FIGLIE DELLA RESISTENZA – JUDY BATALION

Judy Batalion Figlie della resistenza

Judy BATALION, Figlie della resistenza. La storia dimenticata delle combattenti nei ghetti nazisti (tit. orig.le The Light of Days: The Untold Story of Women Resistance Fighters in Hitler’s Ghettos) traduz. Giuliana Lupi, pp. 576, Mondadori, 2023

“Nessun movimento rivoluzionario, men che mai giovanile, ha mai dovuto affrontare problemi simili ai nostri: il fatto puro e semplice dello sterminio, della morte. Noi lo affrontammo e trovammo una risposta. Trovammo una via … l’haganah [la difesa].” (Chajka Klinger, Dirigente di Hashomer Hatzair e dell’organizzazione combattente a Będzin)

Questo libro di Judy Batalion riporta alla luce le vicende dimenticate di un gruppo di donne fra i 16 e i 25 anni che, fra Vilna e Cracovia, si unirono alla Resistenza ebraica e che, provenendo e operando in oltre novanta ghetti dell’Europa orientale e nelle principali città polacche, combatterono senza esclusione di colpi. Una straordinaria pagina di Storia che è rimasta a lungo dimenticata e finora quasi sconosciuta.

E’ un bellissimo libro, emotivamente parecchio impegnativo, che recupera dall’oblio la memoria di tante giovani donne che si opposero in tutti i modi – anche con le armi – agli invasori nazisti ed allo sterminio; donne molte delle quali perirono in circostanze altamente drammatiche. Questo libro rende loro giustizia.

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“VI PREGO, RUOTE, PARLATE, ED IO, IO PIANGERO’…”

Yitzhak Katzenelson
Yitzhak Katzenelson
(Fonte: Holocaust Historical Society
)

Nato nel 1886, Yitzhak Katzenelson divenne un intellettuale di spicco nell’ambito del movimento sionista attivo in Polonia. Rinchiuso nel ghetto di Varsavia, fu costretto ad assistere impotente alla deportazione di sua moglie e di due suoi figli a Treblinka, il 14 agosto 1943. Nel maggio del 1943, utilizzando un falso passaporto dell’Honduras, riuscì a trasferirsi in Francia, e qui scrisse in lingua yiddish – tra il 3 ottobre 1943 e il 17 gennaio 1944 – un terribile poema intitolato Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944, insieme ad un altro figlio, Katzenelson fu deportato ad Auschwitz. Il testo qui riportato è tratto dal canto n. 4 (dei 15 che, nell’insieme, compongono il poema); datato 26 ottobre 1943, descrive in forma poetica le deportazioni da Varsavia a Treblinka.

IV. I vagoni sono tornati!

1
Orrore e paura mi assalgono, mi soffocano –
i vagoni sono già di ritorno! Sono partiti solo ieri sera –
e oggi sono qui di nuovo, già pronti all’Umschlag [= abbreviazione di Umschlagplatz, posto di
smistamento, il luogo in cui gli ebrei erano caricati sui vagoni – n.d.r.].
Li vedi, là con le fauci aperte, spalancate nell’orrore?

2
Hanno ancora fame! Niente li sazia.
Aspettano gli ebrei! Quando glieli porteranno?
Sono affamati – come se non avessero già divorato i loro ebrei…
Ne hanno avuti tanti! Ma ne vogliono di più, ancora di più!

11
Vagoni vuoti! Eravate pieni, ed eccovi di nuovo vuoti.
Cosa ne avete fatto degli ebrei? Dove sono finiti?
Erano diecimila, contati e stivati – e voi siete qui di nuovo!
O vagoni, vagoni vuoti, ditemi dove siete stati!

12
Voi tornate dall’altro mondo, lo so. Non dev’essere lontano.
Solo ieri siete partiti carichi, e oggi siete già di ritorno!
Perché questa fretta? Avete così poco tempo?
Presto sarete vecchi come me, logori e grigi.

13
Solo a guardare, a vedere, a sentire tutto ciò – gevàld ! [= aiuto!, in lingua yiddish – n.d.r.] –
come fate, anche se siete di ferro e di legno?
O ferro, giacevi nel profondo della terra.
O legno, un giorno fosti un albero alto e fiero.

14
E ora? Ora siete vagoni, e state a guardare,
testimoni muti di un tale carico, di una tale pena.
In silenzio tutto avete osservato. Oh, ditemi, vagoni,
dove andate, dove avete portato a morire il popolo ebraico?

