LA TERRA INUMANA – JÓZEF CZAPSKI

Jozef Czapski La terra inumana

Józef CZAPSKI, La terra inumana (tit. orig.le Na nieludzkiej ziemi), a cura di Andrea Ceccherelli, Traduz. di Andrea Ceccherelli e Tullia Villanova, pp. 459, Adelphi

“Questo libro non offre conclusioni né sintesi, è semplicemente il racconto di un anno di esperienze, osservazioni e pensieri di un polacco in Unione Sovietica.”

No. Questo libro è molto di più.Tutti coloro che hanno letto La terra inumana lo sanno: si tratta di una eccezionale descrizione della drammatica situazione dell’esercito polacco nel corso della Seconda Guerra mondiale, la descrizione delle popolazioni dell’Unione Sovietica in quegli anni (“la terra inumana dello stalinismo”) ed una testimonianza capitale. Józef Czapski è infatti uno dei pochi ufficiali polacchi scampati al massacro di Katyn. Ha conosciuto il Gulag (campo di transito di Pavliščev Bor, nei pressi di Juchnov, nell’oblast’ di Kaluga, campo di Grjazovec , nei pressi di Vologda, nel Nord della Russia dove, da fine anno, tenne – basandosi esclusivamente sulla propria memoria – conferenze in francese su Proust), la Siberia; Mosca e l’Uzbekistan, l’Iran; Iraq e Palestina. Sarà poi catapultato nella guerra in Libia, in Italia a Montecassino, vivrà la lenta traversata dell’Europa occupata dai Nazisti. Un’odissea eccezionale, raccontata da un uomo, un testimone, uno spirito eccezionale.

La terra inumana, ora tradotto da Andrea Ceccherelli e da Tullia Villanova per Adelphi costituisce, insieme con Ricordi di Starobielsk, che nell’immediato dopoguerra fu pubblicato anche nel nostro Paese, un dittico di forte testimonianza autobiografica.

La testimonianza di Czapski, pubblicata per la prima volta nel 1947 ed in seguito arricchita con ulteriore documentazione relativa ai fatti di Katyn è un vero gioiello. Czapski racconta, facendo avanti e indietro tra diverse epoche della sua vita, l’incredibile storia dell’Armata polacca del Generale Anders, scampata ai Gulag sovietici e formatasi con enormi difficoltà in URSS, poi trasferitasi in Iran prima di venire lanciata nel 1944 all’assalto di Montecassino in Italia.

Racconta, La terra inumana, la drammatica storia delle migliaia di militari polacchi (la maggior parte dei quali ufficiali) prigionieri di guerra in URSS che, all’atto della liberazione dai gulag sovietici scomparvero nel nulla; narra di come si arrivò finalmente alla rivelazione, dopo tanti anni di inutili, frustranti ricerche finite nel nulla per i continui depistaggi delle alte sfere del potere sovietico, di ciò che avvenne davvero a Katyn.

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IL PIANISTA – WLADYSLAW SZPILMAN

Wladislaw Szpilman Il pianista

Wladyslaw Szpilman Il pianista. Varsavia 1939-1945. La straordinaria storia di un sopravvissuto. (tit. orig. The Pianist), traduzione dall’inglese di Lidia Lax, pp. 239, collana Dalai, Baldini Castoldi, 2008

Da anni dico a me stessa: mai commettere l’errore, dopo aver visto un film che mi è piaciuto molto, di non leggere il libro da cui il film è stato tratto o al quale il regista si è comunque ispirato. È cosa di cui sono profondamente convinta, eppure ancora, qualche volta, casco egualmente nella trappola.

È il caso del libro Il Pianista del polacco Wadyslaw Szpilman.

Ho visto e rivisto più di una volta lo splendido film di Polanski. Mi era talmente piaciuto, l’avevo trovato così…completo che non mi ero mai curata di procurarmi il libro. “Cosa può esserci di più, nel libro, che non ci sia già nel film?”, mi dicevo.

