© 2008 The New York Times Company dal libro “Stalin’s Children”
Il titolo originale di questo libro di Owen Matthews è Stalin’s children. Per “bambini di Stalin” si intendevano i figli di coloro che erano stati fatti sparire dalla polizia politica di Stalin nelle camere di tortura della Lubjanka o nei gulag siberiani. Questi bambini, che da un giorno all’altro si ritrovavano soli al mondo, senza genitori, e con parenti i quali — se pur erano ancora in vita — li fuggivano come fossero appestati venivano “presi in carico” dallo stato sovietico e rinchiusi in orfanotrofi governativi in cui venivano trattati come soggetti che, in quanto figli di traditori della Patria e “nemici del popolo”, dovevano essere rieducati. Una sorta di gulag per bambini, insomma, in cui i piccoli venivano in realtà abbandonati e dimenticati.
Il pur buono titolo italiano La casa dei bambini dimenticati rende solo in parte, io credo, la forza di quello originale il cui sottotitolo è altrettanto significativo: Three Generations of Love, War, and Survival.
Lyudmila (Mila), la madre di Owen Matthews, autore di questo libro, era appunto una di quei “bambini dimenticati”, una di quei “bambini di Stalin”.
Stalin’s children è un libro autobiografico in cui l’autore, giornalista inglese di madre russa ricostruisce la storia della sua famiglia dal nonno materno perseguitato ed ucciso dal KGB al tempo delle grandi purghe staliniane alla terribile infanzia della zia Lenina e della madre Mila, alla grande storia d’amore di lei con un inglese e la lotta dei suoi genitori — durante cinque lunghi anni — per potersi sposare nonostante i divieti del governo russo dei tempi di Breznev. Molto interessante come ricostruzione storica e come spaccato di vita di tre generazioni nel corso di quattro differenti momenti dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi.
Nato a Londra da madre russa e da padre inglese, Owen Matthews ha studiato storia ad Oxford. Reporter per il Moscow Times, poi corrispondente per Newsweek a Mosca ed a Istanbul, ha scritto sulla seconda guerra in Cecenia, i conflitti in Medio Oriente, i combattimenti in Afghanistan e la guerra in Iraq.
Attualmente dirige la Redazione di Newsweek a Mosca e vive ad Istanbul con la moglie e i due figli.
Tutto, per Owen Matthews, comincia quando in Inghilterra legge le lettere — conservate in grandi scatole di cartone — che durante sei lunghi anni si sono scambiati il padre Mervyn (inglese) e la madre Mila (russa) separati dalla guerra fredda e dalla cortina di ferro.
Sono lettere che turbano profondamente Matthews: “In alcuni momenti la loro conversazione epistolare è così intima che leggerla pare una violazione. In altri momenti il dolore della separazione è così intenso che sembra far tremare la carta […] . Ma soprattutto le lettere sono cariche di un senso di perdita e di solitudine, e di un amore così grande che, scrisse mia madre ‘può far muovere le montagne e far girare il mondo sul proprio asse’ “
Negli anni ’90 Matthews — giovane reporter di origini russe dal lato materno e inglesi dal lato paterno — si trova nella Mosca post-comunista e può ritrovare le tracce dei suoi familiari russi che questo paese “[…] ha costruito, […] ha liberato, […] ha ispirato e […] ha quasi spezzato”.
In un articolo online del New York Times ho letto che in un reading Matthews ha spiegato che cominciò a scrivere questo libro circa dieci anni fa, nel periodo immediatamente post-sovietico ma prima dell'”era Putin”; un periodo cioè di intermezzo che egli definisce “rampante” e che sembrava uscito fuori da una fantasia di Gogol.
La saga familiare raccontata da Matthews comincia in Ucraina, a Kiev, dove Matthews si reca circa 60 anni dopo la morte del nonno Boris Bibikov (il padre di sua madre) per consultare gli archivi del KGB finalmente disponibili per i parenti delle vittime staliniane.
Il fascicolo giudiziario che riguarda il nonno ha una copertina marrone su cui è stampata l’intestazione “Segretissimo. Commissariato del popolo per gli affari interni. Organizzazione antisovietica trockijsta di destra in Ucraina”.
Boris Bibikov, padre della madre dell’autore, puro “homo sovieticus” protagonista ed eroe della tragica collettivizzazione degli inizi dell’epoca staliniana, diventa vittima delle purghe del 1937. Viene preso dalla polizia segreta, torturato, costretto a confessare crimini inesistenti ed infine fucilato mentre la moglie Martha (la nonna di Owen) viene deportata in un gulag in cui riuscirà a sopravvivere e dal quale verrà liberata dieci anni dopo.