15
Non è colpa vostra – vi caricano e poi vi dicono: andate!
Vi fanno partire pieni e tornare vuoti.
Voi che tornate dall’altro mondo, ditemi una parola.
Vi prego, ruote, parlate, ed io, io piangerò…

26 ottobre 1943

(Y. Katzenelson, Il canto del popolo ebraico massacrato, Firenze, Giuntina, 1998, pp. 43-47. Versione poetica di D. Vogelmann dalla traduzione dallo yiddish di S. Sohn)

Purtroppo, attualmente questa edizione Giuntina del “Canto” che era corredata dalla prefazione di Primo Levi risulta, come si legge sul sito della casa editrice, non disponibile.

Il poema di Katzenelson è invece disponibile tradotto e curato da Erri De Luca e pubblicato nel 2019 dalla casa editrice Feltrinelli. Qui la scheda del libro.

Varsavia, i treni per Treblinka
Ebrei caricati sui treni per Treblinka all’Umshlagplatz (punto di raccolta) di Varsavia durante l’occupazione nazista della Polonia.
(Fonte)
  • Yitzhak Katzenelson (in inglese) >>
  • Itzhak Katzenelson (in italiano) >>
  • Un video di Rai News su Itzhak Katzenelson ed il suo Canto del popolo yiddish messo a morte >>

*** La Giornata della Memoria su NSP:

2021, 2020, 2019, 2018, 2017, 2016, 2015, 2014, 2013, 2012, 2011, 2010, 2009

IL GHETTO INTERIORE – SANTIAGO H. AMIGORENA

Santiago H. Amigorena, Il ghetto interiore (tit. orig.le Le Ghetto intérieur, 2019), traduz. dal francese Margherita Botto, p.144, Neri Pozza Editore, 2020

“Il 13 settembre 1940, a Buenos Aires, il pomeriggio era piovoso e la guerra in Europa così lontana da far credere di trovarsi ancora in tempo di pace. Avenida de Mayo, la grande arteria fiancheggiata da edifici liberty che va dal palazzo presidenziale a quello del Congresso, era quasi deserta; solo pochi uomini frettolosi che uscivano dai loro uffici in centro correvano sotto la pioggia riparandosi la testa con un giornale per prendere un autobus o un taxi e tornare a casa”

Tutto comincia nel 1940. Alcuni amici ebrei, immigrati in Argentina dalla Polonia, si ritrovano quasi ogni giorno al Caffè Tortoni e si chiedono: cosa sta succedendo in quella Europa da cui sono fuggiti in nave qualche anno prima? Interpretare le rarissime notizie che arrivano in Argentina è molto difficile.

Vicente Rosenberg è uno di loro, “Forse, […] semplicemente, se n’era andato da Varsavia come si partiva allora, pensando che avrebbe fatto fortuna all’estero e poi sarebbe tornato, sarebbe tornato e avrebbe rivisto sua madre, sua sorella, suo fratello. Forse, andandosene, non aveva mai pensato che non sarebbe tornato, che non li avrebbe mai rivisti.”

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VATERLAND – ANNE WEBER

Anne Weber VaterlandAnne WEBER, Vaterland, pp. 240, ed. Seuil, 2015

Che significa essere tedesca (e una tedesca non-ebrea) nel XXI secolo?

Come si vive il modo in cui si viene visti dagli “altri”? Non solo dagli ebrei (tedeschi o no), ma anche da tutti quelli che tedeschi ed ebrei non sono?

Che cosa significa per le nuove generazioni di tedeschi sentirsi addosso la colpa di uno sterminio al quale non si è partecipato e del quale si è totalmente innocenti?

Anne Weber, nata in Germania nel 1964, vive in Francia dal 1983. E’ perfettamente bilingue e scrive i suoi libri sia in francese che in tedesco. Ha trascorso la maggior parte della sua vita in Francia, ma non per questo si sente meno tedesca. Una tedesca nata sotto una cappa di silenzio. La questione della sua “germanitudine” non ha mai smesso di ossessionarla.

Studiando la storia della propria famiglia a partire dal suo bisnonno, tedesco amico di Martin Buber, Walter Benjamin, Hoffmannsthal e morto prima dell’avvento del nazismo Anne Weber si scontra ben presto con una domanda che pagina dopo pagina si rivela sempre più fondamentale: “cosa significa essere tedeschi oggi, nel XXI secolo?”.