Ma i buoni libri non si lasciano ignorare o snobbare  tanto facilmente ed è così che, pur avendo io nel mese di agosto ben altri progetti di lettura, il libro di Szpilman mi si è improvvisamente imposto e non voleva sentir ragioni o scuse. Mi sono arresa ed ho iniziato a leggere.

Alla fine del primo capoverso ero già conquistata. Continua a leggere “IL PIANISTA – WLADYSLAW SZPILMAN”

ALEXANDER WAT – IL MIO SECOLO. MEMORIE E DISCORSI CON CZESLAW MILOSZ

 

Aleksander Wat Czeslaw Milosz
Aleksander Wat e Czesłav Miłosz a Berkeley nel 1964

“[…] in America e a Parigi, un poeta polacco raccontava la sua vita a un altro poeta polacco più giovane di una generazione” scrive Czesłav Miłosz nella Prefazione a Il mio secolo, libro risultato dalla trascrizione di conversazioni registrate al magnetofono nel corso delle quali Aleksander Wat raccontò a Milosz la sua vita dagli anni ’20 agli inizi degli anni ’40 del secolo scorso, venti anni trascorsi in gran parte nelle carceri staliniane.

Aleksander Wat, originariamente Cwat (Varsavia 1° maggio 1900 – Parigi 29 luglio 1967) è stato uno scrittore e poeta polacco di famiglia ebrea di antiche tradizioni giudaiche e polacche (tra i suoi antenati ci sono non solo famosi rabbini, filosofi, esperti cabalisti ma anche grandi patrioti polacchi come il nonno e il fratello del nonno) e viene considerato in Polonia uno dei più grandi poeti del XX° secolo. Da quel che mi risulta, però, in Italia la letteratura polacca non è (per molti motivi) ancora conosciuta come intuisco che merita. Chi sia stato Wat, che cosa abbia rappresentato per la cultura polacca, che vita incredibile abbia vissuto, per quel che mi riguarda l’ho scoperto prima da alcune pagine a lui dedicate da Francesco M. Cataluccio nel suo prezioso libro Vado a vedere se di là è meglio e adesso leggendo questa sorta di autobiografia – memoriale finalmente e molto meritoriamente edita nel 2013 dalla casa editrice Sellerio di Palermo. Continua a leggere “ALEXANDER WAT – IL MIO SECOLO. MEMORIE E DISCORSI CON CZESLAW MILOSZ”

LA MENTE PRIGIONIERA – CZESLAW MILOSZ

Milosz La mente prigioniera

Czesław Miłosz, La mente prigioniera,
(tit. orig. Zniewolony umysł)
traduz. Gino Origlia, pp.290,
Adelphi, 1981

Come si comporta l’essere umano quando è messo di fronte a circostanze insolite come una guerra, l’occupazione della propria patria da parte di un regime non solo straniero, ma totalitario?

Che cosa ne è del libero pensiero? Cosa fanno, come reagiscono gli intellettuali (scrittori, pittori, musicisti, insegnanti, scienziati…)?

La mente prigioniera, scritto a Parigi nel 1951 (la data è importante, e ci tornerò più avanti) è un’analisi dei meccanismi attraverso i quali un regime totalitario (Miłosz si riferisce, in particolare, a quello sovietico) giunge pian piano a sopprimere il libero pensare dei suoi cittadini e, prima di tutto, dei suoi intellettuali per ridurre l’uomo, cui si nega non solo il diritto, ma anche il piacere e la volontà di pensare con la propria testa, a “materiale umano” per la costruzione del collettivistico “uomo futuro”.

“Quello che cerco di mostrare è come operi il pensiero umano nelle democrazie popolari. E poichè l’ambiente che ho avuto modo di osservare più da vicino è quello degli artisti e degli scrittori, questo libro è soprattutto uno studio su tale ambiente, che a Varsavia come a Budapest, a Praga come a Bucarest ha un ruolo importante.”

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