Il racconto continua con l’allucinante storia delle loro due figlie, la più piccola delle quali molti anni dopo diventerà la moglie del padre dell’autore e la madre dello stesso autore.
Matthews ricostruisce l’odissea di sua madre Lyudmila (Mila) che, rimasta sola — bimbetta di appena tre anni — alla soglia del caos della seconda guerra mondiale e separata dalla sorella (e zia dell’autore) Lenina durante la loro fuga nelle steppe russe passa da un orfanotrofio sovraffollato ad un altro, da un ospedale all’altro. Le due sorelle riescono comunque a sopravvivere ad anni di fame, guerra, malattie, privazioni di ogni tipo ed a ricongiungersi. Private dei genitori e poverissime, sono però vive.
Getty Images (circa 1931)
Matthews racconta la vita delle due sorelle ma soprattutto, poi, la grande e drammatica storia d’amore della madre Mila — diventata una brillante intellettuale dissidente — e del padre Mervyn, un inglese russofilo che ha osato rifiutare le avances del KGB che, in piena guerra fredda, fa di tutto per “arruolarlo” come spia.
Il rifiuto di Mervyn di tradire l’Inghilterra provoca la vendetta del KGB e i due giovani vengono separati dalla Cortina di Ferro: le autorità sovietiche vietano il matrimonio, Mervyn è dichiarato “non gradito” e dall’oggi al domani deve lasciare l’URSS, mentre a Mila è vietato varcare la frontiera. Buona parte del libro racconta la storia della disperata lotta di Mervyn che per cinque lunghi anni, mettendo in secondo piano anche la propria carriera di docente universitario investe il proprio tempo, le magre risorse finanziarie e tutte le proprie energie cercando di utilizzare tutti i canali burocratici e diplomatici per ottenere la possibilità di un suo rientro in Russia o di un espatrio di Mila e poter così finalmente realizzare il matrimonio.
Attraverso i sei anni di corrispondenza appassionata dei genitori, il dossier dell’NKVD riguardante il nonno Bibikov, i vagabondaggi per Mosca dello stesso Owen — diventato un giornalista — è la propria ambivalenza e il proprio dualismo che Matthews si trova a (ri)scoprire: perchè la Russia se la porta dentro, lo spinge a scrivere…
La Mosca che conosce Owen negli anni ’90 è diventata una capitale decadente e la Russia è molto diversa da quella in cui hanno vissuto e sofferto i nonni Boris e Martha Bibikov, sua madre e la zia Lenina. “La Russia che conobbi io” scrive Matthews “aveva contratto il virus del caos del secolo. L’incubazione era stata lunga, ma d’un tratto, senza preavviso, l’intero edificio putrefatto franò sotto il peso della propria ipocrisia e disfunzione.
Per i russi lo choc dell’implosione del sistema […] fu molto più profondo di qualunque altra cosa il sistema sovietico avesse imposto loro, comprese le Purghe o la Seconda guerra mondiale […] Adesso […] i russi erano colpiti da qualcosa di assolutamente inspiegabile: non un nemico, ma un vuoto. Non avevano altro cui aggrapparsi tranne il loro essere russi”
Il libro è dunque il percorso di tre generazioni di una famiglia attraverso quattro epoche storiche: l’era di Stalin, la Seconda guerra mondiale, la guerra fredda ed il collasso dell’Unione Sovietica.
Sono molti, nel libro, i riferimenti letterari ad artisti testimoni eccezionali di questi diversi momenti. Tra di loro, scrittori come Pasternak e Solgenitzin, registi cinematografici come Mikhail Kalatozov (Quando volano le cicogne), Nikita Mikhalkov (Sole ingannatore), Grigory Chukhrai (La ballata del soldato).
In una intervista pubblicata sul Guardian, ad una domanda su quali siano stati i suoi modelli letterari Matthews ha risposto così (i grassetti sono miei”):
“There actually aren’t many models for this kind of narrative, autobiographical non-fiction, which is another reason perhaps that my book proved so difficult to construct. But the landmarks are Michael Herr‘s Dispatches, probably the finest piece of reportage I have ever read, and Truman Capote’s In Cold Blood. In terms of storytelling, Jung Chang’s Wild Swans was an important influence on how to blend the historical and the personal. I have always loved Nabokov’s Lolita – that self-lacerating, hypercritical voice of the narrator’s is unforgettable. Gogol conjures Russia’s sordid craziness best, and Dostoevsky the very Russian habit of agonising over great existential problems that always threaten to overwhelm his characters”.

Owen MATTHEWS, La casa dei bambini dimenticati (Tit. originale Stalin’s children), traduz. di Roberto Marasco, p.378, ed Piemme, Collana Narrativa, 2009, ISBN 9788856609547 >>