
Israel Joshua SINGER, La famille Karnovski (tit. orig. Di mishpohe Karnovski), traduz. dall’yiddish al francese di Monique Charbonnel, pp. 688, Editions Denoël, 2008, ISBN 9782207258729
“Sois un Juif dans ta maison et un homme dans la rue”
[…]
Toujours la bonne vieille règle d’or du juste milieu”
«Inédit» recita la fascetta dell’edizione francese de La famille Karnovski, un altro grande romanzo di Israel Joshua Singer rimasto sino ad ora pressoché ignoto.
A differenza de I fratelli Ashkenazi di cui ho parlato >>QUI, che era stato scritto in inglese, La famille Karnovski venne scritto in yiddish.
Mai comparso in italiano (figurarsi, ohibò), tradotto in inglese molto tempo fa, questo splendido libro, che segue tre generazioni di ebrei polacchi installatisi a Berlino nei primi anni del 1900 è stato recentemente tradotto dall’yiddish al francese da Monique Charbonnel per le edizioni Denoël & Ailleurs.
La versione originale del romanzo venne pubblicata in yiddish nel 1943 a New York proprio quando lo sterminio delle comunità ebraiche d’Europa era al suo culmine.
David Karnovski, ebreo polacco dello shtetl di Melnitz decide, agli inizi del 1900, di lasciare la Polonia e di abbandonare assieme alla giovane moglie Léa il mondo chassidico, sinonimo per lui di oscurantismo per raggiungere la società ebrea assimilata di Berlino, culla della Haskala, movimento ebraico dei Lumi.
“Per tutto l’oro del mondo non accetterò di passare un giorno di più fra questi selvaggi ed ignoranti”.
David Karnovski ha un vero culto della civiltà tedesca, la sua più grande aspirazione è quella di inserirsi a pieno titolo in un mondo che per lui rappresenta la cultura, è “attirato da quel paese d’oltre frontiera da cui veniva tutto ciò che c’è di buono, chiaro, ragionevole […] Berlino aveva sempre rappresentato per lui la Haskala, la saggezza, la raffinatezza, la bellezza, la luce, tutto quello di cui non si può che sognare e che rimane sempre fuori portata”
Questa partenza costituisce l’atto fondativo di una brillante ascesa sociale. A Berlino, David Karnovski si integra nei circoli intellettuali più esclusivi ed abbandona lo yiddish, lingua dialettale degli Ebrei dell’Est, per un tedesco raffinato, aspirando ad essere un “ebreo tra gli ebrei, tedesco tra i tedeschi”
Da adepto di Moses Mendelssohn, quando gli nasce il primo figlio, David sceglie per lui due nomi: “Moishe, come Mendelssohn, nome ebreo con il quale lo chiameranno alla Torah quando sarà più grande ed un nome tedesco, Georg, […] nome che potrà utilizzare in società nella sua attività commerciale” .
David cerca di inculcare in Moishe Georg i valori della haskala: “ebreo tra gli Ebrei e tedesco tra i Tedeschi”… “sempre, la vecchia regola d’oro del giusto mezzo”
Ma allo scoppio della prima guerra mondiale David Karnovski, il ricco commerciante in legno, si rende conto di essere considerato pur sempre uno straniero, scampa per miracolo all’internamento. Si dispera: “Lui che aveva fuggito l’ignoranza e l’oscurantismo dell’Est per la cultura e l’Illuminismo dell’Ovest? Lui che parlava tedesco secondo tutte le regole della grammatica […] Lui, uno stimato commerciante, proprietario di un grande immobile nel centro di Berlino, padre di figli nati nel paese…” .
In questa Germania sempre più preda della xenofobia e dell’antisemitismo l’assimilazione comincia ad apparire una pericolosa chimera.
Con l’inesorabile ascesa del nazismo, poi, la vita quotidiana dei Karnovski (e di tutti gli ebrei loro amici e conoscenti) diventa un inferno fatto di paura e di continue umiliazioni.
Per illustrare la progressione implacabile del partito nazista e dell’esclusione degli Ebrei Israel Joshua Singer fa vivere a ciascuno dei tanti personaggi del romanzo — anche quelli più marginali e secondari — tutta la complessità della loro condizione caratterizzata soprattutto dal difficile rapporto che ciascuno di essi ha con la propria identità individuale e collettiva e dall’accettazione o il rigetto di quanto trasmesso dalla tradizione familiare.
Lo stesso David, ad esempio, sebbene convinto dei benefici dell’assimilazione rompe momentaneamente i ponti con il figlio Georg Moishe, divenuto medico molto stimato, quando questi non sposa un’ebrea ma una tedesca cristiana.
Singer fa dire ad un vecchio erudito, reb Efroim Walder “La vita […] ama giocarci degli scherzi. Gli Ebrei vogliono essere Ebrei nelle loro case e uomini all’esterno, ma tutto si è complicato: noi siamo Gentili nelle nostre case ed Ebrei per l’esterno”.
