I BAMBINI DI MOSHE – SERGIO LUZZATTO

 

Moshe Zeiri bambini
Orfani sopravvissuti alla Shoah partono da Selvino (Bergamo) su un camion diretto ad Israele

Bambini orfani della Shoah. Giovanissimi ebrei d’Europa centrale e orientale scampati allo sterminio nazista che nel 1945 incontrano a Milano, arruolato come volontario nell’esercito inglese per combattere i tedeschi, un militante ebreo sionista proveniente dalla cittadina di Kopyczyríce, un piccolo shtetl in lingua yiddish della Galizia orientale, nella parte dell’Ucraina allora sotto governo polacco.

Il suo nome è Moshe Zeiri.

Il primo incontro con i piccoli sopravvissuti è, per Moshe, choccante e drammatico. Come fare — si chiede — per cercare di salvare almeno il salvabile? Moshe otterrà, per accogliere ed ospitare i piccoli profughi, l’edificio di “Sciesopoli” che si trova a Selvino, nelle prealpi della Bergamasca. Di questo grande e moderno edificio costruito dal fascismo per preparare alla guerra i suoi giovani Balilla Moshe farà l’orfanotrofio più importante dell’Europa postbellica e ne sarà il Direttore.

Con Moshe Zeiri, supportato dalla comunità ebraica di Milano, dalla Brigata Ebraica, da ex partigiani e dal Comune di Milano, i piccoli ebrei che arrivano dalle “terre di sangue”, dalla “terra nera” rinascono alla vita nell’Italia della Liberazione.

I bambini di Moshe di Sergio Luzzatto è il libro — bellissimo — che racconta la loro storia, ancora troppo poco conosciuta. Continua a leggere “I BAMBINI DI MOSHE – SERGIO LUZZATTO”

“PERCHE’?” LILIANA SEGRE RACCONTA

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha nominato senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di concentramento, per “aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale”. Il decreto è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni che ha definito la nomina “una decisione preziosa a 80 anni dalle leggi razziali”.

Liliana Segre, nata a Milano da famiglia ebraica, a tredici anni venne deportata dal binario 21 della stazione Centrale di Milano al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in Polonia. Fino agli anni Novanta non aveva mai parlato, nemmeno in famiglia, delle atrocità dell’Olocausto e delle dolorose vicende personali, oggi è una degli ultimi sopravvissuti alla Shoah ancora in vita, e prosegue la sua missione di testimonianza, soprattutto nelle scuole e con i giovani.

In questo video racconta la sua storia. Un racconto densissimo, che suscita e stimola una miriade di suggestioni, emozioni, interrogativi. Primo fra tutti quello che Liliana Segre dice di essersi ripetuta continuamente per anni: “Perchè?”

 

TESTO, CONTESTO, PRETESTO. OVVERO: QUANDO GIDE RITORNO’ DALL’URSS

 

André Gide_Villejuif_1936
Francia, 1936.
André Gide (al centro), il pugno alzato, in occasione dell’inaugurazione dell’Avenue Maxim Gor’kij a Villejuif

Fonte Le Figaro

“Ho sempre dichiarato apertamente che il desiderio di rimanere coerenti con se stessi comportava troppo spesso un rischio di insincerità; e penso che sia importante essere sinceri quando con la nostra è impegnata la fede di molti”

Il volume di cui parlo oggi in realtà ne rassembla due pubblicati, a suo tempo, separatamente. I due testi sono entrambi smilzi: tutto il volume Gallimard che li contiene entrambi conta complessivamente circa 220 pagine note comprese, ma si rivelarono, all’ epoca in cui uscirono (1936-37), assolutamente clamorosi. Costituirono una vera e propria bomba che per parecchi mesi sconvolse il microcosmo politico e letterario dell’epoca e che ancora oggi sono in grado di suscitare, a mio parere, un grande interesse e non solo come documento di testimonianza storica.