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A ORIENTE DEL GIARDINO DELL’EDEN – ISRAEL JOSHUA SINGER

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Evylin Van Der Wielen, L’albero della vita , 1972

Così Egli scacciò l’uomo; e pose a oriente del giardino di Eden cherubini che roteavano d’ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via all’albero della vita.
Genesi, 3, 24

Una Grande Illusione, una devastante Grande Disillusione. E’ la storia del “Compagno Nachman”.
Khaver Nachman, questo il titolo originale del romanzo che Israel Singer, emigrato dalla Polonia negli Stati Uniti nel 1933, pubblicò per la prima volta a puntate su un giornale yiddish e poi in volume, in inglese, nel 1939 con il titolo East of Eden.

Rabbino mancato, ex studente di Talmud, povero fornaio di Varsavia, Nachman crede ardentemente nella causa rivoluzionaria e nel Paradiso Terrestre che con cieco idealismo è sicuro si stia realizzando a Oriente in quel novello Eden che è per lui l’idealizzata Russia dei Soviet.

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NIENTE, E’ OVVIO !

Esther Singer Kreitman

E’ uno Shabbat d’inizio Novecento in un piccolo villaggio ebraico (uno shtetl) della Polonia, un piccolo gruppo di casette e capanne e “perfino il vento e la neve si riposano”. In una di queste capanne, una ragazzina si rivolge al rabbino suo padre, che loda gli studi del fratello e prevede per lui un futuro di brillante talmudista.

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UN MONDO SCOMPARSO – ROMAN VISHNIAC

Vishniac

Sto rileggendo in questi giorni, dopo tanti anni, La famiglia Moskat di Isaac Bashevis Singer e sono rimasta molto colpita dall’immagine di copertina che compare nella edizione italiana della TEA.

Singer La famiglia Moskat

Trovato il nome dell’autore della foto, mi sono bastati pochi minuti di ricerca con Google ed ecco che ho conosciuto l’opera di un fotografo di cui — me ignorante — sconoscevo completamente l’esistenza.

Roman Vishniac
Roman Vishniac
L’ingresso della scalinata conducente al cortile di Rabbi Meir Ben Gedaliah (1558-1616)
Lublino, 1938.

Il suo nome è Roman Vishniac, e l’opera fotografica per cui è diventato famoso è raccolta in un libro intitolato A Vanished World, oggi reperibile, da quel che ho capito, in inglese e in francese (Un monde disparu) mentre l’edizione italiana (Un mondo scomparso) sembra decisamente introvabile.

Con A Vanished World Vishniac documenta la cultura ebraica nell’Europa dell’Est, mostra il mondo dello schtetl polacco alla vigilia della sua eclissi e del macello dell’Olocausto con fotografie che a me sembrano di grandissima bellezza e potenza emotiva.

Queste foto mostrano delle persone e dei luoghi che non esistono più; ma, nel mio ricordo, esse sono sempre là. Spero che voi guarderete ciascuna di queste foto assieme alla loro storia, e che anche voi vedrete il mondo che io ho visto.
Roman Vishniac

Un lunghissimo articolo sul New York Times Magazine ha recentemente scatenato molte discussioni che ruotano attorno all’ipotesi che Vishniac abbia manipolato alcune delle immagini modificando in questo modo il loro senso originario e riaprendo così il dibattito sul vero e il falso in fotografia (un precedente illustre di questa diatriba lo abbiamo con la celeberrima foto del Miliziano che cade di Robert Capa)

La questione è sicuramente interessante ma nulla toglie, a mio parere, alla bellezza e all’importanza delle foto di Vishniac.

  • Roman Vishniac >>
  • Il libro in inglese >>
  • Il libro in francese >>

KATYN – ANDRZEJ WAJDA (2007)

Katyn Wajda

Katyn di Andrzej Wajda è il primo film sul massacro di 22.000 polacchi avvenuto nella foresta di Katyn, che si trova in Ucraina, non lontano dalla frontiera russa. Il primo film sulla “bugia di Katyn”.

Questo massacro venne effettuato nel 1940, nel momento in cui la Polonia veniva invasa contemporaneamente dall’ Armata Rossa dell’URSS e dalla Wermacht della Germania nazista.

Ad ottantatre anni, il grande regista polacco, Oscar alla carriera nel 2000, ha fatto uno splendido film su un tema assolutamente tabu ai tempi del comunismo in Polonia. Tanto tabu che il solo fatto di essere parente di una vittima di Katyn poteva avere come conseguenza anche l’interdizione agli studi universitari.

