UNA BOCCATA D’ARIA

AirberlinDeutsche Bahn

Mi prendo una pausa di un paio di settimane.

Ho proprio bisogno di una boccata d’aria e di andarmene, anche se solo per poco, da questa Italia la cui aria, di questi tempi, trovo irrespirabile.

Stacco la spina giovedi mattina all’alba.
Poi, come al solito, mi collegherò saltuariamente e quando capita   da qualche Internet Point;  continuerò a leggere ma non scriverò e risponderò ad eventuali commenti al mio ritorno.

Dove me ne vado? Le due immagini parlano da sole, mi pare  🙂

Arrivederci a presto!

LO LASCIAI DIRE E CONTINUAI PER LA MIA STRADA

Da La passeggiata di Robert Walser

Robert Walser

Una ben fornita libreria mi attrasse straordinariamente […]

Con voce cortese e sommamente riguardosa, usando — non occorre dirlo — le più elette espressioni, m’informai di tutto ciò che di nuovo e migliore offriva il campo delle belle lettere.

“Posso” chiesi timidamente “conoscere e apprezzare sul momento quanto v’è di più valido e di più serio e al tempo stesso (s’intende) di più letto e prontamente ammirato e acquistato? Ella mi obbligherebbe in modo eccezionale se mi volesse usare la compiacenza di esibirmi il libro che, come nessuno può sapere meglio di lei, ha ottenuto il maggior favore sia tra il pubblico che legge, sia presso la temuta e perciò vezzeggiata critica, e il cui successo continua a mantenersi vivo.
“In verità m’interessa sommamente apprendere quale sia, fra le opere della penna qui accumulate o messe in mostra, il fortunato libro in questione, la vista del quale farà di me, con ogni probabilità, un acquirente sollecito, lieto, entusiasta. Il desiderio di vedermi dinanzi lo scrittore prediletto dal mondo della cultura, non chè il suo ammirato e freneticamente applaudito capolavoro, per poi, dissi, comprarlo subito, mi pervade tutte le membra.
“Potrei cortesemente rivolgerle la più viva preghiera di mostrarmi questo libro d’impareggiabile successo, sicchè l’ansia che si è impadronita di me si plachi e cessi alfine di agitarmi?
“Con piacere” disse il libraio.
Ratto come una freccia sparì alla mia vista, per ripresentarsi un attimo dopo all’avido amatore tenendo in mano il libro di non effimera validità, venduto e letto più di ogni altro.
Quel prezioso parto dell’intelletto era da lui recato con la stessa solenne compostezza di una reliquia santificante. Il suo volto era estatico; l’espressione irradiava sommo rispetto. Con le labbra atteggiate a quel sorriso che è proprio solo di chi sia intimamente compenetrato, egli depose dinanzi a me, col fare più suadente, l’oggetto della sua pronta ricerca. Io gettai al libro uno sguardo severo e chiesi:
“Può lei giurarmi che questo è il libro di maggior successo dell’anno?”
“Senza dubbio”
“Può affermare che questo è il libro che bisogna assolutamente aver letto?!
“Assolutamente”
“E’ davvero un bel libro?”
“La sua domanda è assolutamente superflua e inopportuna!”
“La ringrazio molto” dissi imperturbabile, lasciai dove si trovava il libro che aveva ottenuto il massimo successo di vendita perchè bisognava assolutamente averlo letto, e uscii senz’altro aggiungere, ossia in perfetto silenzio.
“Uomo ignorante e incolto!” non mancò di gridarmi dietro il libraio, nel suo giustificato corruccio. Ma io lo lasciai dire e continuai per la mia strada

Robert Walser, La passeggiata

 

IL VENTRE DI NAPOLI E ALTRE STORIE – MATILDE SERAO

Matilde Serao

Trovo vergognoso che una scrittrice come Matilde Serao sia più o meno caduta nel dimenticatoio.

Nel migliore dei casi, nelle storie della letteratura italiana a questa scrittrice cui Anna Banti (altra grande dimenticata!) dedicò una monografia vengono assegnate — e con molta condiscendenza — soltanto poche righe.

Quasi superfluo dire che la monografia della Banti oggi risulta introvabile…

Di Matilde Serao conoscevo lo straordinario Il paese di cuccagna.

Ho trovato in questi giorni il volume che fa parte della Collana “Ottocento” de La Biblioteca di Repubblica, e in due giorni ho letteralmente divorato Il ventre di Napoli e i racconti di quella che Antonia Arslan nell’eccellente introduzione chiama la “trilogia femminile” e cioè La virtù di Checchina , Terno secco e O Giovannino o la morte.