Si tratta di Retour de l’ Urss (1936) e di Retouches à mon Retour de l’ Urss (che venne pubblicato l’anno successivo, nel 1937) di André Gide, lo scrittore francese al quale nel 1947 verrà assegnato il Premio Nobel per la Letteratura.

Da qui in avanti utilizzerò i due titoli nella versione italiana Ritorno dall’URSS e Postille al mio Ritorno dall’URSS.

Qui in Italia, Bollati Boringhieri pubblicò Ritorno dall’URSS nel 1988 tradotto in italiano da G. Guglielmi ma attualmente — per quel che ne so — il volume non risulta più disponibile e dunque, come anche troppo spesso mi succede, mi sono dovuta rivolgere, per poterlo leggere, ai “cugini” francesi…

Più che un racconto di viaggio, Ritorno dall’URSS descrive la delusione di André Gide e dei suoi cinque compagni di viaggio in occasione del loro soggiorno in Unione Sovietica nel 1936. Vedremo anche perchè, appena l’anno successivo, Gide sentì il bisogno di scrivere e di dare alle stampe le Postille e che cosa, di nuovo rispetto al primo libro, in esse vi si trova.

A volte, però, una lettura semplicemente testuale di un libro si può rivelare insufficiente a renderne l’importanza e il significato profondo. Le due testimonianze di André Gide a me sembrano costituire un esempio molto significativo di questa tipologia di testi scritti. Ci troviamo di fronte ad un’opera la cui comprensione richiede non solo la conoscenza di un antefatto ma anche di quanto, in seguito, suscitato dalla sua pubblicazione.

Si tratta, a mio parere, di una storia molto interessante che merita di esser raccontata — anche se per sommi capi — , ma di certo non potrò essere breve…

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LA PELLICCIA DI LONTRA

 

Teffi
Teffi (Nadezda Aleksandrovna Bucinskaja)

 

“Per una donna in fuga, la pelliccia di lontra rappresenta un’epoca intera della sua vita da profuga.
Chi di noi non aveva una pelliccia del genere? Ce la si metteva addosso, quando si partiva dalla Russia, persino d’estate, perché dispiaceva lasciarla lì, aveva un certo valore ed era calda, e chi poteva sapere per quanto si sarebbe peregrinato? Ho visto pellicce di lontra a Kiev e a Odessa, ancora nuove, col pelo liscio e lucente. Poi a Novorossijsk, con i bordi logori, spelacchiate su fianchi e gomiti. Poi a Costantinopoli, col colletto sudicio e i polsi rivoltati, per vergogna, e infine a Parigi, dal 1920 al ’22. Nel ’20, ormai ridotte a pelle nera e lucida, accorciate all’altezza delle ginocchia, col colletto e i paramano in pelliccia nuova, più nera e untuosa, una contraffazione estera. Nel ’24 le pellicce erano scomparse. Ne erano rimasti dei brandelli in loro memoria, in forma di colletto per un cappotto di tessuto, o di ornamento per le maniche o, a volte, per bordare l’orlo. E poi basta. Nel 1925 giunsero a noi masnade di gatti tinti e si sostituirono alla dolce e mite lontra. Ma ancora oggi, quando vedo una pelliccia di lontra, rammento quell’intera epoca della nostra vita da profughe, quando dormivamo nei vagoni merci, sui ponti delle navi e nelle stive, sistemando sotto di noi la pelliccia di lontra quando il tempo era bello e usandola per coprirci quando era freddo. Rammento una signora con delle scarpe di tela sui piedi nudi, che aspettava un tram a Novorossijsk, ferma sotto la pioggia con un neonato tra le braccia. Per darmi a intendere che non era “una qualsiasi”, parlava al bambino in francese, con il dolce accento di una scolaretta russa: «Sil vu ple! Ne pler pa! Vuasi le tramvej, le tramvej!»
Indossava una pelliccia di lontra.”

Il brano è tratto dal libro Da Mosca al Mar Nero di Teffi (pseudonimo di Nadezda Aleksandrovna Bucinskaja) in cui l’autrice racconta Continua a leggere “LA PELLICCIA DI LONTRA”