ARRIVEDERCI A SETTEMBRE!

Le plat pays -Jacques Brel

Belgio

Me ne torno per un po'    nel le plat pays di Brel, Simenon, Magritte, Yourcenar…

Come sempre, stacco anche dal computer, mi collegherò di tanto in tanto da qualche Internet Point, leggerò ma non scriverò.

Arrivederci alla fine di agosto, primi di settembre   

LA FAMILLE KARNOVSKI – ISRAEL JOSHUA SINGER

La famille Karnovski
Israel Joshua SINGER, La famille Karnovski (tit. orig. Di mishpohe Karnovski), traduz. dall’yiddish al francese di Monique Charbonnel, pp. 688, Editions Denoël, 2008, ISBN 9782207258729

“Sois un Juif dans ta maison et un homme dans la rue”
[…]
Toujours la bonne vieille règle d’or du juste milieu”

«Inédit» recita la fascetta dell’edizione francese de La famille Karnovski, un altro grande romanzo di Israel Joshua Singer rimasto sino ad ora pressoché ignoto.

A differenza de I fratelli Ashkenazi di cui ho parlato >>QUI, che era stato scritto in inglese, La famille Karnovski venne scritto in yiddish.

Mai comparso in italiano  (figurarsi, ohibò), tradotto in inglese molto tempo fa, questo splendido libro, che segue tre generazioni di ebrei polacchi installatisi a Berlino nei primi anni del 1900 è stato recentemente tradotto dall’yiddish al francese da Monique Charbonnel per le edizioni Denoël & Ailleurs.

La versione originale del romanzo venne pubblicata in yiddish nel 1943 a New York proprio quando lo sterminio delle comunità ebraiche d’Europa era al suo culmine.

David Karnovski, ebreo polacco dello shtetl di Melnitz decide, agli inizi del 1900, di lasciare la Polonia e di abbandonare assieme alla giovane moglie Léa il mondo chassidico, sinonimo per lui di oscurantismo per raggiungere la società ebrea assimilata di Berlino, culla della Haskala, movimento ebraico dei Lumi.

“Per tutto l’oro del mondo non accetterò di passare un giorno di più fra questi selvaggi ed ignoranti”.

David Karnovski ha un vero culto della civiltà tedesca, la sua più grande aspirazione è quella di inserirsi a pieno titolo in un mondo che per lui rappresenta la cultura, è “attirato da quel paese d’oltre frontiera da cui veniva tutto ciò che c’è di buono, chiaro, ragionevole […] Berlino aveva sempre rappresentato per lui la Haskala, la saggezza, la raffinatezza, la bellezza, la luce, tutto quello di cui non si può che sognare e che rimane sempre fuori portata”

Questa partenza costituisce l’atto fondativo di una brillante ascesa sociale. A Berlino, David Karnovski si integra nei circoli intellettuali più esclusivi ed abbandona lo yiddish, lingua dialettale degli  Ebrei dell’Est, per un tedesco raffinato, aspirando ad essere un “ebreo tra gli ebrei, tedesco tra i tedeschi”

Da adepto di Moses Mendelssohn, quando gli nasce il primo figlio, David sceglie per lui due nomi: “Moishe, come Mendelssohn, nome ebreo con il quale lo chiameranno alla Torah quando sarà più grande ed un nome tedesco, Georg, […] nome che potrà utilizzare in società nella sua attività commerciale” .

David cerca di inculcare in Moishe Georg i valori della haskala: “ebreo tra gli Ebrei e tedesco tra i Tedeschi” “sempre, la vecchia regola d’oro del giusto mezzo”

Ma allo scoppio della prima guerra mondiale David Karnovski, il ricco commerciante in legno, si rende conto di essere considerato pur sempre uno straniero, scampa per miracolo all’internamento. Si dispera: “Lui che aveva fuggito l’ignoranza e l’oscurantismo dell’Est per la cultura e l’Illuminismo dell’Ovest? Lui che parlava tedesco secondo tutte le regole della grammatica […] Lui, uno stimato commerciante, proprietario di un grande immobile nel centro di Berlino, padre di figli nati nel paese…” .

In questa Germania sempre più preda della xenofobia e dell’antisemitismo l’assimilazione comincia ad apparire una pericolosa chimera.

Con l’inesorabile ascesa del nazismo, poi, la vita quotidiana dei Karnovski (e di tutti gli ebrei loro amici e conoscenti) diventa un inferno fatto di paura e di continue umiliazioni.