Una scrittura sanguigna, plastica, alla Zola (per intendersi), una capacità straordinaria di far vedere e toccare ed odorare…

Una scrittura dirompente, troppo dirompente, forse: se la Serao avesse scritto meno e si fosse concessa il lusso di rivedere e limare sarebbe certo stato meglio. Ma, egualmente, e nonostante tutti i difetti “da eccesso” che si possono imputare a molti suoi testi, che ammirazione per questa scrittrice!

Il ventre di Napoli, poi, è (purtroppo!) ancora oggi di un’attualità davvero sconcertante.

Si trattava di un’inchiesta a puntate che nel 1884 l’allora ventottenne Matilde Serao pubblicò sul Capitan Fracassa per rispondere alla proposta del ministro Agostino Depretis di bonificare Napoli sventrandone i quartieri più poveri.

Il titolo riecheggiava volutamente quello di Le ventre de Paris, un celeberrimo romanzo di Emile Zola sulla dura realtà popolare parigina.

Napoli. Foto Alinari
Napoli. Alla Fontana, 1895ca, Archivi Alinari – Firenze
© Fratelli Alinari-Firenze.

Il ventre di Napoli  inizia così:

Efficace la frase. Voi non lo conoscevate, onorevole Depretis, il ventre di Napoli: Avevate torto, perchè voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto. Non sono fatte pel Governo, certamente, le descrizioncelle colorite di cronisti con intenzioni letterarie, che parlano della via Caracciolo, del mare glauco, del cielo di cobalto, delle signore incantevoli e dei vapori violetti del tramonto; tutta questa retorichetta a base di golfo e colline fiorite, […] serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie. Ma il governo doveva sapere l’altra parte, il governo a cui arriva la statistica della mortalità e quella dei delitti; il governo a cui arrivano i rapporti dei prefetti, dei questori, degli ispettori di polizia, dei delegati […]
Quest’altra parte, questo ventre di Napoli, se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto?

 

Napoli. Foto Alinari
Napoli. Il giuoco della morra, 1895 ca, Archivi Alinari
©Fratelli Alinari Firenze.

Dobbiamo fare  proprio   uno sforzo per tenere a mente che si parla di ieri e non dell’ oggi …

Matilde Serao non era certo una donna avvenente, era sgraziata e per nulla elegante.

Matilde Serao

Eppure Edith Wharton, che conobbe la Serao a Parigi nell’esclusivo salotto della contessa de Fitz-James della quale la Serao era ospite fissa la descrive così:

“Tra le donne che ho incontrato là, la più straordinaria è stata senza dubbio Matilde Serao, la scrittrice e giornalista napoletana […]. Con il suo abbigliamento e la sua cadenza stridenti, appariva assurda in quel salotto, dove tutto era in penombra e in semitono — ma quando cominciava a parlare era padrona del campo […] Ella non parlava mai dall’alto, nè cercava di predominare nella conversazione, le interessava soltanto lo scambio di idee con persone intelligenti […] sapeva ascoltare e non si dilungava mai troppo su un argomento, ma interveniva con le sue battute al momento giusto, e lasciava spazio agli altri interlocutori. Ma quando era incoraggiata a parlare […] allora i suoi monologhi raggiungevano altezze superiori alla conversazione di qualsiasi altra donna che io abbia mai conosciuto. La viva immaginazione della narratrice (due o tre suoi romanzi sono magistrali) era alimentata da vaste letture e da una varia esperienza di classi e di tipi che le veniva dalla sua carriera giornalistica; e la cultura e l’esperienza si fondevano nello splendore della sua poderosa intelligenza”

Edith Wharton, Uno sguardo indietro. Autobiografia

 

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La foto di Matilde Serao al suo tavolo di lavoro è contenuta nel libro di Anna Banti Matilde Serao, Torino, Unione tipografico – Editrice torinese, 1965.

LE ORTICHE DI BABEL

Isaak Babel’ nel 1933.
Foto: Georgii Petrusov

Isaak Babel’: avevo letto parecchio, su di lui e sulla sua tragica fine.

