghese si sposa con il grottesco. Si tratta di storie che devono molto al teatro classico o shakespeariano per gli intrighi, i drammi segreti, l’imprevisto che irrompe e sconvolge l’ordine costituito, proprio come nelle migliori tragedie, ma che hanno tuttavia la leggerezza e la leggiadria di commedie divertenti e briose dove i personaggi cinguettano in continuazione. A chi le chiedeva come mai continuasse ad ambientare le sue trame sempre agli inizi del secolo, Ivy Compton-Burnett rispondeva: “La storia si ripete… E la vita familiare, nella sua essenza, non cambia mai.”

Natalia Ginzburg, La Grande Signorina (1969), in   Mai devi domandarmi

Natalia Ginzburg
Natalia racconta di esser capitata per caso su un romanzo della Compton-Burnett mentre si trovava a Londra e che, terminatolo: “…li cercai tutti [i suoi libri]. So poco l’inglese; leggevo quei romanzi con estrema fatica […] non facevo che ripetermi che io, quei romanzi, non li amavo; che forse li esecravo […]. Ma ad un tratto capii che li amavo invece in modo furioso; che ne avevo gioia e consolazione; che vi potevo bere come all’acqua di una fontana. Pure non c’era in essi nè acqua nè aria.
[…] Non riuscivo a vedere dove mai fosse, in quei romanzi, la poesia: eppure sentivo che ci doveva essere, se là si poteva, senza aria nè acqua, respirare e bere, se si provava, nell’abitarvi, una felicità profonda, consolante e liberatrice […] Il ritmo del suo scrivere non è nè lento nè rapido: è il ritmo eguale e senza scampo di chi sa dove deve andare. La sua pazienza è martellante ed infernale

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