Centoventiquattro minuti di immagini che raccontano ciò che accadde nella foresta di Katyn e la tragedia delle famiglie delle vittime.

A Katyn vennero uccisi su ordine di Stalin e Beria più di 22.000 civili ed ufficiali polacchi, rappresentanti la maggior parte l’èlite della società polacca o quanto meno i principali corpi dirigenti ed i quadri più importanti dell’apparato statale della Polonia.

Vennero uccisi uno per uno con un colpo alla nuca e gettati poi ammassati in fosse comuni. II massacro (una vera e propria mattanza) aveva uno scopo ben preciso: eliminare la classe dirigente della Polonia.

Furono i nazisti i primi a scoprire il massacro quando, nel 1943, le loro truppe d’occupazione invasero la Russia e trovarono le fosse. Stalin accusò i tedeschi di essere stati loro gli autori dell’eccidio dei polacchi, ma i tedeschi insistevano nel propagandare la scoperta fatta in Russia per mascherare i loro propri massacri degli ebrei, degli zingari…

Questo soggetto non era affrontabile nella Polonia del dopoguerra, visto che la Polonia fu sotto il regime comunista fino al 1989. I sovietici insistevano nella loro propaganda addossando l’eccidio agli uomini di Hitler e punivano con il carcere chiunque osasse dire la verità.

Soltanto nel 1990 Mikhail Gorbaciov ammise la responsabilità del suo paese.

Nel film, la narrazione si apre in data 17 settembre 1939 con una grande scena simbolica: due folle di fuggitivi polacchi si trovano su un ponte correndo gli uni in direzione degli altri, scappando gli uni dai nazisti della Wermacht e gli altri dai sovietici dell’Armata Rossa.

L’Urss invadeva la Polonia facendo seguito al patto Molotov-Ribbentrop con cui il regime nazista e la controparte staliniana si erano spartiti nel 1939 il territorio polacco.

Katyn - WajdaKatyn - Wajda

Katyn

“Dove andate? Ci sono i tedeschi dietro di noi!”

“Sono entrati i sovietici!”

“Dove andate, tornate indietro, sono entrati i Russi!”

“Ma dietro di noi ci sono i tedeschi!”

Una scena che è una grande metafora della condizione bellica di un popolo stritolato tra due potenze, condannato qualsiasi direzione decida di prendere.

Altrettanto potente è la scena seguente, in cui si vedono due soldati sovietici strappare in due la bandiera polacca. Uno di loro appenderà all’asta la parte rossa della bandiera, mentre l’altro soldato adopererà la stoffa bianca per pulirsi i piedi…

Katyn

Appena qualche giorno dopo l’invasione ha inizio la deportazione in massa dei graduati migliori dell’esercito polacco nei campi di Kozielsk, Starobielsk, Ostaszkow.

Katyn - Wajda
Katyn - Wajda
Katyn - Wajda
Katyn - Wajda

Il 6 novembre dello stesso anno i professori dell’Università di Cracovia, scienziati e ingegneri di tutto il Paese vengono arrestati dai Nazisti e deportati in Germania.

Anche i tedeschi vogliono “decapitare” la Polonia.

Katyn - Wajda

Comincia così il racconto su due piani paralleli: da una parte la condizione degli ufficiali prigionieri dei sovietici. Pensano ancora di essere normali prigionieri di guerra, non sanno di essere dei condannati a morte. Beria, infatti, ha già firmato il decreto.

Katyn

Il giorno di Natale del 1939 nel campo di Kozelsk

Katyn
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Dall’altra parte assistiamo al calvario delle famiglie, che non cessano di chiedere invano notizie dei loro padri, mariti, fratelli di cui non sanno più nulla, di aspettarli, di sperare.

Katyn

Katyn Wajda

Finché, nell’aprile del 1943, i quotidiani e la filodiffusione organizzata dai nazisti non inizia a ribadire un giorno dopo l’altro la notizia del ritrovamento di migliaia di corpi nella fossa comune di Katyn, uccisi per mano sovietica.

Katyn Wajda

La pubblicazione e la lettura dei nomi degli scomparsi aleggia come uno spettro sulla vita quotidiana. Il dramma di chi ha perso qualcuno non è maggiore di quello di chi lo sospetta solamente, lo percepisce ma non lo accetta.

Katyn

La fine della Guerra rappresenta, per i familiari delle vittime di Katyn, l’inizio di un’altra guerra: quella per la verità.

