VOLEVO TACERE – SÁNDOR MÁRAI

Sandor Marai Volevo tacere

Finalmente Adelphi ha pubblicato in italiano, nella traduzione di Laura Sgarioto, il terzo volume delle memorie di Sándor Márai.

Di questo libro avevo parlato   in  questo post del 2015.

La scheda del libro sul sito Adelphi >>

ABBIAMO QUARANTA FUCILI, COMPAGNO COLONNELLO – SANDOR KOPACSI

 

Budapest 1956
Budapest 1956. La statua di Stalin abbattuta
Foto Arpad Hazafi

(Fonte)

Budapest, 23 ottobre 1956. In Piazza degli Eroi, gli studenti ungheresi legano cappi d’acciaio al collo della gigantesca statua di bronzo di Stalin, alta 12 metri e ancorata nel marmo, la legano a un camion e provano ad abbatterla, ma il cavo si spezza. Gli operai di una fabbrica di Pest arrivano con le bombole e i cannelli della fiamma ossidrica per tagliargli le gambe. La polizia, seguendo le indicazioni del Capo della Polizia di Budapest, non interviene e rimane a guardare.

Attaccato a tre gru il monumento crolla alle 9,37, la testa rovesciata a terra è alta da sola come una persona. Fissati al blocco di granito rimangono i giganteschi stivali del Padre di tutti i Popoli.

E’ l’inizio della rivoluzione di Budapest del 1956.

Budapest 1956
La bandiera ungherese con un buco al centro, al posto della falce e martello dello stemma sovietico

Abbiamo quaranta fucili, compagno colonnello è la cronaca autobiografica di quei giorni narrata da un testimone d’eccezione. Si tratta di Sándor Kopácsi, che in quei giorni drammatici e fatali era il Capo della Polizia di Budapest, colui che diede ai suoi uomini l’ordine di non intervenire e di non caricare gli studenti.

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LA RESTITUZIONE DEGLI ACCENTI

 

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“sono tipi particolari’ disse. ´tengono moltissimo agli accenti’. Il vicequestore mostrò maggiore attenzione: ´agli accenti? non capisco. quali accenti?’. L’agente si strinse nelle spalle: ´agli accenti in generale. tutti quelli che arrivano dall’altra parte della cortina di ferro tengono moltissimo agli accenti. A Bagnoli, negli uffici dove rilasciano i documenti, chiedono ad alta voce la restituzione dei loro accenti. Si vede che in quei paesi gli accenti sono importanti. nei documenti si leggono nomi con segni e accenti di ogni genere, sulle vocali e anche sulle consonanti. Forse sono dei segni che sembrano accenti, e sono diversi per gli ungheresi, per i romeni, per i cechi e per i polacchi.E come ci tengono! a Bagnoli ho visto un avvocato ceco che dopo aver ricevuto il visto camminava tutto agitato su e giù per il corridoio: voleva tornare indietro dal console americano a lamentarsi perchè avevano dimenticato un accento sul suo nome. La credeva una cosa importante. Si vede che non hanno più nulla, ormai, anzi si sono accorti che senza i loro accenti non sono più quelli che erano prima, quando ancora ce li avevano. Per questo sono tanto attaccati alle loro vecchie macchine da scrivere da quattro soldi, e se le portano appresso da un continente all’altro, perchè hanno ancora le lettere accentate’. ´può darsi’ tagliò corto il vicequestore. ´l’accento fa parte della loro identità. e hanno paura di perderla. di libri ne aveva?’. ´pochi’ rispose l’agente. ´più che altro vocabolari. Italiano-francese. inglese-tedesco. francese-spagnolo. Vocabolari di ogni genere. Questa gente non fa che prepararsi a girare il mondo. E si prepara come per un esame di lingua. Se non hanno più gli accenti, non hanno più neanche una lingua madre, perciò parlano e leggono senza alcun ordine, in qualsiasi lingua. questo qui era uno scienziato’ concluse con indifferenza. il vicequestore annuì: ´lo so’ disse.

 



Di questo romanzo di Márai avevo parlato in >> QUI

QUEL CHE MÁRAI AVREBBE VOLUTO TACERE

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Sándor MÁRAI, Ce que j’ai voulu taire (tit. orig. Hallgatni Akartam)
traduz. dall’ungherese al francese di Catherine Fay
pp. 224, ed. Albin Michel, 2014

“Avrei voluto tacere. Ma il tempo mi ha interpellato ed ho capito che era impossibile. Più tardi, ho capito che tacere era di per se una risposta, come la parola e la scrittura. A volte tacere non è la risposta meno pericolosa. Niente irrita tanto l’autorità quanto il silenzio che la nega”

Con queste parole Sándor Márai inizia Ce que j’ai voulu taire. In effetti, dal giorno (18 marzo 1944) in cui le truppe naziste invadono l’Ungheria, loro “alleato”, Márai cessa di scrivere per i giornali e proibisce la riedizione delle sue opere. Qualche mese più tardi esprime sul suo diario il desiderio di aggiungere una terza parte alle due in cui era diviso il volume Le confessioni di un borghese pubblicato nel 1934 ed in questo modo completandolo.

Quello che possiamo leggere adesso nel volume Albin Michel è appunto questa terza parte, scritta da Márai tra il 1949-1950 e dunque appena un anno dopo aver fatto la dolorosa scelta dell’esilio volontario ed aver lasciato definitivamente l’Ungheria. Si tratta di un testo scritto ancora a caldo, la ferita è indubbiamente ancora troppo recente e dolorosa.