Per illustrare la progressione implacabile del partito nazista e dell’esclusione degli Ebrei Israel Joshua Singer fa vivere a ciascuno dei tanti personaggi del romanzo — anche quelli più marginali e secondari — tutta la complessità della loro condizione caratterizzata soprattutto dal difficile rapporto che ciascuno di essi ha con la propria identità individuale e collettiva e dall’accettazione o il rigetto di quanto trasmesso dalla tradizione familiare.

Lo stesso David, ad esempio, sebbene convinto dei benefici dell’assimilazione rompe momentaneamente i ponti con il figlio Georg Moishe, divenuto medico molto stimato, quando questi non sposa un’ebrea ma una tedesca cristiana.

Singer fa dire ad un vecchio erudito, reb Efroim Walder “La vita […] ama giocarci degli scherzi. Gli Ebrei vogliono essere Ebrei nelle loro case e uomini all’esterno, ma tutto si è complicato: noi siamo Gentili nelle nostre case ed Ebrei per l’esterno”.

Più avanza l’antisemitismo, più ci si rende conto che il destino delle persone è determinato non tanto da come ciascuna di esse vede sè stesso, ma da come viene percepito dagli altri. Si può anche essere ebrei non osservanti, ci si può essere addirittura convertiti al cristianesimo, si può aver combattuto per la Germania e per essa esser rimasti storpi o paralizzati o aver perso i propri figli. Si può essere ricchi banchieri o stimatissimi medici o eruditi di fama internazionale: nulla conta, davanti al fatto che comunque ti additano come “uno sporco ebreo”.

In un clima di questo genere, può accadere allora che un bambino come Joachim-Georg, il nipote di David Karnovski, essendo nato da un’unione mista (l’ebreo dottor Georg Karnovski e la tedesca cristiana Teresa Holbek), finisca per essere quello che forse più di tutti si trova a vivere il dramma della propria identità e dell’accettazione della propria doppia appartenenza arrivando persino ad interiorizzare ed a fare propri i discorsi e le idee antisemite dei nazisti:

“Come si trovava ridicolo, tutte le volte che si vedeva in uno specchio, nero, scarno, l’aria losca, con un gran naso, un vero Mosè. Il suo aspetto gli faceva talmente orrore che gli succedeva spesso di sputare sulla propria immagine riflessa nello specchio”.

La sofferenza del figlio appena adolescente spinge Georg ad imbarcarsi, con tutta la famiglia, per gli Stati Uniti.

Ma se la famiglia Karnovski è riuscita a salvarsi dai nazisti (e noi lettori di oggi sappiamo che ci sono riusciti appena in tempo) i problemi dell’integrazione dell’assimilazione non sono certo finiti. Tutta la Terza ed ultima parte del romanzo, che si svolge ormai negli Stati Uniti, ci mostra molti dei personaggi della comunità ebrea che avevamo conosciuto a Berlino e che, come i Karnovski, sono riusciti ad abbandonare in tempo la Germania, alle prese con le difficoltà di trovare nuove radici in un Paese così sterminato e così diverso dall’Europa cercando, allo stesso tempo, di non perdere/rinnegare la propria identità di ebrei.

Questo grande romanzo della volontà di assimilazione non si conclude con la fuga dalla Germania nazista.

Che cosa ne sarà del giovane Jegor, erede della terza generazione dei Karnovski scampati ai nazisti ed approdati “dall’altra parte”, e cioè negli Stati Uniti?

Sarà vero quello che ad un certo punto dice David Karnovski e cioè che “al proprio destino, nessuno può sfuggire”?

Attorno a David Karnovski, il ricco commerciante in legno appassionato di libri antichi ruota tutta la moltitudine degli ebrei assimilati in una narrazione che cattura per il tono, il ritmo, la capacità di Singer di mostrare, attraverso una serie di onde concentriche, tutto il gioco delle relazioni professionali e private di ciascuno dei vari personaggi. La comunità ebraica di Berlino ci viene mostrata con tutto il mosaico dei mestieri, delle professioni, della rete di conoscenze della famiglia, ambizioni e rivalità.

Anche all’interno della comunità degli ebrei assimilati (o che cercano di diventarlo) esistono conflitti, invidie, disprezzo per l’ “Altro”, lo “straniero”.

Assistiamo alle dinamiche — che solo in un primo momento possono apparire paradossali — di “ebrei tedeschi che ancora meno dei primi [i tedeschi cristiani N.d.R] sopportano la vista di un Ebreo straniero e che sarebbero pronti a mettergli la testa sott’acqua ed affogarlo”.

