STORIA DI UN TEDESCO – SEBASTIAN HAFFNER

Storia di un tedesco

 

Sebastian HAFFNER, Storia di un tedesco. Un ragazzo contro Hitler dalla Repubblica di Weimar all’avvento del Terzo Reich (tit. orig. Geschichte eines Deutschen), trad. dal tedesco di Claudio Groff, p.256, Garzanti Libri

“Intanto un’uniforme bruna si avvicinò fermandosi davanti a me. «Lei è ariano?». Prima di poter riflettere, avevo già risposto «Sì». Un’occhiata indagatrice al mio naso, e quello si ritirò. Ma io avvampai. Con qualche secondo di ritardo avvertii la Sebastian Haffnermortificazione, la sconfitta. Avevo detto «sì»! Certo, io ero «ariano», se il problema era questo. Non avevo mentito. Avevo permesso che accadesse qualcosa di molto peggio. Quale umiliazione chiarire puntualmente su richiesta di estranei che io ero ariano, cosa alla quale tra l’altro non attribuivo alcuna importanza. Che vergogna ottenere di essere lasciato in pace dietro le mie pratiche in questo modo! Colto alla sprovvista, anche adesso! Fallito alla prima prova! Mi sarei preso a schiaffi.”

In questo avvincente e prezioso libro di ricordi, un tedesco appartenente ad una famiglia della grande burocrazia statale prussiana racconta in poco più di duecento densissime pagine la propria esperienza di vita nella Germania dal primo dopoguerra (la Grande Guerra) al 1933, l’anno in cui Hitler venne nominato Cancelliere del Reich. E’ un “ariano” : “Io sono quello che i nazisti chiamano un ´ariano’; di quante razze abbiano in realtà contribuito a creare la mia persona ne so naturalmente poco, come chiunque altro. A ogni modo, nei due-trecento anni al massimo lungo i quali riesco a ricostruire la mia discendenza, non si trova sangue ebraico in famiglia. Eppure ho sempre avuto un’istintiva affinità per il mondo tedesco-ebraico, più forte di quella verso il genere tedesco-settentrionale-medio in mezzo al quale sono cresciuto, e i miei rapporti col primo erano antichi e stretti.”

pallino

Il 1933 è un anno cruciale nella storia della Germania e del mondo. E’ l’anno in cui Hitler arriva alla Cancelleria del Reich. Raimund Pretzel (Sebastian Haffner è uno pseudonimo) è allora un giovane poco più che ventenne agli inizi della sua carriera nella magistratura, è di religione protestante ed appartiene  ad una famiglia della grande burocrazia statale prussiana, culturalmente e politicamente conservatrice e nazionalista.

Il padre, un funzionario di alto grado dello stato, uomo di grande cultura umanistica, integerrimo e di solidissimi principi ha fortemente ancorato la cultura e l’educazione del figlio ad un modello individualistico-borghese, senza alcuna propensione ad attese messianiche (niente deliranti speranze nell’avvento di un “uomo forte”, in famiglia) e tanto meno alcuna velleità di avventure militariste.

E’ dunque partendo da questo modo di sentire e di pensare, ed attraverso la sua propria esperienza personale, che Haffner ci racconta la Germania di quegli anni.

“Chi vuole saperne qualcosa deve leggere le biografie, e non quelle di statisti, ma quelle troppo rare della gente comune. E lì si vedrà se un certo “evento storico” passa sopra la vita privata…come una nuvola sopra un lago; nulla si muove… Un altro sferza il lago come una tempesta… Il terzo evento forse consiste nel prosciugamento di tutti i laghi.”

Haffner  abbandona la Germania  nel 1938 quando comprende di non poter più vivere in una patria in cui non c’è spazio per chi, in un modo o nell’altro, non venga a compromessi con il Nazismo.

“No, ritirarsi nella sfera privata non fu possibile. Dovunque si ripiegasse ci si trovava davanti proprio ciò da cui si era voluto fuggire. Imparai che la rivoluzione nazista aveva cancellato l’antica separazione tra politica e vita privata, e che era impossibile trattarla semplicemente come «fenomeno politico». Era qualcosa che avveniva non solo nell’ambito politico, ma appunto nella vita privata di ciascuno; aveva l’effetto di un gas velenoso che penetra attraverso le pareti. Se si voleva sfuggire a quel gas c’era un solo mezzo: la lontananza fisica; l’emigrazione; il congedo dal paese a cui si apparteneva per nascita, per lingua, per educazione; e il congedo da tutti i patri legami.”

Tornerà in Germania soltanto nel 1954, dove svolgerà attività di giornalista e di storico.