Katyn Coloro che non accettano la versione imposta dall’Unione Sovietica alla nuova Repubblica Popolare Polacca, ovvero che responsabili del massacro siano i nazisti, devono fare i conti con la propria coscienza, con la prigione, con una vita da braccati o reclusi. L’università è vietata a chi nel proprio curriculum scrive che il proprio padre è stato ucciso dai russi, la lapide di una tomba non può portare la scritta “ucciso a Katyn”…

Per loro la guerra non è davvero mai finita; sono condannati a vivere in eterno le battaglie che i loro cari hanno solo potuto immaginare dal campo di prigionia.

E’ solo nel finale del film che, tornando indietro al 1940, Wajda ci fa vedere quello che è successo in quei giorni a Katyn.

Una terribile sequenza che dura circa un quarto d’ora ed è di una crudezza quasi insostenibile. In essa Wajda ricostruisce il processo automatico con cui vengono giustiziati i prigionieri, una vera e propria mattanza.

KatynKatyn

Le inquadrature restituiscono il ritmo del massacro, gli uomini che scendono dai camion, trasportati come animali al macello, le mani legate dietro la schiena, molti vengono incappucciati, per tutti il colpo di pistola alla nuca, le fosse comuni, e poi le ruspe che scaricano la terra sui mucchi di cadaveri. Molti tengono in mano un rosario. Sono morti recitando il Pater Noster.

Katyn Wajda
Katyn

Katyn

Il regista ha anche utilizzato immagini d’archivio di filmati girati dai tedeschi durante la riesumazione dei corpi nel 1943, e poi quelle girate dalla propaganda sovietica.

“Mi sono chiesto” ha detto Wajda “se fosse il caso di mostrare o no queste immagini. Mi è sembrato necessario farlo, perchè questo è il primo film che viene realizzato su questo soggetto. Non basta sapere che tutto questo è accaduto. Bisogna che venga visto, sentire e capire come la tragedia si è svolta. Questo è stato vietato per decenni, ed è per questo che c’è bisogno di verità”

Il film si chiude con un intero minuto di schermo completamente nero, mentre risuonano le note del Requiem Polacco di Krzysztof Penderecki.

Wajda dedica il film “ai miei genitori”, perchè anche suo padre, Jakub, fu una delle vittime del massacro di Katyn. Aveva 43 anni, era capitano di un reggimento di fanteria dell’esercito polacco, uno degli ufficiali fatti prigionieri dai sovietici e fu ucciso dagli uomini dell’NKDV con un colpo di pistola alla nuca nella foresta di Katyn.

Come centinaia di altre donne, la madre di Wajda per molto tempo non ha accettato di credere alla sua morte. “Mia madre si è nutrita di illusioni fino alla fine della sua vita, perchè il cognome di mio padre compariva con un altro nome sulla lista degli ufficiali massacrati” ha raccontato il regista in una conferenza stampa.

Il film di Wajda permette di individuare le responsabilità dei due grandi invasori della Polonia, perchè mostra anche la complicità della Germania nello scopo comune di sopprimere le èlites intellettuali e militari della Polonia.

Katyn è un film struggente, magnificamente diretto e interpretato. Una buona parte si svolge a Cracovia e racconta l’attesa delle donne (mogli, madri, figlie, sorelle) negli anni tra il 1939 e il 1950.

Il film è articolato attorno alle tre date che segnano questo itinerario del massacro e della menzogna: 1939-1940, con la duplice occupazione e la cattura degli ufficiali da parte dei sovietici. 1943, in cui gli altoparlanti e i giornali tedeschi diffondono i nomi degli uccisi ed polacchi apprendono il massacro di Katyn. 1945, quando la menzogna dei sovietici che cercano di addossare l’eccidio ai nazisti arriva alla nuova generazione: vediamo un ragazzo rifiutato all’università perchè figlio di un ufficiale scomparso a Katyn e che viene ucciso poco dopo per aver strappato un manifesto della propaganda sovietica.

Quello che vediamo è una fiction, certo, ma Wajda ha insistito molto nel dire che è basato su episodi autentici.

Per raccontare la tragedia dei quattro ufficiali del film, delle loro mogli che li aspettano senza notizie e dei loro figli che avranno in eredità il silenzio e la menzogna, Wajda ha utilizzato storie dal diario autentico del maggiore Adam Solski trovato durante l’esumazione del cadavere nel 1943.