Il testo — incompleto e non definitivo, ma su questo tornerò — è stato ritrovato nel 2000 nel Fondo Márai del museo Petöfi di Budapest. E’ stato pubblicato in ungherese con il titolo Hallgatni akartam e nel novembre del 2014 tradotto e pubblicato in francese dalla casa editrice Albin Michel. Che io sappia si tratta della prima e sinora unica traduzione esistente di questo testo al di fuori dell’Ungheria.

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MÁRAI E PROUST

 

Tetti di Parigi© R.G. Photographe

Negli anni Venti del secolo scorso, l’ancor giovinotto Sándor Márai, che scarpinava e tirava la carretta guadagnandosi da vivere scrivendo articoli per giornali, ebbe il colpo di fortuna di venire inviato come corrispondente dalla Frankfurter Zeitung nientepopodimenoche a Parigi.

Le pagine in cui racconta come lui e Lola (la moglie che, allora molto giovane, lo accompagnò poi per tutta la vita fino alla definitiva e straziante tappa de L’ultimo dono ) trascorsero il loro periodo parigino  sono, per chi ama Parigi, tutte da leggere.

Io ne ho estratto solo un piccolo passaggio. Perchè è vero che questo blog si intitola NonSoloProust.

Ma è anche vero che quando qualcuno (e figuriamoci poi se quel qualcuno, come in questo caso, è un Márai) mi parla di Proust… beh… che vi devo dire… Ammè mi pare di sentire il corno di Ernani (ma al contrario) 🙂

Leggendo Proust mi accorsi sconcertato di non sapere nulla del mio mestiere. Fu in quell’epoca che egli si rivelò alla nuova generazione; in precedenza lo avevano considerato uno snob, un chiacchierone nevrotico e prolisso che si ostinava a mettere a nudo i fatti privati e le stravaganze di una società mondana. Fino a quel momento soltanto poche menti ardite e intraprendenti avevano riconosciuto le vere dimensioni del suo mondo; ora, invece, un’intera generazione dalla mentalità aperta e ricettiva cominciò a rendersi conto che la ´società mondana’ ritratta nell’opera di Proust era strettamente imparentata con l’umanità intera, con i suoi miti e i suoi ricordi; che al di là dei ´fatti privati’ e delle ´stravaganze’, delle relazioni umane analizzate nei minimi dettagli, delle atmosfere, delle azioni e degli incontri ´insignificanti’, affioravano gli strati più profondi e universali della natura umana. In quegli anni l’influenza di Proust crebbe in misura tale da proiettare la sua ombra su tutti i suoi successori; persino coloro che non lo avevano mai letto non potevano sottrarsi al suo influsso. La luce irradiata da una personalità così eccezionale penetra irresistibilmente attraverso il tessuto della letteratura, fino a raggiungere — sia pure per via indiretta, passando attraverso diversi filtri — anche i miscredenti e gli ignoranti.

 

ANNA ÉDES di DEZSÖ KOSTOLÁNY IN ITALIANO!

Anna Edes Dezsö KOSZTOLÁNYI, Anna Édes
curatrice Monika Szilagyi, trad. dall’ungherese Andrea Rényi
pp.200, ed. Anfora, novembre 2014

 

Quattro anni fa avevo parlato in questo post del bellissimo romanzo Édes Anna di Dezsö Kosztolányi, uno dei più grandi scrittori ungheresi;  amatissimo, tra l’altro, da Sándor Márai e Magda Szabò.

Io l’avevo letto nella traduzione francese, e mi rammaricavo che non esistesse una traduzione italiana.

Sono felice di sapere che il romanzo  è adesso  disponibile anche per i lettori italiani grazie alla casa editrice Anfora ed alla traduzione di Andrea Rényi

Non fatevelo scappare.

  • Scheda del libro in italiano >>
  • Intervista a Monika Szilagyi — responsabile dell’ufficio stampa della casa editrice Anfora e curatrice dell’edizione italiana di Edés Anna — sul sito Vivi Budapest >>
  • Il blog Ungherese in Italia di Andrea Rényi >>

ORA CI SONO I LIBRI, CHE CAMMINANO

Sándor Márai e Napoli.

 

” Lo scrittore è morto… Ora ci sono i libri, che camminano.
E’ la storia” [1:02]

Dal trailer del documentario “Sándor Márai e Napoli. Il sapore amaro della libertà”.

Mi piacerebbe moltissimo vedere l’intero documentario, ma non so proprio come reperirlo.

Márai visse quattro anni a Napoli in esilio volontario durante l’occupazione sovietica dell’Ungheria, per poi trasferirsi a New York nel 1952.

A Napoli è ambientato uno dei suoi romanzi più struggenti, Il sangue di San Gennaro. Ne avevo parlato >>QUI

CONTINENTE K – AGOTA KRISTOF SCRITTRICE D’EUROPA

 

Un documentario molto bello e ricchissimo di spunti di riflessione realizzato da Eric Bergkraut nel 1998 su Agota Kristof, la grande scrittrice ungherese morta nell’agosto del 2011.

In “Continente K.” Agota Kristof fa ritorno a Kòszeg, la città della sua infanzia, a cui è rimasta profondamente legata nonostante il lungo esilio. Qui la scrittrice Continua a leggere “CONTINENTE K – AGOTA KRISTOF SCRITTRICE D’EUROPA”