Come ho già detto, il vero nome di Sebastian Haffner era Raimund Pretzel. Pretzel decise di utilizzare lo pseudonimo di Sebastian Haffner per evitare che la sua famiglia, rimasta in Germania, potesse venire danneggiata dai suoi scritti. Scelse, per il suo nom de plume, una combinazione tra il nome di Johann Sebastian Bach e la Sinfonia Haffner di Mozart.

Questo libro di grande sensibilità e di profonde riflessioni (ma anche di corrosiva ironia e sarcasmo) è stato scritto in Inghilterra dopo la scelta dolorosa dell’esilio fatta dal suo autore nel 1938.

L’opera non venne pubblicata allora. Sebastian Haffner, tornato in Germania nel 1954, scrisse altri libri. Alla sua morte, avvenuta nel 1999, i suoi eredi pubblicano nel 2000 il manoscritto trovato in un cassetto della scrivania dell’autore. Il testo appare talmente lucido e preveggente che molti si chiedono se Haffner non avesse riveduto e rimaneggiato il testo originale alla luce di quanto avvenne dopo il 1938 (l’avanzare del nazismo, la guerra e la disfatta della Germania ad opera delle potenze Alleate, eventi tutti che Haffner già prevede, nel suo libro). Effettuato (così ho letto) un esame scientifico del documento, viene provato che si tratta proprio del testo originale.

Il sottotitolo dell’edizione italiana non rende giustizia (e secondo me banalizza) al valore del testo (non si poteva lasciare il sottotitolo originale e cioè Erinnerungen, “ricordi”? No, eh…), che si allarga molto al di là della semplice esperienza di Weimar, gettando le sue radici nell’esperienza della prima guerra mondiale vista con gli occhi di un bambino e finendo con il radicamento del nazismo nella società tedesca, ben oltre la semplice salita al potere di Hitler. Infatti Haffner ci offre una testimonianza che in una certa misura si allunga fino alla prossimità della seconda guerra mondiale, visto che l’autore riesce a sfuggire alla morsa del regime nel 1938, proprio quando si addensano sul mondo venti di guerra.

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Haffner, dunque, racconta la propria vita dalle vicende del primo dopoguerra (la Grande Guerra) in cui era ancora un bimbetto di dieci anni al 1933, l’anno in cui Hitler viene nominato Cancelliere del Reich.
All’inizio, racconta Haffner, i nazisti non sono presi davvero sul serio:

” Riguardo ai nazisti, il mio naso decise in modo inequivocabile. Era una fatica inutile star lì a discutere su ciò che tra le loro intenzioni e scopi asseriti fosse degno di essere preso in esame o avesse quanto meno una «giustificazione storica», quando tutto puzzava come puzzava. Che i nazisti fossero dei nemici – nemici per me e per tutto ciò che mi era caro -, su questo non mi sbagliai neanche per un attimo. Dove invece mi sbagliai completamente fu nel valutare quali nemici terribili sarebbero diventati. All’epoca ero ancora incline a non prenderli troppo sul serio… un atteggiamento diffuso tra i loro inesperti avversari, che li ha molto aiutati e li aiuta a tutt’oggi.”

[…]
“Ci sono poche cose così bizzarre come la calma indifferente e superiore con cui noi, io e quelli come me, rimanemmo a osservare gli inizi della rivoluzione nazista in Germania, quasi da un palco di teatro… un fenomeno che, in ogni caso, mirava esattamente a farci sparire dalla faccia della terra. Ancora più bizzarro è forse solo il fatto che, a vari anni di distanza, con il nostro esempio davanti agli occhi, tutta l’Europa si sia concessa lo stesso indolente atteggiamento da spettatrice, divertito, mentre i nazisti erano da un pezzo all’opera per appiccare il fuoco ai suoi quattro angoli”

Perchè questa passività? Perchè l’uomo moderno e apolitico si preoccupa in primo luogo del proprio quotidiano:

Forse le rivoluzioni si sarebbero svolte diversamente, forse tutta la storia avrebbe avuto un altro sviluppo se ancor oggi, come nell’antica Atene, gli uomini fossero esseri autonomi in rapporto con il tutto, e non così irrimediabilmente schiavi del lavoro e dei programmi giornalieri, dipendenti da mille cose più grandi di loro, elementi di un meccanismo incontrollabile, quasi costretti a scorrere lungo binari prestabiliti, e impotenti quando deragliano. Solo nella routine quotidiana c’è sicurezza e garanzia di persistenza… subito accanto comincia la giungla. Ogni europeo del XX secolo cova questa sensazione, con oscuro timore. Da qui la sua esitazione a intraprendere qualcosa che potrebbe farlo ´deragliare’, qualcosa di audace, di non-quotidiano, qualcosa che nasce da lui stesso. Da qui la possibilità di queste immani catastrofi della civilizzazione come il dominio nazista in Germania.