Più avanza l’antisemitismo, più ci si rende conto che il destino delle persone è determinato non tanto da come ciascuna di esse vede sè stesso, ma da come viene percepito dagli altri. Si può anche essere ebrei non osservanti, ci si può essere addirittura convertiti al cristianesimo, si può aver combattuto per la Germania e per essa esser rimasti storpi o paralizzati o aver perso i propri figli. Si può essere ricchi banchieri o stimatissimi medici o eruditi di fama internazionale: nulla conta, davanti al fatto che comunque ti additano come “uno sporco ebreo”.
In un clima di questo genere, può accadere allora che un bambino come Joachim-Georg, il nipote di David Karnovski, essendo nato da un’unione mista (l’ebreo dottor Georg Karnovski e la tedesca cristiana Teresa Holbek), finisca per essere quello che forse più di tutti si trova a vivere il dramma della propria identità e dell’accettazione della propria doppia appartenenza arrivando persino ad interiorizzare ed a fare propri i discorsi e le idee antisemite dei nazisti:
“Come si trovava ridicolo, tutte le volte che si vedeva in uno specchio, nero, scarno, l’aria losca, con un gran naso, un vero Mosè. Il suo aspetto gli faceva talmente orrore che gli succedeva spesso di sputare sulla propria immagine riflessa nello specchio”.
La sofferenza del figlio appena adolescente spinge Georg ad imbarcarsi, con tutta la famiglia, per gli Stati Uniti.
Ma se la famiglia Karnovski è riuscita a salvarsi dai nazisti (e noi lettori di oggi sappiamo che ci sono riusciti appena in tempo) i problemi dell’integrazione dell’assimilazione non sono certo finiti. Tutta la Terza ed ultima parte del romanzo, che si svolge ormai negli Stati Uniti, ci mostra molti dei personaggi della comunità ebrea che avevamo conosciuto a Berlino e che, come i Karnovski, sono riusciti ad abbandonare in tempo la Germania, alle prese con le difficoltà di trovare nuove radici in un Paese così sterminato e così diverso dall’Europa cercando, allo stesso tempo, di non perdere/rinnegare la propria identità di ebrei.
Questo grande romanzo della volontà di assimilazione non si conclude con la fuga dalla Germania nazista.
Che cosa ne sarà del giovane Jegor, erede della terza generazione dei Karnovski scampati ai nazisti ed approdati “dall’altra parte”, e cioè negli Stati Uniti?
Sarà vero quello che ad un certo punto dice David Karnovski e cioè che “al proprio destino, nessuno può sfuggire”?
Attorno a David Karnovski, il ricco commerciante in legno appassionato di libri antichi ruota tutta la moltitudine degli ebrei assimilati in una narrazione che cattura per il tono, il ritmo, la capacità di Singer di mostrare, attraverso una serie di onde concentriche, tutto il gioco delle relazioni professionali e private di ciascuno dei vari personaggi. La comunità ebraica di Berlino ci viene mostrata con tutto il mosaico dei mestieri, delle professioni, della rete di conoscenze della famiglia, ambizioni e rivalità.
Anche all’interno della comunità degli ebrei assimilati (o che cercano di diventarlo) esistono conflitti, invidie, disprezzo per l’ “Altro”, lo “straniero”.
Assistiamo alle dinamiche — che solo in un primo momento possono apparire paradossali — di “ebrei tedeschi che ancora meno dei primi [i tedeschi cristiani N.d.R] sopportano la vista di un Ebreo straniero e che sarebbero pronti a mettergli la testa sott’acqua ed affogarlo”.
Esemplare, in questo senso, è l’atteggiamento del rabbino Spayer il quale “radicato nel paese ormai da molte generazioni” pensa, guardando Georg, che il problema è la sua origine orientale “perchè è dall’Est che viene ogni male”.
Si viene catturati dal romanzo già dalle prime pagine e ben presto ci si rende conto che sempre più difficile risulta interrompere la lettura. Si viene travolti da un vero e proprio tourbillon di episodi sorprendenti, commoventi, emozionanti, a volte buffi e ridicoli, a volte davvero strazianti. Singer riesce a mobilitare ogni sorta di emozioni, utilizzando anche a meraviglia e sempre nei momenti giusti un “humor ebraico” che funziona splendidamente.
Seguiamo erudite discussioni tra studiosi della Torah, entriamo nel quartiere ebraico di Scheunenviertel straripante di macellerie kasher …

Berlino, il quartiere di Scheunenviertel negli anni ’30 (Fonte)
Insomma Singer ci mostra un intero mondo, una vera e propria “Commedia umana” ebraica, un mondo in cui gli anni Trenta fanno pesare sempre di più oscure minacce fatte di odio antisemita…
Berlino, Scheunenviertel. Controlli di polizia in Dragonerstrasse nel 1933 (Fonte)
E poi: che incredibili ritratti di donne!