Esemplare, in questo senso, è l’atteggiamento del rabbino Spayer il quale “radicato nel paese ormai da molte generazioni” pensa, guardando Georg, che il problema è la sua origine orientale “perchè è dall’Est che viene ogni male”.

Si viene catturati dal romanzo già dalle prime pagine e ben presto ci si rende conto che sempre più difficile risulta interrompere la lettura. Si viene travolti da un vero e proprio tourbillon di episodi sorprendenti, commoventi, emozionanti, a volte buffi e ridicoli, a volte davvero strazianti. Singer riesce a mobilitare ogni sorta di emozioni, utilizzando anche a meraviglia e sempre nei momenti giusti un “humor ebraico” che funziona splendidamente.

Seguiamo erudite discussioni tra studiosi della Torah, entriamo nel quartiere ebraico di Scheunenviertel straripante di macellerie kasher

Scheuneviertel

Berlino, il quartiere di Scheunenviertel negli anni ’30 (Fonte)

Insomma Singer ci mostra un intero mondo, una vera e propria “Commedia umana” ebraica, un mondo in cui gli anni Trenta fanno pesare sempre di più oscure minacce fatte di odio antisemita…

Scheuneviertel 1933Berlino, Scheunenviertel. Controlli di polizia in Dragonerstrasse nel 1933 (Fonte)

E poi: che incredibili ritratti di donne!

Da Léa Karnovski, madre ebrea iperprotettiva ed appassionata e attenta alla tradizione, ad Elsa Landau, la giovane efficiente dottoressa che lotta per i propri diritti di cittadina e di donna libera e indipendente diventando una militante di sinistra e deputata al Reichstadt, la ricca e petulante signora Moser… ed ancora: Teresa Holbek, Rebecca Karnovski, la signora Holbek, la moglie del ricchissimo commerciante Salomon Bourak…

Come Roman Vishniac che ha fotografato l’universo degli Ebrei dell’Europa dell’Est, Israel Singer delinea il panorama del mondo ebraico alla vigilia (ma questo, Singer non poteva saperlo) della sua sparizione.

La sua scrittura ci restituisce tutta la diversità, i conflitti interni, le contraddizioni di questo mondo ebraico con una lucidità veramente impressionante e che stupisce se si ricorda che i fratelli Singer erano figli di un rabbino ultra-ortodosso.

Una lucidità, quella di Israel Singer, che non può dunque che essere il frutto di una doppia presa di distanza: intellettuale innanzitutto perchè Israel rompe molto giovane con il suo ambiente di origine basato sulla stretta osservanza dei rituali e, diventando un adepto dell’avanguardia yiddish, inizia a condurre una vita da libero pensatore. Presa di distanza geografica poi, perchè nel 1933 parte per New York dove diventa giornalista per il quotidiano yiddish Forvets.

Sempre tenendo presente il momento storico in cui La famille Karnovski venne scritto e pubblicato, non può che lasciare attoniti la capacità analitica dimostrata da Israel nel descrivere il processo che condusse poi al genocidio. Interessantissima, ad esempio, l’importanza data nel corso di tutta la narrazione alla fraseologia antisemita che di giorno in giorno contamina sempre di più la lingua tedesca insinuando e radicando sempre di più l’idea di una “razza ebrea” che sporca e contamina, da cui quindi i tedeschi devono difendersi per purificare la Germania, idea che porterà allo sterminio pianificato.

Una delle cose che emozionano e commuovono maggiormente, durante la lettura, è il sapere che il romanzo è stato pubblicato nel 1943, proprio nel momento in cui il massacro delle comunità ebraiche in tutta l’Europa era al suo culmine, massacri i cui echi arrivavano in America ma di cui molto probabilmente lo stesso Israel ignorava sia la portata che i terrificanti particolari allestiti per la “soluzione finale” che avrebbe dovuto servire a rendere la Germania e l’Europa completamente “judenfrei“, come aveva ordinato Hitler.