Nel libro ci sono scene drammaticamente emblematiche. Ad esempio quella in cui, nella biblioteca del tribunale in cui lavora il giovane Haffner, alcuni magistrati leggono mentre fuori si sente un gran frastuono. Che sta succedendo? ebrei arrestati dalle SA. Nella biblioteca, alcuni magistrati ridono – senza dubbio nazisti. Dopo qualche istante, sono tutti i magistrati ebrei che devono andarsene, scacciati dalle SA.

Una scena tremenda quanto quelle delle fucilazioni raccontate altrove.

Un’altra realtà lucidamente descritta è la somma dei piccoli compromessi necessari per sopravvivere nel regime nazista:

“Nell’estate del 1933 la situazione dei tedeschi non nazisti era certamente una delle più difficili in cui possa trovarsi un essere umano: vale a dire uno stato di sopraffazione totale e senza speranza, accompagnato dai postumi dello shock dell’essere stati colti di sorpresa. I nazisti ci avevano in pugno, incondizionatamente. Tutte le roccaforti erano cadute, ogni resistenza collettiva era diventata impossibile, quella individuale era solo una forma di suicidio. Eravamo perseguitati fin nei nascondigli più riposti della nostra vita privata, la disfatta dominava ogni ambito dell’esistenza, una fuga disgregante di cui non si sapeva dove sarebbe finita. Al tempo stesso, ogni giorno venivamo invitati non ad arrenderci, ma a passare nelle loro file. Un piccolo patto col diavolo… e non si faceva più parte dei prigionieri e dei perseguitati, bensì dei vincitori e dei persecutori.”
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I libro è tutto da leggere e sarebbe tutto da citare, ma vorrei soltanto stralciare ancora un altro importante passaggio: sempre nel 1933, Haffner è obbligato, per poter venire ammesso a sostenere l’ultimo esame per l’accesso alla magistratura, a passare un periodo di qualche mese in un campo di “educazione ideologica” gestito dalle SA.

Egli descrive molto bene l’indottrinamento al quale lui e i suoi colleghi vengono sottoposti, ma questo è un aspetto ormai abbastanza conosciuto, del nazismo. Quello che è particolamente interessante e nuovo è la descrizione che Haffner ci fornisce della vile felicità di abbandonarsi alla collettività (come non pensare a quello splendido, preveggente e ingiustamente poco noto libro Il suddito di Heinrich Mann?):

“Mi rendevo conto di essere in trappola, con tutto il mio Io. Non sarei mai dovuto andare al campo. Adesso ero dentro la trappola del cameratismo. Di giorno non c’era tempo per pensare, e nessuna opportunità di essere ´io’. Di giorno il cameratismo era una felicità. Senza ombra di dubbio: in questi ´campi’ prospera una sorta di felicità, appunto la felicità del cameratismo. Era una felicità correre assieme per il campo al mattino, stare assieme sotto la doccia calda nudi come vermi, ripartire i pacchi che ora l’uno ora l’altro riceveva da casa, condividere la responsabilità di qualcosa che l’uno o l’altro aveva combinato, aiutarsi e assistersi a vicenda in mille piccole necessità, fidarsi completamente l’uno dell’altro in tutte le faccende riguardanti il funzionamento della giornata, affrontarsi in battaglie e zuffe da ragazzini, non differenziarsi in nulla l’uno dall’altro, lasciarsi trasportare da una grande, placida corrente di fiducia e di rude confidenza che ci teneva saldamente a galla… Chi può negare che tutto questo sia felicità? Chi può negare che nella natura dell’uomo ci sia un’aspirazione proprio a questo genere di felicità, che nella vita civile, normale, pacifica, di rado riesce ad affermarsi? In ogni caso, io non posso negarlo. Eppure so e affermo con forza che proprio questa felicità, proprio questo cameratismo può diventare uno dei più terribili mezzi di disumanizzazione… e in mano ai nazisti lo è diventato. E’ il grande allettamento, la grande esca dei nazisti. Hanno fatto trangugiare ai tedeschi l’alcol del cameratismo, verso cui qualcosa nel loro carattere li spingeva, fino a portarli al delirium tremens. Hanno ridotto tutti i tedeschi alla stregua di camerati, abituandoli a questa droga fin dall’età più indifesa: nella Gioventù hitleriana, nelle SA, nell’esercito, in mille campi e associazioni… e così hanno fatto perdere loro l’abitudine a qualcosa che è insostituibile e che nessuna felicità del cameratismo può ricompensare”

pallino

Storia di un tedesco è un libro magnifico che descrive come è una società intera che sprofonda a poco a poco nell’accettazione del nazismo. Si legge d’un fiato, ma poi ci si torna sopra e si scopre che si continua a rifletterci. Haffner  non ha alcuna indulgenza verso se stesso. Sa anche molto bene che, di fronte a quello che lui definisce “il duello privato con lo stato nazista”, la scelta della fuga, dell’esilio volontario non è l’unica possibile:

