Martin Amis, La zona di interesse (tit. orig. The Zone of Interest, 2014), traduz. Maurizia Balmelli, pp.312, Einaudi Supercoralli, 2015
“è vero quel che si dice, qui nel KL: Nessuno conosce se stesso. Chi sei tu? Non lo sai. Poi arrivi nella Zona d’Interesse, e lei ti dice chi sei.” (Doll)
“O impazzisci nei primi dieci minuti, – si dice spesso, – o ti ci abitui”. Potreste obiettare che quelli che ci si abituano di fatto impazziscono. E c’è un altro esito possibile: non impazzire e non abituarcisi. (Szmul)
Il britannico Martin Amis ambienta questo suo quattordicesimo romanzo nella cosiddetta “zona d’interesse” (Interessengebiet) e cioè quella zona che si trovava intorno al campo di Auschwitz, in Polonia: un’area di circa 25 miglia amministrata e controllata dalle SS, delimitata da un muro sottile, in cui si trovavano i loro uffici e le case in cui vivevano con mogli e figli. Nel romanzo, la Zona di interesse di Auschwitz diventa il Kat Zet 1 (abbreviazione di Konzentrationslager), e ciò che avviene in quel perimetro è riportato narrativamente da un triplice punto di vista. Vi si narra (anche) di una storia d’amore. Una storia d’amore all’ombra delle camere a gas, dei crematori…
E’ un libro difficile, questo. Corrosivo e destabilizzante. Ha generato (e continua a generare ancora oggi) molte perplessità, come avevano già ampiamente dimostrato le polemiche suscitate in occasione della sua prima pubblicazione.
L’interrogativo non è nuovo: è lecito utilizzare il registro stilistico dell’ironia, del dark humor quando si parla di una tragedia immane come la Shoah? Perché è questo, quello che fa Amis con il suo romanzo.