Scrive Elena Loewenthal in un bell’articolo pubblicato su La Stampa in occasione dell’uscita, in Francia, de La famille Karnovski:

“Israel Joshua Singer non ha mai conosciuto Auschwitz, non ha mai dovuto confrontarsi con quella tremenda verità che nel 1945 svelarono quei cancelli. Forse non gli è mai venuto in mente, come invece toccherà a suo fratello, di trovarsi a narrare un mondo che non esisteva più. Non ha mai provato a immaginare l’estinzione brutale della lingua in cui scriveva, lo yiddish annientato nei forni crematori. Eppure questo romanzo dai ritmi cadenzati che, con le sue finestre su un mondo ebraico complesso e carico di grandi sfide, molto argomenta oltre a raccontare, sembra già adombrare tutto quello che di lì a poco si vedrà, si saprà. Questa consapevolezza a posteriori lo rende una lettura non di rado scioccante: viene da prendersi la testa fra le mani. E si precipita in quel purgatorio di paura e incredulità, di preoccupazione e sgomento, che precedette le certezze. Le terribili scoperte di dopo la guerra. In fondo, un po’ ce le spiega anche, queste terribili scoperte: perché da quella sete di assimilazione dei Karnovski, da quel loro irrefrenabile desiderio di «diventare come gli altri», trapela anche l’evidenza del fallimento. È una storia, insomma, che va contro se stessa, fin quando non esplode. Ma Israel Joshua Singer, fratello maggiore di Isaac Bashevis, morto d’infarto nel 1944, non poté mai saperlo fino in fondo.
Israel Singer ed altri scrittori yiddish
Israel Joshua Singer (secondo da sinistra, di profilo) in un caffè in Polonia
assieme ad altri scrittori yiddish nel 1930. (Fonte)
  • La scheda del libro >>
  • L’articolo di Elena Loewenthal >>

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N.B. La traduzione dal francese delle citazioni tratte dal romanzo è mia.

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Nota
La famille Karnovski mi ha fatto  subito, e prepotentemente,  riandare con il pensiero  ad un altro grande piccolo (piccolo solo per la lunghezza: forse appena un centinaio di pagine) scritto sulla volontà di integrazione e di assimilazione. In quel caso si trattava di un ebreo ungherese che aveva attraversato tutta l’Europa per trasferirsi in Francia, patria della tolleranza e dei Lumi.

Quel piccolo grande libro è La marche à l’Etoile.
L’autore è Vercors, pseudonimo di Jean Bruller.

Ne ho parlato >> QUI

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Aggiornamento del 21 Marzo 2013

Il romanzo di Singer è stato finalmente tradotto in italiano e pubblicato da Adelphi.

La scheda del libro sul sito della casa editrice

 

 

EROISMI [2]

Hillman

In un momento chiave del celebre film sul generale Patton, un memorabile George C. Scott passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri.

Volgendo lo sguardo a quello scempio, esclama:

«Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita»

Considero Hillman uno dei miei Maestri. Permettetemi di citarlo.

JAMES HILMAN
James Hillman

EROISMI [1]

donna alla finestra

“Gli uomini non hanno bisogno di costringersi ad essere forti: essi hanno tratto in sorte la loro gagliardia come noi la nostra debolezza. Del resto, essi non provano mai un vero impluso. E quando lo provano, lo seguono, ecco tutto. […] Un uomo cade in guerra: è un eroe. Anche se il suo eroismo è stato inconsapevole. Ah!” fece la Nonna battendo una mano sul bracciuolo della poltrona ed ergendosi nella maestà della sua statura: “Ma quante volte una donna deve consapevolmente morire, nella sua miserabile vita di ogni giorno?”

I FRATELLI ASHKENAZI – ISRAEL JOSHUA SINGER

Israel Singer I fratelli Ashkenazi
Israel Joshua SINGER, I fratelli Ashkenazi (tit. orig. The Brothers Ashkenazi), traduzione di Bruno Fonzi, Introduzione di Claudio Magris, pp. 768, Bollati Boringhieri, 2011, EAN 9788833921846

Finalmente Bollati Boringhieri ha ripubblicato questo romanzo dello scrittore polacco Israel Joshua Singer, fratello maggiore del ben più noto Isaac Bashevis Singer, Nobel per la Letteratura 1978. Si tratta di un romanzo che, pubblicato per la prima volta in italiano da Longanesi nel 2004 ma poi scomparso dalla circolazione, aspettavo da anni di poter leggere.

Quando The Brothers Ashkenazi era comparso per la prima volta negli Stati Uniti nel 1936, aveva riscosso immediatamente un immenso successo e per molto tempo fu, assieme a Via col vento di Margareth Mitchell in cima alla lista dei best seller del New York Times.

Se la parola “best seller” fa venire il mal di pancia a qualcuno (a me lo farebbe venire, ad esempio; sono dannatamente diffidente, nei confronti dei best seller) sia così paziente da leggere il resto del post. Sono in grado di assicurare che quel che allora era stato solo un best seller è poi diventato un long seller. Ed è questo, che è importante.