Da Léa Karnovski, madre ebrea iperprotettiva ed appassionata e attenta alla tradizione, ad Elsa Landau, la giovane efficiente dottoressa che lotta per i propri diritti di cittadina e di donna libera e indipendente diventando una militante di sinistra e deputata al Reichstadt, la ricca e petulante signora Moser… ed ancora: Teresa Holbek, Rebecca Karnovski, la signora Holbek, la moglie del ricchissimo commerciante Salomon Bourak…
Come Roman Vishniac che ha fotografato l’universo degli Ebrei dell’Europa dell’Est, Israel Singer delinea il panorama del mondo ebraico alla vigilia (ma questo, Singer non poteva saperlo) della sua sparizione.
La sua scrittura ci restituisce tutta la diversità, i conflitti interni, le contraddizioni di questo mondo ebraico con una lucidità veramente impressionante e che stupisce se si ricorda che i fratelli Singer erano figli di un rabbino ultra-ortodosso.
Una lucidità, quella di Israel Singer, che non può dunque che essere il frutto di una doppia presa di distanza: intellettuale innanzitutto perchè Israel rompe molto giovane con il suo ambiente di origine basato sulla stretta osservanza dei rituali e, diventando un adepto dell’avanguardia yiddish, inizia a condurre una vita da libero pensatore. Presa di distanza geografica poi, perchè nel 1933 parte per New York dove diventa giornalista per il quotidiano yiddish Forvets.
Sempre tenendo presente il momento storico in cui La famille Karnovski venne scritto e pubblicato, non può che lasciare attoniti la capacità analitica dimostrata da Israel nel descrivere il processo che condusse poi al genocidio. Interessantissima, ad esempio, l’importanza data nel corso di tutta la narrazione alla fraseologia antisemita che di giorno in giorno contamina sempre di più la lingua tedesca insinuando e radicando sempre di più l’idea di una “razza ebrea” che sporca e contamina, da cui quindi i tedeschi devono difendersi per purificare la Germania, idea che porterà allo sterminio pianificato.
Una delle cose che emozionano e commuovono maggiormente, durante la lettura, è il sapere che il romanzo è stato pubblicato nel 1943, proprio nel momento in cui il massacro delle comunità ebraiche in tutta l’Europa era al suo culmine, massacri i cui echi arrivavano in America ma di cui molto probabilmente lo stesso Israel ignorava sia la portata che i terrificanti particolari allestiti per la “soluzione finale” che avrebbe dovuto servire a rendere la Germania e l’Europa completamente “judenfrei“, come aveva ordinato Hitler.
Scrive Elena Loewenthal in un bell’articolo pubblicato su La Stampa in occasione dell’uscita, in Francia, de La famille Karnovski:
“Israel Joshua Singer non ha mai conosciuto Auschwitz, non ha mai dovuto confrontarsi con quella tremenda verità che nel 1945 svelarono quei cancelli. Forse non gli è mai venuto in mente, come invece toccherà a suo fratello, di trovarsi a narrare un mondo che non esisteva più. Non ha mai provato a immaginare l’estinzione brutale della lingua in cui scriveva, lo yiddish annientato nei forni crematori. Eppure questo romanzo dai ritmi cadenzati che, con le sue finestre su un mondo ebraico complesso e carico di grandi sfide, molto argomenta oltre a raccontare, sembra già adombrare tutto quello che di lì a poco si vedrà, si saprà. Questa consapevolezza a posteriori lo rende una lettura non di rado scioccante: viene da prendersi la testa fra le mani. E si precipita in quel purgatorio di paura e incredulità, di preoccupazione e sgomento, che precedette le certezze. Le terribili scoperte di dopo la guerra. In fondo, un po’ ce le spiega anche, queste terribili scoperte: perché da quella sete di assimilazione dei Karnovski, da quel loro irrefrenabile desiderio di «diventare come gli altri», trapela anche l’evidenza del fallimento. È una storia, insomma, che va contro se stessa, fin quando non esplode. Ma Israel Joshua Singer, fratello maggiore di Isaac Bashevis, morto d’infarto nel 1944, non poté mai saperlo fino in fondo. |
Israel Joshua Singer (secondo da sinistra, di profilo) in un caffè in Polonia
assieme ad altri scrittori yiddish nel 1930. (Fonte)
- La scheda del libro >>
- L’articolo di Elena Loewenthal >>
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N.B. La traduzione dal francese delle citazioni tratte dal romanzo è mia.
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La famille Karnovski mi ha fatto subito, e prepotentemente, riandare con il pensiero ad un altro grande piccolo (piccolo solo per la lunghezza: forse appena un centinaio di pagine) scritto sulla volontà di integrazione e di assimilazione. In quel caso si trattava di un ebreo ungherese che aveva attraversato tutta l’Europa per trasferirsi in Francia, patria della tolleranza e dei Lumi.
Quel piccolo grande libro è La marche à l’Etoile.
L’autore è Vercors, pseudonimo di Jean Bruller.
Ne ho parlato >> QUI
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Aggiornamento del 21 Marzo 2013
Il romanzo di Singer è stato finalmente tradotto in italiano e pubblicato da Adelphi.
La scheda del libro sul sito della casa editrice
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