Di origine ebrea, Babel trascorse infanzia e adolescenza a Odessa, dove era nato nel 1894.  Scrisse moltissimo (soprattuto racconti, ma anche alcuni testi teatrali) e divenne molto famoso ed apprezzato sia in URSS che all’estero, soprattutto in Francia. Il regime sovietico non se ne fidava pienamente ma tutto sommato lo  considerava una sorta di “compagno di strada”. Insomma  lo “tollerava”. Fino ad un certo   punto, però: nel 1937 Babel’  fu arrestato sotto l’accusa di troskismo e dopo uno dei tanti tragici processi-farsa di quegli anni bui delle repressioni staliniane venne fucilato in un campo di concentramento nel 1941.

Non avevo ancora mai letto nulla di suo.

L’occasione per avvicinarlo mi si è presentata con il volume dei Meridiani Mondadori che raccoglie tutte le sue opere ed in questi giorni mi sono centellinata  molti dei  suoi bellissimi racconti:  quelli della raccolta L’armata a cavallo  (considerata da molti il suo capolavoro) ma soprattutto, per quanto mi riguarda, i Racconti di Odessa e quelli che non fanno parte di raccolte specifiche ma che, comparsi di volta in volta nelle riviste e nei giornali russi dell’epoca sono inclusi in questo volume dei Meridiani con un ordine che è sostanzialmente quello cronologico.

Babel’ è stato per me una vera scoperta:  uno scrittore capace di evocare in maniera vivissima il mondo per me completamente estraneo  dell’ambiente ebraico di Odessa. Un mondo chiassoso e rutilante, che brulica di mercanti e fuorilegge (la Odessa di Babel viene accostata da molti alla mediterranea Marsiglia) in cui esplode anche la violenza dei primi pogrom e   la ferocia della guerra civile nei racconti — molti dei quali davvero durissimi — de L’armata a cavallo.

I racconti di Babel’  sono — tranne qualche eccezione — di poche pagine, i suoi personaggi li sentiamo come creature vive, il loro comportamento va dalla rassegnazione al furore isterico; l’umanità che emerge dalle sue miniature è dolorosa, primitiva, spesso crudele.

La sua prosa è fatta di frasi brevi, di allusioni, di  non detto. Spesso racconta cose atroci con un tono che fa pensare alla favola; si intuisce che dietro ogni pagina c’è un grande lavoro e che la commozione e l’effetto di grande lirismo che i racconti sono capaci di suscitare viene ottenuto  con una maniacale ossessione per il raggiungimento di quella che Babel — il quale non a caso adorava la scrittura di Flaubert ed aveva una vera e propria venerazione per Guy de Maupassant — considerava il suo ideale di perfezione nella stesura di un testo narrativo.

Ecco qualche stralcio di ciò che lo stesso Babel’ scrive, a proposito del suo personale modo di lavorare (il grassetto è mio):

“Controllo una frase dopo l’altra, e non una volta sola, ma parecchie. Prima di tutto cancello le parole superflue. Per questo occorre una vista acuta, perchè la lingua è assai abile nel celare le sue scorie, le ripetizioni, i sinonimi, le cose prive di senso, e cerca continuamente di essere più furba di noi. Quando ho finito questo lavoro, batto a macchina il manoscritto: così il testo si vede meglio. Poi lo lascio riposare due o tre giorni, se la pazienza mi basta, e controllo di nuovo ogni frase, ogni parola. E ogni volta trovo altre ortiche da estirpare.

[…] E non è tutto! Dopo aver eliminato le scorie, controllo la freschezza e la precisione di tutte le immagini, dei paragoni, delle metafore. Se non si trova un paragone calzante, è meglio ricunciarvi e lasciare il sostantivo solo, semplicemente. Il paragone dev’essere preciso come un regolo e naturale come il profumo dell’aneto. Ah, si, mi sono dimenticato di dire che prima di liminare le scorie linguistiche, spezzetto il testo in frasi leggere. Ci devono essere molti punti, farei di questa norma una vera e propria legge per gli scrittori. Ogni frase deve contenere un solo pensiero, una sola immagine, e basta. Non bisogna avere paura dei punti. Forse faccio delle frasi troppo corte, e in parte è perchè probabilmente da molti anni soffro d’asma.

[…] Particolarmente bello è l’a-capo che permette di variare tranquillamente il ritmo e spesso, come il guizzo di un lampo, rivela l’aspetto inatteso di uno spettacolo ben noto. Certi buoni scrittori adoperano a casaccio gli a-capo e i segni di interpunzione. E perciò la loro prosa, anche se ha meriti, è intorbidata dalla fretta e dalla negligenza”

Isaak Babel’ (citato da Adriano dell’Asta nel saggio introduttivo a Isaak Babel, Tutte le opere, Mondadori, I Meridiani)