Prima di entrare nel merito del libro, però, qualche parola sul suo autore.

Israel Joshua Singer è molto più che il fratello maggiore di Isaac Bashevis Singer. Ci sono critici letterari, esperti di letteratura yiddish ma non solo, che lo ritengono scrittore di valore addirittura di molto superiore al fratello Isaac il quale, molto più longevo, ebbe anche il tempo e il modo di scrivere più libri di Israel.

Israel Jeoshua e Isaac Bashevis Singer
Israel Jeoshua e Isaac Bashevis Singer

…Ma questo adesso non ha molto importanza, e della questione magari parleremo in seguito, chissà.

Nato a Bilgorai, pittore a Varsavia, correttore di bozze a Kiev, nel 1933 Israel emigrò negli Stati Uniti, dove il suo teatro in yiddish è stato rappresentato per molto tempo.

I fratelli Ashkenazi è una grande saga familiare che si sviluppa per tre generazioni. Si svolge nell’arco di una cinquantina d’anni a cavallo tra Ottocento e Novecento nella cittadina polacca di Lodz che, su uno sfondo di miseria, di pogrom, di ricchezze ma anche di guerre e di rivoluzioni si trasforma da piccolo villaggio contadino a vivacissima città industriale.

Le prime pagine del libro, un Proemio in cui vengono descritte le grandi masse di “carri e barocci carichi di uomini, di donne, di bambini e di masserizie” che, percorrendo in lunghe processioni “le strade polverose della Slesia e della Sassonia, attraverso cittadine e villaggi devastati dalle guerre napoleoniche entravano in Polonia”, si impongono subito per la grandiosità della rappresentazione e l’andamento da esodo biblico con cui viene descritto l’arrivo a Lodz, in Polonia, di tessitori tedeschi ed ebrei ortodossi provenienti dalla Germania.

Mappa di Lodz

Scrive Claudio Magris nella lunga Prefazione (i grassetti sono miei):

Una lunga fila di emigranti è in marcia verso la città polacca di Lodz: fra loro una variopinta comunità di ebrei ortodossi che intende guadagnarsi da vivere con la tradizionale filatura a telaio. Sarà il seme dal quale nasceranno grandi industrie tessili capaci di imporre le loro merci in tutta l’Europa.In questo piccolo e operoso mondo, dove il tempo è scandito dal lavoro e dalle pratiche religiose, nascono i due figli del pio Reb Abraham Kirsch Ashkenazi, opposti nel carattere fin dalla prima infanzia: Jakob Bunin, vitale e generoso, rappresenta la forza naturale e l’istinto gioioso di vivere, mentre Simcha Meier, introverso e abile negli affari, riversa la sua febbrile inquietudine nell’imprenditoria. La parabola dell’esistenza porterà Jakob ad affermarsi con il suo talento di comunicatore, mentre Simcha toccherà le vette del capitalismo industriale grazie a un miscuglio di cupidigia e lungimiranza che tutto travolge in nome del profitto. Attorno a loro, tra la fine dell’Ottocento e il primo conflitto mondiale, si svolgono le grandi vicende della Storia e gli eventi minimi di una folla di personaggi uniti dalla comune spiritualità ebraica, che sfocia in conflitti generazionali, al punto di indurre i giovani a un progressivo allontanamento dalla tradizione dei padri, fino a esperienze estreme come la rivoluzione, la negazione degli affetti familiari e l’affermazione dell’individualismo assoluto.
[…]
…un magistrale affresco che si pone come il pendant ebraico dei Buddenbrook di Thomas Mann, e che spiega perché Isaac Singer disse dell’amato fratello: «Sto ancora imparando da lui e dalla sua opera.»

Attraverso le vicende di una famiglia immerse nella storia dell’ebraismo polacco narrate in un libro dall’impianto pienamente ottocentesco Singer sviluppa molti temi: quello dell’ascesa e della decadenza borghese, delle prime contraddittorie lotte sociali e della progressiva presa di coscienza da parte dei lavoratori; ci fa assistere allo sfacelo dell’impero zarista, alla rivoluzione dei Soviet ed alla costituzione della caotica repubblica polacca.

Bambini  hassidici a Lodz, primi del 1900
Bambini chassidici a Lodz, primi del ‘900

Singer ricrea dunque, attorno ai due figli gemelli di Reb Ashkenazi, tutta una folla di personaggi, di eventi e di vicende private, tutta la fenomenologia culturale, storica e politica di una pagina importante della storia polacca e di quel brulicante mondo degli ebrei orientali che verrà, non molti anni dopo, ferocemente annientata.

