PROUST E THOMAS HARDY

Dante Gabriele Rossetti
Dante Gabriel Rossetti 1828-1882
Aurea Catena (Portrait Of Mrs. Morris)

Parlando del romanzo L’Amata di Thomas Hardy ho detto  che questo libro di per sé non mi ha entusiasmata e che ad esso continuo a preferire decisamente altre opere di Hardy.

Chiudevo però dicendo anche che la lettura è stata comunque per me estremamente interessante, e per un particolarissimo motivo al quale voglio oggi accennare.

Una delle motivazioni che mi ha spinto a leggere L’Amata (oltre il mio generale grande interesse per Hardy) era costituita dal fatto che volevo capire qualcosa di più sul perchè Marcel Proust, grande ammiratore degli scrittori vittoriani, nutrisse un interesse particolare proprio nei confronti di Hardy e proprio per quest’opera in genere considerata minore e sicuramente non tra quelle più famose.

Accenni a L’amata si trovano in una lettera di Proust a Léon Hennique del 1919 in cui scrive:

“[…] la Bien -Aimée di Hardy mi ha tenuto spesso fruttuosa compagnia, nella mia esistenza di sofferenze fisiche e mentali.
Spesso mi sembra di essere col pensiero nell’isola che risuona del rumore delle cave”

Al suo grande amico Robert de Billy scrisse, sempre a proposito de L’Amata che

“rassomiglia [va] pochino pochino, mille volte in meglio, a quello che sto scrivendo”

Il romanzo viene poi citato espressamente in una pagina de La Prigioniera.

Si tratta di quel brano in cui il Narratore, parlando ad Albertine delle ricorrenze nella musica di Vinteuil paragonandole alle ricorrenze che si trovano nelle opere dei grandi scrittori sottolinea la “geometria dei tagliatori di pietre nei romanzi di Thomas Hardy”.

” j’expliquais à Albertine que les grands littérateurs n’ont jamais fait qu’une seule oeuvre, ou plutôt n’ont jamais que réfracté à travers des milieux divers une même beauté qu’ils apportent au monde. « S’il n’était pas si tard, ma petite, lui disais-je, je vous montrerais cela chez tous les écrivains que vous lisez pendant que je dors, je vous montrerais la même identité que chez Vinteuil. Ces phrases-types, que vous commencez à reconnaître comme moi, ma petite Albertine, les mêmes dans la sonate, dans le septuor, dans les autres oeuvres, ce serait, par exemple, […] Ce sont encore des phrases types de Vinteuil que cette géométrie du tailleur de pierre dans les romans de Thomas Hardy.”

“Le spiegavo che i grandi scrittori non hanno mai composto che un’opera sola; o piuttosto non hanno mai fatto che rifrangere attraverso mezzi diversi la stessa bellezza da loro arrecata al mondo.
— Se non fosse già tardi, piccina mia, — le dicevo, — vi mostrerei nelle opere di tutti gli scrittori che leggete mentre io dormo la stessa identità che in quelle di Vinteuil. Quelle frasi tipiche, che voi, mia piccola Albertine, cominciate a riconoscere come me, sempre le stesse, nella Sonata, nel Settimino, nelle altre opere, sono, per per esempio […] Similmente, nei romanzi di Thomas Hardy, alle frasi tipiche di Vinteuil corrisponde la geometria dello scalpellino”

[…]

“je revins à Thomas Hardy. « Rappelez-vous les tailleurs de pierre dans Jude l’obscur, dans la Bien-Aimée, les blocs de pierres que le père extrait de l’île venant par bateaux s’entasser dans l’atelier du fils où elles deviennent statues ; dans les Yeux bleus, le parallélisme des tombes, et aussi la ligne parallèle du bateau, et les wagons contigus où sont les deux amoureux, et la morte ; le parallélisme entre la Bien-Aimée où l’homme aime trois femmes et les Yeux bleus où la femme aime trois hommes, etc. “

“tornai a Thomas Hardy.– Voi vi ricordate abbastanza che in Giuda l’oscuro e avete visto in La ben amata i blocchi di pietra che il padre estrae dall’isola e che, trasportati per via di mare, si accumulano nello studio del figlio, dove diventano statue; in Due occhi azzurri, il parallelismo delle tombe, ed anche la linea parallela del battello, e i vagoni contigui dove stanno i due innamorati, e la morta; il parallelismo tra La ben amata, dove l’uomo ama tre donne, e Due occhi azzurri, dove la donna ama tre uomini, eccetera;”

Marcel Proust, A la recherche du Temps perdu, La Prisonnière
La traduzione italiana è di Paolo Serini.