“Il mio duello privato con il Terzo Reich non è un fenomeno isolato. In Germania, da sei anni, duelli di questo genere, nei quali un privato cittadino tenta di difendere la propria persona e la propria onorabilità contro un potentissimo stato avverso, vengono sostenuti da migliaia e centinaia di migliaia di individui… ciascuno nel più assoluto isolamento e tutti completamente ignorati dall’opinione pubblica. Alcuni dei duellanti, temperamenti più eroici o più votati al martirio, sono arrivati più lontano di me: fino al campo di concentramento, fino al ceppo, e fino alla candidatura a futuri monumenti. Altri hanno ceduto molto prima e oggi sono da un pezzo riservisti delle SA che mugugnano a bocca chiusa o capi di isolato del NSV. Il mio caso può essere considerato una via di mezzo, ed esaminandolo si capisce abbastanza bene a che punto siano oggi in Germania le chance di una persona.”

Haffner lapide commemorativa
Berlino, lapide commemorativa a Sebastian Haffner
Ehrenbergstraße 33, Berlin-Dahlem,Germania
(Fonte)
    • Sebastian Haffner >>
    • Scheda del libro e note biografiche sull’autore >>

Chi comprende il tedesco potrà

  • ascoltare su YouTube la lunga intervista ad Haffner trasmessa dalla televisione tedesca >>
  • seguire la puntata del 2 marzo 2001 della popolarissima trasmissione televisiva tedesca “Quartetto letterario” condotta dal grande critico Marcel Reich-Ranicki (del quale ho parlato in questo post) in cui i primi ventotto minuti sono dedicati proprio all’approfondimento del libro di Sebastian Haffner. >>

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  • Come si diventa nazisti di Willian Sheridan Allen >>
  • Nel mio paese straniero di Hans Fallada >>
  • La peste bruna. Diari 1931-1935 di Klaus Mann >>
  • Il suddito di Heinrich Mann >>
  • Dissonanze (su alcune pagine di La svolta di Klaus Mann) >>

Autore: Gabrilu

https://nonsoloproust.wordpress.com

8 pensieri riguardo “STORIA DI UN TEDESCO – SEBASTIAN HAFFNER”

  1. E’ sempre un grande sollievo scoprire crepe di resistenza umana nel blocco (apparentemente) monolitico della Germania nazista. Magari il tempo ci restituirà altre voci oltre questa e l’altra, altrettanto forte e drammatica, di Hans Fallada.
    Spero ripubblichino La peste bruna , di Mann, un bel dì.
    L’esperienza mi consiglia di non avere fretta.

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  2. So che qui si parla di letteratura ma la letteratura è vita e ti voglio raccontare che sono diventata nonna di due nipotine gemelle Olivia e Olimpia! Tu come stai? Ciao Gabriella!

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    1. @Ciuschidda
      ma che bella notizia! 🙂 Tantissimi auguri alle piccoline, ai nonni e, ovviamente, ai genitori! 🙂
      P.S. E vero che qui si parla di letteratura, ma non solo: io ho parlato anche di calcio, figurati.
      Proprio perchè amare la letteratura non deve significare non alzare mai il naso dai libri e non vedere che il mondo gira…
      Ciao e grazie!

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  3. Ottima recensione e molto preziosa per me che non conoscevo autore !
    Posso chiederti , alla luce di recente assegnazione del Nobel, se conosci in senso se hai letto Midiano?
    Confesso ignoranza , ma avrei piacere, al caso, di tuo consiglio .Molte grazie.

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    1. @Nicole
      conoscevo Modiano di nome e di fama, ho visto sempre molti suoi libri nelle librerie di Parigi. In Francia insomma pur non essendo uno scrittore popolarissimo è molto noto e, da quello che ho potuto capire, apprezzato da lettori — come dire — dal palato raffinato.
      Io personalmente non ho letto nulla di suo. Perchè? Non lo so, non c’è un motivo particolare se non forse quello, banalissimo, che non si può leggere tutto e stare dietro a tutto…
      Dunque non so dirti nulla, anche se, come ho detto, il suo nome e i titoli dei suoi libri mi erano noti e non li ho scoperti adesso a seguito dell’assegnazione del Nobel…

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