Lodz 1900
Lodz, primi anni del 1900
(Fonte)

Leggendo il romanzo, ha costituito per me un’emozione in più la consapevolezza del fatto che Israel Singer, avendo pubblicato il libro nel 1936, non poteva conoscere il tragico destino cui gli ebrei di Lodz andarono incontro dal 1939 al 1944

I temi del romanzo che andrebbero approfonditi sono davvero tanti. Ne estrapolo solo alcuni:

  • Il tema dei due fratelli, che mi ha fatto riandare con il pensiero alle pagine de Gli scomparsi in cui l’ebreo americano Daniel Mendelsohn tratta a fondo l’importanza che, nella cultura ebraica, ha il tema del conflitto tra fratelli. Sono anche andata a rileggermele, quelle pagine, e ciò che scrive Mendelsohn mi ha fatto capire meglio tante cose dei due gemelli Ashkenazi
  • I dualismi e le contrapposizioni tra individui (i due fratelli), tra due modi di vivere l’ebraismo, due rappresentazioni del prezzo da pagare per l’ assimilazione e la conflittualità tra gruppi: ebrei e gentili, ebrei chassidici di stretta osservanza ed ebrei “modernisti” assimilati o che aspirano all’assimilazione, ebrei poveri ed ebrei ricchi (e qui, come non pensare a I cani e i lupi di Irene Nemirovski?), tra tedeschi ed ebrei, tra russi ed ebrei….Una delle cose più interessanti mi è sembrata proprio la rappresentazione dell’universo ebraico che fornisce Israel Singer: un universo non monolitico ma ricco, al proprio interno, di differenze ed anche di contraddizioni. Quella per esempio in cui di fatto si trova a vivere la maggior parte degli ebrei tradizionalisti: da una parte una puntigliosa (ai miei occhi ai limiti dell’ossessivo) adesione a tutti a  i rituali ma nello stesso tempo ipocrisia, indifferenza, persino crudeltà, poi, nella gestione concreta dei rapporti umani e dell’affettività.
  • Lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo: la descrizione del microcosmo dei tessitori, dei lavoratori al telaio con tutta la rete di appaltatori e subappaltatori, la descrizione della miseria è anche il modo per descrivere lo sfruttamento esercitato da ebrei nei confronti di altri ebrei.
Una fabbrica di Lodz nel 1906
Una fabbrica di Lodz nel 1906
Fonte


  • I cambiamenti, che si verificano sia a livello collettivo che individuale ed in cui i frequenti mutamenti dello scenario geopolitico (cambiano i confini, cambiano i padroni, cambiano gli alleati ed i nemici) fanno sì che di volta in volta un gruppo o un singolo viene a trovarsi nel ruolo di vittima o di carnefice.Non solo una società in piena trasformazione in cui i cambiamenti vengono di volta in volta subiti, provocati, auspicati, tollerati, temuti ma una società in cui a ciascun personaggio accade di comportarsi in maniera diversa a seconda della situazione e del contesto in cui viene a trovarsi.

Romanzo di amplissimo respiro, che parte lento e poi accelera andando sempre più in crescendo, un racconto appassionante in cui l’incredibile capacità epica dell’autore ci offre un capolavoro di narrazione che non solo a I Buddenbrook di Mann fa pensare, ma che da alcuni è stato paragonato ad una sorta di “Rougon Macquart dello Stethl”.

Condivido in pieno. A me, ad esempio, molte pagine ed interi capitoli hanno in effetti rievocato pagine e capitoli de L’Assommoir, di Germinal (la grande scena dello sciopero della miniera in Germinal, l’analoga grande scena dello sciopero della fabbrica tessile ne I fratelli Ashkenazi), di Le ventre de Paris, di Au bonheur des dames

N ota
In una lunga intervista rilasciata nel 2009 a suo tempo pubblicata sul Corriere della Sera Harold Bloom parla del premio Nobel Isaac Bashevis Singer come di «Un autore mediocre. Al suo posto meritavano di vincere Chaim Grade, artefice dello splendido Yeshiva e Israel Joshua Singer, fratello maggiore ben più talentuoso di Bashevis che ci ha lasciato il bellissimo I Fratelli Ashkenazi ».

(Testo integrale dell’intervista >> qui)

Israel Singer
Israel Joshua Singer nel 1938

 

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