Proust è anche particolarmente attratto, a proposito del parallelismo geometrico e dell’ossessione per la pietra scolpita o no come “una tomba, una chiesa, una cripta”

Geometria, simmetria, ripetizione, dunque.

Sono questi gli elementi di cui Proust si serve per sostenere la tesi del Narratore secondo cui “les grands littérateurs n’ont jamais fait qu’une seule oeuvre, ou plutôt n’ont jamais que réfracté à travers des milieux divers une même beauté qu’ils apportent au monde.”

Ma oltre ciò di cui parla esplicitamente Proust, c’è ben altro, in questo romanzo del vittoriano Hardy, che lo rende singolarmente vicino allo scrittore francese.

Victorian Lady
Sir Edward Coley Burne-Jones, (1833-1898)
Portrait of a Girl in a green dress, 1890 ca.

L’amata di Thomas Hardy racconta la storia di uno scultore che crede di riconoscere l’incarnazione del suo Ideale in una quantità di donne che si succedono l’una all’altra; ma ad una fase di entusiasmo succede una fase di rapida de-cristallizzazione.

Sarà dunque un’affascinante mescolanza di incostanza e di fissità che avrà caratterizzato questo viaggio sentimentale e chimerico legato a quello che il Jocelyn Preston di Hardy chiama “le migrazioni dell’amata”:

“Era stato sempre fedele alla sua amata, ma ella aveva avuto numerose incarnazioni”.

Come più tardi nella visione proustiana dell’amore, la metafora del ruolo tenuto da attrici differenti è insistente.

Ma l’aspetto più singolare del racconto di Hardy è che a venti e a quarant’anni di distanza, Jocelyn Preston si innamora delle “tre Avice”: la nonna, la madre e la figlia; alla ragazza alla quale chiede di sposarlo — domanda che verrà respinta — egli finisce per confessare che egli, prima di lei, ha amato sua madre e sua nonna; un po’ sorpresa ma ormai disposta/rassegnata ad accettare tutto, la ragazza gli domanda se lui ha amato anche la sua bisnonna; lo scultore può dire, a questo proposito che, no, la bisnonna no…

Al termine del romanzo, tutte le amate di Jocelyn sono invecchiate o sono morte e Jocelyn Preston si sente, più dolorosamente che euforicamente… “ricacciato fuori dal tempo”.

In un certo modo, qualcosa del genere ritroviamo in Proust ne Le Temps retrouvé, ultimo volume de A la Recherche du temps perdu.

Giovanni Boldini
Giovanni Boldini, Ritratto di giovane donna

La situazione che Proust ci presenta ha un aspetto ancora più incongruo e scabroso: nel corso dell’ultima matinée Guermantes infatti la nonna, la madre e la figlia (Odette, Gilberte e Mlle de Saint-Loup) si ritrovano tutte e tre riunite in presenza del Narratore, del quale si può dire che ha “amato” sia Madame Swann che Gilberte nella prima parte di Du côté de chez Swann.

Adesso il Narratore, dopo aver confuso fisicamente le due donne (“Vous me prenez pour ma mère’, m’avait dit Gilberte. C’était vrai” —- “Voi mi confondete con mia madre”, mi aveva detto Gilberte. Era vero” ) sospetta che Gilberte abbia ereditato da sua madre dei costumi dubbi e pensa che essa sia —- come lo sarebbe stata una entremetteuse (mezzana) — sin troppo disposta, a presentargli sua figlia.

Certo, il Narratore de la RTP si stupisce e diffida molto più di quanto faccia l’eroe del romanzo di Thomas Hardy per la stranezza di questo eterno ritorno (che comunque non lo spinge mai, come succede al protagonista de L’Amata ad una formale richiesta di matrimonio).

