Isaak Babel’ nel 1933.
Foto: Georgii Petrusov
Isaak Babel’: avevo letto parecchio, su di lui e sulla sua tragica fine.
Di origine ebrea, Babel trascorse infanzia e adolescenza a Odessa, dove era nato nel 1894. Scrisse moltissimo (soprattuto racconti, ma anche alcuni testi teatrali) e divenne molto famoso ed apprezzato sia in URSS che all’estero, soprattutto in Francia. Il regime sovietico non se ne fidava pienamente ma tutto sommato lo considerava una sorta di “compagno di strada”. Insomma lo “tollerava”. Fino ad un certo punto, però: nel 1937 Babel’ fu arrestato sotto l’accusa di troskismo e dopo uno dei tanti tragici processi-farsa di quegli anni bui delle repressioni staliniane venne fucilato in un campo di concentramento nel 1941.
Non avevo ancora mai letto nulla di suo.
L’occasione per avvicinarlo mi si è presentata con il volume dei Meridiani Mondadori che raccoglie tutte le sue opere ed in questi giorni mi sono centellinata molti dei suoi bellissimi racconti: quelli della raccolta L’armata a cavallo (considerata da molti il suo capolavoro) ma soprattutto, per quanto mi riguarda, i Racconti di Odessa e quelli che non fanno parte di raccolte specifiche ma che, comparsi di volta in volta nelle riviste e nei giornali russi dell’epoca sono inclusi in questo volume dei Meridiani con un ordine che è sostanzialmente quello cronologico.
Babel’ è stato per me una vera scoperta: uno scrittore capace di evocare in maniera vivissima il mondo per me completamente estraneo dell’ambiente ebraico di Odessa. Un mondo chiassoso e rutilante, che brulica di mercanti e fuorilegge (la Odessa di Babel viene accostata da molti alla mediterranea Marsiglia) in cui esplode anche la violenza dei primi pogrom e la ferocia della guerra civile nei racconti — molti dei quali davvero durissimi — de L’armata a cavallo.
I racconti di Babel’ sono — tranne qualche eccezione — di poche pagine, i suoi personaggi li sentiamo come creature vive, il loro comportamento va dalla rassegnazione al furore isterico; l’umanità che emerge dalle sue miniature è dolorosa, primitiva, spesso crudele.
La sua prosa è fatta di frasi brevi, di allusioni, di non detto. Spesso racconta cose atroci con un tono che fa pensare alla favola; si intuisce che dietro ogni pagina c’è un grande lavoro e che la commozione e l’effetto di grande lirismo che i racconti sono capaci di suscitare viene ottenuto con una maniacale ossessione per il raggiungimento di quella che Babel — il quale non a caso adorava la scrittura di Flaubert ed aveva una vera e propria venerazione per Guy de Maupassant — considerava il suo ideale di perfezione nella stesura di un testo narrativo.
Ecco qualche stralcio di ciò che lo stesso Babel’ scrive, a proposito del suo personale modo di lavorare (il grassetto è mio):
“Controllo una frase dopo l’altra, e non una volta sola, ma parecchie. Prima di tutto cancello le parole superflue. Per questo occorre una vista acuta, perchè la lingua è assai abile nel celare le sue scorie, le ripetizioni, i sinonimi, le cose prive di senso, e cerca continuamente di essere più furba di noi. Quando ho finito questo lavoro, batto a macchina il manoscritto: così il testo si vede meglio. Poi lo lascio riposare due o tre giorni, se la pazienza mi basta, e controllo di nuovo ogni frase, ogni parola. E ogni volta trovo altre ortiche da estirpare.
[…] E non è tutto! Dopo aver eliminato le scorie, controllo la freschezza e la precisione di tutte le immagini, dei paragoni, delle metafore. Se non si trova un paragone calzante, è meglio ricunciarvi e lasciare il sostantivo solo, semplicemente. Il paragone dev’essere preciso come un regolo e naturale come il profumo dell’aneto. Ah, si, mi sono dimenticato di dire che prima di liminare le scorie linguistiche, spezzetto il testo in frasi leggere. Ci devono essere molti punti, farei di questa norma una vera e propria legge per gli scrittori. Ogni frase deve contenere un solo pensiero, una sola immagine, e basta. Non bisogna avere paura dei punti. Forse faccio delle frasi troppo corte, e in parte è perchè probabilmente da molti anni soffro d’asma.
[…] Particolarmente bello è l’a-capo che permette di variare tranquillamente il ritmo e spesso, come il guizzo di un lampo, rivela l’aspetto inatteso di uno spettacolo ben noto. Certi buoni scrittori adoperano a casaccio gli a-capo e i segni di interpunzione. E perciò la loro prosa, anche se ha meriti, è intorbidata dalla fretta e dalla negligenza”
Isaak Babel’ (citato da Adriano dell’Asta nel saggio introduttivo a Isaak Babel, Tutte le opere, Mondadori, I Meridiani)
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