Katyn

Il film ha un duplice obiettivo: raccontare il massacro in quanto tale e la soppressione della verità e le conseguenze che tutto questo ha prodotto sulle famiglie delle vittime.

Katyn Per raggiungere questi due obiettivi, Wajda parla soprattutto dei sentimenti di coloro che vissero il dramma. E’ attraverso la narrazione di storie personali ed intime vissute da alcuni personaggi, che il film diventa testimone della storia.

Katyn è un grande film: ha il respiro dell’epopea, una grande potenza evocativa, riesce a soddisfare i canoni dello spettacolo popolare senza rinunciare alle esigenze storiche. E’ angosciante, commovente, coinvolgente.

Non sono per nulla d’accordo con coloro (pochi, in verità) che, arricciando il naso, hanno sentenziato che Katyn ha troppo elementi da telenovela, da melodramma.

Può darsi. Ma io me lo spiego così: quella di Wajda è stata una precisa scelta di codici di comunicazione. Voleva raggiungere il cuore di molte persone, e per ottenere questo ha utilizzato un codice cinematografico non ermetico, non per “i soliti pochi”.

Ha fatto bene, ha fatto male?

Io so solo che il film mi ha commossa profondamente, mi ha provocato una notte di incubi e mi sono detta: “…ma chi me lo fa fare a vedere film così?”.

Eppure, nei giorni seguenti l’ho rivisto altre tre volte. E cose del genere assicuro che non mi succedono tanto spesso e facilmente.

… E poi ho sentito l’esigenza di documentarmi, di leggere, di cercare altro materiale. Di legger libri. Tutto questo, per me è importante.

Wajda ha voluto che il suo film fosse interamente polacco, tutto, in Katyn, è polacco. Ha anche rifiutato qualsiasi forma di co-produzione.

La fotografia è di Pawel Edelman, l’operatore de Il pianista, la musica — bellissima — è di Krzysztof Penderecki.

Stralci della Terza Sinfonia, del Secondo Concerto per Violoncello e del Requiem Polacco sottolineano ma allo stesso tempo amplificano, con le loro quiete ma inquietanti dissonanze, tutto l’orrore di quello che avviene sullo schermo.

La sceneggiatura è un adattamento di Post mortem, un libro di Andrzej Mularczyk.

Nel cast sono presenti i migliori attori contemporanei della Polonia.

I più giovani di essi non erano nemmeno nati, all’epoca dell’eccidio, e in conferenza stampa hanno detto di avere appreso i particolari di questa tragedia soltanto durante la lavorazione del film.

Andrzej Wajda

Andrzej Wajda

La Cancelliera tedesca Angela Merkel ed altri rappresentanti del governo tedesco hanno assistito alla proiezione del film al Festival del Cinema di Berlino, dove era stato presentato fuori concorso. La presenza della Merkel è stata molto apprezzata da Wajda, che ha spiegato, in una conferenza stampa, che secondo lui questo gesto è stato tanto più ammirevole in quanto simbolizza il fatto che non si può andare avanti facendo tabula rasa del passato.

Katyn (2007), Regia Andrzej Wajda, scritto da Andrzej Mularczyk, Przemyslaw Nowakowski, Wladyslaw Pasikowski, Andrzej Wajda

Interpreti e personaggi principali: Artur Zmijewski (Andrzej), Maja Ostaszewska (Anna), Andrzej Chyra (Tenente Jerzy), Danuta Stenka (Róza), Jan Englert (il Generale), Magdalena Cielecka (Agnieszka), Agnieszka Glinska (Irena), Pawel Malaszynski (Tenente Piotr), Maja Komorowska (madre di di Andrzej), Wladyslaw Kowalski (Professor Jan), Oleg Savkin (Ufficiale della NKWD), Antoni Pawlicki (Tadeusz), Agnieszka Kawiorska (Ewa)
Musica di Krzysztof Penderecki.
Fotografia Pawel Edelman, Scene Wieslawa Chojkowska, Costumi Magdalena Biedrzycka
Colori, durata 118 min., Polonia 2007
Nomination per l’Academy Award (Oscar) per il miglior film in lingua straniera.

Documento scritto da Lavrentj Beria, Commissario di Primo Grado della Sicurezza di Stato (il Ministro per gli Affari Interni) con cui viene richiesta l’autorizzazione ad uccidere 14.700 prigionieri di guerra e altri 11.000 prigionieri.
La firma e l’autorizzazione di Stalin compaiono nella parte superiore del documento.

(da Wikipedia)

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