Proust inoltre, ricordiamolo, non smette mai, durante tutto il corso della RTP, di esplorare i sistemi genealogici e i meccanismi della trasmissione ereditaria.

Ma soprattutto non rinuncia mai a quel grande principo della Recherche secondo il quale il desiderio amoroso, estetico o mondano (e cioè la legge suprema del suo romanzo, quali che possano essere le incongruità dei comportamenti che possano produrre) si prende gioco delle persone e non tiene conto che delle “qualità”, sempre più o meno arbitrariamente incarnate, e sempre a titolo provvisorio.

Certo, non dimentico che — nel Le Temps retrouvé — tutti ridono credendo che il Narratore scherzi quando chiede a Gilberte se ella non tema di compromettersi accettando l’invito a cena di un giovanotto (lui, che giovanotto non è più).

Ma l’apparizione di Mlle de Saint-Loup all’ultima matinée Guermantes fornisce l’occasione per una serie di variazioni didattico-poetiche destinate a razionalizzare e a legittimare le incongruità apparenti di un desiderio che, per restare fedele a se stesso, dovrà necessariamente e naturalmente passare da una generazione ad un’altra.

Ciò che viene splendidamente detto alla fine di Albertine disparue:

“C’était elle qui était maintenant ce qu’Albertine avait été autrefois : mon amour pour Albertine n’avait été qu’une forme passagère de dévotion à la jeunesse. Nous croyons aimer une jeune fille et nous n’aimons hélas ! en elle que cette aurore dont son visage reflète momentanément la rougeur

“Era lei adesso quella che un tempo era stata Albertine: il mio amore per Albertine non era stata che una forma passeggera di devozione alla giovinezza. Noi crediamo d’amare una fanciulla e non amiamo, ahimé! in lei che quest’aurora il cui viso riflette momentaneamente il rossore”

Chiudo con un passaggio dal Contre Sainte-Beuve che riflette la profonda ambivalenza di Proust rispetto agli scrittori ed agli artisti in genere da lui amati e considerati Maestri:

“Les écrivains que nous admirons ne peuvent pas nous servir de guides, puisque nous possédons en nous, comme l’aiguille aimantée ou le pigeon voyageur, le sens de notre orientation. Mais tandis que guidés par cet instinct intérieur nous volons de l’avant et suivons notre voie, par moments, quand nous jetons les yeux de droite et de gauche sur l’oeuvre nouvelle de Francis Jammes ou de Maeterlinck, sur une page que nous ne connaissions pas de Joubert ou d’Emerson, les réminiscences anticipées que nous y trouvons de la même idée, de la même sensation, du même effort d’art que nous exprimons en ce moment, nous font plaisir comme d’aimables poteaux indicateurs qui nous montrent que nous ne nous sommes pas trompés, ou, tandis que nous reposons un instant dans un bois, nous nous sentons confirmés dans notre route par le passage auprès de nous à tire-d’aile de ramiers fraternels qui ne nous ont pas vus

“Gli scrittori che noi ammiriamo non ci possono servire da guide, perchè abbiamo già in noi, — come l’ago calamitato o il piccione viaggiatore, — il senso del nostro orientamento. Ma, mentre guidati da questo [istinto] interiore noi procediamo innanzi, seguendo la nostra via, ogni tanto, quando gettiamo un’occhiata a destra o a manca sull’ultima opera di Francis Jammes o di Maeterlinck, o su una pagina ancora noi sconosciuta di Joubert o di Emerson, le reminiscenze anticipate che vi scorgiamo della stessa idea, della stessa sensazione, dello stesso sforzo d’arte che noi esprimiamo in quello stesso momento ci fanno piacere, come amabili cartelli indicatori che ci confermano che non abbiamo sbagliato strada o ci informano del passaggio vicino a noi, a volo spiegato, d’uno stermo di palombi fraterni, che non ci hanno visto”

Marcel Proust, Contre Sainte-Beuve, Note sulla letteratura e la critica. Traduz. ital. di Paolo Serini e Mariolina Bongiovanni Bertini

Sono rimasta parecchio stupita nel vedere quanti altri particolari della storia narrata da Hardy oltre al tema della costante e sempre inappagata ricerca di un ideale di bellezza femminile che si concretizzi in una donna in carne ed ossa, di un’ “Amata” inafferrata e inafferrabile siano in sintonia con alcuni dei più importanti leit motiv proustiani.

