“Era appena uscito I fratelli Karamazov. Saltykov stava scrivendo I signori Golovlèv. Era l’epoca degli ultimi racconti, perfetti e malinconici, di Turgenev. Tolstoj era re, era dio. E tra tutti quei grandi uomini venerati dalla Russia intera, Anton Cechov, un ragazzo modesto, che pensava solo a guadagnarsi la vita, scriveva i suoi primi racconti.”
La vita di Cechov è stata breve. Breve è stata anche quella di Irène Némirovsky che, nata a Kiev un anno prima della morte di Cechov, vissuta in Francia sin da bambina, venne arrestata nel luglio del 1942. Inviata al campo di Pithiviers, dopo pochi giorni fu deportata ad Auschwitz dove morì di tifo.
Irène aveva tante affinità con Cechov, e fu probabilmente questo a spingerla, nel 1939, a scriverne una biografia che si legge come un romanzo e che, pur senza aver nulla di stucchevolmente agiografico è — come giustamente ha detto Le Figaro — un vero e proprio “atto d’amore” nei confronti del grande scrittore russo.
Una biografia malinconica e romanzesca per scrivere la quale — come ci dicono Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt biografi, a loro volta, della Némirovsky — Irène Némirovsky si è servita soprattutto dei ricordi del suo amico Ivan Bunin, da lei definito “uno dei critici più penetranti e più acuti”.
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