Le assonanze — ma forse sarebbe più corretto chiamarle coincidenze? — sono talmente numerose che meriterebbero davvero uno studio approfondito.

Magari qualcuno l’ha già fatto, io non lo so: la bibliografia proustiana è ormai talmente sterminata che è quasi impossibile, per una lettrice comune quale sono io, starle dietro…

Accenno solo, brevissimamente ed alla rinfusa, a qualche elemento che mi ha particolarmente suggestionata:

  • L’illusione (frustrata) di Jocelyn nei confronti di Avice (la seconda) di “sorvegliarla, di plasmare la sua mente, e educarla; e avrebbe potuto allontanarla da qualche vicino pericolo”è la stessa che il Narratore nutre nei confronti di Albertine.La fantasia — sempre inappagata — di possesso totale che egli nutre verso Albertine trova momentaneo sollievo soltanto nei momenti in cui il Narratore contempla il sonno di Albertine: Albertine che dorme non può pensare, è priva di coscienza e di volontà, è come un vegetale e dunque, finalmente, non può sfuggirgli…
  • l’Amata è inafferrabile come inafferrabili sono le quattro donne in cui sembra incarnarsi agli occhi di Jocelyn.Albertine viene definita dal Narratore un “être de fuite”, e cioé una persona la  cui vita   rimane in gran parte opaca e che resta misteriosa.Da ciò la necessità, per il Narratore, di andare a caccia della verità per sapere realmente chi essa sia.Ma non riuscirà a conoscerla, malgrado tutti i suoi tentativi, se non in modo frammentario.Nel romanzo di Hardy, più volte Jocelyn si lamenta del fatto di non riuscire  a capire che cosa pensino davvero le tre Avice, e tutti i suoi tentativi di comprendere i veri sentimenti che le donne nutrono verso di lui rimangono vani…Anche l’Amata di Hardy è un “être de fuite”.
Toulouse Lautrec Lavandaia
Henri de Toulouse Lautrec
La blanchisseuse (La lavandaia),1884-86
olio su tela, Collezione privata

 

  • Non poteva non colpirmi il fatto che la prima e la seconda Avice facciano le lavandaie: chi conosce la RTP sa bene quanto sia pullulante di anonime, deliziose, inafferrabili e sfuggenti lavandaie (e lattaie e giovani pescatrici, sia detto per inciso) di cui il Narratore si invaghisce in continuazione e che stimolano in lui fantasie erotiche…

Mi fermo qua ma, ripeto, il tema meriterebbe un approfondimento.

Per tornare sullo specifico del romanzo di Hardy, posso ben dire che, per quanto mi riguarda, L’Amata mi è servito — per quanto la cosa possa apparire bizzarra — non tanto a capir meglio Hardy quanto a far più luce su alcune idee e temi ricorrenti della RTP…

  • Il mio post su L’Amata di Thomas Hardy >>

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

10 pensieri riguardo “PROUST E THOMAS HARDY”

  1. Che connessioni sotterranee e interessanti! Di che mi meraviglio, però? Leggerti è sempre un grande piacere e una sicura fonte di sapere letterario
    Ti rileggerò con calma, intanto grazie! Salutissimi, Annarita

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  2. Non essendo un profondo conoscitore nè della Recherche, nè di Hardy, non riesco a seguirti fino in fondo. Ma trovo le tue connessioni estremamente interessanti e suggestive. Sei una lettrice ammirevole e tuoi post mi incantano sempre, anche per la cura nella composizione e del nutrito apparato iconografico.

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  3. Ho letto entrambi i post e un commento è difficile, molto difficile, anche perché neanch’io sono un così profondo conoscitore dei due scrittori, mi sfuggono molte cose.
    Mi ha colpito l’accenno alle lavandaie ( e lattaie e giovani pescatrici), per questioni, diciamo così, personali, che si perdono nella notte dei (miei) tempi.
    Sono tutte figure profondamente erotiche, dal mio punto di vista.
    Mi voglio sbilanciare con piccoli affreschi di memoria, due legati alla mia infanzia.
    La lavandaia mi ricorda una donna slovena, che veniva a servizio nella mia allora numerosa famiglia: era sempre così stanca, ma negli occhi aveva una solarità che ho rivisto solo di rado nella mia vita. E poi c’era quel buon odore di sapone che mi restava addosso sino a quando non lo rinnovava la volta successiva. La sua era una vita distesa, non stesa come i panni che metteva ad asciugare.
    La lattaia scendeva dall’altipiano del carso, con due enormi (a me parevano così) contenitori di latte appena munto. Si andava a riempire le bottiglie di vetro, da un litro e mezzo, ed era qualcosa di molto simile all’allattamento, a un ritorno ai primi mesi di vita.
    La giovane pescatrice, che mi fulminò in Sardegna con i suoi occhi e capelli nerissimi, quando le chiesi d’indicarmi un buon posto per la pesca in apnea. Era analfabeta, scoprii poi, ma m’insegnò il linguaggio delle correnti di un promontorio vicino a Palau.
    Erano queste donne, archetipi di femminilità e buon gusto: cose perdute, ormai, quasi definitivamente, nel mare putrido di volgarità che ci circonda.
    Quindi, cara Gabrilu, vedi dove mi portano (e non è la prima volta) i tuoi post.
    Credo che la passione che sta dietro al tuo scrivere di ciò che ami ti renda concava, e in quella concavità trova un posticino per i miei pensierini, così fuori tema, forse, ma spero non banali o stucchevoli.
    Ciao.

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  4.  questo tuo commento, amfortas, oltre ad essere bellissimo è commovente. Ti ringrazio come pure gabriella che sa preparare così bene la "cava" dove adagiarli, questi ricordi ….
    Grazie di cuore ad entrambi

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  5. annarita, carloesse, amfortas, stephi
    a volte mi rendo conto di andarci  forse un po’ pesante, con alcuni post, ma il  fatto è che  uso   il blog  **anche** come un vero e proprio  piccolo  "laboratorio",  per cercare di dare una sistemata ai pensieri,  per cercare di    non essere superficiale, per mettere un po’  d’ordine  nel mio disordine…  

    stephi bentornata   sentivo la tua mancanza 
    Amfortas   condivido pienamente quello che ti ha detto — e così bene — Stephi.
    Da parte mia voglio aggiungere  solo ancora il mio   "grazie".  

    P.S. Certo che "concava" non me l’aveva ancora detto nessuno! Non si finisce mai di  rimaner sorpresi…Ma guarda te…"concava" !!!  

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  6. Sempre per la catena delle connessioni improbabili e inaspettate, leggendo il tuo post mi è venuto da pensare di quanto Hardy e Proust abbiano anticipato Jung e Hillman e la teoria degli archetipi….
    Proust, – il Narratore, pardon -, direbbe Hillman, è innamorato della Seduttrice (Odette, la duchessa di Guermantes) e della kore (Gilberte); di questi archetipi, Albertine è evidentemente la sintesi.
    E’ sconcertante ma illuminante il fatto che la nostra mente, forse perché incapace di cogliere pienamente la complessità e la singolarità di un altro essere, preferisce semplificare e ricondurre ogni individuo ad una sorta di caso precedente ……

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  7. Ricordavo vagamente una relazione tra la Recherche e Thomas Hardy e non riuscivo a ricordare di che natura. Il tuo articolo è stato davvero prezioso e illuminante. Grazie.

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  8. Bravissima. Amo entrambi, in particolare Hardy. Non sono in grado di giudicare l’esattezza del suo metodo, ma ho trovato interessante il suo commento. L’analogia fra i due, secondo me, è il rifiuto di uno studio falsamente psicoanalitico dei personaggi, com’è in scrittori pur grandi, e l’abbandono a suggestioni e a intuizioni che derivano dall’amore verso alcuni tipi umani, o dalla repulsione verso altri. L’abbandono, cioè, nei momenti migliori, alla propria sincera e libera fantasia. Dopac

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